IL FARO DEI SOGNI

Israele

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view post Posted on 3/12/2017, 19:42     Top   Dislike
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Israele, ufficialmente Stato d'Israele (in ebraico: מדינת ישראל[?·info], Medinat Yisra'el; in arabo: دولة اسرائيل, Dawlat Isrā'īl), è uno Stato del Vicino Oriente affacciato sul mar Mediterraneo e che confina a nord con il Libano, con la Siria a nord-est, Giordania a est, Egitto e golfo di Aqaba a sud e con i territori palestinesi, ossia Cisgiordania a est e striscia di Gaza a sud-ovest[8][9].



Non solo viaggio santo: il doppio fascino di Israele



Video



Situato in Medio Oriente, occupa approssimativamente un'area che secondo i racconti biblici in epoca antica era compresa nel Regno di Giuda e Israele e nella regione di Canaan, soggetta nel tempo al dominio di numerosi popoli, tra cui egizi, assiri, babilonesi, romani, bizantini, arabi e ottomani, nonché teatro di numerose battaglie etnico-religiose. In età contemporanea è stata parte del mandato britannico della Palestina, periodo durante il quale fu soggetta a flussi immigratori di popolazioni ebraiche, incoraggiate dalla nascita del movimento sionista, che mirava alla costituzione di un moderno Stato ebraico. Dopo la seconda guerra mondiale e la Shoah, anche per cercare di porre rimedio agli scontri tra ebrei e arabi, il 29 novembre 1947 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite nella risoluzione n. 181 approvava il piano di partizione della Palestina che prevedeva la costituzione di due Stati indipendenti, uno ebraico e l'altro arabo. Alla scadenza del mandato britannico il moderno Stato d'Israele fu quindi proclamato da David Ben Gurion il 14 maggio 1948[



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Tale ripartizione fu però osteggiata da gruppi sionisti e dalla totalità dei rappresentanti palestinesi, nonché dai Paesi arabi. Dopo alcuni scontri già all'indomani del voto della risoluzione, terminato il ritiro delle truppe britanniche, la Lega Araba avviò una guerra contro il neonato Stato ebraico, dando origine a una serie di conflitti arabo-israeliani; accordi di pace sui confini furono in seguito raggiunti solo con Egitto (1979) e Giordania (1994). Rispetto ai territori palestinesi non esistono tuttora confini precisi. Oltre a estendere il territorio dello Stato dopo la prima guerra arabo-israeliana del 1948 (denominata da parte israeliana guerra d'Indipendenza, mentre da parte araba Nakba "catastrofe"), rispetto a quanto previsto dalla risoluzione ONU, Israele ha anche occupato i territori della Cisgiordania e della Striscia di Gaza dopo la guerra dei sei giorni del 1967 e nel corso degli anni vi ha costruito nuovi centri abitati.



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Lo Stato palestinese, proclamato nel 1988 e ammesso come osservatore permanente dell'ONU nel 2012, ma ancora non riconosciuto come tale da Israele e da altri Paesi, controlla la striscia di Gaza, dalla quale Israele sì è ritirata unilateralmente nel 2005 (facendone evacuare anche coattamente i ventuno insediamenti) e solo alcune zone della Cisgiordania, che rivendica interamente anche se rimane prevalentemente controllata da Israele, secondo le decisioni degli accordi di Oslo del 1993. La sovranità israeliana non è riconosciuta da molti Stati arabi, mentre rappresentanti palestinesi hanno riconosciuto Israele nel 1993, come parte degli stessi accordi di Oslo[13]. Diversi tentativi di accordi di pace non hanno finora dato i frutti sperati e l'area continua quindi a essere geopoliticamente instabile.



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All'aprile 2015 la popolazione israeliana era di 8.345.000 abitanti[4][5]. È l'unico Stato al mondo a maggioranza ebraica (il 74,9% della popolazione[4][5]) e con una consistente minoranza di arabi (circa il 20%, in prevalenza di religione musulmana, ma anche cristiana o drusa)[14].

La Legge fondamentale del 1980 (Israele, come il Regno Unito, non ha una Costituzione scritta) afferma che la capitale è Gerusalemme, rivendicata come tale anche dallo Stato di Palestina almeno nella sua parte orientale, ma non riconosciuta dalla maggior parte dei membri dell'ONU[15]. Tuttavia quasi tutti gli Stati che hanno relazioni diplomatiche con Israele mantengono le proprie ambasciate a Tel Aviv[16], centro finanziario del Paese, o nelle vicinanze, ma mantengono comunque sedi consolari a Gerusalemme.

Israele è governato da un sistema parlamentare a rappresentanza proporzionale. È considerato un Paese sviluppato, è membro dell'OCSE[17] e secondo il Fondo monetario internazionale nel 2013 era al 37º posto nella lista degli Stati per prodotto interno lordo. Ha inoltre il più alto indice di sviluppo umano in Medio Oriente[18] ed è uno dei Paesi con la più alta aspettativa di vita nel mondo[19



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Etimologia

Sull'etimologia del nome Israele non esiste un'opinione comune. Secondo Victor P. Hamilton il nome deriva dall'unione del verbo śarar ("governare", "avere autorità") e del sostantivo el ("Dio"). Il significato sarebbe dunque "Dio governa" o "Possa Dio governare".[20]

Secondo Geller invece l'etimo è da rintracciarsi nel verbo śarah ("combattere"), dal momento che Giacobbe cambia nome dopo la lotta con una possibile manifestazione divina. In questo caso il significato sarebbe "Colui che ha combattuto con Dio" o "Dio combatte".[21]

Un'interpretazione comune[22] fa derivare il nome dal soprannome di Giacobbe, ovvero Israele (איש רואה אל, Ish roe El, che tradotto significa "l'uomo che vide (l'angelo di) JHWH"). "Eretz Yisrael" avrebbe dunque il significato di "Terra di Giacobbe". La grafia di questa interpretazione (ישראל) è quella più aderente alla parola Israele (ישראל).

Il documento più antico su cui appare la parola "Israele" è la cosiddetta "Stele di Merenptah", una stele risalente al 1209-1208 a.C. circa che documenta le campagne militari nella terra di Canaan del Faraone della XIX dinastia. La stele parla di Israele come di uno tra i tanti popoli di pastori nomadi della regione, piuttosto che di una nazione bene organizzata:[23]



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Il popolo ebraico prima della nascita di Israele
Il popolo ebraico nell'antichità e nel medioevo
Secondo la tradizione[25] una serie di regni e stati ebraici (vedi Dodici tribù di Israele) ebbe vita nella regione per oltre un millennio a partire dalla metà del secondo millennio a.C. Ricordiamo per brevità il Regno di Israele distrutto nel 722 a.C., anno dell'invasione assira, e il Regno di Giuda (distrutto nel 587 a.C.) con la distruzione del tempio da parte di Nabucodonosor II e deportazione a Babilonia della popolazione. Dopo l'esilio babilonese nel 538/7 a.C. Ciro il Grande, che nel 539 a.C. conquista Babilonia, emana un decreto che autorizza gli esuli Ebrei a tornare in patria. Tuttavia la ricostituzione di Giuda non fu immediata per probabile indolenza anche da parte degli stessi esuli oltre che a causa di resistenze e opposizioni esterne, e ciò è dimostrato dall'episodio narrato nel libro di Neemia (Neemia 2:1) avvenuto nel 20º anno di Artaserse I. Il monarca, accogliendo la supplica di Neemia suo coppiere, emanò l'editto che autorizzava la ricostruzione delle mura di Gerusalemme. L'editto di Artaserse I risale quindi al 445/4 a.C. Giuda fu posto sotto protettorati diversi, dai Persiani ai Romani, fino al fallimento della grande rivolta ebraica contro l'Impero Romano, che provocò la massiccia espulsione degli Ebrei dalla loro patria (Diaspora ebraica).



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Nel VII secolo, l'Impero Bizantino perse la regione per mano degli Arabi che, insediandosi, vi attrassero nuovi coloni, specialmente dalle regioni meridionali della Penisola araba. Dopo un fortunato periodo sotto il califfato omayyade, l'area decadde progressivamente in età abbaside, trovando una qualche nuova vitalità in periodo tulunide prima di ricadere sotto il controllo delle tribù nomadi dei Banū Kalb e dei Banū Kilāb.

Con le Crociate e le successive dominazioni dei Fatimidi, Zengidi, Ayyubidi e Mamelucchi, la regione riacquistò una certa importanza. I nuovi dominatori Ottomani non furono invece del tutto all'altezza del compito, abbandonando l'amministrazione dell'area nelle poco capaci mani degli sconfitti Mamelucchi, trasformati in loro vassalli.

Malgrado un tentativo della dinastia khediviale di Mehmet Ali di annettersi la regione, grazie ad alcune azioni militari tentate dal figlio del fondatore Ismāʿīl Pascià, gli Ottomani rimasero al potere fino alla I guerra mondiale, che li vide soccombenti per la loro alleanza con gli Imperi Centrali.

Nell'immediato dopoguerra fu creato in Palestina e in Transgiordania un Mandato della Società delle Nazioni, affidato alla Gran Bretagna, mentre in Siria un altro Mandato fu attribuito alla Francia.



