IL FARO DEI SOGNI

L’Occidente ferito: il potenziale di guarigione dello sciamanesimo nel mondo contemporaneo

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Riassunto

Questo articolo vuole essere una introduzione generale allo sciamanesimo, una delle vie di conoscenza spirituale più antica e universale, collocando la tematica nella prospettiva della crisi contemporanea e delle “ferite” dell'Occidente.
Presenta una breve caratterizzazione generale dello sciamanesimo, della sua antichità, la diversità delle sue manifestazioni, dei principali temi che, come costanti trans-culturali, permettono di descrivere la sua cosmovisione, le pratiche rituali e la validità di questa lunga tradizione di saggezza.
Si sofferma specialmente sul tema della guarigione sciamanica, cercando di rivedere il concetto classico di “efficacia simbolica” di Levi-Strauss, alla luce delle nuove concezioni energetiche della salute che ci arrivano dai nuovi paradigmi della scienza olistica più recente.
Si forniscono anche alcuni elementi epistemologici per riflettere sulla natura e l'origine della sofferenza fisica e animica che oggi affligge il mondo contemporaneo -le ferite dell'Occidente- e sulla possibilità di dare sollievo e cura alla luce della conoscenza sciamanica e delle sue prospettive attuali.
In questo senso, si evocano due figure mitologiche che provengono proprio dalla tradizione occidentale: Dioniso e Chirone. Entrambi incarnano il principio iniziatico per eccellenza del destino sciamanico e, in questo modo, ci ricordano che questa visione del mondo è inscritta anche nella nostra propria tradizione occidentale.


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INTRODUZIONE

Lo sciamanesimo è una conoscenza antichissima e universale che si è diffusa in società molto diverse, dai cacciatori-raccoglitori del paleolitico fino alle società sedentarie e agricole più complesse.
Si è preservato nella maggior parte delle comunità indigene e si è riadattato in quello che oggi, nella società occidentale contemporanea, è chiamato “neo-sciamanesimo”.
Uno dei temi fondamentali della conoscenza sciamanica riguarda la capacità di curare sia malattie fisiche che disturbi spirituali. Questa qualità terapeutica dello sciamanesimo, basata su una concezione integrale e multidimensionale della realtà, della persona e della salute, ci rivela il suo potenziale sanante e il suo potere spirituale. Ed è ciò che precisamente promuove, oggigiorno, il risorgere dell'interesse sullo sciamanesimo, un fenomeno che trascende il campo accademico e
suscita inquietudini in un pubblico molto più ampio, poiché è un campo che ha grande risonanza e potenzialità per far riflettere e agire sui i problemi contemporanei.
Nelle ultime decadi lo sciamanesimo è stato oggetto di interesse crescente anche negli studi antropologici e, in qualche modo, desidererei contribuire alla sua comprensione. Con questo proposito, in questo articolo espongo una breve caratterizzazione generale dello sciamanesimo - della sua antichità, la diversità delle sue manifestazioni, i principali temi che, come costanti transculturali, permettono di descrivere le sue cosmovisioni, le sue pratiche, i rituali- così come la validità di questa grande tradizione di saggezza. Mi addentrerò in particolar modo nel tema della cura sciamanica, provando a rivedere il concetto classico di “efficacia simbolica” di Levi-Strauss, alla luce della nuova concezione energetica della salute che ci apportano i nuovi paradigmi della scienza olistica recente.
Contemporaneamente desidero porre il tema nella prospettiva della crisi contemporanea, attraverso la quale proverò a offrire alcuni elementi per riflettere sul potenziale risanatore dello sciamanesimo e della sua validità nella società contemporanea. A causa del processo globale di occidentalizzazione che ha subito il pianeta negli ultimi secoli, oggi le sofferenze ci raggiungono tutti, occidentali e non occidentali; anche se non nella stessa maniera e con la stessa intensità, ma ci riguardano tutti. Quindi, così come è un impegno globale tentare di trovare vie di uscita alla crisi ambientale, economica, sociale ed etica, è anche una necessità per
ciascuno di noi trovare vie di guarigione; guarigione del pianeta e della sua biodiversità, guarigione della società e dell'economia, guarigione dei nostri corpi doloranti, che si ammalano sempre più.


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Guarigione dell'anima che si lacera inesorabilmente. Molte persone pensano, oggi, che qualcosa di questa conoscenza sciamanica antichissima possa ancora essere utile e possa essere applicata per alleviare le sofferenze fisiche e dell'anima che oggi, nel mondo contemporaneo, ci affliggono.

Da parte mia, condivido questa idea ed è mia intenzione esplorarla e svilupparla in questo lavoro, fornendo anche alcuni elementi epistemologici per riflettere sulla natura e l'origine delle nostre ferite occidentali, così come sulle possibilità di alleviarle e curarle alla luce della conoscenza sciamanica e delle sue prospettive attuali.

