IL FARO DEI SOGNI

India

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L'India (hindi: भारत Bhārat), ufficialmente Repubblica dell'India (Hindi: भारत गणराज्य Bhārat Gaṇarājya), è uno Stato federale dell'Asia meridionale, con capitale Nuova Delhi.



Viaggio in India (Rajasthan 1)



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È il settimo Paese per estensione geografica al mondo (3.287.263 km²) e il secondo più popolato, con 1.335.250.000 abitanti (censimento 2017).[7] È bagnato dall'oceano Indiano a sud, dal mar Arabico a ovest e dal golfo del Bengala a est. Possiede una linea costiera che si snoda per 7.517 km.[8] Confina con il Pakistan a ovest,[9] Cina, Nepal e Bhutan a nord-est, Bangladesh e Birmania a est. I suoi vicini prossimi, separati dell'oceano Indiano, sono lo Sri Lanka a sud-est e le Maldive a sud-ovest.

Sede della civiltà della valle dell'Indo e regione di rotte commerciali storiche e di vasti imperi, il subcontinente indiano è stato identificato con il suo commercio e la ricchezza culturale per gran parte della sua lunga storia.[10] Quattro grandi religioni del mondo (l'induismo, il buddismo, il giainismo e il sikhismo) sono nate qui, mentre lo zoroastrismo, l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam arrivarono entro il I millennio d.C. dando forma nella regione a una grandissima diversità culturale. Gradualmente annessa alla Compagnia britannica delle Indie orientali dai primi decenni del XVIII secolo e colonizzata dal Regno Unito dalla metà del XIX secolo, l'India è diventata un moderno Stato nazionale nel 1947, dopo una lotta per l'indipendenza che è stata caratterizzata da una diffusa resistenza non violenta guidata da Gandhi.



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L'India è la dodicesima più grande economia del mondo in termini nominali e la quarta in termini di potere d'acquisto. Riforme economiche hanno trasformato il Paese nella seconda economia a più rapida crescita[11] (è uno dei cinque Paesi a cui ci si riferisce con l'acronimo BRICS),[12] ma nonostante ciò il Paese soffre ancora di alti livelli di povertà, analfabetismo e malnutrizione, oltre ad avere un sistema sociale basato sulle caste. Società pluralistica, multilingue e multietnica, l'India è inoltre ricca sul piano naturale, con un'ampia diversità di fauna selvatica e di habitat protetti.



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Storia


Le più antiche testimonianze note di vita umana in India sono rifugi dell'età della pietra dipinti a Bhimbetka, nel Madhya Pradesh. I primi insediamenti permanenti conosciuti apparvero oltre 9000 anni fa e si svilupparono gradualmente nella Civiltà della valle dell'Indo[17], che risale al 3300 a.C. Seguì il periodo vedico, che gettò le fondamenta dell'induismo e di altri aspetti culturali che caratterizzarono gli albori della società indiana, e si concluse intorno al 500 a.C. A partire dal 550 a.C. si svilupparono nuove forme di aggregazione e sorsero in buona parte del paese un discreto numero di regni e repubbliche indipendenti note con il nome di Mahajanapadas[18]. La più importante di queste, che sarà egemone nelle vaste regioni orientali, sarà il regno del Magadha.

Nel III secolo a.C. la maggior parte dell'Asia meridionale venne unita sotto la guida dell'Impero Maurya del sovrano Chandragupta Maurya. Questo vastissimo impero, il primo ad unificare quasi l'intero subcontinente indiano, fiorì sotto l'imperatore Aśoka, una delle figure preminenti della storia antica dell'India.[19] L'impresa di unificare un territorio così vasto sarà emulata solo parecchi secoli dopo la caduta dell'Impero Maurya da un altro grande impero: l'Impero Gupta nel III secolo d.C., in un periodo definito come "l'età d'oro dell'India antica".[20][21] In quei secoli vi furono continui contatti commerciali con l'Impero Romano[22]. Con la caduta dell'Impero Gupta sorsero nuovi regni, soprattutto a meridione dove presero forma nuovi imperi, tra cui i principali furono quello delle dinastie Chalukya, Rashtrakuta, Hoysala, Pallava, Pandya, e Chola. Nell'epoca dei grandi imperi dell'antichità, la scienza, l'ingegneria, l'arte, la letteratura, l'astronomia e la filosofia fioriranno sotto il patrocinio dei vari re ed imperatori.

In seguito alle invasioni provenienti dall'Asia centrale tra il X e il XII secolo, gran parte del nord India passò sotto il dominio del Sultanato di Delhi prima, e del più vasto Impero Moghul poi. Sotto il regno di Akbar il Grande l'India conobbe un periodo di armonia religiosa, e di fervore culturale ed economico.[23][24] Gli imperatori Moghul estesero gradualmente i loro regni fino a coprire gran parte del subcontinente. Tuttavia diversi regni indigeni, come ad esempio l'Impero di Vijayanagara indù resistettero in particolare nel sud, oltre al Regno Ahom nel nord-est. Tra il XVII e il XVIII secolo, la supremazia dei Moghul diminuì e l'Impero Maratha divenne la potenza dominante.[25] Dal XVI secolo diversi paesi europei, tra cui Portogallo, Paesi Bassi, Francia e Regno Unito, iniziarono ad arrivare inizialmente come commercianti, ma approfittando poi delle spaccature fra i vari regni, si andarono imponendo con le loro colonie. Nel 1856 la maggior parte dell'India era sotto il controllo della Compagnia Inglese delle Indie Orientali.[26] Un anno più tardi un'insurrezione a livello nazionale chiamata Prima guerra di indipendenza indiana mise in serio pericolo il dominio della società britannica, ma alla fine la rivolta venne sedata. Come conseguenza, l'India passò interamente sotto il governo diretto della Corona britannica come colonia dell'Impero Britannico.
Mahatma Gandhi (destra) con Jawaharlal Nehru, 1937. Nehru sarebbe diventato il 1º Primo Ministro indiano nel 1947.

Nella prima metà del XX secolo fu lanciata una lotta per l'indipendenza a livello nazionale dal Congresso Nazionale Indiano e da altre organizzazioni politiche. Poi iniziarono anche le i sacrifici dei Sikh, il più noto dei quali fu Bhagat Singh, che giocarono un importante ruolo nella cacciata dei britannici.. Negli anni venti e trenta con il movimento guidato dal Mahatma Gandhi, milioni di persone furono impegnate in una campagna di disobbedienza civile di massa.[27] Il 15 agosto 1947 l'India ottenne l'indipendenza dalla Gran Bretagna, ma venne divisa in due governi indipendenti tra il Dominion dell'India e il Dominion del Pakistan in conformità alla volontà della Lega Musulmana Panindiana.[28] Tre anni più tardi, il 26 gennaio 1950, l'India divenne una repubblica ed entrò in vigore una nuova costituzione.[29]

Dopo l'indipendenza furono portate avanti lotte di religione e fra le caste e insurrezioni in varie parti del paese, ma che si fu in grado di arginare attraverso la tolleranza e le riforme costituzionali.

Il terrorismo in India costituisce un grave problema: in particolare nel Jammu e Kashmir, nel nord-est dell'India, e, negli ultimi anni, anche nelle grandi città, ad esempio a Delhi e Bombay. Di particolare rilievo è l'attacco del 2001 al Parlamento indiano.

L'India ha sospeso le controversie territoriali con la Cina, che nel 1962 portarono alla guerra sino-indiana, e quelle con il Pakistan, che portarono a delle guerre nel 1947, 1965, 1971 e 1999.

L'India è un membro fondatore del Movimento dei Non-Allineati e delle Nazioni Unite (all'epoca come facente parte dell'India britannica).

Nel 1974 l'India ha condotto un test nucleare sotterraneo,[30] a cui hanno fatto seguito altri cinque test nel 1998, divenendo una potenza dotata di bomba atomica.[30] A partire dal 1991 importanti riforme economiche hanno trasformato l'India in uno dei paesi con tassi di crescita economica fra i più alti del mondo,[31] il che ha contribuito molto, sia a livello regionale che globale, ad aumentarne il peso specifico.[32]



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Geografia


Geograficamente rappresenta la maggior parte del subcontinente indiano, ed è poggiata sopra la placca indiana, che a sua volta fa parte della placca indo-australiana.[33]

La geografia dell'India odierna deriva da processi geologici iniziati 75 milioni di anni fa, quando il subcontinente indiano, allora parte della sponda meridionale del supercontinente Gondwana, iniziò una deriva in direzione nord-est durata 50 milioni di anni, attraversando tutto l'Oceano Indiano (il quale era ancora in via di formazione).[33] La collisione del subcontinente con la placca eurasiatica e la successiva subduzione sotto ad essa, ha dato forma all'Himalaya (che culmina limitatamente al territorio indiano nel Kanchenjunga con i suoi 8.586 metri), la più alta catena montuosa del pianeta, che ora cinge l'India a nord e a nord-est.[33] Negli antichi fondali marini immediatamente a sud delle emergenti cime himalayane, il movimento tettonico creò un vasto avvallamento, che successivamente venne progressivamente riempito con i sedimenti dei fiumi,[34] dando vita all'odierna pianura Indo-Gangetica.[35] A ovest di questa pianura, separata dai monti Aravalli, si trova il deserto di Thar.[36] La pianura originaria del subcontinente continua a sopravvivere nella parte peninsulare dell'India, nella regione più antica e geologicamente più stabile che si estende dal nord fino ai monti Satpura e Vindhya nell'India centrale. Queste catene corrono parallelamente al Mar Arabico nella costa del Gujarat, e più a sud si trova un ampio territorio che prende il nome di altopiano del Deccan, fiancheggiato a occidente dalle catene costiere dei Ghati Occidentali, e a oriente dai Ghati orientali.[37] L'altopiano del Deccan contiene alcune delle rocce indiane di più antica formazione (anche più di un miliardo di anni).
Le Isole Andamane.

L'India si trova a nord dell'equatore, compresa tra i 6°44' ed i 35°30' di latitudine nord e tra i 68°7' ed i 97°25' di longitudine est.

La costa indiana si estende per 7.517 km di lunghezza; 5.423 km dei quali corrono lungo la penisola, mentre 2.094 km appartengono alle isole Andamane, Nicobare, e Laccadive. Secondo le carte idrografiche navali dell'India, la costa è costituita per il 43% da spiagge di sabbia, l'11% da costa rocciosa e scogliere, e il 46% da distese fangose o paludose.