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Nascita dello Stato

Nel 1947 l'Assemblea delle Nazioni Unite (che allora contava 52 Paesi membri), dopo sei mesi di lavoro da parte dell'UNSCOP (United Nations Special Committee on Palestine), il 29 novembre approvò la Risoluzione dell'Assemblea Generale n. 181[29], con 33 voti a favore, 13 contro e 10 astenuti, che prevedeva la creazione di uno Stato ebraico (sul 56,4% del territorio e con una popolazione di 500 000 ebrei e 400 000 arabi) e di uno Stato arabo (sul 42,8% del territorio e con una popolazione di 800 000 arabi e 10 000 ebrei). La città di Gerusalemme e i suoi dintorni (il rimanente 0,8% del territorio), con i luoghi santi alle tre religioni monoteiste, sarebbero dovuti diventare una zona separata sotto l'amministrazione dell'ONU. Secondo il piano, lo Stato ebraico avrebbe compreso tre sezioni principali, collegate da incroci extraterritoriali; lo Stato arabo avrebbe avuto anche un'exclave a Giaffa.
Mappa della distribuzione della popolazione nel 1946

Nella sua relazione l'UNSCOP[30] si pose il problema di come accontentare entrambe le fazioni, giungendo alla conclusione che soddisfare le pur motivate richieste di entrambi era "manifestamente impossibile", ma che era anche "indifendibile" accettare di appoggiare solo una delle due posizioni. Nel decidere su come suddividere il territorio considerò, per evitare possibili rappresaglie da parte della popolazione araba, la necessità di radunare tutte le zone dove i coloni ebrei erano presenti in numero significativo (seppur spesso in minoranza, si veda la mappa a sinistra) nel futuro territorio ebraico.

La Gran Bretagna, che negli anni trenta durante la Grande rivolta araba aveva già tentato diverse volte senza successo di spartire il territorio tra la popolazione araba preesistente e i coloni ebrei in forte aumento, si astenne nella votazione e rifiutò apertamente di seguire le raccomandazioni del piano, che riteneva si sarebbe rivelato inaccettabile per entrambe le parti; ben presto annunciò che avrebbe terminato comunque il proprio mandato il 15 maggio 1948.

Le reazioni alla risoluzione dell'ONU furono diversificate: la maggior parte degli ebrei, rappresentati ufficialmente dall'Agenzia Ebraica, l'accettarono, pur lamentando la non continuità territoriale tra le varie aree assegnate allo Stato ebraico. Gruppi più estremisti, come l'Irgun e la Banda Stern, la rifiutarono, essendo contrari alla presenza di uno Stato arabo in quella che consideravano "la Grande Israele", nonché al controllo internazionale di Gerusalemme.



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Tra la popolazione araba la proposta fu rifiutata, con diverse motivazioni: alcuni negavano totalmente la possibilità della creazione di uno Stato ebraico; altri criticavano la spartizione del territorio che ritenevano avrebbe chiuso i territori assegnati alla popolazione araba (oltre al fatto che lo Stato arabo non avrebbe avuto sbocchi sul Mar Rosso né sulla principale risorsa idrica della zona, il Mar di Galilea); altri ancora erano contrari perché agli ebrei, che allora costituivano una minoranza (un terzo della popolazione totale che possedeva solo il 7% del territorio), fosse assegnata la maggioranza (56%, ma con molte zone desertiche) del territorio (anche se la commissione dell'ONU aveva preso quella decisione anche in virtù della prevedibile immigrazione di massa dall'Europa dei reduci delle persecuzioni della Germania nazista); gli stati arabi infine proposero la creazione di uno Stato unico federato, con due governi.

Tra il dicembre del 1947 e la prima metà di maggio del 1948 vi furono cruente azioni di guerra civile da ambo le parti. Il piano Dalet (o "Piano D") dell'Haganah, messo a punto tra l'autunno del 1947 e i primi mesi del 1948, aveva come scopo la difesa e il controllo del territorio del quasi neonato Stato israeliano, e degli insediamenti ebraici a rischio posti di là dal confine di questo. Il piano, seppur ufficialmente solo difensivo, prevedeva comunque, tra le altre cose, la possibilità di occupare "basi nemiche" poste oltre il confine (per evitare che venissero impiegate per organizzare infiltrazioni all'interno del territorio), e prevedeva la distruzione dei villaggi palestinesi ("setting fire to, blowing up, and planting mines in the debris" ovvero "dar fuoco, brillare e minare le rovine") espellendone gli abitanti oltre confine, ove la popolazione fosse stata "difficile da controllare"[31], situazione che ha portato diversi storici a considerare il piano stesso indirettamente responsabile di massacri e azioni violente contro la popolazione palestinese (seppur non presenti né giustificate esplicitamente dal piano), in una specie di tentativo di pulizia etnica[32]. L'impatto emotivo sull'opinione pubblica del massacro di Deir Yassin, avvenuto il 9 aprile da parte di membri dell'Irgun e della Banda Stern e all'insaputa dell'Haganah, fu una delle cause principali della fuga degli abitanti nei mesi seguenti.

Il 14 maggio del 1948 venne dichiarata unilateralmente la nascita dello Stato di Israele, un giorno prima che l'ONU stessa, come previsto, ne sancisse la creazione.

Il 15 maggio, le truppe britanniche si ritirarono definitivamente dai territori del Mandato.



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Guerra arabo-israeliana del 1948 (Guerra d'Indipendenza - Nakba)

Lo stesso 15 maggio 1948 gli eserciti di Egitto, Siria, Libano, Iraq e Transgiordania, attaccarono l'appena nato Stato di Israele. L'offensiva venne bloccata dall'esercito israeliano, e le forze arabe vennero costrette ad arretrare. Israele distrusse centinaia di villaggi palestinesi, concausa dell'esodo degli abitanti[33]. La guerra terminò con la sconfitta araba nel maggio del 1949, e produsse 711 000 profughi arabo-palestinesi[34]. Alcuni hanno rivelato che numerosi palestinesi seguitarono a credere che gli eserciti arabi avrebbero prevalso e affermarono pertanto di voler tornare nelle loro terre d'origine.[35] Analogamente, circa 600 000 profughi ebrei dovettero abbandonare le loro case nei paesi arabi.

In seguito all'armistizio e al ritiro delle truppe ebraiche l'Egitto occupò la striscia di Gaza, mentre la Transgiordania occupò la Cisgiordania, assumendo quindi il nome di Giordania. Israele si annesse la Galilea e altri territori a maggioranza araba conquistati nella guerra. Negli anni immediatamente successivi, dopo l'approvazione (5 luglio 1950) della Legge del ritorno da parte del governo israeliano, si assistette a una nuova forte immigrazione ebraica, che portò al raddoppio della popolazione di Israele. In gran parte, inizialmente, si trattò di profughi ebrei sefarditi provenienti dai paesi arabi, espulsi dai loro paesi di origine dopo la nascita dello Stato.

Per il suo ruolo nel negoziare gli armistizi del 1948 e 1949, Ralph Bunche ricevette il Premio Nobel per la Pace nel 1950.

Israele mantenne la legge militare per gli arabi israeliani fino al 1966.



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Gerusalemme, capitale contestata

Gerusalemme è stata proclamata capitale d'Israele nel dicembre 1949[37] e confermata come tale, nel 1980, con "Legge Fondamentale" promulgata dalla Knesset.

Dall'inizio del 1950[37] in poi, quasi tutte le istituzioni governative israeliane furono trasferite a Gerusalemme Ovest, mentre alcune, come il Ministero della Difesa, rimasero a Tel Aviv (città dalla quale Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato d'Israele).

Le proclamazioni di Gerusalemme capitale di Israele non sono state riconosciute come valide dalla comunità internazionale, e sono state anzi condannate da risoluzioni ONU non vincolanti, poiché la città di Gerusalemme comprende territori non riconosciuti internazionalmente come israeliani. La Corte Internazionale di Giustizia ha confermato nel 2004 che i territori occupati dallo Stato di Israele oltre la "Linea Verde" del 1967 continuano a essere "territori occupati", e dunque con essi anche la parte est di Gerusalemme, annessa da Israele nel 1980. A rimarcare questa situazione, tutti gli Stati che hanno rapporti diplomatici con Israele non mantengono le proprie sedi diplomatiche a Gerusalemme, ma in genere a Tel Aviv o nelle immediate vicinanze.

Nel 2006 gli unici due Stati che avevano una propria ambasciata a Gerusalemme, El Salvador e Costa Rica, hanno notificato al governo israeliano la decisione di spostare le proprie rappresentanze diplomatiche verso Tel Aviv; successivamente a tale notifica, El Salvador l'ha spostata a Herzliya Pituach (sobborgo di Herzliya, città fondata da coloni sionisti nel 1924 e che prende il nome da Theodor Herzl), e Costa Rica a Ramat Gan (sobborgo di Tel Aviv). Il Congresso degli Stati Uniti ha richiesto da diversi anni lo spostamento dell'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, ma nessuno dei governi succedutisi ha messo in atto tale decisione.[38]

Israele rimane senza capitale nelle mappe prodotte e distribuite dall'ONU.[39]



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Geografia

Israele si trova all'estremità orientale del Mar Mediterraneo. Il territorio sovrano internazionalmente riconosciuto, esclusi cioè tutti i territori occupati nel 1967, ha una superficie di circa 20 770 km², di cui il 2% sono acque.[8] Il territorio sottoposto alla legge dello Stato di Israele, inclusi cioè Gerusalemme Est e il Golan, ha una superficie di 22 072 km².[41] Il territorio sotto controllo israeliano, inclusi cioè i territori occupati, ha una superficie di 27 799 km².[42]



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Morfologia

Il territorio israeliano è prevalentemente arido e desertico.