In questo senso richiamerò due figure mitologiche che provengono dalla tradizione propriamente occidentale: Dioniso e Chirone.


Dioniso fu il dio del vino, dell'ubriachezza, del piacere, della irrazionalità, dell'eccesso anche violento, ma soprattutto fu il grande demiurgo dell'estasi.

La storia e il simbolismo di questo antico dio preolimpico ci permettono di comprendere che luogo occupano, in Occidente, gli stati non ordinari di coscienza e perché il dionisiaco, nel suo senso più ampio, fu eliminato dalle nostre vite.


Da parte sua, Chirone, il saggio centauro della mitologia greca, risulta essere il perfetto archetipo del “guaritore ferito”, dell'auto-guarigione e della potenzialità della saggezza che racchiude il superamento del dolore e la integrazione degli opposti.

Tanto Dioniso come Chirone sono figure mitologiche che incarnano il principio iniziatico, per eccellenza, del destino sciamanico e, in questo modo, ci ricordano che questa visione del mondo è presente anche nella nostra tradizione occidentale.

Senza dubbio, è arrivata l'ora di riscoprirla e di riappropriarsene. I popoli indigeni l'hanno alimentata durante i millenni, sono stati incaricati di arricchirla e preservarla ritualmente e molti di loro, oggigiorno, stanno generosamente offrendo questa conoscenza al mondo.


Sicuramente è arrivato il momento di condividere non solo il dolore che ha prodotto il processo di occidentalizzazione moderna, ma anche il grande potere di guarigione che contiene la conoscenza sciamanica, qualcosa che, in qualche modo, appartiene all'umanità intera.

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LE FERITE DELL'OCCIDENTE

Quando parlo di ferite mi riferisco a un ampio spettro di dolore che coinvolge sia la dimensione planetaria che quella personale, senza risparmiare nessuna istanza intermedia: il soffocamento di Gaia, il pianeta Terra, nostro unico luogo dove vivere per il momento; il rischio, sempre più elevato, di estinzione di specie intere, animali e vegetali; la manipolazione sistematica di altre specie per fini di consumo massivo, per la sperimentazione scientifica o il divertimento collettivo; la distruzione, la morte, le violenze di tutti i tipi che tormentano intere popolazioni con guerre, guerriglie, mafie, terrorismo con il sostegno delle industrie di armi; passando poi per le negative condizioni che generano la diseguaglianza e la povertà di settori ogni volta più estesi di popolazioni, fino alle ferite che ciascuno riceve nella propria storia familiare, educativa e personale a causa dell'autoritarismo, la discriminazione, l'abbandono affettivo, la repressione, il castigo e molte altre cose che abbiamo dovuto attraversare per vivere i nostri diversi destini.
In termini di cosmovisione delle nostre popolazioni delle Ande, diremmo che siamo in mezzo ad un nuovo Pachacuti, un cataclisma che causa grandi cambiamenti sia esterni- dell'ambiente fisico, energetico e climatico-che interni- mentale, animico e spirituale. In lingua Quechua pacha significa “Terra “- la Pachamama - ma anche lo “stare qui e ora”, e cutec si riferisce all'idea di rivoluzione, giro completo, ritorno alle origini.
Il termine Pachacuti è quindi sinonimo di una grande trasformazione, di un momento di cambiamento profondo, dove tutto rimane perturbato, sottosopra. Inoltre una trasformazione ecologica, accompagnata da cataclismi climatici e tellurici, comporta anche un cambiamento nella coscienza collettiva che arriverà ad esprimersi in forti trasformazioni sociali. In qualche modo, significa anche un ritorno alla Terra, alle fonti e al recupero dell'energia e ai valori originali. Il momento attuale di crisi potrà interpretarsi, quindi, come un nuovo Pachacuti contemporaneo, di grande apertura, perché, come tutti sappiamo, la crisi è globale.
Non vorrei minimizzare, ma credo che sia possibile suggerire che vi sia qualcosa in comune dietro a tutte le ferite contemporanee. Se guardiamo più in profondità si può riassumere in uno stesso dolore, o anche in una stessa ferita di base, una rimozione comune che ha subito la coscienza occidentale moderna, quasi come prezzo della sua propria condizione di esistenza, manifestata oggi attraverso le multiple espressioni di dolore, solo apparentemente differenti.


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UNA PROSPETTIVA PER COMPRENDERE LA CRISI CONTEMPORANEA

Per approfondire questa idea riprenderò un'interpretazione della crisi contemporanea che ho sviluppato nel mio libro Del reloj a la flor de loto. Crisis contemporanea y cambio de paradigmas (2), che propone una interpretazione della crisi dell'Occidente da una triplice prospettiva epistemologica, evolutiva e spirituale. Queste sono le tre dimensioni della crisi tra loro in relazione.