La catena himalayana dà origine a grandi fiumi che attraverso il nord dell'India, tra cui il Gange e il Brahmaputra, si gettano nel Golfo del Bengala.[38] Importanti affluenti del Gange includono lo Yamuna e il Kosi, la cui bassa pendenza dei territori che attraversa è causa di disastrose inondazioni ogni anno. I grandi fiumi della penisola comprendono il Godavari, il Mahanadi, il Kaveri, e la Krishna, che si gettano nel Golfo del Bengala;[39] e il Narmada e il Tapti, che si gettano nel Mar Arabico.[40] Tra le più caratteristiche coste indiane si segnalano le paludose Rann di Kutch nell'India occidentale, e il delta alluvionale Sundarbans, condiviso con il vicino Bangladesh.[41] L'India ha due arcipelaghi: le Laccadive, atolli corallini vicino alla costa sud-occidentale e le Andamane e Nicobare, di origine vulcanica situate nel mar delle Andamane.[42]



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Religione


In base ai dati del censimento del 2011, la popolazione indiana è a grande maggioranza di religione induista (79,8%), compresi gli ayyavazhi che sono considerati una setta induista e sono presenti soprattutto nell'India meridionale; la seconda comunità religiosa della nazione è quella dei musulmani che assommano al 14,23% della popolazione totale dell'India (è la seconda comunità musulmana mondiale dopo l'Indonesia). Sono presenti inoltre altre minoranze religiose: cristiani 2,3%, sikh 1,72%, buddisti 0,7% e poi giainisti e altre comunità religiose (religioni tradizionali tribali, bahai, ebrei e parsi).[53]

I musulmani costituiscono la maggioranza nel Jammu e Kashmir e nelle Laccadive, mentre formano grosse minoranze negli Stati di Uttar Pradesh (30 milioni, circa un quinto della popolazione), Bihar (13 milioni e mezzo, un: sesto della popolazione), Bengala Occidentale (un quarto della popolazione), Assam (poco meno di un terzo) e Kerala (un quarto).

I sikh costituiscono la maggioranza in Punjab e formano significative minoranze nel territorio di Delhi (mezzo milione) e nell'Haryana (oltre un milione). I buddisti formano la maggioranza nello Stato del Sikkim e nella regione del Ladakh e sono diffusi tra i paria grazie alle conversioni di massa iniziate dal dr. Ambedkar negli anni cinquanta. I giainisti si trovano soprattutto negli Stati di Rajasthan (650.000), Gujarat (525.000), Maharashtra (1.300.000) e Karnataka (400.000), i parsi sono concentrati a Bombay.[54]

Gli ebrei, ora molto ridotti, erano presenti storicamente con le comunità di Cochin, del Maharashtra (Bene Israel), di Bombay (Baghdadi), nel Mizoram (Bnei Menashe, indiani convertiti) e nell'Andhra Pradesh (Bene Ephraim, anch'essi indiani convertiti).



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Lingue
Lingue indoarie e dravidiche nel sub-continente indiano.

L'India è la seconda entità geografica per diversità culturale, linguistica e genetica dopo l'Africa.[52]

L'India è la patria di due grandi famiglie linguistiche: indoariana (parlata da circa il 74% della popolazione) e dravidica (parlata da circa il 26%). Altre lingue parlate appartengono alle famiglie austroasiatiche e tibeto-birmana.

La Costituzione non riconosce una lingua nazionale, ma diverse lingue ufficiali: l'hindi è lingua ufficiale del governo (art.343) e da una a tre lingue sono designate come lingue ufficiali dei singoli stati (art.345). In India si parlano ben 179 lingue diverse. L'hindi è la lingua più parlata[55] oltre ad essere la lingua ufficiale dell'Unione.[56]

L'inglese, che viene ampiamente utilizzato in economia e nelle gestioni aziendali, ha lo status di "lingua ufficiale sussidiaria".[57]

La Costituzione riconosce inoltre altre 21 lingue che vengono abbondantemente parlate e utilizzate nei documenti pubblici dei vari stati, fra cui l'assamese (Assam), il bengalese (Bengala Occidentale), il gujarati (Gujarat), il kannada (Karnataka), il malayalam (Kerala), il marathi (Maharashtra), l'oriya (Orissa), il panjabi (Punjab, Haryana), il tamil (Tamil Nadu), il telugu (Andhra Pradesh). Kannada, malayalam, tamil e telugu sono lingue dravidiche, le altre indoarie.

Il numero di dialetti in India è di ben 1.652.[58]



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Disuguaglianze sociali e problemi alimentari


Anche se l'economia indiana è cresciuta costantemente nel corso degli ultimi due decenni, la sua crescita è stata irregolare e diseguale fra i diversi gruppi sociali, gruppi economici, regioni geografiche, e tra zone rurali e zone urbane.[99]

La disparità di reddito in India è relativamente piccola (coefficiente di Gini: 36,8 nel 2004), anche se è aumentata ultimamente. Ma la distribuzione della ricchezza è maggiore, con il 10% della popolazione che possiede il 33% della ricchezza. Malgrado i significativi progressi economici, un quarto della popolazione della nazione si trova sotto la soglia di povertà individuata dal governo in 0,40 $ al giorno. Nel 2004-2005, il 27,5% della popolazione viveva sotto tale soglia.

La percentuale di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà internazionale di 1,25 dollari al giorno è comunque diminuita dal 60% nel 1981, al 42% nel 2005.[100] L'85,7% della popolazione viveva con meno di 2,50 $ (PPP) al giorno nel 2005, rispetto all'80,5% dell'Africa sub-sahariana.[101]

In tutte le statistiche FAO non c'è nessun dato che faccia presumere che a questa massa di popolazione, specialmente quella sotto la soglia di povertà, corrisponda un analogo problema dal punto di vista dell'approvvigionamento alimentare. Ciononostante da parte di alcuni studiosi, in convegni dedicati allo specifico tema, si è avanzata l'ipotesi che i dati ufficiali siano reticenti e nascondano una realtà molto più grave di quanto asserito dal governo e comunicato alla FAO.[102]



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Cultura


In campo culturale l'India è contrassegnata da un elevato grado di sincretismo[118] e pluralismo culturale.[119] Il subcontinente è riuscito a preservare le proprie antiche tradizioni, assorbendo nel frattempo nuovi costumi, tradizioni e idee portati da popoli invasori e immigrati, diffondendo la propria influenza culturale verso altre parti dell'Asia.
Architettura

L'architettura rappresenta la diversità della cultura indiana. Molti monumenti di rilievo, come ad esempio il Taj Mahal, o altri esempi di architettura dell'epoca Moghul o dell'India meridionale, si compongono di una miscela che assomma le antiche tradizioni locali e idee provenienti da diverse parti del paese e dall'estero. L'architettura vernacolare mostra al pari notevoli varianti regionali.
Letterature indiane
Rabindranath Tagore, Premio Nobel per la letteratura nel 1913.

L'India è un vero arcipelago di lingue e dialetti, alcuni dei quali hanno espresso letterature fiorenti e di assoluto valore artistico. Accanto alle lingue indiane principali (hindi, urdu, tamil, maratha ecc.) autori indiani, spesso bi o tri-lingui, hanno scritto sin dal medioevo in persiano; a partire dal XX secolo, è emersa pure una sempre più consistente letteratura indiana in lingua inglese. Per questo è fuorviante, e storicamente errato, parlare di "letteratura indiana" al singolare.

Le prime opere di letteratura indiana - strettamente legate alla cultura religiosa - sono state trasmesse per via orale e solo in epoca più tarda messe per iscritto. Si tratta di opere letterarie in lingua sanscrita come i Veda, le opere epiche del Mahabharata del Ramayana e dei Purana, che hanno il rango di Sacre Scritture; a queste si aggiunge poi il dramma, la poesia, il teatro e, soprattutto, una ricchissima trattatistica religiosa e filosofica alimentata dalle diverse scuole e dottrine in seno all'Induismo e al Buddismo, ma anche all'Islamismo, al Giainismo e alle altre fedi presenti nel subcontinente. Questa ampia letteratura filosofica e religiosa, che continua nel medioevo con i grandi maestri (Gaudapada, Shankara, Ramanuja e le loro scuole ecc.), ha conosciuto un crescente successo anche in Occidente a partire dagli studi degli orientalisti dall'800 in poi, in virtù di mode e tendenze culturali che guardano all'India come al serbatoio inesauribile di ogni saggezza.

Nel medioevo, a seguito della lunga dominazione musulmana (Sultanato di Delhi XIII-XV sec., quindi Impero dei Moghul) protrattasi fino a metà '800, la letteratura colta si espresse soprattutto in lingua urdu e in persiano, le lingue dell'intellighenzia musulmana che gravitava intorno alle corti. Esemplare è la figura di Amir Khusraw di Delhi (m. 1301), plurilingue prolifico autore di masnavi (poemi di tono romanzesco o epico) che appartengono sia ai capolavori della letteratura persiana che a quelli della letteratura in lingue indiane. La letteratura religiosa medievale è quantomai varia. Oltre alla trattatistica su menzionata, si può citare la ricca tradizione poetica di ispirazione religiosa opera di santi induisti. Si va dagli Inni degli Alvar, dodici leggendari poeti-santi dei secoli VI-IX che vagavano di tempio in tempio nell'India meridionale e scrissero in lingua tamil, ai cosiddetti "Sant", poeti mistici dei secoli XIII-XVII che, scrivendo in lingua hindi o maratha, rielaborarono in chiave di eros mistico il patrimonio delle dottrine tradizionali. Si presentano inoltre interessanti casi di sincretismo religioso come ad esempio il Canzoniere del mistico Kabir di Benares vissuto nel XV sec., o il poema in lingua avadhi Padmavat definito "un immenso affresco... della luminosa civiltà hindu-musulmana" (G. Milanetti), opera di M.M. Jayasi della prima metà del XVI sec. - due autori che, superando le barriere etnico-religiose e linguistiche, anticipano il clima di "ecumenica tolleranza" religiosa dell'imperatore moghul Akbar (1542-1605) e si impongono all'ammirazione di tutti gli indiani. La letteratura in lingua hindi è gradualmente cresciuta nel subcontinente, soprattutto a partire dal periodo coloniale britannico e si è imposta definitivamente con la decolonizzazione dopo che l'urdu era divenuto la lingua ufficiale del Pakistan. Accanto ad essa ha continuato a svilupparsi la letteratura in lingua persiana, raggiungendo soprattutto in poesia con il grande Bidel (o Bedil, m. a Delhi 1721), notissimo anche in Asia Centrale, e con Ghalib (m. a Delhi 1869), poeta bilingue che apre la grande stagione moderna della lirica nella letteratura urdu, risultati estetici unanimemente ammirati.

Tra gli scrittori indiani moderni (attivi sia in lingue indiane, che in inglese) universalmente noto è Rabindranath Tagore, autore di poesie romanzi saggi e racconti, che vinse il Premio Nobel nel 1913; da ricordare anche Muhammad Iqbal (m. 1939), scrittore e riformista religioso, che scrisse poesia in urdu e in persiano, raggiungendo nelle rispettive letterature vertici di assoluto rilievo. A partire dal secondo dopoguerra sono emersi numerosi autori che esprimono l'incontro/scontro dell'India arcaica con la modernizzazione, come ad esempio il longevo R.K. Narayan (1906-2001) e la letterata, linguista, sociologa e scrittrice in lingua marathi Durga N. Bhagvat (1910 - 2002); a partire dagli anni ottanta hanno riscosso fama mondiale alcuni narratori di espressione inglese e di origini indiane come Anita Desai, H. Kureishi, Wikram Seth, Arundhati Roy e soprattutto Salman Rushdie e V.S. Naipaul (Premio Nobel 2001), perlopiù residenti in Occidente, che insieme hanno costruito quello che è definita "letteratura anglo-indiana", il ramo più consistente della letteratura post coloniale di area inglese. Tra le scrittrici ricordiamo inoltre Mahasweta Devi, che fu anche attivista e tra le più note scrittrici indiane in lingua bengali.



