| Storia: dalla guerra del Golfo ad oggi
Un'ulteriore iniziativa irachena, questa volta contro il Kuwait invaso nel 1990, faceva salire nuovamente la tensione internazionale e l'ONU autorizzava l'uso della forza per liberare il piccolo regno arabo. La guerra del Golfo, conclusasi con la sconfitta dell'Iraq (1991) favoriva una ridislocazione delle forze dell'area, particolarmente della Siria nell'occasione alleatasi con gli USA. Questo fatto, insieme alla fine del bipolarismo, determinava un diverso scenario in cui, pur rimanendo aperte molte questioni, tra cui quella curda, si rendeva possibile l'avvio di una fase di cauta distensione nell'area. In questo quadro poteva andare in porto l'iniziativa statunitense di avviare una conferenza di pace che mettesse intorno allo stesso tavolo Arabi, Palestinesi e Israeliani per discutere le soluzioni di una duratura sistemazione della regione. La conferenza, che, apertasi a Madrid nel novembre 1991, nel 1992 proseguiva i suoi lavori negli USA, riceveva nuovi impulsi dai risultati delle elezioni politiche in Israele (1992), vinte dai laburisti. Questi si impegnavano con rinnovato vigore nel processo di pace superando le pregiudiziali di una trattativa diretta con l'OLP di ʽArafāt mentre costui riusciva a isolare le posizioni più radicali. Si giungeva, così, a una prima disponibilità sull'autonomia di Gaza e Gerico perfezionata (maggio 1994) al Cairo con l'accordo per il ritiro delle truppe israeliane e l'esercizio di un'autorità palestinese su quei territori. Nonostante l'accentuarsi delle azioni dei fondamentalisti palestinesi di Hamas e le provocazioni dei coloni israeliani estremisti, contrari a ogni concessione territoriale, il dialogo Israele-OLP continuava, seppure più a rilento, sugli altri punti in discussione. Anche i rapporti tra lo Stato ebraico e la Giordania miglioravano con la stipulazione di un importante accordo di pace (1994) che poneva fine ai profondi contrasti che duravano dal 1948. Altri incontri decisivi avvenivano nel 1995, come per esempio quello tra ʽArafāt e Rabin svoltosi in agosto. In questa occasione i due premier sottoscrivevano la Dichiarazione di Taba, pianificando le elezioni dirette del consiglio palestinese, di un segretario e di un presidente e l'organizzazione effettiva del passaggio in mano palestinese di gran parte dell'autorità civile nei territori occupati e i tempi e le modalità del loro abbandono da parte israeliana. Il processo di pace in tutta l'area subiva però un forte colpo nel novembre 1995 con l'assassinio di Rabin da parte di un estremista ebreo. Lo stesso ʽArafāt veniva nel frattempo accusato di debolezza nei confronti di Israele. L'avvicinamento tra Israele e Siria era caratterizzato da una particolare prudenza delle parti. Nel dicembre 1995, comunque, i due Stati riuscivano a trovare un accordo di intenti per il Golan. Difficoltà più sostanziali si determinavano, invece, in occasione della vittoria del Likud alle elezioni politiche israeliane (1996). Tornata al potere, la destra ebraica cercava di frenare il dialogo con ʽArafāt, ma anche il nuovo premier Netanyahu, pur in un quadro di generale deterioramento del processo di pace, doveva piegarsi alla forza delle cose e firmare con il leaderì palestinese un accordo per la città di Hebron (1997), a cui seguiva, nel 1998, un secondo, il “Memorandum di Wye”. In realtà il processo di pace tra Israeliani e Palestinesi rappresentava la chiave di volta per una più generale stabilità della regione. Esso, poi, era venuto assumendo col tempo una sua autonoma forza rendendo difficile ai suoi detrattori politici un troppo brusco irrigidimento delle posizioni. Pesava, in questo quadro, anche un'accresciuta sensibilità internazionale decisa a non accettare passivamente che il problema degli equilibri politici interni di un singolo Stato potesse condizionare l'assetto geopolitico di un'area tanto strategica. L'insieme di tali elementi contribuiva a far sì che il processo di pace israelo-palestinese, per quanto appeso a un esile filo sempre sul punto di spezzarsi, rappresentasse il dato di gran lunga caratterizzante la tormentata storia del Medio Oriente nel passaggio dal Secondo al Terzo millennio. Con l'elezione (maggio 1999) del nuovo premier israeliano, il laburista E. Barak, riprendevano con maggior vigore gli accordi per il processo di pace in Medio Oriente. Veniva prevista l'applicazione del “Memorandum di Wye”, fissando per il settembre 2000 una nuova scadenza per stabilire i criteri generali dell'accordo e la liberazione dei prigionieri palestinesi; inoltre, tra Israele e Siria si raggiungeva un'intesa per la pace con l'impegno da parte di Barak del ritiro delle truppe militari dalle Alture di Golan, in cambio dell'allontanamento delle forze armate siriane dai confini. Allo stesso tempo, nel febbraio 2000, ‘Arafāt, nel corso di una sua visita in Vaticano, siglava una “Dichiarazione di principi” che, in vista della nascita dello Stato palestinese, definiva i rapporti diplomatici con la Santa Sede e confermava la richiesta di uno statuto speciale per Gerusalemme, internazionalmente garantito . Nel luglio 2000, però, i negoziati indetti a Camp David dal presidente degli Stati Uniti Clinton, al fine di elaborare un piano di pace tra Israeliani e Palestinesi avevano un esito negativo per le divergenze emerse tra Barak e ‘Arafāt sulla questione dello statuto da attribuire a Gerusalemme Est. Lo stallo delle trattative finiva per procurare un graduale, ma inesorabile peggioramento della situazione: alla fine di settembre del 2000 nasceva una nuova Intifada nei territori palestinesi e, allo stesso tempo si registrava una ripresa del terrorismo antiebraico. Il nuovo primo ministro israeliano, A. Sharon, non intendeva proseguire i negoziati di pace, isolando e deleggitimando ‘Arafāt, la cui posizione si faceva sempre più debole. Alla fine di marzo del 2002 le truppe israeliane occupavano le città palestinesi della Cisgiordania, ritirandosi poi solo parzialmente e mantenendo una serie di presidi.
fonte www.sapere.it/enciclopedia/M%C3%A8dio+Ori%C3%A8nte.html
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