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| Raccontare per sopravvivere e sopravvivere per raccontare
Se Odisseo si fosse fermato, non solo non sarebbe tornato a Itaca, ma l’intera sua storia avrebbe cessato per sempre di esistere. Moltissimi anni dopo, su questo tema, avrebbe scritto il romanziere triestino Italo Svevo: «E che cosa sono io? Non colui che visse ma colui che descrissi. Oh! L’unica parte importante della vita è il raccoglimento. Quando tutti lo comprenderanno con la chiarezza ch’io ho tutti scriveranno. La vita sarà letteraturizzata» (Svevo, Le confessioni del vegliardo). Tuttavia raccontare è faticoso perché il racconto è un continuo ritorno, è una ricerca che chiede di tornare indietro. Fermarsi nel nulla può essere seducente, come l’ospitalità dei Lotofagi.
Occorre una continua tensione a sopravvivere alla propria stessa storia: «Il dramma è finito. Perché allora qualcuno è ancora in giro? Perché uno sopravvisse al naufragio» dice Ismaele nell’epilogo del romanzo Moby Dick, di Hermann Melville, dopo aver citato in esergo il libro di Giobbe: «e io solo sono sopravvissuto per raccontartela» (Gb 1, 16). Sopravvivere per raccontare: ostinarsi a tornare nella vita dopo aver scandagliato il proprio passato. L’epica antica rappresenta davvero il primo momento in cui la vita si fece letteratura, e prima memoria storica, nel perpetuarsi del ricordo, sintetizzando la realtà, mitizzandola e salvandola dall’oblio.
FONTE www.studenti.it/odissea-di-omero-trama-analisi.html
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