Presenta a ovest, parallela alla costa, una pianura (HaShefela o HaSharon) fertile e ricca d'acqua, che ospita il 70% della popolazione. Al centro si estende una zona occupata da colline e altopiani, i monti della Giudea, che attraversano in lunghezza tutto il Paese. Mentre i versanti occidentali scendono dolcemente verso il Mediterraneo, quelli orientali precipitano verso la valle del fiume Giordano. La stretta valle, solcata dal Giordano, si trova al confine con i Paesi vicini: è parte della Great Rift Valley che prosegue con il Mar Morto, Wadi Araba, il golfo di Eilat (o golfo di Aqaba) e il Mar Rosso. A sud si estende il Negev, un territorio in prevalenza desertico, che occupa circa la metà della superficie del Paese; alla sua estremità sud si trova l'unico sbocco al mare non mediterraneo. Tipici del Negev e della adiacente penisola del Sinai sono i crateri erosivi (makhteshim),[43] di cui il più ampio del mondo è il cratere Ramon,[44] lungo 40 km e largo 8 km.[45]

Le montagne più importanti sono il Monte Meron che si trova nell'Alta Galilea e il Monte Ramon (o Makhtesh Ramon) situato nel deserto del Negev. Altri rilievi sono il Monte Carmelo sopra Haifa e il Monte Hermon (occupato dal 1967) da cui scende il Giordano.



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Idrografia

Il fiume principale è il Giordano, che nasce dal Monte Hermon; ne appartiene a Israele solo la parte del corso superiore, segnando per il resto il confine tra la Giordania e i Territori occupati palestinesi; a esso tributano corsi d'acqua di modeste dimensioni, a regime spiccatamente torrentizio, che tendono a prosciugarsi nella stagione secca.

Altro fiume con portata cospicua è il Yarkon (115 km), che scende nel Mar Mediterraneo vicino a Tel Aviv.

È incluso quasi interamente in territorio nazionale il lago di Tiberiade (Kinneret), mentre il Mar Morto bagna Israele solo nel settore orientale ed è prossimo al punto più basso del pianeta.



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Clima

Pur essendo un paese di modeste dimensioni, vi sono discrete differenze climatiche da zona a zona, e le temperature variano molto, specie durante l'inverno.

La costa ha un tipico clima mediterraneo, con estati lunghe, calde e asciutte e inverni freschi e piovosi. Il caldo è anche maggiore nella valle del Giordano, dove nel 1942 furono registrati 53,7 °C (kibbutz Tirat Zvi)[46], un record per l'Asia. Sulle alture, invece, il clima è da fresco a freddo e umido, comprese precipitazioni nevose (a Gerusalemme almeno una volta l'anno,[47] sul monte Hermon per gran parte dell'anno).

Da maggio a settembre le precipitazioni sono rare[48][49]; da novembre a marzo il clima è relativamente umido.



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Ambiente

La scarsità d'acqua ha spinto Israele a sviluppare svariate tecnologie di risparmio idrico, inclusa l'irrigazione a goccia.[50] L'abbondanza di insolazione ha invece spinto Israele a sviluppare le tecnologie per lo sfruttamento dell'energia solare, la cui produzione pro capite è prima al mondo.[51]

Lo Stato di Israele è molto attivo nella tutela dell'ambiente naturale in regioni periferiche, anche tramite l'opera del Keren Kayemeth LeIsrael.



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Demografia

Israele obbliga tutti i suoi cittadini a dichiarare o a farsi attribuire la propria appartenenza religiosa. Sulla base di tali dati - che vengono riportati sulle carte d'identità - vengono riconosciuti doveri differenziati: gli arabi musulmani sono esentati dalla leva obbligatoria, che è invece prevista per i Drusi e i Circassi.[52][53]
Popolazione

La popolazione è aumentata a partire dal secondo dopoguerra grazie all'arrivo di numerosi immigrati, provenienti, a ondate successive, dall'Europa continentale, dai Paesi arabi, dall'ex Unione Sovietica e dall'Africa.

Le zone più popolate sono quelle costiere, dove il territorio è più fertile. La massima densità demografica si riscontra nei distretti di Tel Aviv e di Gerusalemme.
Etnie

Secondo il CIA Factbook del 2005[54], che riportava stime del 1996, in Israele la popolazione sarebbe stata composta da un 80,1% di ebrei (di cui solo poco più di un quarto nato in Israele) e il 19,9% di non ebrei, prevalentemente arabi.

Secondo il più recente CIA Factbook del 2007,[8] che riporta stime del 2004, in Israele la popolazione sarebbe così suddivisa:

Ebrei 76,4% (ad aprile 2015, 74,9%[4][5]), così suddivisi:

nati in Israele 67,1%
nati in Europa e America 22,6%
nati in Africa 5,9%
nati in Asia 4,2%

non ebrei 23,6% (principalmente arabi)

Nel dicembre del 2006, secondo l'Ufficio Centrale di Statistica israeliano, vi sono in Israele 7,1 milioni di abitanti. Di questi il 76% sono ebrei e il 20% arabi; il 4% sono classificati come altri.[55]

Un sondaggio del dicembre del 2006, svolto per conto del Center for the Campaign Against Racism, ha evidenziato che metà della popolazione ebraica israeliana ritiene che lo Stato debba favorire l'emigrazione dei cittadini arabi.[56] Agli inizi del dicembre 2008 il ministro degli esteri Tzipi Livni, principale esponente del partito Kadima e come tale candidata alle vicine elezioni politiche del febbraio 2009, ha affermato che dopo l'eventuale costituzione di uno Stato palestinese, alla popolazione araba di cittadinanza israeliana (circa 1 400 000 persone) verrà chiesto di trasferirsi in questo. La dichiarazione ha suscitato le proteste dei deputati arabo-israeliani e del presidente palestinese Abu Mazen.[57][58]



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Lingue

Israele ha due lingue ufficiali, l'ebraico e l'arabo.[59]

In Israele viene parlata anche la lingua russa: grazie ad una massiccia immigrazione proveniente dall'Unione Sovietica, il russo viene parlato come lingua madre da una grossa fetta degli israeliani, che raggiunse addirittura il 20% della popolazione totale del Paese nel 1989.[60] Nel 2017 c'erano circa 1,5 milioni di israeliani russofoni su un totale di 8.700.000 abitanti (17,25% della popolazione).[61] La stampa e i siti web israeliani pubblicano regolarmente materiale in lingua russa.
Religione
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Religioni in Israele.
Ebrei pregano al Muro del pianto a Gerusalemme.

Secondo il Libro dei fatti della CIA americana del 2007,[8] che riporta stime del 2004, in Israele la popolazione sarebbe così suddivisa:

Ebrei 76,4% (ad aprile 2015, 74,9%[4][5])
Musulmani 16%
Arabi cristiani 1,7% (per i cattolici vedi Chiesa cattolica in Israele)
Altri cristiani 0,4%
Drusi 1,6%
Altri (Bahai, ecc.): 3,9%

Secondo l'Ufficio Centrale di Statistica israeliano, nel 2005 la popolazione era suddivisa tra un 76,1% di ebrei, un 16,2% di musulmani, 2,1% cristiani, e 1,6% drusi, con il rimanente 3,9% (principalmente immigrati dall'ex Unione Sovietica) non classificati per religione. Tra gli arabi residenti in Israele l'82,7% era musulmano, l'8,4% druso e l'8,3% cristiano[62].

Il 16 settembre 2014 il ministro dell'Interno israeliano, Gideon Sa'ar, ha disposto che gli uffici dell'anagrafe registrino come «aramei» quegli israeliani cristiani che non vogliono più qualificarsi come arabi[63]. Secondo le disposizioni del ministero dell'Interno, possono richiedere di essere identificati come «aramei» solo i maroniti, i greco-ortodossi, i greco-cattolici e i cattolici della Chiesa sira[64].

Secondo una statistica internazionale del 2015, Israele è l'ottavo paese meno religioso al mondo con il 65% degli israeliani che si definisce non religioso (57%) o ateo (8%).[65][66][67][68]

 
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view post Posted on 30/4/2019, 14:50     Top   Dislike
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Generalità

.Lo Stato di Israele si affaccia sull'estremo lembo orientale del Mediterraneo, inserito come un cuneo, non solo metaforicamente, nel cuore di quella terra di Palestina che da millenni non trova pace. Esteso dalle pianure occidentali bagnate dal mare alle colline centrali delle valli di Samaria, Giudea e Galilea, racchiuso tra i rilievi montuosi del N e le distese desertiche del Negev e dell'‘Arabah a S, il Paese è da sempre teatro di contraddizioni e di scontri identitari, religiosi e politici. A partire dalla sua proclamazione, voluta dalle Nazioni Unite che diedero così coronamento politico alle aspirazioni sioniste in atto dalla fine del XIX secolo, Israele ha dovuto affrontare la dura ostilità dei Paesi arabi confinanti, uniti in un fronte di opposizione che ha portato allo scoppio di tre guerre (1956, 1967, 1973), tutte vinte da Israele, e all'occupazione militare di alcuni territori di Siria (le alture del Golan), Egitto (Sinai e Gaza) e Giordania (Cisgiordania), da allora al centro di estenuanti negoziati, ritiri programmati e rivendicazioni bilaterali, con un drammatico tributo di morti. A questi caldi fronti di confine, si è unito dopo breve tempo anche quello del Libano, a causa del fortissimo radicamento palestinese nella parte meridionale del territorio, oggetto delle mire israeliane e tenacemente difeso dal braccio armato del libanese “Partito di Dio”, hezbollah, responsabile di sanguinosi attentati terroristici. Ulteriore fattore destabilizzante della regione è la forte connotazione ideologica di stampo occidentale presente all'interno dello Stato di Israele, che si trova tuttavia immerso in un'area animata, sia dal punto di vista etnico, sia dal punto di vista culturale, da una profonda matrice araba. La soluzione della situazione mediorientale, nel suo complesso intreccio, è ritenuta da molti osservatori la più importante questione politica da affrontare a livello globale, dai cui sviluppi potrà dipendere la definizione di nuovi e più stabili equilibri economici, politici e sociali di portata vastissima per quell'area e non solo.

