« Per la sua importante produzione letteraria, che con serietà chiarificante illumina i problemi della coscienza umana nel nostro tempo. »
(Motivazione del Premio Nobel per la letteratura[1])
Albert Camus (IPA: [alˈbɛʁ kaˈmy]) (Dréan, 7 novembre 1913 – Villeblevin, 4 gennaio 1960) è stato uno scrittore, filosofo, saggista, drammaturgo ed attivista francese.
Con la sua multiforme opera è stato in grado di descrivere e comprendere la tragicità di una delle epoche più tumultuose della storia contemporanea, quella che va dall’ascesa dei totalitarismi al secondo dopoguerra e al concomitante inizio della guerra fredda. Non solo: le sue riflessioni filosofiche, magistralmente espresse in immagini letterarie, hanno una valenza universale e atemporale capace di oltrepassare i meri confini della contingenza storica, riuscendo a descrivere la condizione umana nel suo nucleo più essenziale.
Il suo lavoro è sempre teso allo studio dei turbamenti dell'animo umano di fronte all'esistenza, in balia di quell'assurdo definito come «divorzio tra l'uomo e la sua vita». L'unico scopo del vivere e dell'agire, per Camus, che pare esprimersi dialetticamente fuori dell'intimità esperienziale, sta nel combattere, nel sociale, le ingiustizie oltre che le espressioni di poca umanità, come la pena di morte: «Se la Natura condanna a morte l'uomo, che almeno l'uomo non lo faccia», usava dire.[2]
Camus ricevette il Premio Nobel per la letteratura nel 1957.[3] Malato da anni di tubercolosi, morì nel 1960 in un incidente stradale.
Biografia
Camus nacque a Mondovi (oggi Dréan), nell'allora Algeria francese, il 7 novembre del 1913 da una modesta famiglia di pieds-noirs, per la cui povera condizione sociale il futuro scrittore, da ragazzo, nutriva una forte vergogna.[4] Il padre, Lucien Auguste Camus, era un fornitore d'uva locale, nato da una famiglia di coloni francesi originari di Bordeaux da parte paterna e dell'Alsazia da parte materna, che morì precocemente nella prima battaglia della Marna nel 1914 («...per servire un paese che non era suo», come ebbe a scrivere Camus una volta adulto nel romanzo Il primo uomo), mentre la madre, Catherine Hélène Sintès, era figlia di immigrati spagnoli originari di Minorca (nelle Isole Baleari).[5]
Dopo la morte del padre, assieme alla madre e alla nonna materna, la quale rivestirà un ruolo molto importante nella sua educazione a causa della severità e dell'accentramento dei poteri familiari (la madre non ebbe mai gran parte nella crescita del figlio), si trasferisce ad Algeri dove seguirà tutti i gradi di scuola.[5]
Gli studi e la malattia
« Fui posto tra la miseria ed il sole, ad uguale distanza. La miseria m'impedì di credere che tutto è bene sotto il sole e nella storia; il sole mi insegnò che la storia non è tutto.[6] »
Camus brilla sin da giovane negli studi. Spinto dal suo professore di filosofia, e in seguito grande amico, Jean Grenier (al quale rimarrà legato per tutta la vita), vince una borsa di studio presso la facoltà di filosofia della prestigiosa Università di Algeri.[5]
È proprio Grenier a invitarlo alla lettura de Il dolore (La Douleur) di André de Richaud, opera che lo spingerà a intraprendere l'attività di scrittore. La tubercolosi, che lo colpisce giovanissimo, gli impedisce di frequentare i corsi e di continuare a giocare a calcio, sport nel quale eccelleva come portiere, oltre a ostacolare l'altra sua passione, quella di attore teatrale.[5] All'epoca (1930) la malattia è considerata inguaribile (la penicillina era stata scoperta nel 1928 e non era ancora in uso, mentre gli antibiotici specifici per questa patologia sono degli anni quaranta) e questo influisce sulla sua visione del mondo come "assurdità".[5]
Finisce così gli studi da privatista e si laurea in filosofia nel 1936 con una tesi su Plotino e Sant'Agostino.[7]
L'antifascismo
Nel 1933 aderisce al movimento antifascista Amsterdam-Pleyel e nel 1934 aderisce al Partito Comunista Algerino, più in risposta alla Guerra civile spagnola che per un reale interesse alle teorie di Karl Marx; questo atteggiamento distaccato nei confronti dell'idea comunista lo portò spesso al centro di discussioni con i colleghi e lo rese oggetto di critiche fino al punto di distaccarsi completamente nel 1937 dalle azioni del partito, considerate di parte e quindi non adatte a un discorso di unità delle genti.[5]
Albert Camus alla sua scrivania
Il primo matrimonio di Camus con Simone Hie nel 1934 finisce dopo due anni a causa della dipendenza della donna verso gli psicofarmaci. Sei anni dopo sposerà Francine Fauré, ma dopo tre anni è costretto a separarsi dalla guerra fino al 1945; il matrimonio durerà fino alla morte dello scrittore.[5]
L'attività professionale lo vede spesso impegnato all'interno di redazioni di giornali (inizia con una rivista locale, Sud) dove è critico letterario e specialista nei resoconti dei grandi processi e nei reportage: il lavoro nel quotidiano locale algerino Alger-Républicain (ne è redattore capo), poi in "Soir-Republicain" (fondato da Pascal Pia). Il Governatore Generale delle colonie del Nord-Africa lo ostacola e la sua attività nelle colonie finisce con il licenziamento dal giornale, a causa di un articolo contro il governo, che si adopererà poi per non fargli più trovare occupazione come giornalista in Algeria.[5]