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Teatro
Il teatro in India spesso incorpora elementi musicali e di danza, con dialoghi sia improvvisati che scritti. Spesso trova le sue basi nella mitologia induista, ma anche da romanzi medievali, e da notizie di interesse sociale ed eventi politici. Il teatro indiano comprende: bhavai dello Stato del Gujarat, jatra del Bengala Occidentale, nautanki e ramlila dell'India settentrionale, tamasha del Maharashtra, terukkuttu del Tamil Nadu, e yakshagana del Karnataka.



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Cinema


L'industria cinematografica indiana è la più grande al mondo.[120] Bollywood, con sede nella città di Bombay, possiede la più prolifica industria cinematografica del pianeta: secondo il Central Board of Film Certification of India - l'ufficio che si occupa di visionare e approvare i film - solo nel 2003 sono stati prodotti 877 film e 1177 cortometraggi.[121] Gran parte della produzione corrisponde al cinema regionale nelle varie lingue ufficiali dell'India. Tra il cinema regionale si evidenzia quello in lingua tamil prodotto a Chennai. Tuttavia, il cinema regionale ha scarsa rilevanza in tutto il paese, e i grandi successi sono generalmente filmati in lingua hindi, che costituisce un quinto della produzione totale.

Il 73% dei biglietti in Asia e zona del Pacifico è venduto in India, e sempre il Central Board of Film Certification of India dichiara che ogni tre mesi un miliardo di persone - cioè l'intera popolazione indiana - si reca al cinema.[122]
Musiche e danze
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Musica classica indiana.
Il bharatanatyam.

La musica indiana è un'altra componente culturale che copre una vasta gamma di tradizioni e stili regionali. La musica classica in gran parte comprende i due generi: al Nord la musica industani, al Sud la musica carnatica e le loro varie forma di musica folk regionale. Le forme regionali di musica popolare comprendono il filmi e la musica folk (di cui una forma nota è il baul).

Anche la danza indiana ha altresì esempi di forma folk e classica. Tra le principali danze folcloristiche vi è il bhangra del Punjab, bihu dell'Assam, chhau del Bengala Occidentale, Jharkhand e Orissa, thumka dance e il ghoomar del Rajasthan. Otto forme di danza, con molte elementi narrativi e mitologici hanno ottenuto lo status di danza classica dal Sangeet Natak Akademi (l'Accademia Nazionale di Musica, Danza e Teatro), e alcune di queste sono: bharatanatyam dello Stato del Tamil Nadu, kathak in Uttar Pradesh, kathakali e mohiniyattam nel Kerala, kuchipudi dell'Andhra Pradesh.[123]. Una delle figure più rilevanti che diede un grande contributo alla danza tradizionale indiana fu Rukmini Devi (1904-1986)
Scienza

L' apporto scientifico dato dall'India fu notevole: nel xx secolo ricordiamo la figura di Subrahmanyan Chandrasekhar (1910-1995), naturalizzato statunitense, Nobel per la fisica nel 1983, ricordato soprattutto per il Limite di Chandrasekhar.

Inoltre è da ricordare, nel corso del xx secolo, la figura di Shakuntala Devi (1929-2013), bambina prodigio, definita spesso computer umano, per la eccezionale rapidità nell'eseguire complicate operazioni in ambito matematico in pochi secondi.



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Generalità

Questo stato dell'Asia costituisce una delle più grandi unità politiche del mondo, seconda per numero di abitanti solo alla Repubblica Popolare Cinese. Il Paese, un'immensa penisola chiusa a N dalla catena dell'Himalaya., è, per dimensioni, etnie presenti sul territorio, lingue e tradizioni in uso presso la popolazione, un vero e proprio subcontinente. Costituitasi a metà circa del Novecento in entità statale moderna (con il nome di Unione Indiana) dopo un lungo passato coloniale, l'India vive ancora oggi accesi conflitti con i Paesi confinanti per la giurisdizione di alcune porzioni di territorio poste lungo i confini, a partire dall'area montagnosa del Kashmir (rivendicato in parte dal Pakistan e in parte già occupato dalla Cina), del Himachal Pradesh, del Arunachal Pradesh e del Uttaranchal. Fanno invece ormai parte del territorio indiano gli ex possedimenti portoghesi di Goa, Daman e Diu, quelli ex francesi di Chandannagar, Yanam, Pondicherry, Karikal e Mahe, il Lakshadweep (isole Laccadive) e le isole Andamane e Nicobare (connesse, invece, all'Asia sudorientale). Nemmeno il processo di formazione dell'identità nazionale si è compiuto in modo indolore: fin dalla sua costituzione, l'India, analogamente a Pakistan e Bangladesh, è stata, infatti, teatro di un vero e proprio esodo incrociato di popolazione, nel tentativo di fornire alle principali confessioni religiose presenti nella regione (induisti e musulmani) uno Stato in cui riconoscersi anche come nazione. A tutt'oggi, gli scontri e le tensioni che ne sono derivate e che hanno costellato gli ultimi 50 anni del XX sec., non hanno ancora trovato una piena composizione. Il Paese dunque, che ospita una delle più ricche e feconde stratificazioni culturali, storiche e religiose del mondo, si è trovato di fronte non solo a un processo di ricostruzione di un'unità politica e culturale, ma quasi di fondazione ex novo. Parallelamente, l'Unione Indiana è stata investita da un fortissimo accrescimento demografico ed economico. Oggi, infatti, nonostante le persistenti contraddizioni sociali e le profonde disparità interne, il subcontinente indiano si pone tra i primi Paesi al mondo come crescita del PIL, e appare come uno dei protagonisti del rapido e aggressivo sviluppo asiatico, i cui effetti si ripercuotono su scala mondiale: dalla spinta all'approvvigionamento alla conseguente erosione delle risorse energetiche, dalle ricadute ambientali provocate dall'inquinamento dei sempre più grandi agglomerati urbani alla modifica degli assetti finanziari e dei rapporti di potere tra le potenze occidentali e gli stessi Paesi asiatici. Proprio questo ruolo di crescente centralità ha attirato l'attenzione degli analisti economici e degli studiosi dello sviluppo, che hanno sottolineato come sia fondamentale per gli equilibri futuri del pianeta il coinvolgimento dell'India ai tavoli internazionali in cui si affrontano questioni di governance globali. Senza contare che la presenza indiana non incide più sulle economie dei Paesi occidentali solo attraverso l'invasione dei mercati o mediante l'alternativa della delocalizzazione produttiva, facilitata dall'enorme disponibilità di forza lavoro a basso costo: come per la Cina, sembra infatti valere la tendenza, sempre più diffusa nei principali gruppi industriali a livello mondiale, del ricorso a professionalità indiane per i ruoli di maggiore responsabilità, non di rado impiegate per risollevare le sorti delle aziende colpite dai fenomeni di deregolamentazione in atto nelle stesse economie di mercato (si pensi, per esempio alla Pepsi Cola o alla Citigroup, la più grande banca al mondo, i cui Chief Executive sono indiani). A questo panorama economico, continua tuttavia a far da contraltare il persistere di molti aspetti tradizionali (dai matrimoni combinati all'influenza di credenze e pratiche religione che pervadono ancora oggi l'organizzazione sociale e la struttura di alcuni settori economici), che per certi versi appaiono quasi anacronistici se paragonati alla corsa verso la modernizzazione. Non ultima, anche la situazione politica del Paese lascia intravedere come molte restino le questioni sospese cui trovare soluzione, a partire dalla corruzione diffusa presso la classe dirigente e da una gestione politica spesso personalistica degli interessi collettivi.

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Territorio: geografia umana. Generalità

Il subcontinente indiano è stato uno dei centri d'irradiazione nell'evoluzione degli Hominoidea, come testimoniato dai numerosi reperti fossili di Ramapitecine portati alla luce, finora, nell'India settentrionale (Haritalyngar, monti Siwalik) datati a 12-8 milioni di anni fa. La carenza di ricerche sistematiche, e quindi la scarsità di ritrovamenti, impedisce tuttavia una precisa ricostruzione del più remoto popolamento, sebbene l'India costituisca una sorta di “ponte” tra l'Africa e il resto dell'Asia per quanto concerne la diffusione delle specie umane. L'unico reperto sicuramente attribuibile a Homo erectus è quello di Hatnora, nella valle del Narmada, datato a circa 1 milione di anni fa, portato alla luce nel 1982; scarsi e frammentari i resti più antichi di Homo sapiens sapiens, nonostante il rinvenimento di vari siti paleolitici in tutta la penisola indiana. A partire dal IV millennio a. C. l'India appare abitata da genti dedite all'agricoltura itinerante: qui vennero domesticate varie piante, fra le quali il cotone e il riso di montagna. Già prima della diffusione degli Indoeuropei erano presenti popolazioni antropologicamente e culturalmente diverse, come testimoniato dalla molteplicità dei gruppi etnici tuttora esistenti, solo in parte fusi tra loro. Le genti più antiche vengono ritenute quelle veddoidi del sud-ovest (area dei monti Carmadon e Nilghiri), da alcuni studiosi designate con il nome collettivo di Malidi; questi presentano un misto di caratteri australoidi-negroidi-europoidi (le tribù più significative sono: Mala Vedar, Kanikkar, Kadar, Kuruba, Malasar, Paman, Jeravà); affini, ma con più spiccati caratteri australoidi, sono i gruppi residuali dell'orlo orientale del Deccan (Sholiga, Chenghu, Irula, Yamadi e altri); tutte queste genti, nomadi, sono dedite ancor oggi alla raccolta e alla caccia. Un altro gruppo di genti di origine assai antica, designato da alcuni studiosi con il nome collettivo di Gondidi, è diffuso in piccole entità isolate su una vasta area tra il basso Gange e il bacino del Narmada fino alle regioni nord-occidentali e al bacino del Mahānadi: presentano caratteri negroidi-australoidi sebbene la loro pelle sia decisamente chiara; i gruppi più numerosi sono i Gond, Juang, Santal, Oraon, Khond, Bhuiya, Male, Mardia, Korku, Bhil, Katkari, Thakur, Kandesh, Mewak, quasi tutti ancora nomadi cacciatori-raccoglitori, che praticano una semplice agricoltura alla zappa. Coltivatori un tempo nomadi, probabile residuo del primo popolamento neolitico, sono le numerose popolazioni di lingua munda, oggi sedentarie, stanziate soprattutto nella regione fra il basso Gange e il Narmada fino all'alto corso del Mahānadi (Munda, Korwa, Asur, Kha, Horo, Ho, Bhumi, Kharvar, Kharia). I loro caratteri somatici presentano tratti europoidi con taluni aspetti negroidi nel taglio della faccia, nel naso e nei capelli; sono le genti che presentano colorazione cutanea più scura di tutta l'India tanto che vari studiosi li designano collettivamente con il nome di Indomelanidi o Paleoindidi. Di pelle bruna o bruno-scura sono le popolazioni di lingua dravida che all'epoca dell'invasione indeuropea erano diffuse in tutta l'India, dove avevano costituito grandi comunità di agricoltori sedentari ai quali si deve, probabilmente, la creazione dei primi stati urbani, soprattutto nel bacino del Gange. Oggi i dravidi popolano principalmente l'India meridionale, costituiscono forti minoranze omogenee e rappresentano il tipo fisico noto con il nome di “indiano meridionale”; le etnie più numerose sono i tamil, stanziati nel Deccan sudorientale con una forte presenza anche nello Sri Lanka, i telegu del Deccan orientale, i canaresi del Deccan occidentale e i malayalam della fascia costiera sudoccidentali della penisola indiana. In epoca storica, l'India fu interessata da una progressiva penetrazione di genti sino-tibetane delle quali purighi, lahuli, kranti, limbu, lepcia, chutià, kuć, ladaki, ahudi, chang-pà e newari sono gli attuali rappresentanti; l'espansione di questi pastori-contadini fu bloccata nelle regioni settentrionali dall'arrivo, a partire dal III millennio a. C., di popolazioni dedite alla pastorizia nomade, di origine indo-iraniana (Preari o Paleoari), tuttora presenti nel nord-ovest dell'India (pahari, brokpa, garhwali, khasmiri, dardi, kho, machnopa, kafiri). A questi fece seguito, verso il 1500 a. C., la massiccia invasione degli Indoeuropei (costituenti oggi il tipo fisico noto come “indiano meridionale”) provenienti da NW: pastori e allevatori organizzati in tribù patriarcali fortemente gerarchizzate e militarizzate, passate alla storia con il nome generico di Indù o Indoari. Costituiscono oggi numerose etnie, le più importanti delle quali sono i marātha, hindi, puñjābī, rajastani, sindhi, bihari e gujarathi; alcune di queste diedero origine a potenti Stati che sottomisero le preesistenti genti nomadi e ricacciarono dravidi e munda nelle attuali sedi. Diventati agricoltori sedentari, solo in piccola parte si fusero con gli autoctoni ai quali imposero la propria organizzazione sociale, i costumi e spesso anche la religione.