Questa interpretazione sostiene che, dietro le multiple manifestazioni della crisi contemporanea, possiamo trovare una radice comune: il sistema di valori racchiuso nel paradigma scientifico moderno che nacque in Occidente a partire dal secolo XV e si sviluppò con il Rinascimento, la Rivoluzione Scientifica, l'Illuminismo, la Rivoluzione Industriale e tecnologica. In sintesi, attraverso il processo storico-sociale che denominiamo la Modernità e il suo attuale epigono, la Post-modernità. Questa visione del mondo o paradigma si basa sul principio dell'opposizione escludente, della competizione e dello sfruttamento delle risorse umane e naturali per il beneficio dell'ideale del progresso e dell'accrescimento illimitato. Questo sistema di valori determina una particolare maniera di concepire il mondo, di percepirlo, di sentirlo e agire in esso.


Da questo punto di vista possiamo dire che la crisi contemporanea ha una base epistemologica, perché quello che è in crisi è un modo di pensare e concepire la realtà, un paradigma, e in particolar modo il paradigma occidentale moderno, anche chiamato paradigma materialista, meccanicista o razionalista, derivato dalla scienza cartesiana newtoniana.



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Possiamo anche comprendere questo processo in termini evolutivi come una istanza del dispiegamento della coscienza, la cui finalità è stata la costituzione della identità dell'essere umano come soggetto, l'autoaffermazione dell'ego o self collettivo come entità autonoma, una tappa molto diffusa sebbene inevitabilmente dolorosa, all'interno della microstoria della specie umana. Utilizzo questa espressione proprio per la grandissima estensione che ha raggiunto questo livello di coscienza: nell'attraversare le frontiere culturali ed etniche e riempire la mente di milioni di persone nel mondo, questo paradigma, sebbene originario dell'Occidente, si è trasformato in un modello cognitivo su scala planetaria, come una istanza evolutiva dell'Homo Sapiens Sapiens.


Al di là del trauma epistemologico che implica un cambiamento dei paradigmi scientifici culturali, nella crisi che viviamo c'è una dimensione più profonda che è proprio la dimensione spirituale. Durante la Modernità, e quasi come condizione di esistenza del paradigma scientifico, l'Occidente ha sofferto varie frammentazioni che lo hanno portato a perdere la sua connessione con la natura, con ciò che è vitale, con la propria soggettività umana e in generale con tutti i piani sensibili e intangibili dell'esistenza. Si è imposta una concezione della realtà che dà solo credito alla razionalità, al materiale e misurabile, per cui il giudizio scientifico è l'ultimo tribunale di certezza, e che ha fatto credere all'uomo che il suo potere sia illimitato e incommensurabile, superiore a tutto il resto, che le sue necessità siano prioritarie e che per soddisfarle si giustifichi qualsiasi risultato.


Ma soprattutto, questa concezione del mondo ha decretato come non necessaria la presenza del sacro e del sovrannaturale e, oltre a questo, di tutto quello che sta fuori dalla stretta frangia della realtà materiale ordinaria. In questo modo, la vita quotidiana di qualsiasi persona comune adattata alla società occidentale scorre senza quasi nessuno spazio per l'esperienza profonda dello spirituale, in una successione di linearità profane, alla fine delle quali l'esperienza di base che rimane è il non-senso della immediatezza, la solitudine, la incomunicabilità, il vuoto, il senso di abbandono più assoluto e di conseguenza l'angoscia o la dissociazione. Arriviamo, quindi, al livello più profondo della crisi contemporanea: le sue conseguenze esistenziali e animiche.
Possiamo dire che in questo punto stanno le ragioni che spingono l'essere umano alla ricerca, molte volte disperata e compulsiva, di cammini spirituali e anche di percorsi psicoterapeutici. E' lì, nella profondità della psiche e del cuore che ritroviamo, aldilà dell'aspetto epistemologico, la dimensione spirituale della crisi dei paradigmi.


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MATERIALISMO E FRAMMENTAZIONE: ILLUSIONI DELLA VITA MODERNA

Consideriamo più nel dettaglio come si è prodotta in Occidente la perdita della spiritualità. Per far questo è necessario riconoscere i profondi legami che uniscono l'aspetto epistemologico con quello esistenziale, perché in questo modo potremo cogliere meglio il vincolo diretto che esiste tra certe concezioni e percorsi epistemologici, come la frammentazione, il riduzionismo materialista e il mondo virtuale, e alcune delle esperienze contemporanee più distruttive come l'abbandono, l'angoscia, la compulsione competitiva e l'ansia di potere.


Se rivediamo brevemente il processo di costituzione del paradigma occidentale moderno possiamo renderci conto che il dolore sta inscritto nella sua stessa origine. Ogni passo verso l'autonomia della coscienza, dalla inevitabile perdita dello stato di partecipazione mistica con la Natura e il Cosmo fino alla sua costituzione come soggetto auto-cosciente3, hanno portato successive frammentazioni, tagli, separazioni, cesure che hanno lasciato ferite aperte nella memoria collettiva, attualizzata poi, in ciascuno di noi, a livello personale.


