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Airavata, il Bianco Mastodonte a 4 Zanne, allude viceversa ai solstizî e agli equinozî, divenuti allora per la prima volta evidentemente oggetto di culto. Altri doni, che non stiamo ivi a discutere per brevità, sono infatti: il Sole, la Luna, la Vacca dell’Abbondanza (Surabhi, immagine probabile d’una nuova terra, primo tesoro uscito dal Rimestamento), la paradisiaca Dea dell’Abbondanza (Śrī, la Dea delle Acque (Vāruṇī, cioè Venere) e le Apsaras (Sirene, in quanto essenze delle acque). Oltre ovviamente, come surriferito, all’Amṛta (Immortalità) o Soma (Luce) che dir si voglia ed al Kaustubha (la Gemma dei Desiderî = Cuore). Ciò indica la prima forma, attiva, di meditazione e conseguente contemplazione. Per contro simultaneamente spunta fuori il Kālakūta, un terribile veleno recante la distruzione dell’intero universo se non fosse bevuto da Śiva; tale veleno, secondo J.Gonda, non sarebbe altro che “il mortale principio della vita naturale”. In concomitanza i testi parlano d’una conflagrazione con venti pieni di fumo e di fiamme, che oggi diremmo piroplastici, solo in seguito temperata da abbondanti piogge; e, conseguentemente, d’una notevole moría d’animali terrestri ed acquatici. Ricordiamo a scanso d’equivoci che la cosmologia hindu prevede eventi del genere ogni 6.480 anni circa, cioè alla fine degli Yuga (Eoni), allorché i Sette Pianeti (Saptagraha) si riuniscono tutti nel segno zodiacale del Toro. Com’è avvenuto, di recente, nel Duemila. In Giappone si ha una versione del mito ricalcante quella indiana, forse giunta per via buddhista; ma pure nel contesto shintoista, vedi Ko-ji-ki e Nihon-gi, troviamo la coppia demiurgica Izanagi–Izanami intenta a rimestare le acque primeve affinché caglino e formino la terra. Trattasi anche qui della tipica leggenda illustrante una creazione secondaria. Presso i Toltechi, come palesa il Codice Cortes, appare lo stesso scenario mitico; però il ruolo della Tartaruga e della Serpe è direzionalmente invertito (l’una in alto e l’altra in basso), a dimostrazione che il vero senso originario si era irrimediabilmente perduto (8). Capo e coda della serpe, a mo’ di corda, sono tenuti per l’occasione da un nume a testa d’elefante (Chac, dio della pioggia) da un lato e da due divinità oscure dall’altro. Alla corda è connesso un simbolo solare (Kin). Nei miti degli Zuni, tribú pellerossa del New Mexico di stirpe pueblo, è una dea madre a frullare l’oceano colla sua mano. Colla differenza che la montagna, non diversamente dalla pianta-del latte (in Messico identificata all’agave), è in tal caso un’assunzione di forma da parte di lei e persino l’oceano-di latte è una sostanza vitale da costei emanata colla propria saliva sputando in un vaso. Altri codici maya presentano d’altronde varianti mitiche che associano la suddetta pianta alla tartaruga ed al dragone.
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