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Territorio: geografia umana. Lo sviluppo demografico

Nel corso dei secoli si è venuta così a produrre una complessa sovrapposizione etnica che, secondo alcune interpretazioni, è all'origine delle caste, le quali tuttavia si spiegano anche in rapporto all'organizzazione gerarchizzata tradizionale del mondo indù, con le specializzazioni professionali e dei compiti che essa comporta con le sue varie attività. Sebbene la Costituzione abbia abolito le tradizionali caste e il governo cerchi di limitare il potere delle numerose sette religiose, l'induismo svolge un ruolo fondamentale in questo Paese prevalentemente contadino. Ciò è dovuto al fatto che la religione degli Indoari si è imposta nel processo storico come elemento di affermazione della civiltà indiana. Esistono anche delle minoranze religiose, le più importanti delle quali sono rappresentate dai musulmani, dai cristiani, dai Sikh del Punjab, dai buddhisti, dai parsi, per lo più ricchi commercianti del Mahārāshtra, che vivono nelle città. Questo mosaico etnico e religioso, che va poi sminuzzato ulteriormente in centinaia di frammenti, spiega la complessità dell'India e può rivelare come, nonostante secoli di storia in cui ha visto anche periodi di unificazione politica, il Paese non abbia potuto trovare il suo “punto di fusione”. Il colonialismo, con gli scambi e le attività che ha promosso, ha agito da stimolo, in senso moderno, per la vita dell'India, ma ha suscitato nel contempo nuovi problemi sociali, imponendo un'organizzazione territoriale sua propria, esaltando in modo esagerato l'urbanesimo, la crescita demografica, tutti problemi che assillano l'India di oggi. Quello demografico è uno dei più gravi: al censimento del 2011 l'India contava 1.210.569.573 abitanti, una cifra elevatissima sia in senso assoluto (la seconda del mondo dopo quella della Cina), sia in relazione all'estensione del territorio, dal momento che l'India risulta ospitare, in poco più del 2% della superficie terrestre, circa un sesto dell'intera popolazione mondiale. Il processo di crescita nel corso del Novecento è stato vertiginoso. Il primo censimento del 1901 aveva registrato 238 milioni di ab.; essi non aumentarono di molto nei successivi vent'anni; decrebbero anzi tra il 1911 e il 1921 e ancora nel 1931 la popolazione non toccava i 280 milioni. Gli incrementi fortissimi si ebbero a cominciare dagli anni Quaranta; così nel 1941 si registrarono 318,5 milioni, nel 1951 ca. 360, nel 1961 oltre 439 milioni. Questo rapido incremento demografico fu dovuto, fondamentalmente, alla riduzione del tasso di mortalità, che fino ai primi decenni del sec. XX era determinato dalle frequenti carestie e dalle ricorrenti malattie epidemiche come il vaiolo, la peste, il colera, la malaria, che contribuivano a mantenere quell'“equilibrio della miseria”, con il quale, sia pure in modo crudele, si contenevano gli sviluppi demografici. Il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie ha fatto scattare l'esplosione demografica, risultato di una natalità sostanzialmente mantenutasi elevata, ma non più controbilanciata da una altrettanto elevata mortalità, il cui tasso annuo è via via sceso negli anni. Corrispondentemente l'incremento demografico naturale si è via via elevato dagli inizi del XX sec. La gravità del problema demografico in un Paese di limitate risorse (o non adeguatamente sfruttate) fu avvertita dallo stesso Gandhi; il problema fu affrontato sotto il regime di Nehru, durante il quale fu teorizzato quel neomalthusianesimo che indusse il governo a istituire, nel 1965, i primi centri per il controllo delle nascite sotto la direzione del Ministero della sanità. Malgrado le politiche antidemografiche adottate da anni con impegno dal governo, la crescita demografica è molto sostenuta (l'incremento demografico naturale, si è attestato nel 2012, al 12,8‰), sia per l'ancora elevato tasso di natalità (20,7‰ nel 2012) sia per la diminuzione del tasso di mortalità (7,9‰ nel 2012). La pressione demografica elevata di certe regioni esisteva già alla fine del sec. XIX e, favorita dalle possibilità consentite dal colonialismo, aveva suscitato un'emigrazione verso altre terre, soprattutto verso quelle affacciate all'Oceano Indiano. In molti casi si trattò di un'incetta di manodopera di tipo schiavistico, come quella che portò migliaia di indiani nelle piantagioni di canna da zucchero delle isole Maurizio e dell'Africa Orientale; altre correnti migratorie si diressero in Myanmar, in Malaysia, nelle Figi, persino nelle Antille. Si calcola che gli indiani all'estero siano circa cinque milioni, tra i quali quasi un milione nel Regno Unito; il saldo migratorio continua a essere negativo, ma l'India è anche meta di migrazioni internazionali provenienti da Paesi meno sviluppati, oltre che di flussi di profughi dai Paesi limitrofi (dal Pakistan, dopo la proclamazione dell'indipendenza, dal Tibet, dallo Sri Lanka). La densità media della popolazione è di 383 ab./km², valore elevato anche per un Paese così vasto; ma tuttavia esso non dice delle altissime concentrazioni di certe zone. Le massime concentrazioni si hanno nella bassa pianura gangetica, nel delta del Bengala, in una parte dell'Assam e nel Kerala. Zone meno popolate, oltre alle aree aride del Rajasthan, sono le valli himalayane, specie orientale, il Deccan nordorientale e il Gujarat interno. Gli squilibri economici e demografici da parte a parte hanno alimentato nel Novecento le prime migrazioni interne; le più cospicue però sono state quelle dirette verso le città. L'urbanizzazione ha raggiunto in India ritmi molto elevati, esaltati all'epoca della divisione tra India e Pakistan, quasi nove milioni di profughi ad accentrarsi nelle periferie delle grandi città come Calcutta. Le aree urbane di Mumbai e Ahmadabad, nell'ovest del Paese, sono tra le zone di maggiore immigrazione. Tale flusso migratorio in direzione delle città ha fatto notevolmente crescere il tasso di urbanizzazione: se nel 1961 appena l'8% della popolazione risiedeva in città, tale proporzione sfiorava nel 2012 il 31,6%. L'India resta comunque un paese di profonde radici agricole e rurali, con un indice di densità rurale tra i più elevati al mondo, che raggiunge i valori maggiori soprattutto lungo le valli fluviali e la costa.

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Territorio: geografia umana. Dal villaggio alla megalopoli