Il principale strumento filosofico della frammentazione fu la divisione cartesiana tra res extensa (materia) e res cogitans (mente), la cui conseguenza fu, nello stesso tempo, la divisione tra oggetto e soggetto, tra il mondo e l'uomo. L'osservatore e l'osservato sarebbero stati, a partire da questo momento, due entità indipendenti, qualitativamente differenti, opposte e autonome.


Assumere come vera la discontinuità tra soggetto ed oggetto, tra l'uomo e il mondo, fu qualcosa di simile al peccato originale della razionalità occidentale. Questa rottura fu la chiave epistemologica dell'oggettività, del materialismo filosofico e dell'etica pragmatica. Fu anche uno strumento molto potente che permise grandi scoperte e il diffondersi del mondo moderno così come oggi lo viviamo e subiamo. Tuttavia, dato che si basa su un fondamento fittizio, la separazione, che è solo una illusione costruita nella nostra mente, è stata la radice più grande della sofferenza contemporanea.


Le conseguenze della frammentazione hanno afflitto sia il soggetto che l'oggetto, portando l'essere umano a una doppia frattura o a ciò che viene chiamato anche un doppio e simultaneo “disincanto”: della Natura e dentro lui stesso, della sua propria soggettività. La natura è stata sfruttata fino al limite del disastro ecologico in cui viviamo oggigiorno. Da parte loro, la vita e la mente umana si sono rassegnate (ridotte a cose) a sottomettersi ai principi meccanicistici.

L'alienazione è una conseguenza naturale della separazione gnoseologica tra l'osservatore e l'osservato, aprendo una breccia che finisce per generare una distanza emozionale e spirituale da tutto il vivente. Il cuore dell'uomo moderno si è nascosto sotto mille corazze, i nostri corpi si sono irrigiditi e oggi si ammalano sempre di più. Nel perdere la connessione con ciò che ci circonda e con il senso di appartenenza a una totalità che ci avvolge, ci siamo convinti del nostro assoluto stato di abbandono, che siamo soli al mondo; di conseguenza, la vita ha perso il suo valore e l'essere umano sembra aver dimenticato quale sia il senso della sua esistenza.


Il riduzionismo materialista, o la convinzione che il mondo è solo la stretta dimensione di realtà materiale, non ha fatto che aggravare la situazione esistenziale. Rimanendo le possibilità conoscitive limitate all'osservazione dei sensi e all'elucubrazione mentale, si alimenta l’illusione della separazione, obnubilando la nostra possibilità di accorgerci che questa si trova solo lì, nel piano materiale, dove noi viviamo come esseri individuali, isolati ed essenzialmente separati. La coscienza dell’interconnessione, della nostra partecipazione naturale alla trama della vita e all'ordine cosmico è possibile solo trascendendo il piano immediato del materiale per accedere ad altri livelli di realtà e percezione più sottile.


Questa epistemologia della “oggettività” , legata al principio della valorizzazione di una neutralità come requisito della supposta certezza della scienza, consegnò all'uomo una libertà di manovra senza precedenti. La divisione tra soggetto ed oggetto si trasformò in qualcosa di più di una risorsa metodologica e diventò uno scontro antagonistico; tutto questo determinò, a sua volta, la predominanza della razionalità scientifica sopra altre forme di conoscenza, del Soggetto sopra l'Oggetto e, di conseguenza, dell'Uomo sopra la Natura, che divenne una riserva sfruttabile di
materie prime.


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Nel processo di costruzione e instaurazione sociale di questa nuova forma di razionalità la scienza ebbe un ruolo fondamentale: fu incaricata di dimostrare che effettivamente questa forma di razionalità funzionava.

Con la sua coscienza pragmatica dimostrava i benefici immediati e in questo modo otteneva la sua legittimazione. Infine si stabilì, e perdura ancora nel nostro immaginario collettivo contemporaneo, come l'unico vero e affidabile sapere, occupando un luogo di potere
naturalizzato e, quindi, indiscusso.


Mentre i termini “razionale” e “obiettivo” si convertivano in sinonimi di “vera conoscenza”, cadevano in disuso e diventavano marginali tutte le altre forme di essere e conoscere, considerate come non oggettive e, quindi, poco affidabili: così accadde all'ambito filosofico, artistico, irrazionale, magico, sensitivo, intuitivo, corporeo, affettivo, paradossale, mistico e, sicuramente, spirituale.Ma l'egemonia che ottiene la razionalità scientifica si alimenta con la sua propria cecità epistemologica.

Per ottenere l'effetto assoluto dell'obbiettività dovette esimersi dalla riflessione autocritica, togliendosi la possibilità di considerarsi come un sapere tra i tanti possibili.

Finì, per ultimo, per essere stregata dal suo proprio potere e non è difficile immaginare la implicazione culturale e politica di questo sentimento di superiorità.