Dal comunismo all'anarchismo individualista
Camus si sposta così in Francia dove nel 1940 è segretario di redazione al Paris-Soir grazie all'aiuto di Pascal Pia: sono gli anni dell'occupazione nazista e lo scrittore, prima da osservatore e poi da attivista, cerca di contrastare la presenza tedesca ritenendola atroce e insopportabile. Negli anni della resistenza si affilia alla cellula partigiana Combat per la quale curerà numerosi articoli per l'omonimo giornale che circola clandestinamente. Vi coinvolge Sartre venendo accolto negli ambienti intellettuali di Saint-Germain-des-Prés e del Café Flore. Sembrava che l'amicizia con Sartre fosse indistruttibile, ma le tematiche dell'Assurdo e della Rivolta, i poli che sono alla base dell'itinerario filosofico di Camus, saranno all'origine della progressiva rottura con Sartre e gli ambienti di sinistra.[5]
Albert Camus
Aderisce poi al Partito Comunista algerino, sempre più per reazione contro l'oppressione dei più deboli, che non per vere convinzioni marxiste. Dopo due anni lascia infatti il partito.[5]
Nel marzo 1945 partecipa a Parigi, con George Orwell, Emmanuel Mounier, Lewis Mumford e André Philip, al primo Congresso internazionale del Movimento Federalista Europeo, fondato da Altiero Spinelli e Ursula Hirschmann con l'obiettivo di costruire gli Stati Uniti d'Europa.[8]
Finita la guerra, il suo impegno civile rimane costante e non si piega di fronte a nessuna ideologia, criticando tutto quello che poteva allontanare l'uomo dalla sua dignità: lascia il posto all'UNESCO a causa dell'entrata nell'ONU della Spagna franchista così come è tra i pochi a criticare apertamente i metodi brutali del Soviet in occasione della repressione di uno sciopero a Berlino Est.[9]
Il 16 maggio 1945 scoppia la prima ribellione in Algeria. Camus torna nel suo luogo natale per una cronaca. Conclude così il suo articolo: «Una grande politica, per una nazione povera, può essere soltanto una politica esemplare. Ho una sola cosa da dire a questo proposito: la Francia costruisca realmente la democrazia nei paesi arabi. La democrazia è un'idea nuova in un paese arabo. Per noi varrà più di cento eserciti e di mille pozzi di petrolio». Ad agosto Camus, unico intellettuale occidentale a farlo apertamente (ad eccezione di Albert Einstein) condanna con parole dure i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. In quell'anno può riunirsi nuovamente alla famiglia e a settembre nascono i figli gemelli Jean e Catherine.[9]
In questo periodo cura anche l'edizione postuma delle opere della pensatrice anarco-cristiana Simone Weil.[10]
Pubblica svariati articoli su alcune riviste dell'anarchismo filosofico francese, di cui condivide idee e finalità, pur criticandone il "nichilismo romantico" che l'ha caratterizzato storicamente. Già nel 1938 era stato allontanato dal PCF, ma la frattura con il Partito si formalizza definitivamente nel 1950 a Berlino al "Congresso per la libertà della cultura", con l'espulsione di Camus dal Partito unitamente a Léon Blum, André Gide, François Mauriac e Raymond Aron.[5]
All'inizio del 1946 si reca negli Stati Uniti, dove è accolto con diffidenza e sorvegliato dai servizi segreti (la futura CIA), mentre viene salutato con ammirazione dagli studenti delle università nelle quali si reca a tenere discorsi e lezioni. Termina La peste, che esce nel 1947 ed ottiene grande successo nonché il Premio dei critici.[9] Scrive una serie di articoli contro tutte le dittature, raccolti in Né vittime né carnefici, in cui affronta il problema della violenza nel mondo.[9][11] Quando, nel 1947, scoppia la rivolta antifrancese in Madagascar e ne segue una forte repressione, Camus afferma che «il fatto è chiaro e ripugnante: stiamo facendo tutto ciò che abbiamo rimproverato e rinfacciato ai tedeschi».[9]
Negli anni successivi lo scrittore deve fare i conti con una ricaduta della malattia: la tubercolosi giovanile ritorna a tormentarlo e lo costringe a lungo a letto e ad alcuni ricoveri in case di cura. La malattia regredisce quasi completamente, ma i danni ai polmoni sono ormai permanenti.[9]
Nel 1951 la pubblicazione de L'uomo in rivolta fa nascere una lunga polemica con Sartre ed i suoi amici: Camus auspica un nuovo umanesimo fondato sulla solidarietà e critica le degenerazioni del comunismo; Sartre rifiuta questo tipo di approccio, che considera borghese e passivo, ma Camus risponde ribadendo la sua fede nella democrazia e in ultima istanza, nell'anarchismo, pur mantenendo una posizione molto personale.[9]
Pochi amici gli restano accanto, dopo la rottura con la sinistra, «molti si allontanarono da lui. Solo alcuni amici gli rimasero vicini, come Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone», come detto dalla figlia Catherine.[12]
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