Il villaggio indiano, fondato sull'economia agricola e sull'artigianato, autosufficiente almeno alle origini, è una germinazione spontanea della sedentarietà e ha mantenuto pressoché immutati nei millenni alcuni caratteri tradizionali. Socialmente il villaggio (grama) ha conservato, fino all'epoca coloniale, la sua organizzazione comunitaria espressa nel Panchayat, il consiglio di villaggio, e la sua composizione castale implicita nella divisione professionale dei compiti nell'ambito dell'economia. Tradizionalmente ogni villaggio è rappresentato da un gramini, un capo-villaggio, e a sua volta ogni villaggio fa capo a un organismo territoriale che comprende più villaggi, retti da gerarchie superiori. Il rapporto tra villaggi e unità territoriale è legato alle condizioni ambientali. Il villaggio ha un dintorno coltivato più o meno vasto secondo la bontà dei suoli o delle possibilità di irrigazione; anche la sua dimensione varia secondo questi fattori. Prima del colonialismo la trama territoriale fondata sui villaggi e i centri rurali faceva capo, in senso però politico più che economico, alle città principesche, sedi del potere, in funzione del quale erano state concepite anche dal punto di vista urbanistico (pianta regolare con centro nodale rappresentato dal palazzo del principe e il tempio, indù o musulmano), come nei mirabili esempi di Jaipur, Agra, Madurai, ecc. L'organizzazione del villaggio entro l'ordinamento feudale si è rotta in epoca coloniale, con gli aggravi fiscali e l'imporsi del potere degli zamindari (appaltatori d'imposte) e di quel regime assenteista che è stato uno dei fattori della decadenza economica dell'India a partire dagli inizi del sec. XIX. Anche l'artigianato, oltre che l'agricoltura, è deperito, mentre l'imporsi di un circuito commerciale di tipo moderno ha valorizzato i centri meglio favoriti dal punto di vista delle comunicazioni, oltre che delle attività produttive più redditizie. Così si è determinata quella gerarchia di piccoli e grandi centri, già però avviata dopo la penetrazione dell'islamismo, che formano la trama territoriale dell'India, la quale fa capo a pochi grandi poli urbani, valorizzati dai collegamenti ferroviari dell'Ottocento. Tra questi centri focali i primi a emergere sono state le città portuali, quelle cioè che facevano da tramite tra India e Gran Bretagna: Kolcata e Mumbai furono le prime grandi basi dell'India coloniale, insieme con Chennai; Delhi, divenuta importante sotto il dominio turco-musulmano, fu potenziata invece per la sua funzione di “cerniera” dei collegamenti continentali, tra la valle dell'Indo e quella del Gange. Queste città in misura via via maggiore delle altre subirono quelle incentivazioni economiche che ne fecero anche la meta della migrazione dalle campagne, non peraltro fortissima prima degli ultimi vent'anni. Il fenomeno migratorio però non si può considerare come un fattore positivo, perché è stato determinato dalla decadenza della vita rurale ed è stato assorbito in senso parassitario dalle città, incapaci di stimolare economicamente le campagne. Gli sviluppi maggiori li ha avuti Calcutta, che dopo la divisione tra India e Pakistan è stata il rifugio di molti profughi, così come Delhi e Bombay. Queste, come tutte le grandi città indiane, hanno una grande frangia periferica dove si accatastano, in modo provvisorio, le masse inurbate, in condizioni spesso drammatiche; il loro assorbimento è lento, difficile, collegato com'è agli sviluppi economici del Paese. Delhi, il cui agglomerato urbano contava, secondo il censimento del 2011, circa 16 milioni di abitanti, è una città “terziaria” per il suo ruolo amministrativo, rivelato anche dalle sue strutture urbanistiche, nelle quali si distingue New Delhi, sede del governo (questa propriamente è la capitale) e quartiere aristocratico, dove al vecchio nucleo musulmano si giustappongono i nuovi ariosi quartieri di epoca coloniale. Delhi è il nodo occidentale nella trama territoriale della piana del Gange, al cui lato opposto, nel delta bengalese, sta Calcutta, capitale del Bengala Occidentale, porto fluviale e città industriale che ha germinato intorno a sé una serie di altri centri con i quali forma la più grossa conurbazione o città-regione dell'India (14 milioni di abitanti). Di stampo inglese nella sua parte monumentale, è per il resto un agglomerato assai esteso, squallido, che accoglie alla periferia molti stabilimenti industriali (i più vecchi sono quelli legati alla lavorazione della iuta, quelli più recenti connessi allo sfruttamento delle vicine miniere di ferro e carbone); Calcutta però accoglie anche molte attività terziarie e commerciali suscitate dal suo porto, sbocco della piana gangetica già valorizzato dagli inglesi. La pianura del Gange ospita numerose altre grandi città, alcune con funzioni industriali come Kanpur (centro dell'industria tessile) e Lucknow (Lakhnau), la capitale dell'Uttar Pradesh; ma questa è una città d'origine antica, così come altre della pianura quali Agra, legata all'affermazione islamica, Varanasi (Benares), massimo centro religioso dell'induismo, e Allahabad, città santa buddhista; Patna è invece nodo di comunicazioni valorizzato in epoca moderna. Nell'India nordoccidentale la popolazione urbana non è molto elevata, ma esistono antiche e storiche città vivacizzate da attività diverse: Jaipur, la capitale del Rajasthan, Ajmer, Udaipur, facenti capo alla regione degli Arāvalli; Jodhpur, al margine sudorientale del deserto del Thar. Nel fittamente popolato Punjab si trovano molti centri commerciali e industriali (Amritsar, Ludhiana, Jalandahar (Jullundur) ecc.); Srīnagar, massimo centro del Kashmir, è notevolmente accresciuta grazie alle sue molteplici funzioni. Nel Gujarat l'ex capitale Ahmadabad è una metropoli commerciale con importanti industrie tessili e alimentari. Nel Deccan, Bombay, capitale del Maharashtra, continua a essere il polo urbano maggiore; cresciuta come porto fondamentale in epoca coloniale (era “la porta dell'India”), oggi è una città ricca di industrie di trasformazione e manifatturiere ed è sede di attività culturali e finanziarie. È ben collegata con ferrovie alla piana del Gange, al Rajasthan e agli Altopiani Centrali, dove sorgono città storiche, vecchie capitali principesche come Indore (Indaur), Bhopal, Jabalpur, valorizzate dai moderni raccordi ferroviari. Questi hanno particolarmente accentuato la posizione gerarchica di Nagpur, a S dei Satpura, di Pune (Poona), città industriale con funzioni di satellite nei confronti della vicina Bombay, e di Hyderabad, capitale dell'Andhra Pradesh, città storica legata all'islamismo (è l'ex Golconda) di cui è ancor oggi il massimo centro in India, benché sia anche sede di industrie e attività commerciali che investono tutto l'interno della penisola. Più a S grossa città è Bangalore, capitale dello Stato del Karnataka. Nel Deccan orientale la rete urbana gravita su Chennai, la capitale del Tamil Nadu e attivissima città portuale privilegiata dagli inglesi, attrezzata anche come centro industriale (siderurgico e dell'industria meccanica). Altri importanti centri del Deccan sono situati agli sbocchi delle valli sulla pianura costiera, come Vijayawada e Rājahmundry. Nell'interno della parte più meridionale della penisola è Madurai, centro religioso dell'induismo, mentre sulla costa del Malabar Kozhikode e Cochin sono sbocchi portuali di una ricca regione agricola. Tuttavia, nonostante le città che superano i centomila abitanti siano centinaia e, nonostante sia ancora in atto la tendenza alla concentrazione nelle grandi metropoli, sono le agglomerazioni di poche centinaia di migliaia di abitanti a registrare i maggiori tassi di crescita, delineando una tendenza al riequilibrio della rete urbana del Paese.

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Cultura: generalità

In India il fondamento della società e della cultura è la religione, nelle decine di forme in cui vi si è presentata, dal politeismo di stampo naturalistico e animistico delle origini alla religione vedica, e poi all'induismo. Nell'antica India nacquero anche buddhismo e giainismo e arrivò, con le invasioni arabe, l'Islam, oggi molto diffuso. Al sostrato religioso si sono sommate nel tempo le influenze culturali giunte con le conquiste a cui la regione fu sottoposta, dagli ari agli arabi, ai persiani, ai portoghesi agli inglesi. Ancora oggi l'India è un mosaico di religioni, etnie, lingue e, di conseguenza, stili di vita, valori, tradizioni – mosaico alla cui frammentazione e fossilizzazione ha contribuito in maniera determinante anche il sistema delle caste – tanto che risulta arduo pensare a questo Paese come a una nazione, essendo per molti aspetti simile a un vero e proprio continente. È comunque un fatto che le differenze sociali tra i vari gruppi si siano in parte attenuate grazie a una serie di provvedimenti legislativi. L'India ha un gran numero di musei, situati principalmente nei pressi dei principali siti archeologici e culturali. Il più grande è il National Museum di New Delhi, con una collezione di oltre 200.000 opere, relative a un arco di tempo che va dalla preistoria all'arte moderna; il Prince of Wales Museum of Western India di Bombay, che contiene collezioni di arte tibetana, porcellane cinesi, miniature Mughal and Rājpūt. Istituzioni culturali di rilievo sono la Asiatic Society di Bombay, fondata nel 1804, che sostiene studi e ricerche in numerosi settori e ha una ricca biblioteca, con migliaia di opere rare, tra cui oltre 3000 manoscritti antichi in persiano e sanscrito, e la India Foundation for the Arts di Bangalore. Alla valorizzazione di tutto ciò che è tradizione e passato non corrisponde però una chiusura culturale pregiudiziale: se anche le classi più umili e quelle che vivono in zone rurali mantengono tradizioni e costumi antichi (in alcuni casi, va detto, anche con una certa rigidità), il Paese offre notevoli aspetti di modernità, per esempio per quanto riguarda il contributo alla ricerca, al progresso, alla scienza, all'economia (basti pensare che ogni anno sono centinaia di migliaia i nuovi ingegneri, medici, informatici ecc. e che molte delle multinazionali occidentali hanno ai propri vertici manager indiani). In India, inoltre, circolano centinaia di quotidiani, in numerose delle lingue parlate nel Paese, e l'industria cinematografica è una delle più prolifiche del mondo. Analogamente agli sport indiani tradizionali, come il kabbadi, una gioco di squadra, o gli scacchi, nel corso del XX sec. si sono affiancate discipline di origine europea, come il calcio, il cricket e l'hockey, in cui sono stati raggiunti risultati internazionali di prestigio. Così il quadro culturale dell'India, come del resto quello sociale ed economico, è in una fase di evoluzione accelerata, in misura certamente maggiore rispetto a epoche passate. Numerosi sono i siti culturali dichiarati parimonio dell'umanità dall'UNESCO, fra questi il Forte di Agra (1983); grotte di Ajanta (1983); grotte di Ellora (1983); Tāj Mahal (1983); tempio del Sole a Konārak (1984); complesso monumentale di Hampi (1986); complesso monumentale di Khajuraho (1986); grotte di Elephanta (1987); complesso monumentale di Pattadakal (1987); monumenti buddhisti di Sanchi (1989); complesso del tempio di Mahabodhi a Bodh Gaya (2002); rifugi rupestri di Bhimbetka (2003); i fortini sulle colline del Rajasthan (2013) e il complesso archeologico di Rani-ki-vav (2014) a Patan.