In un crescendo di violenza si arrivò alla squalificazione, alla repressione, alla persecuzione, e in alcuni casi, all'annientamento di tutto ciò che era diverso e strano e che, in un modo o nell'altro, occupasse l'inquietante posto dell' “altro”. Andò così formandosi, alle sue spalle, un gran terreno di incertezza, una enorme e temibile ombra che naturalmente, con il tempo, è andata cercando vie per uscire nuovamente alla luce.


Il motto baconiano "sapere è potere" divenne un efficace strumento della scienza meccanicista,sebbene il prezzo, alla lunga, finirà per risultare molto elevato.
Forse, una radice degli eccessi risiede, anche, in un altro dei nuclei del paradigma moderno: il desiderio di certezze e la ricerca dell'assoluto alimentata dalla scoperta del mondo virtuale.

Uno dei fattori che generò le condizioni epistemologiche per lo sviluppo della virtualità fu la coincidenza storica, agli albori della Modernità, dell'uso dello zero, l'invenzione del denaro virtuale per le transazioni commerciali e il metodo pittorico della prospettiva in base a un unico punto di fug.Il soggetto moderno scoprì un meccanismo molto più potente della puleggia semplice, attraverso il quale è possibile generare illusioni ed effetti di realtà mediante mezzi artificiali. Si passò dalla iconicità all'astrazione.


E tale segreto permise con il tempo di arrivare fino alla luna, diffondere la globalizzazione cibernetica, riempire i nostri portafogli di carte di plastica e tante altre cose che oggi ci sembrano naturali e invece sono, in realtà, artificiali.


Rompendo gli intrecci del tangibile incontriamo il potere del vuoto e dell'assenza, simboli e metasimboli che ne possono generare nuovi altri all'infinito, creando, a loro volta, la ingannevole illusione che questo sia, in se stesso, un potere illimitato.

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Sebbene il secolo XX abbia portato una quantità di esperienze drammatiche che ci stanno dimostrando il contrario, l'idea che il nostro potere non abbia limiti rimane ancora una delle convinzioni della Modernità più fortemente instaurate. Pensiamo anche al richiamo così frequente dei mezzi pubblicitari; insieme con l'acquisto del prodotto promosso ci viene proposto di sfidare ogni limite di velocità, di competitività sportiva, di seduzione, di confort, etc. etc. Il potere basato sulla virtualità non si pone limiti, non fa caso all'ambiente, solo pensa come arrivare più lontano possibile, costi quello che costi. Ed è lì che si rivela la paradossale e ambivalente condizione di questo potere, che se non è orientato da una ferma coscienza etica dell'equilibrio, può arrivare molto più in là del razionale, fino a destabilizzare in generale tutto il sistema.


Forse è questo il delicato punto nel quale, come specie umana, ci ritroviamo. Il rischio della virtualità risiede nel fatto che questo grande potere è basato solo sulla nostra capacità di astrazione mentale e manca di un ancoraggio nel concreto. In questo senso recuperare l'esperienza diretta della realtà(5), fondamentalmente attraverso la ri-connessione con i nostri corpi, le nostre emozioni e con la natura, può essere una chiave per orientarci nella nostra ricerca.


L'OCCIDENTE E LA RICERCA DELL'ESTASI

Arriviamo al momento attuale, nel quale gli effetti più disastrosi di questo divorzio dell'essere umano dalla natura, sia esteriormente che interiormente, si fanno ormai insostenibili. Tutti gli aspetti che furono relegati, soggiogati, repressi o annullati dalla coscienza, come i settori sociali che li incarnano e li rappresentano, sono diventati quello che in termini junghiani potremmo denominare una enorme “ombra” sulle spalle della coscienza occidentale moderna. E come tutto l'universo segue la legge della compensazione e deve tornare all'equilibrio, così tutto quello che si è tentato di reprimere tende a uscire nuovamente alla luce e in qualche modo deve ripresentarsi; a volte, reclamando il suo riconoscimento e la sua integrazione anche con modalità disordinate e violente.


Come risultato finale del processo di frattura psichica alla quale inevitabilmente conduce la frammentazione, compare una delle esperienze occidentali più diffuse: l'angoscia. Dietro di essa si manifestano a catena una serie di altri stati connessi: l'ansia, la depressione, la paura, il senso di abbandono e una lunga lista di manifestazioni psicofisiche, dal più conosciuto stress fino alle sempre più frequenti malattie degenerative e problemi cardiovascolari.