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Territorio: geografia umana

La Palestina è una terra di antichissimo popolamento; le prime tracce umane risalgono al Paleolitico medio (uomo di Neanderthal). Essa è stata anche sede delle più antiche civiltà agricole e urbane che si conoscano, come hanno rivelato gli scavi compiuti a Gerico e che rimandano a un Neolitico affermatosi già nell'VIII-VI millennio a. C. L'arrivo dei popoli semiti inizia già nel III millennio a. C., mentre gli ebrei, sovrappostisi ai Cananei, giunsero alla metà del II millennio a. C., in un periodo in cui l'inaridimento climatico induceva molti popoli a esodi verso nuove terre. Essi fondarono centri di vita urbana e di vita religiosa, che gli archeologi israeliani cercano di far rivivere come testimonianze del loro antico rapporto con la terra che in larga misura corrisponde all'attuale Stato d'Israele. Oggi nuovamente la popolazione è in grande maggioranza di lingua e cultura ebraiche, grazie all'intenso movimento immigratorio iniziatosi verso la fine del sec. XIX. Precedentemente la popolazione era costituita in prevalenza da arabi musulmani o cristiani e da poche decine di migliaia di ebrei; questi discendevano da quelli rimasti in Palestina dopo la grande diaspora, iniziata nel 70 d. C., che aveva portato la maggior parte degli ebrei a spargersi per il mondo seguendo due diverse direzioni: una verso la Turchia e l'Europa centrale (Ashkènāzīm o Ashkenaziti) e l'altra verso l'Africa settentrionale, la Spagna e la Francia (Sefarditi). All'inizio del sec. XX gli ebrei in Palestina erano 50.000 e nel 1947, poco prima della costituzione dello Stato ebraico, ammontavano a 630.000, formando il 35% della popolazione totale. Fra le due guerre mondiali l'immigrazione ebraica (302.000 unità tra il 1919 e il 1939) era stata favorita dal governo britannico e dopo la guerra del 1948-49 il rapporto numerico tra arabi ed ebrei andò rapidamente mutando in favore di questi ultimi per il forte incremento naturale ma specialmente per l'intensificarsi dell'immigrazione, che nei primi anni di vita dello Stato raggiunse valori elevatissimi (240.000 unità solo nel 1949). Dalla fine del sec. XIX all'inizio del XXI si calcola che siano immigrati in Israele quasi 2,3 milioni di ebrei, provenienti in prevalenza dall'Europa centrale e orientale, dal Medio Oriente e dall'Africa settentrionale. Negli ultimi anni del Novecento il flusso immigratorio si è alquanto ridotto; nella prima metà degli anni Ottanta l'immigrazione è stata in gran parte alimentata dal cospicuo trasferimento di ebrei dall'Etiopia (Falascià). Gli anni Novanta sono stati, invece, caratterizzati dagli arrivi di ebrei dall'ex URSS, quasi un milione di persone tra il 1989 e il 2000. Successivamente, nei primi anni del XXI secolo l'immigrazione si è attestata intorno alle 20.000 unità per anno. Per quanto la proporzione tra arabi ed ebrei continui a essere a vantaggio di questi ultimi è necessario precisare che se l'aumento della popolazione araba è dovuto a un tasso di natalità piuttosto elevato, l'incremento della componente ebraica è piuttosto derivato dai flussi migratori favoriti dalla legge “del ritorno” che garantisce la cittadinanza israeliana e pieni diritti a un ebreo proveniente da qualunque parte del mondo. Per far fronte alle poderose ondate immigratorie, fu varato fin dal 1948 un piano di colonizzazione di largo respiro allo scopo di impedire eccessive concentrazioni demografiche nelle aree urbane e di favorire il decentramento nelle campagne, e quindi l'occupazione di tutto il suolo nazionale e un suo razionale e completo sfruttamento (la popolazione peraltro si concentra ancora sulla costa, in particolare nel distretto di Tel Aviv dove si hanno ca. 7665 ab./km² contro la media di 389,97 ab./km²). L'insediamento in aree prima steppiche o desertiche e la loro valorizzazione agricola furono possibili solo mediante l'impiego di enormi capitali e grazie all'alto grado di organizzazione e allo spirito pionieristico degli immigrati, che si organizzarono in forme cooperativistiche e collettivistiche di vario genere, adatte alle particolari esigenze ambientali, non ultima la necessità di difesa dalle incursioni provenienti dai Paesi arabi confinanti, che si rifiutavano di riconoscere il nuovo Stato israeliano. Le prevalenti forme dell'organizzazione agricola sono i moshavei ovdim, cooperative di piccoli proprietari (la terra è messa a disposizione dallo Stato e dal Fondo Nazionale Ebraico, proprietari di quasi tutto il suolo nazionale), i quali affidano alla collettività sia gli acquisti sia le vendite dei prodotti agricoli come pure il rifornimento idrico, l'acquisto e l'uso delle macchine agricole e i servizi assistenziali, e i kibbuzim, villaggi collettivistici, dove la proprietà dei beni è in comune e uguale è la distribuzione del lavoro, delle spese e dei guadagni; si hanno poi altre forme miste, come i moshavim shitufim, nei quali sussiste una piccola proprietà familiare accanto a quella collettiva. Con la progressiva espansione dell'economia, che si è venuta gradualmente articolando in forme sempre più complesse, si è però rapidamente sviluppato, contrariamente all'iniziale indirizzo agricolo del Paese, il fenomeno dell'urbanesimo, anche per l'affievolirsi dello spirito pionieristico dei primi tempi e per la preminente qualificazione urbana della maggior parte degli immigrati. Le città principali sono: Gerusalemme, considerata capitale ma non riconosciuta come tale dalle Nazioni Unite, una delle più antiche e prestigiose città del mondo, al confine con la Cisgiordania; Tel Aviv-Giaffa, il maggior centro economico e demografico del Paese, quello che meglio ne illustra la componente, modernissima e tutta occidentale, delle strutture economiche e sociali; Haifa, il principale sbocco marittimo d'Israele, sede altresì di poderosi complessi petrolchimici; Beʽer Sheva, con funzioni amministrative e nodo delle comunicazioni per il Negev; tutte scaglionate lungo la pianura costiera sono Netanya, celebre stazione balneare e “capitale” mondiale dell'industria della lavorazione dei diamanti, Ramat Gan, ormai un sobborgo industriale di Tel Aviv, Ashdod, situata nel distretto Meridionale, importante porto petrolifero, Rishon LeẔiyyon, centro industriale non lontano da Tel Aviv, Petah Tiqwa, massimo centro agrumario, Bat Yam e Holon; sul Mar Rosso è infine il centro turistico e portuale di Eilat.

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Cultura: generalità

Israele è uno di quei luoghi, in senso non solo geografico, in cui il concetto di “cultura” assume in sé un numero di significati e valenze di straordinaria ampiezza. Un destino comune sembra essere toccato a questa terra, la Palestina, e al popolo (gli ebrei) che la abita: un destino in cui hanno prevalso il perpetuo movimento, il viaggio, il ritorno. In questo “centro del mondo” sono nate civiltà, religioni, lingue che, in una sorta di disegno provvidenziale, qui sono tornate nel Novecento. Ma la peculiarità che rende unico il melting pot israeliano è l'eredità culturale che gli stessi hanno assorbito nelle nazioni in cui hanno vissuto e che hanno portato con sé in Israele. Il risultato è uno scenario in cui si intersecano costumi, stili di vita, modelli e tradizioni artistiche, letterarie, musicali e da cui scaturisce una vita culturale multiforme e ricca. Se i punti di contatto restano la religione e la lingua (quest'ultima al centro di una forte riscoperta e valorizzazione, nella società israeliana), oggi è possibile ritrovare elementi di cui è arduo individuare con esattezza le radici: come testimoniano i libri degli autori letti in tutto il mondo, i film dei registi pluripremiati o le opere di pittori, scultori, architetti e musicisti ai vertici delle proprie discipline. Anche i temi trattati sono ormai realmente globali e affiancano i topoi con cui ogni artista, o meglio ogni ebreo, si confronta: dall'investitura biblica del popolo eletto alla diaspora, dall'Olocausto al sionismo ai rapporti con i palestinesi. Le maggiori istituzioni culturali del Paese sono altresì espressione massima della ricchezza culturale d'Israele: l'Accademia della lingua ebraica, autorità suprema per la lingua sorta nel 1953; il Teatro Habima, nato in Russia e considerato oggi la compagnia teatrale nazionale; il Museo d'Israele, in cui sono conservati, per esempio, i Rotoli del Mar Morto e quelli ritrovati nelle grotte di Qumrān; la Jerusalem Artists’ House, il cui ruolo nella promozione dei giovani artisti israeliani è centrale; il Museo di arte islamica, considerato tra i migliori al mondo. Una nota particolare va riservata, da un lato, allo Yad Vashem, noto come Museo dell'Olocausto, memoriale a ricordo dei milioni di vittime della Shoah, e dall'altro, ai luoghi sacri della tradizione religiosa cristiana, ebraica e musulmana: la basilica del Santo Sepolcro, la moschea della Cupola della Roccia e il Muro del Pianto. Di notevole importanza e qualità anche gli eventi culturali che si svolgono in tutto il Paese: tra i molti, il Festival di Israele, dedicato a musica, danza e teatro, il Festival internazionale di jazz di Eilat, il Karmiel Dance Festival. Sono infine 9 i siti israeliani inseriti dall'UNESCO tra i patrimoni dell'umanità: Masada (2001); la città vecchia di Acri (2001); la città bianca di Tel Aviv - il Movimento Moderno (2003); i tell biblici - Megiddo, Haẕor, Beer Sheba (2005); la via dell'incenso - le città del deserto nel Negev (2005); i luoghi sacri Baha'i ad Haifa e in Galilea occidentale (2008); il sito dell'evoluzione umana presso il Monte Carmelo: le grotte di Nahal Me'arot/Wadi el-Mughara (2012); le grotte di Maresha e Bet-Guvrin nel bassopiano della Giudea, come microcosmo della Terra delle grotte (2014); la necropoli di Bet She'arim: punto di riferimento del rinnovamento ebraico (2015).