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Cultura: tradizioni

Data l'estensione del Paese e il numero e la varietà degli abitanti, il folclore indiano assume aspetti assai diversi, difficili da riunire in un unicum. Tentando tuttavia di giungere a una sintesi, gli usi e i costumi si possono raggruppare in collettivi e domestici. Ai primi appartengono le feste, la musica, la danza, l'artigianato ecc.; ai secondi il vestiario, la cucina, le pratiche religiose e igieniche, i matrimoni, i funerali. Le feste, legate alle vicende agricole o a celebrazioni epico-religiose e spesso accompagnate da danze e scambi di doni e auguri, sono numerosissime e tutte molto sentite dalla popolazione. Tra le principali quella di Dussehra (ottobre) incentrata, specialmente nel Nord e nel Maisur, sui fatti del Rāmāyana (Ram Lila), messi in scena con grande sfoggio di truccature e costumi, in particolare per quanto riguarda il clou della rappresentazione, cioè il duello finale tra Rāma e Rāvaṇa. La festa, che dura dieci giorni, raggiunge il massimo della spettacolarità a Delhi e nel Maisur, il cui mahārāja presenzia alla conclusione delle rappresentazioni troneggiante su un ornatissimo elefante. Molto importanti anche la Divali (ottobre), caratteristica per l'illuminazione di ogni edificio con piccole lampade a olio; la Holi (marzo), con cui la gente dà il benvenuto alla bella stagione, gettandosi polvere e acqua colorata durante il passeggio per le strade; il Muharram (aprile) a ricordo del martirio dell'imām Hussain, che prevede imponenti processioni di accompagnamento del taziya (facsimile di carta e bambù della tomba dell'imām) e, nel Sud, di danze, sempre nell'ambito delle processioni, di uomini camuffati da tigri; il Raksha-Bandhan (agosto), celebrazione dell'amor fraterno e della protezione che i fratelli devono alle sorelle. La musica è molto amata e coltivata a livello popolare, accompagnata o meno dal canto, sempre accentuatamente modulato, e come strumenti predilige tamburelli e flauti. Anche la danza, che vanta grandi scuole classiche, ha vivaci tradizioni popolari, tra cui primeggia quella del Manipur o manipuri. Sono comunque tutte caratterizzate, oltre che dalla ricchezza di trucchi e costumi, dall'esaltazione della pantomima: il danzatore è sempre il narratore di una storia e perciò, dovendo ogni suo movimento significare qualcosa di preciso, ogni gesto segue le leggi di un'accurata codificazione. L'artigianato comprende una vastissima gamma di prodotti: stoffe, vasellame d'ottone cesellato, oreficeria, lavori in avorio, intarsi di marmo, ecc., spesso ottenuti con procedimenti antichissimi. Questi oggetti sono spesso venduti in caratteristiche bottegucce ai lati delle strade, specie di armadi con un ripiano sollevato da terra su cui sta accovacciato il proprietario. Per le strade la gente si muove in bicicletta e a piedi, si possono incontrare vacche, capre, corvi, incantatori di serpenti (ai quali è stato tolto il veleno), venditori di braccialetti e di collane di fiori freschi, mendicanti. Questi ultimi – sannyasin, pancangam, sanati, jangam, dasari ecc. – danno molto spesso una giustificazione religiosa alla loro “professione” e perciò hanno diritto a ricevere rispettosa ospitalità nelle case della gente fedele. A parte questa tradizione di ospitalità, che si rivolge a chiunque bussi alla porta, gli Indiani concepiscono la casa come un sacrario che va custodito gelosamente. Molte sono le regole da osservare per scegliere l'ubicazione della propria abitazione, per edificarla, per inaugurarla, per disporne le stanze; e, naturalmente, prima di qualsiasi operazione, è necessario consultare l'astrologo, il cui oroscopo è d'obbligo per tutti gli avvenimenti di una certa importanza. La donna è generalmente votata al pativratam (servizio del marito) e come tale impegnata in tutte le faccende domestiche e nella cucina. Gli Indiani sono per lo più vegetariani, anche se le eccezioni sono numerosissime in tutti i ceti (si mangiano montone, pollo, pesce, ecc., ma mai carne bovina); molte le qualità di dolci, usatissime le spezie, pressoché abolite le bevande alcoliche. Il riso sta alla base dell'alimentazione nel Sud e in parte dell'Est del Paese, mentre altrove si consumano vari tipi di pane sotto forma di focacce. Diffusa è l'usanza di masticare, dopo il pasto o durante tutta la giornata, foglie di betel, contenenti un impasto di calce e spezie varie, che rende rossa come il sangue la saliva. Il cibo viene consumato stando seduti per terra, ogni commensale ha davanti una foglia o un intreccio di foglie che utilizza come un vero e proprio piatto, non impiegando posate ma la punta delle dita della mano destra, con la quale forma palline di cibo che poi si getta in bocca, onde evitare il contatto con la saliva, considerata impura. Anche il bicchiere, per lo stesso motivo, non deve toccare le labbra. L'igiene è molto importante per l'indiano, che in un giorno compie infatti molte abluzioni rituali e prende due bagni. Non può invece radersi e tagliarsi le unghie personalmente e in casa. Di qui l'importanza del barbiere, figura tipica del mondo indiano, che provvede a fornire questi servizi per la strada.

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L'abbigliamento indiano resta il medesimo da secoli, seppure con leggere varianti: gli uomini si drappeggiano attorno ai fianchi la dhoti, lunga striscia di cotone, oppure indossano l'achkan, giacca piuttosto lunga tagliata a redingote; le donne portano il sari, pezzo di tessuto lungo ca. 6 metri, drappeggiato sopra un corpetto corto e aderentissimo e fermato dalla cintura di un'ampia sottogonna, oppure la salvarkamiz, pantaloni aderenti alla caviglia e tunica svasata al ginocchio, completata dal dupatta, specie di stola con le cocche ricadenti sulla schiena. Tra i copricapi, caratteristico è il turbante, di varia foggia e colore secondo la regione (è molto diffuso nel Rajasthan) o la setta religiosa (è d'obbligo in testa ai Sikh, che non si tagliano mai i capelli). Immancabili i gioielli. Di varia forma e materiale – ovviamente ogni metallo e ogni pietra hanno un particolare significato simbolico e augurale –, essi vengono indossati su tutto il corpo, comprese le narici e le dita dei piedi. Emblemi sociali e religiosi sono invece i segni dipinti sul volto di uomini e donne con argilla, ceneri, pasta di sandalo, ecc. Molte donne indicano la loro condizione di moglie con un circolo disegnato sulla fronte o con un tratto orizzontale: nel primo caso la donna sarà una devota di Lakṣmī, sposa di Viṣṇu, nel secondo di Gauri, sposa di Śiva. I matrimoni, ancor oggi spesso combinati – ma quelli in età infantile vanno per fortuna scomparendo –, comportano un complicatissimo cerimoniale, che si protrae per tre giorni e che ha il suo momento più spettacolare nell'arrivo dello sposo sfarzosamente vestito e a cavallo (su un elefante ornato di disegni, lustrini e strisce di stoffa coloratissima nei matrimoni principeschi). La sposa veste generalmente un sari rosso e oro (il colore bianco, che indica purezza, è invece simbolo di lutto, poiché la morte è appunto una cosa pura). Oggi la terribile usanza della sati, o bruciamento volontario della vedova sul rogo del marito, non è più seguita, ma le vedove restano in generale piuttosto emarginate socialmente. I morti vengono per lo più bruciati e le loro ceneri gettate nell'acqua di un fiume, perché giungano al Gange. I musulmani usano l'inumazione, i parsi appendono i cadaveri alle Torri del Silenzio (famosa quella di Bombay), lasciandoli in pasto agli avvoltoi.

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Cultura: letteratura. La letteratura vedica

Le lingue letterarie dell'India sono soltanto dodici, quattro della famiglia dravidica (Deccan, India meridionale, Ceylon settentrionale) e le altre della famiglia indeuropea del gruppo indoario (India centrale e settentrionale, Pakistan). Mentre la letteratura antica in vedico e in sanscrito si cristallizza nella classicità delle rispettive lingue, i pracriti (lingue parlate volgari), letterariamente impiegati nei drammi e nei testi religiosi giainisti e buddhisti, subiscono un lungo processo di evoluzione sfociante nella formazione delle lingue base delle letterature arie moderne: hindī, urdu, bengalese, assamese, oriyā, puñjābī, gujarati, marāṭhī. Analogo sviluppo, attestato a cominciare dai primi secoli dell'era volgare, seguono le lingue della famiglia dravidica: telegu, canarese, tamil, malayalam. La letteratura vedica (secondo millennio-sec. V-IV a. C.) trae il nome dal Veda, “il sapere”, “il sapere sacro” e comprende le Saṁhita (collezioni: Ṛgveda, Yajurveda, Sāmaveda, Atharvaveda), i Brāhmaṇa (sulla scienza sacrificale), gli Āraṇyaka (sulle selve), le Upaniṣad (seduta intorno al maestro, sulla dottrina segreta). A questi si affiancano i Vedānga (sull'interpretazione del rituale solenne e privato) e i Sūtra (regole). Composti forse tra il 500 e il 200 a. C. con scopi evidentemente didattici e di difficile comprensione senza opportuni commentari, comprendono praticamente tutto il sapere del tempo e chiudono la letteratura vedica. L'epica sanscrita consta di due capolavori del genere: Mahābhārata e Rāmāyana. Tema centrale del primo (110 mila strofe in 18 libri, più un diciannovesimo: Harivaṃśia, dedicato alla genealogia di Hari-Viṣṇu) è la rivalità tra Kaurava e Pānḍava, figli di Pānḍu. Ma, accanto ai temi narrativi, trovano sviluppo quelli religiosi, cosmogonici, didattici, di ordine amministrativo statale, così che il Mahābhārata viene a costituire una vera e propria summa determinatasi tra il sec. IV a. C. e il IV d. C. Meno vasto del precedente, ma più unitario, è il Rāmāyana (Il viaggio di Rāma) in 24.000 strofe e sette libri, attribuito a un unico autore, Vālmīki, e incentrato sulle vicende di Rāma, incarnazione del più alto ideale della virilità guerriera indiana. Anch'essa ricca di temi estranei al racconto principale, l'opera, la cui stesura definitiva non è posteriore al sec. II d. C., è forse la più celebre della letteratura indiana ed è stata tradotta, imitata, rifatta in tutte le lingue del subcontinente, ed è ancora oggi la più diffusa e la più letta nella versione in hindī di Tulsīdas (1532-1623). Alla letteratura epica si affiancano i Purāṇa, composti oltre il sec. V d. C., in versi di stile epico (sloka), divisi in tre gruppi: dedicati a Viṣṇu, Śiva e Brahmā per un totale di 18 libri, tutti nel complesso di carattere enciclopedico. Accanto ai grandi Purāṇa esistono poi i Purāṇa minori, o secondari (Upa purāṇa). La rinascita della lingua sanscrita, affiancata dagli schemi codificati da Pāṇini (sec. V o IV a. C.) e da Patañjali (sec. II a. C. o II d. C.), come forma espressiva di letteratura profana, si afferma nello stile letterario kāvya (poema epico in stile ornato) spesso però soffocato dalla ricercatezza formale, che tuttavia fornisce gli schemi alla letteratura epico-artistica. Testimoniata sino dal sec. II d. C., questa ha il suo massimo rappresentante in Kālidāsa (sec. IV-V d. C.), autore, tra l'altro, di due poemi che sono modelli del genere: Kumārasambhava (Nascita del dio della guerra) e Raghuvaṁśa (Genealogia di Raghu). La concezione formale dell'arte ha, per altro, rallentato la nascita di una letteratura storica, che ha avuto manifestazioni deboli e che ha il suo punto di riferimento nel Rājatarangiṇī (Il fiume dei re) di Kalhana, composto nel 1149-50, in 7826 strofe divise in 8 capitoli, sulla storia del Kashmir dalle origini fino al regno di Jayasimha, cioè ai tempi dell'autore. Kalhana fece, in un certo senso, scuola e le opere a carattere storico divennero numerose, ma nessuna eguagliò il Rājatarangiṇī.

