| Politica
Nonostante le sue dimensioni molto ristrette, Nauru negli ultimi tempi ha conosciuto una notevolissima vivacizzazione della scena politica, sempre molto attiva: la fine degli anni novanta è infatti stata contrassegnata dall'avvicendamento di più capi dell'esecutivo, senza che quasi nessuno riuscisse a mantenere la propria carica per più di qualche mese. L'isola vive in condizioni politiche instabili e tese, a causa della preoccupazione che regna sul futuro ambientale ed economico, e grava quindi sulla classe di governo.
Vige un sistema multipartitico, tuttavia con poche differenze tra i partiti. I principali partiti sono il Partito Democratico, il Partito del Centro e il partito Nauru First.
Tra il 1999 e il 2004 una serie di voti di sfiducia al governo hanno condotto a elezioni che hanno portato ad alternarsi alla presidenza René Harris e Bernard Dowiyogo. Dowiyogo morì in carica il 18 marzo 2003 durante un intervento cardiochirurgico a Washington. Nelle elezioni del 29 maggio 2003, è stato eletto Ludwig Scotty, al quale è stata ritirata e successivamente riconcessa la fiducia.
Scotty il 1º ottobre 2004 dichiarò lo stato d'emergenza e sciolse il Parlamento che aveva rifiutato di approvare la legge finanziaria. Le elezioni anticipate del 24 ottobre favorirono il suo Partito Riformista che ottenne un'ampia maggioranza. Economia
La moneta utilizzata è il dollaro australiano.
I giacimenti di fosfati, che hanno fatto la fortuna dell'isola[4] (con una produzione di 2 milioni di tonnellate l'anno), sono ormai quasi esauriti, e non sembra ci siano altre possibilità di entrate per l'economia locale, vista la scarsità di materie prime e di terreno coltivabile. Nauru deve importare gli alimenti e dispone di un solo impianto di dissalazione per ricavare acqua potabile. Di conseguenza il debito estero è cresciuto oltre le capacità produttive.
In previsione dell'esaurimento delle miniere, quote rilevanti dei proventi dalle esportazioni di fosfati e dalla cessione dei diritti di pesca nelle acque territoriali sono stati investiti in fondi di investimento internazionali. Un'ulteriore fonte di reddito era rappresentata dagli affitti della Nauru House, uno dei più alti edifici di Melbourne, costruito con i profitti dei fosfati. Nel 2004 la Nauru House è stata venduta assieme ad altre proprietà pubbliche per oltre 150 milioni di dollari per rimborsare alcuni creditori.
Al fine di ridurre la spesa pubblica, il governo ha bloccato i salari pubblici, ha ridotto gli organici, ha privatizzato numerose agenzie e ha chiuso alcuni consolati. Risulta particolarmente difficile reperire le risorse per il pagamento dei dipendenti pubblici, per continuare a finanziare il welfare state introdotto nel periodo della florida estrazione dei fosfati e per il recupero ambientale delle miniere. Considerando che gli abitanti non pagano tasse, il livello dell'indebitamento, anche verso creditori privati internazionali, è molto alto.
Il governo ha cercato di rendere il paese un paradiso fiscale, incoraggiando la registrazione di imprese e banche in regime di offshore;[3] ciò ha consentito l'afflusso di decine di miliardi di dollari sui conti bancari, prevalentemente dalla Russia. Gli USA hanno chiesto di sopprimere il regime di paradiso fiscale in cambio di un intervento finalizzato a modernizzare le infrastrutture del paese. L'accordo richiedeva anche l'apertura di un'ambasciata di Nauru in Cina. Così il Governo ha attuato una riforma della legge bancaria, ma gli USA hanno disconosciuto l'accordo. È stata interessata una Corte di giustizia australiana della questione, che ha dato una prima sentenza a favore di Nauru. Unitamente a Filippine, Isole Cook, Liberia, Belize, Montserrat, Isole Marshall, Niue, Panama, Vanuatu, Brunei, Costa Rica, Guatemala e Uruguay, fa parte delle 14 giurisdizioni che, in base all'ultimo Rapporto del giugno 2010 dell'Organizzazione con sede a Parigi, ancora figurano nella cosiddetta lista grigia dell'OCSE sotto la voce tax haven e centri finanziari.[8] Anche il sistema fiscale italiano, col Decreto Ministeriale 04/05/1999, l'ha inserita tra gli Stati o Territori aventi un regime fiscale privilegiato, cosiddetta Black List o lista nera, ponendo quindi limitazioni fiscali ai rapporti economico commerciali che si intrattengono tra le aziende italiane ed i soggetti ubicati in tale territorio.
L'Australia si è fatta carico di amministrare le dissestate finanze di Nauru, che comunque rischia di perdere la propria indipendenza. Negli ultimi anni alla crisi economica si è accompagnata una crisi politica con un conseguente aumento di instabilità.
La riconversione delle miniere e l'identificazione di nuove fonti di reddito in grado di sostituire quella dei fosfati sono seri problemi di lungo periodo. Già nel 1964 gli abitanti rifiutarono la proposta di trasferirsi su un'isola australiana, ma è ormai evidente che la fine dell'industria estrattiva renderà a breve impossibile mantenere una densità di popolazione elevata. Altre tipologie di attività, come l'agricoltura e il turismo, non sono in grado di mantenere il paese a causa dell'impoverimento dell'ecosistema in seguito all'eccessivo sfruttamento delle miniere di fosfati.
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