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Cultura: tradizioni

Il ritorno nella patria auspicata e profetizzata da Theodor Herzl, nell'incontro di ebrei polacchi, italiani, ungheresi, tedeschi, americani, yemeniti, significò, sotto un certo aspetto, il ritorno comune agli antichi valori ebraici intesi a ricostruire una nazione sulla vita e la fede dei padri. La fusione di tanta gente dalle origini diverse è stata difficile. Sulle vecchie generazioni ha fatto da catalizzatore la coscienza religiosa. Tradizioni uniche avevano diverse manifestazioni. Diverso il culto, la celebrazione delle feste, diverso il regime alimentare pur nel rispetto delle prescrizioni bibliche. La vita dell'ebreo è regolata dal Shulchan Arukh (tavola apparecchiata) di Yosef Karo. La Bibbia dice di “non passarsi il coltello sul viso e di non tagliarsi i capelli alle tempie” e l'ebreo ortodosso ha i capelli e la barba lunghi. Le nuove generazioni in parte hanno abbandonato questa rigidezza di interpretazione. Del tutto rispettata anche dalle nuove generazioni è invece la prescrizione della circoncisione, praticata su tutti i maschi all'ottavo giorno di vita. Con essa l'ebreo entra nell'alleanza di Abramo, cioè nella comunità israelita. Nel Paese la pratica è seguita anche dai musulmani. Abiti tradizionali ebraici non esistono. Ogni comunità si adegua alle tradizioni di origine. I giovani vestono alla foggia occidentale adattandosi alle esigenze del clima. La celebrazione delle feste segue il calendario ebraico. La festa della Pasqua è nello stesso tempo la festa della primavera e del pellegrinaggio al tempio. Nei kibbuzim con la Pasqua si celebra contemporaneamente la ricorrenza della rivolta del ghetto di Varsavia e la guerra di indipendenza di Israele, mentre con l'offerta delle prime spighe si sostituisce il pellegrinaggio al tempio e l'offerta dei primi nati delle greggi. La diversa celebrazione delle feste, con significati aderenti al tempo, segue tutto il corso dell'anno, scandendo la vita dell'ebreo ortodosso diversamente da quella dei laici dei kibbuzim. Dopo la riunificazione di Gerusalemme, il pellegrinaggio al muro del tempio è diventata la marcia su Gerusalemme. Per quattro giorni israeliani e israeliti provenienti da tutto il mondo camminano nei dintorni della città per ritrovarsi tutti nelle vie del centro nel tripudio della marcia finale. La solennità più importante del calendario ebraico è il “giorno del grande perdono” (Yōm Kippūr), giorno di digiuno totale e di meditazione. Il suono dello šōfār (corno di montone) ne segna la fine. La festa di Hānukkā, o festa delle luci, celebra la vittoria di Giuda Maccabeo e degli Asmorrei su greci e siriani. La lampada di Hānukkā, diversamente dalla menōrā (la lampada del tempio a sette bracci elevata a emblema dello Stato), ha otto o nove braccia in memoria di un'antica leggenda su un'ampollina del tempio che arse per otto giorni, tanti quanti ne bastarono ai sacerdoti per rifornirla di olio. Un mese prima di Pasqua si celebra la festa di Purīm in ricordo della regina Ester che convinse Assuero a risparmiare gli ebrei dallo sterminio. Essa è anche la festa dei giochi e della fine dell'inverno. Le antiche tradizioni sono massimamente rispettate anche nel sabbāt che non è solo giorno festivo settimanale, ma giorno di pace, di meditazione e di studio. Sulle tradizioni antiche si sono innestate le nuove celebrazioni, la maggiore delle quali è la commemorazione dell'indipendenza (5 di yar nel calendario ebraico, corrispondente agli ultimi giorni di aprile o ai primi di maggio), con balli popolari, canti e la tradizionale veglia sulla tomba di Theodor Herzl. La festa celebra la nascita dello stato d'Israele del 1948. Questa è la ricorrenza laica più sentita nel Paese, insieme alla già citata festa per la riunificazione di Gerusalemme, in cui si ricorda la vittoria nella Guerra dei sei giorni (giugno 1967) con il ritorno di Gerusalemme sotto la sovranità israeliana. Giornate celebrative sono dedicate anche ai martiri del nazismo e agli stessi combattenti per l'indipendenza. Molte tradizioni tuttavia sono conservate non più per spirito religioso ma per sentimento unitario di popolo. Altro elemento comune nelle celebrazioni è la cucina. Nelle feste sono d'obbligo piatti tradizionali, diversi per le varie comunità, ma sempre rispettosi delle regole bibliche, come la prescrizione di consumare pane azzimo nella settimana precedente la Pasqua, il divieto di mangiare carne di animali impuri (cavallo, gatto, maiale, cammello) e quello di mischiare le carni con i latticini (“non farai cuocere l'agnello nel latte della madre”); né va mangiato ciò che provenga da animale impuro.

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Cultura: letteratura

Proprio alla prima ondata dell'immigrazione ebraica in Palestina vanno fatti risalire gli inizi della letteratura israeliana. Essa è caratterizzata (e in ciò differisce da quella neoebraica) dalla presenza di Israele come realtà storica, dove la secolarizzazione della vita ha cessato di costituire un pericoloso incentivo all'assimilazione, e la lingua ebraica, non più esclusivamente lingua dell'uso liturgico, è diventata vivo mezzo di espressione della vita quotidiana. Agli inizi del secolo, lo stanziamento ebraico in Palestina mise in evidenza la necessità di tutelare i valori essenziali del passato ebraico e la prima letteratura israeliana rispecchiò tale esigenza. Tra i romanzieri, il nobel per la letteratura Sh. Y. Agnon (1888-1970), specialmente in Ieri e prima (1912), celebrò la forza unificatrice dell'oggi con la tradizione, senza la quale anche il ritorno non è altro che esilio spirituale. La medesima tesi è sostenuta, sul piano storico, dall'opera narrativa di H. Hazaz (1897-1973). Eguale istanza per la composizione armonica dell'uomo con lo spirito della sua terra, antica e nuova, propone la poesia, che sulle orme di un Bialik, riscoperto meno vate e più poeta, cantò la rinascita dell'anima ebraica (Y. Fichman, 1881-1958: Rami, 1911); Y. Cohen (1881-1960: Poesie) continuò, invece, la maniera di Černichowski con minor slancio panico e in dimensione più familiare. Diverso e più essenziale fu il valore che Israele assunse nella letteratura pionieristica. Gli uomini che vennero con la seconda (1900-14) e specialmente con la terza ondata dell'immigrazione e “costruirono” il Paese erano determinati e sorretti nell'arduo compito da un'invincibile fede ideologica. Per essi, Israele fu la tesi e la misura del proprio sforzo, della propria volontà: l'antagonista da piegare e da vincere, per il trionfo dell'Idea, “malgrado tutto”, come scrisse Y. H. Brenner (1881-1921) facendone l'imperativo etico di tutte le sue opere (Tra due acque; Insuccesso e lutto; Esordio). Fu in tale spirito che Y. Lamdan (1899-1954) celebrò nel poema Massadah (1927) l'epoca del pioniere della terza ondata, dell'uomo che tutto può se vuole, che ritrova in se stesso la forza suprema della redenzione proprio quando ha attinto al più profondo della disperazione; e creò così il mito, misura della realtà. La poesia degli anni Trenta, assai varia nell'impostazione ideologica, fu tutta impegnata nel denunciare le carenze della realtà confrontata col mito; e presentò inoltre un'ormai decisa apertura alle contemporanee esperienze europee. U. Z. Greenberg (1894-1981), riallacciandosi all'eredità spirituale del passato, rinnovò l'afflato del profetismo antico sul modulo espressionista di Werfel (Il libro della diatriba e della fede, 1937). A. Shlonsky (1900-1973), pur movendo dal passato, lo secolarizzò in un fervido impegno laico e socialista di vita civile, riecheggiando forme di Blok e Majakovskij (Canti della rovina e della consolazione, 1938). D. Shimoni (1886-1956), invece, cercò l'armonizzazione del mito con la realtà di ogni giorno (Idilli, 1925-32). Nella prosa, scrittori di provenienza kibbuzistica impostarono il primo bilancio della loro esperienza di integrazione dell'individuo nella società (S. Reichenstein, 1902-1942: Genesi, 1943), e quindi di composizione del sempre più avvertito dissidio tra coscienza individuale e imperativi della vita collettivistica (N. Shaham). Individualistica, come già quella di Rachel (1890-1931), fu la lirica di Leah Goldberg (1911-1970: Anelli di fumo), sostanziata di elementi culturali europei, italiani inclusi. Più popolare e più accessibile la poesia politica di N. Alterman (1910-1970), personale reazione contro la sopraffazione dell'uomo da parte della storia. Si è ormai agli anni della seconda guerra mondiale, della lotta contro la potenza mandataria. Affiora già la generazione dei sabra, cioè dei nati in Israele. A differenza degli scrittori fin qui menzionati, i sabra non vissero l'esperienza dell'esilio o del pionierismo, bensì quella della realizzazione dello Stato e della guerra d'indipendenza. È significativo pertanto che proprio di fronte alla guerra il loro atteggiamento, lungi dall'essere apologetico, sia decisamente critico, impostato sul rapporto coscienza-dovere nel soldato, in cui l'uomo è insopprimibile (S. Yizhar, 1916-2006: I giorni di Ziklag); e che, nel rilassamento di tensione del dopoguerra, vedano lo svuotamento di ogni ideale. Il romanziere M. Shamir (1921-2004), che già si era preoccupato di saggiare la reale consistenza dell'educazione kibbuzistica, ritornò al passato per cercare in esso di che difettasse la generazione presente: la prospettiva di un futuro in cui credere, come l'ebbero i padri (Un re di questo mondo). Il sabra, infatti, sembra vivere nel provvisorio: ogni istante è prezioso perché può essere l'ultimo (come dice Y. Amihay, 1924-2004: Ora, e in altri giorni). Conclusione negativa che però era già in via di superamento alla vigilia della crisi del 1967 e della “guerra dei seigiorni”. Ha ripreso vita anche il teatro: accanto ad autori come A. Ashman, noto per i drammi Michel, figlia di re Saul (1941) e Questa terra (1943), N. Alterman, celebrato per Kinereth, Kinereth (1961) e Il processo di Pitagora (1966), ha rivelato autori di talento quali: Yigʽal Mossenson (n. 1917) con Nei deserti del Negev (1949), A. Meged (n. 1920) con Ghana Senesh (1958) e Genesi (1962), E. Kishon (1924-2005) con Il suo amico a corte (1951) e Tira via il tappo, l’acqua bolle (1965), N. Aloni (1926-1998) con Il più crudele di tutti è il re (1953) e La sposa e il cacciatore di farfalle (1967), impegnati in un teatro ispirato sia ai temi biblici sia ai problemi legati alla vita di Israele e ai temi sociali di una generazione alla ricerca di un'unità non più soltanto religiosa; e Y. Sobol (n. 1939), che sviluppa temi inerenti le radici spirituali di ebraismo e sionismo moderno, con retaggi pirandelliani (L’ultimo degli operai, 1981; La Palestinese, 1985).