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Cultura: letteratura. La letteratura sanscrita

La lirica domina invece tra i generi letterari più rappresentativi e più antichi della letteratura sanscrita. I temi sono quelli dell'amore e della contemplazione della natura. La prima opera importante è Sattasaī (Le settecento strofe) attribuita dai Purāṇa al re Hala Sātavahāna o Śālivahāna Āndhra (sec. I-II d. C.), dove trionfa la componente erotica. Ancora una volta il posto di primo piano spetta tuttavia a Kālidāsa con i due poemetti Rtu Saṁhāra (Il ciclo delle stagioni) e Meghaduta (La nuvola messaggera). Da ricordare inoltre il capolavoro della lirica erotica indiana: l'Amaruśataka (Centurie di Amaru) del sec. VI o VII. Accanto a questo genere lirico si effonde anche quello religioso ed erotico-religioso, nel quale ultimo spicca il Gitagovinda di Jayadeva (sec. XII). Il poemetto è composto in 12 canti ed è la celebrazione mistico-erotica degli amori di Rādhā e di Kṛṣṇa. Grande sviluppo ha avuto in India la poesia gnomica e didattica. Celebre fra le prime la raccolta di Cāṇakya, identificato con Kauṭilya, l'autore del più famoso trattato di scienze politiche dell'India antica, il Kauṭilya-Arthaśāstra. Ma le migliori trattazioni gnomiche sono dovute al poeta Bhartṛhari, che costituì per tutti un modello. Nel genere didattico e antologico vanno ricordati il Kuṭṭanīmata (Gli ammaestramenti della mezzana) di Damodaragupta (sec. VIII), trattato sulla pornografia, ma con fini moralistici, e il Sufhāṣitaratnakoṣa (Tesoro delle gemme di bei detti) di Vidyakara, composto intorno al 1100. Il genere antologico ebbe sempre fortuna e continua anche ai giorni nostri. La narrativa è tra i generi non meno validi della letteratura sanscrita, nei diversi aspetti di favola, di dottrina, di racconto popolare e di romanzo, spesso con prosa e versi alternati. Il Pañcatantra è la più importante raccolta di favolistica didattica; composta tra il sec. II e il VI, dovuta al brahmano Viṣṇuśarma e diffusissima anche in Occidente (Mille e una notte), le ha fatto seguito una narrativa popolare che si è liberata dei motivi moraleggianti, al solo scopo di dilettare. L'esempio più alto è la Bṛhatkatha (Il grande racconto) di Gunāḍhya, il cui originale è andato perduto, ma che sopravvive in rifacimenti del sec. VIII o IX. Meno coltivato della favola è il romanzo che raggiunse livelli artistici considerevoli. Ne fa fede la più antica opera e la più celebre fra tutte: Daśākumāracarita scritta da Dandīn nel sec. VII. Se la letteratura indiana è particolarmente ricca nella trattatistica filosofica (Brāhmaṇa, Upaniṣad, Purāṇa, Tantra, Yogasūtra, ecc.), lo è altrettanto di manuali filosofici e di scienza vera che da strumenti si sono elevati a trattati veri e propri. Tra di essi un particolare accenno va fatto alla letteratura del Trivarga, cioè a quel complesso di opere i cui argomenti riguardano i tre fini dell'esistenza umana: “La legge morale e religiosa”, “Le attività della vita pratica” e “La politica”, testimoniata da numerosissime pubblicazioni, tra cui il Mānavoidharmaśāstra (Trattato giuridico di Manu) e il Kauṭilya-Arthaśāstra (Trattato sull'arte del governo) attribuito a Kauṭilya. Accanto al vedico e al sanscrito si svilupparono fortemente anche i pracriti, in parte conquistatisi poi una dignità letteraria, di cui si ha l'esempio più antico nelle iscrizioni di Asóka (sec. III a. C.). A questi gruppi di pracriti appartengono il pāli e il māhārāṣṭrī, usate da buddhisti e giainisti per i loro testi canonici, che a cominciare dai primi secoli d. C. hanno dato vita a un'imponente fioritura letteraria. Basterà qui ricordare la Samarāiccakathā (La novella di Samarāditya), grandioso romanzo edificante di Haribhadra, e la Upanitibhavaprapañcakathā (La novella in cui la molteplicità delle esistenze è presentata mediante confronti) di Siddharsi, composta nel 906.

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Cultura: letteratura. La produzione letteraria dal sec. IX al XIX

Tra le più note letterature recenti dell'area indiana, va citata quella in lingua tamil, iniziata secondo la leggenda dal saggio Agastya. Le sue origini storiche risalgono ai primi secoli dell'era cristiana. Alla fase più remota di tale letteratura appartengono migliaia di strofe elogiative di diversi sovrani, raccolte in otto antologie (Ettuttohai). Particolarmente significativi i romanzi epici, che hanno nel giaina Tirutakkatēvar l'autore più noto. Dopo un periodo di influsso sanscrito (sec. X), si affermò il medio tamil (sec. XIV-XIX) che accolse anche autori stranieri (basti ricordare gli italiani Roberto de Nobili, 1577-1656, e Costanzo Giuseppe Beschi, 1680-1746), mentre l'influsso occidentale è andato aumentando recentemente, specie per il teatro e la narrativa. L'opera più antica della letteratura canarese che sia stata conservata è La via del poeta di Śrīvijaya, poeta di corte di Nrpatunga (sec. IX). A essa si aggiungono quasi subito le opere dei tre maggiori poeti canaresi (le “tre gemme”) Pampa, Ponna e Ranna. Questa letteratura si sviluppa intorno a temi religiosi, agiografici, didattici, moraleggianti e solo ultimamente si è andata evolvendo verso temi sociali. Tra le lingue dravidiche, certamente la più diffusa è quella telugu, parlata nell'India centrorientale, che ha il suo poeta più antico in Nannaya Bhaṭṭa (sec. XI), e che per molti secoli subì l'influsso della cultura sanscrita. Soltanto nel sec. XVI si ha con il poeta Vemana una schietta originalità che volge però ben presto al virtuosismo di cui la letteratura telugu si libererà poi soltanto nel sec. XIX, per merito soprattutto del poeta e drammaturgo Rao Bahadur Kandukūri Vireśalingam Pantulu (1858-1919). E d'altra parte l'influsso della letteratura sanscrita fu palese anche sulla letteratura malayāḷam di cui la prima manifestazione sicura è data dalle Avventure di Rāma, databili al 1300 e attribuite a un mahārāja del Kerala. Assai ricca è dal canto suo la letteratura hindī, che comprende tutte le composizioni scritte nei tanti dialetti di questa lingua e che cominciò a differenziarsi dai pracriti medio-indiani attorno al sec. VIII. La letteratura hindī si affermò attorno al 1100 con la “poesia bardica”. Famoso tra tutti il poema di Cand Bardāī Le imprese di Pṛthvīrāj, 100.000 stanze in 69 libri, sugli amori del re Pṛthvīrāj per la principessa Samyogitā. Al poeta Vidyāpati (ca. 1350-ca. 1450) si deve l'inizio del periodo bhakti o della “poesia devozionale” (nelle due correnti nirguṇa e saguṇa) che si sviluppò tra il sec. XV e il XVI, non solo in area hindī ma in tutta l'India, e sono i poeti bhakta a raccogliere l'eredità di un santo di nome Rāmānanda cui è collegata la figura di uno dei più grandi mistici dell'India e del mondo, Kabīr (prima metà del sec. XV-ca. 1518). La letteratura hindī, che dopo la grossa fioritura delle diverse scuole nirguṇa, saguṇa e Krsnabhākti, si orientò nel “periodo riti” verso la poesia del manierismo (1650-80) ed ebbe il suo ultimo poeta originale in Padmakar (1753-1833), decadde, ma con l'influsso occidentale portato dalla dominazione inglese fiorirono nuovi generi: romanzo, saggio, racconto.

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Nel Novecento la figura più importante della letteratura hindī, benché abbia scritto il suo primo racconto in bengalī, è Shivani, il cui vero nome fu Gaura Pant (1923-2003), scrittrice molto popolare nelle cui opere centrale fu la figura femminile. Forma islamizzata dell'hindī occidentale è la lingua urdu, che ha dato vita a una letteratura autonoma la cui prima personalità di rilievo è Shamsuddin Waliallah (1667-1707), più noto come Valī. La decadenza letteraria conseguita alle vicende politiche della metà del sec. XIX si è andata poi attenuando per trovare nuovi fermenti prima con Sayyid Aḥmad (1817-1899), poi con Muḥammad Iqbāl (1873 o 1877-1938), padri della letteratura moderna urdu. Abbastanza tarda è anche l'affermazione della letteratura bengalese, che ha le sue prime manifestazioni nei sec. IX-X, ma la cui espressione classica va dal sec. XIV in poi e ha il suo primo grande poeta con Caṇdīdās (ca. 1350-ca. 1430) considerato il più grande lirico bengalese. Fino al sec. XIX la letteratura bengalese è dominata da motivi religiosi, erede degli insegnamenti del riformatore Caitanya (1486-1533) che diffuse nel Bengala un culto di tipo bhakti. La dominazione inglese segnò l'apertura a nuove idee e costituì motivo di ripensamenti dando l'avvio a una moderna letteratura. Con Bankim Chandra Chatterji (1838-1881) nasce il “padre del romanzo bengalese” che diffuse romanzi alla Walter Scott e idee nazionalistiche, rifacendosi in parte al movimento innovatore iniziato da Rammohan Roy (1774-1833), che trovò invece piena eco in Dovendra Nāth Thakur (1818-1905), il cui figlio Rabindranāth Thakur, in Occidente noto come Tagore (1861-1941), si rivelò uno dei più grandi poeti dell'India e del mondo e il mediatore più alto tra le due civiltà; per le sue opere nel 1913 gli fu assegnato il Nobel per la letteratura. Di un'altra letteratura, forse più remota, ci giungono documenti tardivi. Si tratta di quella in lingua marāṭhī, le cui prime composizioni poetiche dovute a Mukundarāja sono della fine del sec. XII. Il primo grande poeta marāṭhī è Jñāneśvan o Jñāndev autore del Commento di Jñāneśvan (1290). Altrettanto noto è Namdev (1270-1350) cui si devono eccellenti canti religiosi, iniziatore di una corrente di poeti religiosi, tra cui si affermò il più grande poeta marāṭhī: Tukārām (1607-1649). A cominciare dal sec. XVII fiorì una letteratura di soggetto storico, che portò nell'epoca moderna al romanzo e al dramma sociale. Ancora più tarde le testimonianze della letteratura assamese che inizia nel sec. XV e che ha il più grosso impulso con i riformatori religiosi visnuiti, primo fra tutti Šaṅkaradeva (1449-1568). Numerose le opere di traduzione e adattamento di opere sanscrite. Una vera e propria letteratura autonoma si muove agli inizi del sec. XIX dopo le occupazioni birmana e inglese. Verso la metà del sec. XV inizia anche la letteratura oriyā che diventa originale con Upendra Bhañja (1670-1720), autore di 42 opere abbraccianti tutti i generi. Eguale evoluzione sembra aver avuto la letteratura puñjābī che ha il suo più antico monumento nel Libro Sacro dei Sikh (1604) e che nello stesso sec. XVII ebbe il suo momento aureo con autori musulmani. Si ricorda per tutti ʽAbdullāh (1616-1666). Tuttavia la letteratura puñjābī ha avuto il suo massimo autore ai nostri tempi con Pūran Singh (1882-1932), detto il Tagore del Punjab. Più antica è la letteratura del Gujarat, che si suole dividere in tre periodi: antico fino al 1450, con opere di monaci giaina e di parsi; classico, fino al sec. XIX, soprattutto valido per la poesia devozionale; e moderno, in cui si affermano i generi occidentali e vedono la luce gli scritti di Gandhi.