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Tutto questo è molto chiaro se lo consideriamo nell'ottica di una spiritualità frustrata, perchè possiamo vedere che esiste una profonda interrelazione tra tutte queste esperienze psicologiche, certe malattie fisiche, la compulsione alla dipendenza nelle sue molteplici varianti, alcool, tabacco, droga, tranquillanti, lavoro, velocità, sesso, etc. e la ricerca di esperienze estatiche di tipo mistico e spirituale (6).
Secondo lo psicologo Robert Jonson, “ La grande tragedia della società occidentale contemporanea consiste nell'aver perso virtualmente la capacità di sperimentare il potere trasformativo dell'estasi e della gioia(...). I nostri spiriti hanno necessità di nutrirsi più che mai, ma per aver escluso dalla nostra vita l'esperienza interna dell'estasi divina, possiamo solo cercare i suoi equivalenti fisici (…). Questa bramosia ha portato fino al sintomo più caratteristico del nostro tempo; la dipendenza patologica.(7)”
E' importante riconoscere questo legame profondo e, a volte, così poco riconosciuto, tra l'angoscia e la necessità dell'estasi. Tenerne conto può metterci in guardia anche di fronte a certe tendenze sottilmente compulsive che molte volte si manifestano nella ricerca spirituale, soprattutto attraverso la insaziabile e variabile reiterazione di esperienze con le quali si pretende di accedere ad altri piani di coscienza o a mobilitare i contenuti dell'inconscio.

Questo legame appare anche nella concezione della spiritualità come un movimento
esclusivamente ascensionale e verticale, quando, in realtà, l'apertura spirituale non si ottiene con una “evasione” verso l'alto, ma attraverso un'attenta immersione nella corporeità e nel mondo terreno, cioè equilibrando le due direzioni, discendendo e ascendendo simultaneamente.
A un livello ancora più profondo possiamo avvertire una connessione tra la “fame” spirituale insaziabile e l'aspirazione al potere illimitato, alla quale mi sono riferita precedentemente. Nella coscienza moderna entrambe stanno anche spingendo dal fondo della ricerca di certezza e di assoluto, l'ultimo dei volti che in Occidente ha preso l'idea patriarcale del “Dio Padre”.


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Credo che tutti queste desideri racchiudano una necessità di altra natura: constatare simbolicamente l'esistenza di questo luogo di potere sempre esterno, superiore, trascendente, mascolino, rigoroso, che in gran parte ancora viviamo con timore e con sfida, come se “potere” fosse sinonimo esclusivo di un'unica dinamica: sottomettere o sottometterci.

Forse, una delle esperienze più importanti della Modernità è stata la sistematica e definitiva frustrazione di questo anelito, di certo adolescenziale.

Solo attraverso la profonda interiorizzazione di questa esperienza, che implica smettere di proiettare l'autorità fuori e sopra di noi e, nello stesso tempo, assumere il nostro proprio potere come una forza personale interiore positiva e creatrice, la nostra coscienza potrà superare questa antica confusione e accedere all'abissale dimensione che si apre a partire da un'autentica visione della dimensione olistica. Abbracciare con fiducia l'incertezza non è cosa da poco.

Tutto quello che ho detto, che di certo non esaurisce l'esplorazione dei lati oscuri della spiritualità, non sminuisce però la fondamentale importanza della sua integrazione e la genuina necessità della sua ricerca; solo la rende più completa e ci obbliga a raffinare i nostri strumenti di navigazione per discernere il bene dal male, l'illegittimo dall'autentico.

Allo stesso tempo dobbiamo mettere in evidenza il significato della spiritualità dentro l'emergere di nuove forme di coscienza, il suo potere terapeutico e il suo alto potenziale evolutivo, sempre che la si coltivi come uno strumento di lucida libertà e di perfezionamento della nostra sintonia con l'Universo.La nostra società postmoderna riesce a corrompere tutto ed è riuscita a corrompere anche la spiritualità trasformandola in attività commerciale.

Ha convertito il movimento della Nuova Era, per esempio, in un gran bazar di offerte spirituali facili e veloci.

E lo stesso accade con l'attuale attrazione, sempre crescente, per ciò che è indigeno.

È così grande la necessità di riconnettersi con le radici originarie e con la natura che molte persone tendono ad aderire incondizionatamente a qualsiasi proposta che suoni come destabilizzante, dalle più inoffensive usanze di indossare vestiti etnici fino alle più compromettenti, come partecipare a cerimonie, sottomettersi a cure e prove, bere piante sacre per pura curiosità psichedelica e poi sentirsi iniziati nel cammino della saggezza indigena.

I più imprudenti arrivano a credere che certe conoscenze ancestrali si possano acquisire in un week end, per fare un esempio estremo, per poter officiare poi da sciamani o guaritori dell'anima e del corpo, inclusi gli stessi indigeni o meticci contemporanei che non aderiscono con chiarezza alla cosmovisione e ai valori tradizionali.

In ogni modo, proprio in quest’ambito, nemmeno possiamo smettere di enfatizzare l'importanza, per il mondo contemporaneo, del potenziale terapeutico e risanatore dello sciamanesimo e in particolare dell'uso delle piante sacre, una delle sue basi principali.

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Senza voler semplificare troppo nel suggerire di mettersi in fila di fronte ai moderni “consultori sciamanici”, credo che quello che risulta essere molto utile per riflettere su come alleviare le attuali sofferenze generalizzate, più che partecipare al fenomeno fisico concreto e culturale dello sciamanesimo, sia la possibilità di avere un nuovo sguardo verso la cosmovisione sciamanica, quest'altro modo di vedere il mondo e operare su di esso, che oggi comincia a esserci sempre più vicino.