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Nasce così la cosiddetta “doppia radice”, corrente che domina, più che uno scontro di culture, lo sviluppo di linee parallele. Accanto agli scrittori della generazione del Palmach, si sono affermati tra gli altri: Aharon Appelfeld (n. 1932), autore di racconti, romanzi, poesie, opere teatrali e saggi teatrali, che nonostante nelle sue opere abbia trattato i temi dell'Olocausto non si lascia inserire nella categoria dei sopravvissuti allo sterminio nazista se non con difficoltà; A. B. Yehoshua (n. 1936), forse il maggiore scrittore israeliano contemporaneo, autore di numerosi romanzi di successo, tradotti in tutto il mondo, come L’amante (1977), Il signor Mani (1990), Viaggio alla fine del millennio (1997), Il responsabile delle risorse umane (2004), oltre a diversi testi teatrali, racconti e saggi, tra cui spicca Antisemitismo e sionismo (2004); Amos Oz (n. 1939), la cui narrativa evidenzia diversi aspetti inconsci della natura umana, spesso letta attraverso la vicenda del popolo ebreo, autore di racconti sia per adulti sia per bambini: tra i più famosi, Conoscere una donna (1989), Lo stesso mare (1999), Una storia di amore e di tenebra (2002) e il saggio Contro il fanatismo (2003); anche D. Grossman (n. 1954) ha saputo dare alla propria letteratura un sofisticato taglio introspettivo salendo sulla ribalta internazionale nel 1988 con Vedi alla voce: amore (pubblicato nel 1986) seguito da altri romanzi di successo come Il libro della grammatica interiore (1991), Che tu sia per me il coltello (1998) e Qualcuno con cui correre (2000); Grossman ha testimoniato anche una forte sensibilità verso la questione israelo-palestinese, su cui ha scritto, tra gli altri, Il vento giallo (1987), Un popolo invisibile (1992) e La guerra che non si può vincere (2003); e Meir Shalev (n. 1949), che a differenza dei primi si presenta meno impegnato e provocatorio, che ama la poesia, le leggende e soprattutto che ha un forte senso dell'humour. Altre figure di rilievo della letteratura contemporanea israeliana sono Nava Semel (n. 1954) e Uri Orlev (n. 1931). Per la poesia si ricordano, invece, oltre al già citato Yehuda Amihay, uno dei maggiori poeti israeliani della seconda metà del Novecento, ben radicato nella realtà del suo Paese, anche se la sua poesia si apre ad accenti universali che travalicano i confini di una cultura settoriale o nazionale, Nātan Zach (n. 1930), autore, oltre che di raccolte poetiche, anche di saggi, Meir Wieseltier e Israel Bar Kohav Berkovski.

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Cultura: arte

Il territorio dell'attuale Stato di Israele, parzialmente coincidente con l'antica Palestina, possiede una fisionomia archeologica e artistico-monumentale complessa, legata alla sua situazione geografica e alle sue vicende storiche di regione aperta alle pressioni e alle influenze culturali delle antiche grandi civiltà mediorientali prima e dei popoli dominatori che vi si sono avvicendati poi (romani, arabi, ottomani). Le località di interesse archeologico di Israele, alla cui esplorazione è stato dato nuovo impulso dal 1948, hanno fornito reperti ricchissimi, in gran parte conservati al Museo Biblico e Archeologico di Gerusalemme. Al Neolitico risalgono gli strati più antichi della città fortificata di Gerico, uno dei più remoti stanziamenti umani organizzati (VIII millennio a. C.). Durante l'Età del Bronzo vi fiorirono le città munite dei Cananei (vedi Canaan), alle quali si sovrappose (Epoca dei Giudici, 1200-930 a. C.) lo stanziamento degli ebrei. Gli scavi di Gerusalemme, Hazor, Megiddo, Gezer, Lakis, testimoniano della vitalità artistica e del fervore edilizio del successivo periodo di pace (Epoca dei Re, 930-586 a. C.), durante il quale furono sensibili influenze egiziane, puniche, assire e babilonesi. Alla dominazione persiana (536-332) seguirono quelle dei tolomei e dei seleucidi che segnarono l'ingresso di Israele nell'orbita artistica ellenistica, i cui caratteri occidentali si accentuarono nel periodo della dominazione romana (63 a. C.- 324 d. C.). L'influsso stilistico romano, documentato dalle imponenti costruzioni erodiane (a Gerico, Masada, Herodion), lasciò una traccia duratura, cui si sovrapposero elementi d'origine siriana e nabatea, nell'architettura delle sinagoghe ebraiche tra il sec. II e il VI (a Cafarnao, Bet Alpha, Bir Ham, Bet She' arim) e nella necropoli di Bet Shearim (sec. II-IV). Vi si affiancò, dopo la restaurazione della sovranità dell'Impero d'Oriente, l'edilizia sacra in stile bizantino (Heptapegon, Tiberiade, chiesa della moltiplicazione dei pani e dei pesci; Betlemme, basilica della Natività; chiesa di Hebron; sec. V-VI). La conquista e la dominazione araba sul territorio di Israele (640-1099) coincisero con l'importazione della cultura e dell'arte islamica (a Gerusalemme, la Cupola della Roccia detta erroneamente moschea di Omar, sec. VII, la moschea al-Aqsa del sec. XI, e più tardi numerose scuole teologiche dei sec. XIII-XV; a Gerico, Khirbat al-Mafjar, palazzo califfale, sec. VIII), mentre alla conquista dei crociati (1099-1291) seguì un'imponente fioritura di monumenti romanici: fortezze (Montfort, Atlit, Safed, Cesarea) e cattedrali nei Luoghi Santi (Gerusalemme, Santo Sepolcro; Nazareth, santuario dell'Annunciazione; Acri, cripta di S. Giovanni). Del successivo dominio ottomano (1517-1831) restano architetture a Gerusalemme (Porta di Damasco), Tiberiade (Fortezza, sec. XVIII), San Giovanni d'Acri e Giaffa (fortificazioni, sec. XVIII). § La colonizzazione ebraica che venne intensificandosi durante i primi cinquant'anni del sec. XX e soprattutto la fondazione dello Stato di Israele sono gli avvenimenti che hanno determinato la nuova fisionomia del territorio: l'urbanizzazione procede, dalla fondazione delle colonie agricole (Kaufmann, colonia agricola circolare di Nahahal, 1921), all'organizzazione di imponenti complessi urbanistici cittadini, particolarmente dal 1950 in poi, secondo moduli di tipo internazionale, sebbene non siano mancati tentativi di recupero di tradizioni locali ed ebraiche; tra le realizzazioni più importanti l'Università ebraica (1954-60; architetti Sharon, Brutzkus, Yashi, Powsner, Zalkind, Rau, Reznik, Varmi), il Palazzo dei Congressi, il Santuario del Libro (1962-65; architetti Kiesler e Bartos) a Gerusalemme; il Centro culturale Lessin, l'Ospedale Beilinson (architetto Sharon) e l'auditorium Mann a Tel Aviv; l'Istituto idroterapico del Technion e il Centro di rieducazione per ciechi, le unità d'abitazione al monte Carmelo, l'Istituto di fisica Einstein, l'auditorium Churchill ad Haifa; il Centro civico a Beer Sheba. Nell'ambito di una cultura artistica internazionale si inseriscono anche le correnti nazionali di pittura e scultura contemporanee, nelle quali confluiscono le esperienze delle avanguardie europee attraverso l'opera dei molti artisti immigrati: tra le personalità più significative, Y. Streichmann (1906-1993), pittore astratto, prima, poi informale; Y. Zaritski (1891-1985), giunto in Palestina nel 1923, pioniere della pittura non figurativa; A. Stematsky (1908-1989), espressionista lirico; M. Castel (1906-1991), M. Janco (1895-1984), padre del dadaismo a Zurigo con T. Tzara e J. Arp e fondatore del villaggio di artisti Hein Hod, insieme a M. Mokady (1902-1975); il suggestivo pittore realista Mordechai Levanon (1901-1968). Tra gli artisti della generazione successiva, si segnalano i pittori Y. Agam (1928), Gal Weinstein (1970) e Micha Ullmann (1939), gli scultori D. Karavan (1930) e Yehiel Shemi (1922-2003), tutti di riconosciuta fama mondiale. Vanno infine ricordati M. Kadishman (1932-2015), il video-artista Sigalit Landau (1969), i pittori naïfs Angela Seliktar (1919) e Shalom di Safed (1895-1980).