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Cultura: letteratura. La letteratura in lingua inglese

Dall'epoca dell'indipendenza, l'inglese non appare più tra le lingue ufficiali dell'India, ciononostante esso riveste un'importanza fondamentale come mezzo espressivo letterario; la critica ha addirittura coniato un'espressione ad hoc per designare la letteratura scritta in inglese da autori indiani: si tratta del termine Indo-anglian, che ricalca e rovescia quello di Anglo-indian, con cui gli inglesi residenti in India durante la dominazione inglese indicavano se stessi. L'importanza relativa della letteratura in lingua inglese nel panorama letterario del Paese è tale, soprattutto per quanto riguarda la narrativa e il genere del romanzo, da giustificare l'affermazione paradossale (R. Cronin) che il romanzo indiano in lingua inglese sia “l'unico tipo di romanzo indiano esistente”. La motivazione essenziale che spinge autori indiani a scegliere l'inglese per le loro opere sembra risiedere nella volontà di sintetizzare in esse la complessa realtà dell'India nella sua globalità, laddove l'uso di una qualsiasi delle diverse lingue del Paese conferirebbe loro un'identità regionale che inevitabilmente prenderebbe il sopravvento su quella di “indiano”. Nessun esempio può essere più chiarificatore di quello rappresentato dai romanzi di Rasipuran Krishnaswamy Narayan (1906-2001) ambientati nell'immaginaria cittadina di Malgudi, sorta di microcosmo che intende racchiudere in sé l'intero subcontinente indiano. In essi è identificabile uno schema narrativo ricorrente in cui sono rappresentati, in maniera simbolica e con l'umorismo tipico di Narayan, tutti gli archetipi socio-culturali della moderna società indiana, sullo sfondo del conflitto tra i valori tradizionali della cultura indù e quelli contemporanei del cosmopolitismo. Da The Man-eater of Malgudi (1961) a Malgudi Days (1982), A Tiger for Malgudi (1983) e Talkative Man (1986) gli anti-eroi di Narayan e la comunità di Malgudi a cui essi appartengono devono confrontarsi con la minaccia dell'espropriazione culturale, ma anche con la necessaria evoluzione della mentalità corrente (tema centrale, questo, di The Painter of Signs, del 1976). L'ennesimo romanzo, The World of Nagaray, è stato dato alle stampe da un Narayan ultraottantenne e afflitto da sordità nel 1990; a testimoniare il vigore creativo di questa eccezionale personalità, gli ha fatto seguito, nel 1993, la raccolta di racconti The Grandmother’s Tale. Narayan, con la sua visione del mondo, si colloca idealmente a metà strada tra le posizioni diametralmente opposte di due scrittori suoi contemporanei, Mulk Raj Anand (1905-2004) e Raja Rao (1909-2006), la cui opera è per sommi capi riconducibile ai canoni, rispettivamente, del realismo sociale di impronta materialista e del romanzo metafisico. Nelle generazioni successive, la critica dell'uso reazionario della religione e della mitologia avviata da Anand è stata sviluppata, nel senso di una “riforma” dell'ortodossia induista, da autori attivi a cominciare dagli anni Sessanta, quali Kamala Markandaya (1924-2004), Manohar Malgonkar e Bhabani Bhattacharya, nonché da altri emersi nella decade successiva, come Arun Joshi (1939-1993) e Chaman Nahal, mentre la tradizione narrativa inaugurata da Narayan ha trovato invece uno sviluppo e un'espansione nei romanzi di Anita Desai (n. 1937). La Desai dà però maggior enfasi all'analisi psicologica dei protagonisti dei suoi romanzi; si tratta, nella maggior parte dei casi, di figure femminili, come nel libro d'esordio Cry, the Peacock (1963) o nel successivo A Village by the Sea (1982), ma anche la realtà maschile è stata oggetto della sensibile esplorazione di questa scrittrice (come in In Custody, 1984), della quale nel 1995 è stato pubblicato Journey to Ithaca. Ancora a uno scrittore di inizio secolo, G. V. Desani (1909-2000), che nel suo All About H. Hatter – uscito in ben nove edizioni rivedute e ampliate – ha fuso descrizione attenta della realtà e uso del simbolismo, sono in qualche modo debitori il Salman Rushdie di Midnight’s Children (1981) e l'Amitav Ghosh di The Circle of Reason (1986), opere nelle quali il fantastico e il farsesco si coniugano con risultati di indubitabile valore. L'attività di Rushdie (n. 1947) è poi proseguita con il controverso The Satanic Verses (1988) e The Moor’s Last Sigh (1995) e Shalimar The Clown (2005), mentre Ghosh (n. 1956) nel 1988 ha pubblicato The Shadow Lines, nel 1996 da The Calcutta Chromosome e, nel 2000, Il palazzo degli specchi, internazionalmente riconosciuto come uno dei migliori spaccati sul colonialismo orientale. L'assegnazione del Booker Prize 1997 alla scrittrice anglo-indiana Arundhati Roy (n. 1961) ha sancito il riconoscimento internazionale degli scrittori indiani di lingua inglese.

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L'assegnazione del Booker Prize 1997 alla scrittrice anglo-indiana Arundhati Roy (n. 1961) ha sancito il riconoscimento internazionale degli scrittori indiani di lingua inglese. Esponente della seconda generazione di autori indo-anglian, Roy ha conquistato l'attenzione internazionale grazie al suo stile asciutto e a tratti lirico, alle atmosfere rarefatte, all'esotismo e al fascino dell'India"I." che ha saputo infondere nel suo primo romanzo The God of Small Things (1997); nel secondo The Cost of Living (1999) sceglie invece l'impegno e la denuncia sociale verso il pericolo rappresentato da un'incombente catastrofe ambientale. Negli anni Novanta la produzione degli scrittori indiani di lingua inglese continua secondo due direttive, una di genere e una di contenuto: il romanzo o il racconto breve rimangono i generi letterari per antonomasia, mentre per quel che riguarda i contenuti, nella pur diversificata scelta individuale, si riscontra una tendenza verso l'analisi storico-sociale. Questa tendenza è stata inaugurata da Vikram Chandra (n. 1961) con il romanzo Love and Longing in Bombay (1997), in cui l'autore affronta il tema dell'interazione fra tradizione e modernità, tra Oriente e Occidente, per sottolineare le contraddizioni e gli stati d'animo degli abitanti delle moderne metropol, a cui ha fatto seguito, nel 2006, Giochi sacri. Anche la nuova scoperta della letteratura anglo-indiana, Pankaj Mishra (n. 1969), affronta nel suo primo romanzo The Romantics: a Novel (2000) il difficile rapporto tra Oriente e Occidente visto come l'incontro-scontro tra due culture, due filosofie, due mondi così diversi e distanti. Del 2004 è, invece, La fine della sofferenza, e nel 2006 è uscito La tentazione dell’Occidente. India, Pakistan e dintorni: come essere moderni. Il tema del rapporto tra Oriente e Occidente viene affrontato da una diversa angolazione dallo scrittore naturalizzato canadese Rohinton Mistry (n. 1952) nell'opera Such a Long Journey (1991); lo scrittore offre, con il suo tipico realismo, molto spesso definito di stampo stendhaliano, uno spaccato che propone la complessità delle identità linguistiche ed etniche dell'India moderna. La ricerca delle proprie radici è un tema comune ai giovani autori indiani definiti dalla critica “i figli di Rushdie”; molti di loro affrontano il problema di un'identità nazionale, come nel caso di Vikram Seth (n. 1953) che, in Suitable Boy (1993), presenta la questione da un punto di vista storico-sociale, ambientando il suo lunghissimo romanzo negli anni immediatamente successivi all'indipendenza. Tra i giovani debuttanti degli anni Novanta vanno segnalati Kiran Desai (n. 1971), figlia di Anita Desai, che con il suo romanzo Strange Happenings in the Guava Orchard (1997) fa una delicata riflessione sull'amore, la fede e le relazioni familiari di un piccolo villaggio indiano; A. Vakil (n. 1962) che nel romanzo Beach Boy (1998) tratta una divertente e reale analisi della vita urbana della moderna Bombay; Amit Chaudhuri (n. 1962), autore di A Strange and Sublime Address (1991), Freedom Song (1998), Real Time (2002), St. Cyril Road and Other Poems (2005), con i quali si è aggiudicato numerosi riconoscimenti letterari internazionali; Sunetra Gupta (n. 1965), cresciuta in Africa e introdotta alla letteratura dal padre, autrice, tra gli altri, di Memories of Rain (1992) e A Sin of Colour (1999), sulla vita di una ricca famiglia indiana, che le è valso il Southern Arts Literature Prize; Sujata Bhatt (n. 1956), poetessa con all'attivo numerose raccolte pubblicate, tra cui Monkey Shadows (1991), Augatora (2000) e A Colour for Solitude (2002); Vikas Swarup, il cui romanzo d'esordio Le dodici domande, ha riscosso un ampio successo internazionale ed è stato tradotto in diverse lingue.

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Cultura: arte. La civiltà di Mohenjo-Daro e di Harappa

La civiltà urbana dell'India prearia di Mohenjo-Daro e di Harappā non è strettamente limitata alla cronologia delle sue manifestazioni maggiori (2500-1400 a. C.), né rigorosamente circoscritta ai territori dove sono più evidenti le documentazioni archeologiche della valle dell'Indo (dal cui fiume questa civiltà prende nome). Essa sembra affondare le radici in culture in certo qual modo affini, fiorite nell'Afghanistan e nel Pakistan Occidentale (IV-III millennio a. C.). Culture preistoriche dell'India ebbero interessanti manifestazioni a Kot Diji nel Pakistan (la cui organizzazione urbana precede quella più funzionale delle città dell'Indo), a Mundigak nell'Afghanistan (che documenta i remoti legami indo-iranici) e altrove, con irradiazioni sensibilmente orientate verso Occidente e con anticipazioni (Amrī nel Sind, Quetta nel Baluchistan) di qualche millennio rispetto ad Harappā e Mohenjo-Daro. Inoltre la fine di queste due città dell'Indo in un periodo in cui era in atto un processo di decadenza non cancellò i segni e il lascito di questa civiltà, che sopravvisse o si prolungò per secoli in numerose altre località (Chanu-Daro, Lothal, Rangpur), secondo lo studio dei reperti archeologici rinvenuti a un livello superiore rispetto allo strato riferibile alla datazione della civiltà dell'Indo. Tale è il caso della cultura di Jhukar, sovrappostasi a una fase di attardamento della civiltà dell'Indo (Chanu-Daro) e caratterizzata da una ceramica di mediocre fattura e da una produzione di sigilli rotondi (per vari aspetti messa in correlazione con l'Iran e il Caucaso). Ai portatori della cultura Jhukar succedettero gli allevatori Jhangar. Altre tracce della civiltà dell'Indo continuarono a persistere durante il I millennio a. C. nella documentazione dei reperti forniti dalle sepolture a tumulo di Moghūl Gundai nella valle dello Zhob, non mancando anche qui riferimenti e riscontri cronologici con culture iraniche e caucasiche. Riferimenti caucasici appaiono anche nelle manifestazioni della civiltà fiorita nella piana del Gange con centri urbani organizzati e caratterizzata da una produzione ceramica ocra, grigia dipinta (sec. VIII a. C.) e nero-lucida (sec. V-II a. C.), oltre che da un grande sviluppo metallurgico (rame). Importanti città del bacino Jumria-Gange furono Hastināpura (ritrovamento di monili di vetro e statuine di terracotta) e Ahichch-hatra (ca. 500 a. C.).

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