Perché, in realtà, questa qualità simbolica multi-sfaccettata e magica della vita, intesa nel miglior senso possibile, che permea tutto il mondo sciamanico, è qualcosa che noi occidentali abbiamo dimenticato, immersi come siamo nella cultura della materialità e dell'immediatezza.


Diventa necessario, quindi, situare tutta questa problematica nella cornice di un processo di rinascita etnica e filosofica dei popoli indigeni in tutto il mondo e in special modo in America, un continente con un enorme capitale di popolazione originaria che sta recuperando il senso della sua identità e offre la sua saggezza alla collaborazione e al risveglio collettivo e che, per questo, è chiamato a giocare un ruolo da protagonista nei prossimi anni.

Credo che la nostra missione come ricercatori, in quanto antropologi, ma fondamentalmente come esseri umani impegnati fino in fondo nel nuovo Pachacuti e nel cambiamento di coscienza, sia favorire la riflessione e facilitare la rispettosa conoscenza di questa saggezza per il bene di tutti.


SCIAMANESIMO: UN FENOMENO TRANSCULTURALE


Volgiamo ora il nostro sguardo al tema dello sciamanesimo, per acquisire più elementi che ci consentano di valutare meglio ciò che proponiamo come suo potenziale terapeutico e spirituale, nel contesto della crisi contemporanea.


In questa parte dell'articolo presenterò alcuni elementi che ci aiuteranno a definire la difficile questione di cosa sia lo sciamanesimo.

Rivedrò alcuni dati sulla sua antichità e diversità culturale che ci rimandano fino alle lontane origini paleolitiche del sentimento religioso e del vincolo ancestrale tra l'uomo e gli animali.

Ho anche riunito diversi tratti e concetti che ci permettono di caratterizzare questo fenomeno nella sua universalità, al di là delle differenze culturali particolari.

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CHE COSA È LO SCIAMANESIMO?

Nel 1705 Nicolaas Witsen, un diplomatico olandese che era in visita alla corte dello zar russo, realizzò un un celebre disegno (fig. a sinistra). Durante un viaggio in terra siberiana aveva visto questo tipo di personaggi, vestiti con pelli che conferivano loro l'aspetto da orso e portavano grandi corna di cervo sopra la testa; ballavano e percuotevano ripetutamente un tamburo fino a cadere in una profonda trance. In questo stato parlavano, predicevano il futuro, conversavano con spiriti e animali, riuscivano a curare persone malate. Sembravano folli agitati e senza dubbio godevano di un grande prestigio nelle loro comunità. Si diceva che uno di questi, chiamato Kokochi, avesse aiutato con le sue profezie lo stesso Gengis Kan, il fondatore dell'impero mongolo. Witsen aveva rappresentato nel suo disegno uno sciamano siberiano del gruppo manchu-tunguso.
In quella lingua questi personaggi erano chiamati con il nome xaman o saman in russo, termine che proviene dalla radice scha che significa "sapere", da qui xaman,” colui che sa”, il “saggio” che allude anche all'idea di movimento o agitazione del corpo (8). Un' etimologia molto interessante che riprenderemo più avanti.
A partire da lì, il termine si diffuse divenendo in castigliano “chaman” e in inglese “shaman”, indicando quelle persone che, in quasi tutte le culture tradizionali conosciute, svolgono la funzione di mettere in comunicazione i diversi piani di realtà e, grazie alla capacità di coltivare la facoltà di sdoppiare la loro coscienza, fanno da ponte tra le loro comunità e il sovrannaturale, ottemperando ad una diversità di funzioni come il divinatore, medico, saggio, officiante di cerimonie o perfino capo politico. Ciò che distingue gli sciamani e attribuisce loro questa identità tanto speciale è la loro capacità di uscire dalla realtà ordinaria, andare verso lo straordinario e saper ritornare, portando qui qualcosa che viene dalla loro connessione con questi altri piani sacri o sovrannaturali.

Gli sciamani si occupano specialmente di mantenere la comunicazione con le forze spirituali, del dialogo con gli spiriti degli animali, ai quali devono chiedere il permesso o la riconciliazione dopo una partita di caccia. Si occupano degli elementi della natura per portare la pioggia, scongiurare una siccità o fermare il fuoco; delle piante, da cui apprendono l'arte di curare le malattie del corpo e dell'anima. Si occupano anche dei morti, le cui anime a volte non vogliono partire, o delle stesse divinità che è necessario onorare e servire sempre.