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Cultura: musica

La profonda diversità dei luoghi di provenienza che caratterizza la popolazione del Paese non ha consentito lo sviluppo di autonome forme di espressione musicale israeliane, se si eccettua un generico recupero di formule musicali di base, rimaste inalterate all'interno delle comunità ebraiche nel corso della diaspora. Più che nelle grandi città, di tipo occidentale e cosmopolita, si è venuto tuttavia creando nei piccoli centri agricoli un nuovo repertorio di canti e manifestazioni originali, propriamente israeliani. I compositori contemporanei seguono comunque le varie correnti occidentali del nostro tempo; si ricordano P. Ben-Haim, R. Haubenstock-Ramati, M. Avidom, J. Tal, H. Brün ecc. Tra i direttori d'orchestra, diversi sono i nomi di ormai assoluto livello che hanno diretto o dirigono le più importanti orchestre mondiali: su tutti Daniel Barenboim (n. 1942), che ha lavorato con i Berliner Philarmoniker, i Wiener Philarmoniker e l'Israel Philarmonic Orchestra; dal 2006, inoltre, è “Maestro Scaligero” del Teatro alla Scala di Milano, oltre a essere attivo come scrittore e divulgatore di un nuovo approccio didattico verso i giovani che contempli l'educazione musicale quale strumento imprescindibile di formazione personale e culturale, in particolare in vista della crescente diffusione del multiculturalismo e della multietnicità; da ricordare anche Elihau Inbal (n. 1936) e Daniel Oren (n. 1955). La struttura musicale israeliana è assai efficiente, ricca di orchestre (fra cui l'Orchestra Filarmonica d'Israele che ha sede a Tel Aviv ed è reputata uno dei maggiori complessi artistici del mondo), teatri, cori, conservatori e istituti musicologici (fra cui emerge il Conservatorio e Accademia di Musica d'Israele, che ha due sedi, l'una a Tel Aviv e l'altra a Gerusalemme). Non solo la musica colta annovera artisti apprezzati. La violinista hip-hop Miri Ben-Ari (n. 1978), che ha vinto il Grammy Award nel 2005, suona uno strumento classico al servizio dei generi più moderni (collabora, infatti, regolarmente con artisti della scena pop e jazz), alla ricerca di una sintesi musicale che può definirsi universale. Altra artista che ama le commistioni e la musica senza categorizzazioni è Orit Orbach, che, con il suo ensemble formato da cinque musiciste, nelle proprie performance in tutti i continenti riesce a integrare musica klezmer, latina e rock.

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Cultura: danza

Per quanto le prime testimonianze di un'attività di danza teatrale nel territorio dello Stato d'Israele risalgano agli anni Venti e Trenta del Novecento, solo nel 1949, con la fondazione della compagnia Inbal (divenuta poi Compagnia Nazionale) da parte di Sara Levy Tanai, si assiste alla nascita di un ensemble professionale dotato di un proprio distinto stile, nato dalla fusione di caratteri orientali e occidentali; nel neonato Stato di Israele il modernismo – in particolare, grazie ai fitti scambi con gli Stati Uniti, quello di ispirazione grahamiana – trovò fertile terreno di coltura: nacquero diversi gruppi e artisti di prestigio visitarono il Paese, suscitando nuove energie. Nel 1964 Betsabee de Rothschild, studiosa e mecenate della danza, fondò a Tel Aviv la Batsheva Dance Company, primo esempio di compagnia di danza moderna del Paese. Nel 1967, sempre su iniziativa della de Rothschild, iniziò la propria attività anche la Bat-Dor Dance Company (il termine in ebraico significa “contemporaneo”), formazione meno rigidamente legata all'eredità teorica di Martha Graham e più aperta alle commistioni fra classico e moderno. Nel Paese operano anche il Balletto d'Israele, fondato nel 1968, con sede anch'esso a Tel Aviv e con un repertorio che spazia dai classici della tradizione agli autori del balletto contemporaneo e la Kibbutz Dance Company, le cui performance di danza moderna riscuotono consensi anche fuori dai confini nazionali.

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Cultura: cinema

Non bisogna confondere le storie del cinema ebraico e del cinema yiddish, molto complesse e ospitate in molti Paesi, con quella del cinema israeliano che invece è ben localizzata e recente. In ogni caso è posteriore al 1948 e anzi, se si fa eccezione per Collina 24 non risponde (1955) del britannico Th. Dickinson, distribuito anche in Italia, si è sviluppata solo negli anni Sessanta, sulla base di una serie di commedie folcloristiche di carattere locale, dovute in gran parte al prolifico produttore-sceneggiatore-regista Menahem Golan (1929-2014), oppure di melodrammi sentimentali diretti da Moshe Mizrahi (1931) che, dopo essere apparso per due volte al Festival di Cannes (nel 1972 con Ti amo, Rosa e nel 1974 con Padre di figlie), finì per vincere un Oscar nel 1978 col film francese La vita davanti a sé. Di autenticamente israeliano c'è stato ben poco, se si eccettua qualche sensibile documentario (per esempio di Yoel Lotan sui kibbuzim) o qualche exploit d'avanguardia come il dramma surreale Floch (1972) di Dan Wolman. Proprio quest'ultimo è tuttavia alla testa di una nouvelle vague a cavallo degli anni Settanta e Ottanta: un cinema giovane, di qualità, che della società israeliana dà finalmente un ritratto critico, rivolto sia al passato (le promesse dei “padri fondatori”), sia al presente (quelle promesse tradite o stravolte). Oltre al film di Wolman appartengono alla tendenza innovatrice Fucile di legno di Ilan Moshenson, che egualmente evoca il clima dei primi anni di indipendenza, Cavallo di legno di Yaky Yosha e Transito di Daniel Wachsman, centrati anch'essi sulla differenza tra il sogno d'Israele e la cruda realtà. La difficile convivenza tra palestinesi e israeliani ha determinato e condizionato inevitabilmente il miglior cinema israeliano degli anni Ottanta. Accanto a opere come Oltre le sbarre (1984) di U. Barbash, Il sorriso dell’agnello (1985) di S. Dotan, Finale di coppa (1991) di E. Riklis, va ricordata l'opera di Amos Gitai, il più personale tra i cineasti nazionali, costretto a vivere per molti anni in Francia per le sue posizioni fortemente critiche nei confronti del governo, di cui si ricordano: Bait (1980), Esther (1986), Kedma (2002), Promised Land (2004), Disimpegno (2007). La crescita della qualità e dell'interesse per le produzioni israeliane è dimostrato dai riconoscimenti che negli anni Duemila le rassegne internazionali hanno tributato loro. Inoltre, rilievo internazionale acquista anno dopo anno l'International Haifa Film Festival, che ha sempre miscelato sapientemente le opere prime dei giovani israeliani con l'omaggio ai capolavori della cinematografia mondiale.

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Cultura: spettacolo

Le prime rappresentazioni teatrali negli insediamenti ebraici della Palestina risalgono al 1880, dapprima date in privato e poi anche in pubblico da gruppi di dilettanti. Nel 1923 si costituì il Teatro ebraico, nel 1925 il Teatro della terra d'Israele; nel 1925 iniziò l'attività del teatro Ohel (La tenda), creato da Moshe Halevi sotto gli auspici della Federazione del Lavoro (Histadruth) per rappresentare testi a carattere popolare e sociale. Nel 1928 arrivò per la prima volta in tournée la compagnia dell'Habimà (La scena), già attiva a Mosca dal 1918, che si stabilì definitivamente in Palestina nel 1928, aprì un proprio teatro a Tel Aviv nel 1931 e divenne Teatro Nazionale nel 1958. Dal 1928 al 1954 operò anche il teatro satirico Maṭʼaṭe' (La scopa). Infine, nel 1944 Yoseph Millo aprì il Teatro Kameri (Teatro da camera), il più legato alle esperienze del teatro occidentale. Habimà, Ohel e Kameri sono rimaste le maggiori istituzioni teatrali di Tel Aviv anche dopo la costituzione dello Stato d'Israele; a essi si sono aggiunti, dal 1961 il Teatro Municipale di Haifa, dal 1964 il Teatro della Comunità di Kiriyat Hayim, il Teatro Gesher, rivolto soprattutto al pubblico di origine russa e dell'Europa dell'Est, il Teatro di Be'er Sheva', con sede nella città nel sud del Paese e ricco di produzioni originali, il Teatro Khan, una compagnia che effettua i propri spettacoli a Gerusalemme, all'interno di un ex bagno turco. Molti di questi, inoltre, effettuano anche numerose tournées nelle città minori e nei kibbuzim.