Secondo la formula di Mircea Eliade e Ioan Couliano, lo sciamanesimo non può considerarsi propriamente una religione ma piuttosto "Un insieme di metodi estatici disposti per ottenere il contatto con l'Universo parallelo, anche se invisibile, degli spiriti e il loro aiuto nella gestione degli affari umani, molto spesso, in senso lato, di ciò che oggi chiameremmo il campo terapeutico.(10)”

Senza dubbio possiamo anche riconoscere che il ruolo dello sciamano trascende, includendo anche il piano terapeutico:"...la funzione dello sciamano è di vitale importanza per le comunità. Il suo ruolo non si limita a vedere l'anima umana, a conoscere il suo dramma, curare, riconciliare, purificare case e persone, neutralizzare o indirizzare le influenze negative, divinare o comunicare con gli spiriti, tra le altre cose. Lo sciamano nella sua dimensione globale è il vero guardiano delle tradizioni e dell'equilibrio psico-fisico della comunità; rinnovando i miti, perpetrando la cosmovisione, genera significato per il gruppo e diventa, così, un fondamento della cultura.(11)”



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view post Posted on 31/8/2019, 08:47     Top   Dislike
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I PRINCIPALI TEMI SCIAMANICI: IL VIAGGIO, LA TRANCE, LA TRASFORMAZIONE E IL POTERE


Lo sciamanesimo è una conoscenza antichissima nata insieme alle necessità fondamentali del modo di vivere tipico delle società di cacciatori e raccoglitori. In Europa e Africa, le pitture paleolitiche illustrano personaggi umani con tratti animali, che si possono interpretare come rappresentazioni di sciamani o stregoni, datate 35000 anni fa; è possibile che addirittura risalgano ai tempi dei nostri predecessori di Neandertal, dai 60000 fino ai 200000 anni fa, che lasciarono segni della loro familiarità con i due temi centrali della cosmovisione sciamanica: il dominio del fuoco e la trascendenza simbolica della morte.


Ma non si tratta solo di una conoscenza antichissima quanto di un fenomeno che è universale. Con caratteristiche e nomi diversi, ma con una impronta inconfondibilmente propria, è presente in moltissime culture e in tutti i cinque continenti. Ritroviamo tradizioni sciamaniche in Europa dal paleolitico fino all'epoca precristiana e in numerosi gruppi indigeni dell'Africa, Oceania, Australia, Asia e America.
Questa diversità culturale continua a sorprendere e favorisce lo studio comparativo dei principali temi sciamanici ricorrenti che, aldilà delle differenze locali o culturali specifiche, sono gli assi comuni che sostentano la sua universalità. In un lavoro precedente (12), nel quale ho realizzato uno studio trans-culturale della relazione tra la cosmovisione, pratiche rituali e arte sciamanica, ho proposto una sintesi attorno a quattro grandi temi:
a) il viaggio e la comunicazione tra i mondi o piani di realtà alternativi,
b) la trance estatica come modalità per accedere ad altre realtà,
c) la trasformazione come risultato e meta del lavoro sciamanico, e
d) il potere come forza e sfida etica della pratica dello sciamano; come direbbe Carlos Castaneda, attraverso le parole di don Juan Matus :" il terzo e il più forte di tutti i nemici dell'uomo di conoscenza".



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view post Posted on 2/9/2019, 09:11     Top   Dislike
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IL VIAGGIO


L 'attività centrale dello sciamano è il viaggio in mondi differenti o piani della realtà. A livello cosmologico l'idea del viaggio sta inscritta in una concezione multipla e stratificata dell'universo, nella quale predomina la tripartizione in Cielo (Sovramondo), Terra (Mondo intermedio) e Mondo sotterraneo (Inframondo), che comunicano tra loro attraverso un'asse verticale o axis mundi -asse del mondo-rappresentato da scale, corde pendenti, alberi o tronchi con gradini, che sono luoghi
dove si realizza il passaggio.
Attraverso il viaggio lo sciamano compie la sua missione fondamentale, che è connettersi con i tre piani cosmici mantenendo così l'equilibrio tra essi. Egli è l'unico capace di accedere a questi luoghi, comunicare con le forze spirituali che vi dimorano e portare su questo piano i loro messaggi, le informazioni e la conoscenza di cui abbiamo bisogno qui sulla Terra.
Il tema del viaggio è intimamente connesso con la presenza e acquisizione degli spiriti o a animali guida. La modalità del viaggio è generalmente attraverso il volo, quando si tratta di salire, sebbene possano esserci anche discese che assumono sembianze di cadute; e generalmente sono le facoltà dei loro animali protettori quelle che lo sciamano ha bisogno di acquisire per poter realizzare il viaggio.
Insieme all'arte del volo lo sciamano deve sviluppare la capacità visionaria. Simile allo sguardo penetrante dei volatili questa facoltà scrutatrice permette loro di vedere attraverso la materia e sapere quello che succede in altri mondi. In un senso più ampio la visione sciamanica o ,“l'occhio forte”, si riferisce alla capacità di ampliare la percezione ordinaria e avere visioni, o affinare la sensibilità per captare e vedere energie e forze sottili (13).




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