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Cultura: religione

La religione ebraica è fondata sulla “rivelazione”, registrata in un corpo di “sacre scritture” (sostanzialmente l'Antico Testamento, trasmesso al cristianesimo): qui, in una funzione culturale unitaria, confluiscono ciò che, secondo le nostre categorie, definiamo storia, letteratura, diritto, ecc. oltre che la teoria e la pratica propriamente religiose. Non ha senso per la cultura ebraica una distinzione categoriale del “religioso”, in quanto la sua storia è una “storia sacra”, così come “sacri” sono il diritto, la letteratura e ogni altro prodotto. La “sacralità” promana dal fatto che gli ebrei si sono affermati, come unità culturale distinta nell'ambiente semitico, quale popolo “eletto” da Dio, in una cosmologia che fa di essi un settore del mondo e non semplicemente una comunità nazionale. A questa formulazione cosmologica arrivarono per gradi. Con l'insediamento in Palestina l'antico Essere Supremo (Elohim: attributo generico di una potenza superumana, nelle lingue semitiche) si “personalizza” secondo i modelli religiosi locali (politeistici), assume il nome personale di Yahwèh e diventa il “dio poliade” di Gerusalemme e del regno. Tuttavia non sarà mai un “dio poliade” come gli altri: Yahwèh non si realizza soltanto con il culto ufficiale (sacerdozio templare) e con la “ragione di Stato” (regalità sacra), ma si realizza soprattutto per l'azione dei profeti (profetismo) che vogliono vedere nella “storia” ebraica una sua manifestazione diretta. Come gli dei politeistici sono immanenti ai rispettivi settori della “natura”, così il dio Yahwèh diventa immanente al popolo ebraico. È un primo passo verso la trascendenza. Questa si realizzerà con la disintegrazione dell'unità politica ebraica, ossia della forma in cui prima Yahwèh era contenuto. È appunto all'epoca dell'esilio babilonese che si trova la prima formulazione di Yahwèh nel senso pienamente monoteistico di un dio unico, universale e trascendente (Deuter.-Isaia). § La pratica cultuale è legata all'evoluzione “teologica”. Dal culto dell'Arca, risalente alla condizione nomadica, si giunge al culto del Tempio, che però è e resterà “unico” come “unico” è Yahwèh. La formazione di un complesso sacerdozio non prevede una funzione sacerdotale astratta dalla “storia” d'Israele, che è una manifestazione divina: oltre ai compiti, è precisata infatti la legittimità genealogica degli officianti (appartenenza alla tribù di Levi; discendenza da Aaron prescritta per il sommo sacerdote, ecc.). Il calendario festivo (di tipo agrario), adottato probabilmente dai cananei, diventa una commemorazione delle “vicende” del popolo ebraico, ossia delle “vicende” di Dio; l'inattività rituale del sabato corrisponde a un'“inattività” di Dio, come se ogni settimo giorno Dio si riposasse al modo con cui si era riposato dopo i sei giorni della creazione. Il nabi, ossia l'indovino presente nella pratica religiosa di tutto il Vicino Oriente, si trasforma nel “profeta”, colui per la cui bocca parla Dio. Ogni “operatore” importante è un inviato (o “unto”) di Dio. Donde l'idea del Messia (māšîaḥ, unto), in senso escatologico, quale manifestazione finale di Dio, di fronte alla quale non ha avuto alcun peso presso gli ebrei la formulazione di un'escatologia individuale.

fonte www.sapere.it/enciclopedia/Isra%C3%A8le+%28Stato%29.html

 
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Generalità

.Lo Stato di Israele si affaccia sull'estremo lembo orientale del Mediterraneo, inserito come un cuneo, non solo metaforicamente, nel cuore di quella terra di Palestina che da millenni non trova pace. Esteso dalle pianure occidentali bagnate dal mare alle colline centrali delle valli di Samaria, Giudea e Galilea, racchiuso tra i rilievi montuosi del N e le distese desertiche del Negev e dell'‘Arabah a S, il Paese è da sempre teatro di contraddizioni e di scontri identitari, religiosi e politici. A partire dalla sua proclamazione, voluta dalle Nazioni Unite che diedero così coronamento politico alle aspirazioni sioniste in atto dalla fine del XIX secolo, Israele ha dovuto affrontare la dura ostilità dei Paesi arabi confinanti, uniti in un fronte di opposizione che ha portato allo scoppio di tre guerre (1956, 1967, 1973), tutte vinte da Israele, e all'occupazione militare di alcuni territori di Siria (le alture del Golan), Egitto (Sinai e Gaza) e Giordania (Cisgiordania), da allora al centro di estenuanti negoziati, ritiri programmati e rivendicazioni bilaterali, con un drammatico tributo di morti. A questi caldi fronti di confine, si è unito dopo breve tempo anche quello del Libano, a causa del fortissimo radicamento palestinese nella parte meridionale del territorio, oggetto delle mire israeliane e tenacemente difeso dal braccio armato del libanese “Partito di Dio”, hezbollah, responsabile di sanguinosi attentati terroristici. Ulteriore fattore destabilizzante della regione è la forte connotazione ideologica di stampo occidentale presente all'interno dello Stato di Israele, che si trova tuttavia immerso in un'area animata, sia dal punto di vista etnico, sia dal punto di vista culturale, da una profonda matrice araba. La soluzione della situazione mediorientale, nel suo complesso intreccio, è ritenuta da molti osservatori la più importante questione politica da affrontare a livello globale, dai cui sviluppi potrà dipendere la definizione di nuovi e più stabili equilibri economici, politici e sociali di portata vastissima per quell'area e non solo.



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Territorio: geografia umana

La Palestina è una terra di antichissimo popolamento; le prime tracce umane risalgono al Paleolitico medio (uomo di Neanderthal). Essa è stata anche sede delle più antiche civiltà agricole e urbane che si conoscano, come hanno rivelato gli scavi compiuti a Gerico e che rimandano a un Neolitico affermatosi già nell'VIII-VI millennio a. C. L'arrivo dei popoli semiti inizia già nel III millennio a. C., mentre gli ebrei, sovrappostisi ai Cananei, giunsero alla metà del II millennio a. C., in un periodo in cui l'inaridimento climatico induceva molti popoli a esodi verso nuove terre. Essi fondarono centri di vita urbana e di vita religiosa, che gli archeologi israeliani cercano di far rivivere come testimonianze del loro antico rapporto con la terra che in larga misura corrisponde all'attuale Stato d'Israele. Oggi nuovamente la popolazione è in grande maggioranza di lingua e cultura ebraiche, grazie all'intenso movimento immigratorio iniziatosi verso la fine del sec. XIX. Precedentemente la popolazione era costituita in prevalenza da arabi musulmani o cristiani e da poche decine di migliaia di ebrei; questi discendevano da quelli rimasti in Palestina dopo la grande diaspora, iniziata nel 70 d. C., che aveva portato la maggior parte degli ebrei a spargersi per il mondo seguendo due diverse direzioni: una verso la Turchia e l'Europa centrale (Ashkènāzīm o Ashkenaziti) e l'altra verso l'Africa settentrionale, la Spagna e la Francia (Sefarditi). All'inizio del sec. XX gli ebrei in Palestina erano 50.000 e nel 1947, poco prima della costituzione dello Stato ebraico, ammontavano a 630.000, formando il 35% della popolazione totale. Fra le due guerre mondiali l'immigrazione ebraica (302.000 unità tra il 1919 e il 1939) era stata favorita dal governo britannico e dopo la guerra del 1948-49 il rapporto numerico tra arabi ed ebrei andò rapidamente mutando in favore di questi ultimi per il forte incremento naturale ma specialmente per l'intensificarsi dell'immigrazione, che nei primi anni di vita dello Stato raggiunse valori elevatissimi (240.000 unità solo nel 1949). Dalla fine del sec. XIX all'inizio del XXI si calcola che siano immigrati in Israele quasi 2,3 milioni di ebrei, provenienti in prevalenza dall'Europa centrale e orientale, dal Medio Oriente e dall'Africa settentrionale. Negli ultimi anni del Novecento il flusso immigratorio si è alquanto ridotto; nella prima metà degli anni Ottanta l'immigrazione è stata in gran parte alimentata dal cospicuo trasferimento di ebrei dall'Etiopia (Falascià). Gli anni Novanta sono stati, invece, caratterizzati dagli arrivi di ebrei dall'ex URSS, quasi un milione di persone tra il 1989 e il 2000. Successivamente, nei primi anni del XXI secolo l'immigrazione si è attestata intorno alle 20.000 unità per anno. Per quanto la proporzione tra arabi ed ebrei continui a essere a vantaggio di questi ultimi è necessario precisare che se l'aumento della popolazione araba è dovuto a un tasso di natalità piuttosto elevato, l'incremento della componente ebraica è piuttosto derivato dai flussi migratori favoriti dalla legge “del ritorno” che garantisce la cittadinanza israeliana e pieni diritti a un ebreo proveniente da qualunque parte del mondo. Per far fronte alle poderose ondate immigratorie, fu varato fin dal 1948 un piano di colonizzazione di largo respiro allo scopo di impedire eccessive concentrazioni demografiche nelle aree urbane e di favorire il decentramento nelle campagne, e quindi l'occupazione di tutto il suolo nazionale e un suo razionale e completo sfruttamento (la popolazione peraltro si concentra ancora sulla costa, in particolare nel distretto di Tel Aviv dove si hanno ca. 7665 ab./km² contro la media di 389,97 ab./km²). L'insediamento in aree prima steppiche o desertiche e la loro valorizzazione agricola furono possibili solo mediante l'impiego di enormi capitali e grazie all'alto grado di organizzazione e allo spirito pionieristico degli immigrati, che si organizzarono in forme cooperativistiche e collettivistiche di vario genere, adatte alle particolari esigenze ambientali, non ultima la necessità di difesa dalle incursioni provenienti dai Paesi arabi confinanti, che si rifiutavano di riconoscere il nuovo Stato israeliano. Le prevalenti forme dell'organizzazione agricola sono i moshavei ovdim, cooperative di piccoli proprietari (la terra è messa a disposizione dallo Stato e dal Fondo Nazionale Ebraico, proprietari di quasi tutto il suolo nazionale), i quali affidano alla collettività sia gli acquisti sia le vendite dei prodotti agricoli come pure il rifornimento idrico, l'acquisto e l'uso delle macchine agricole e i servizi assistenziali, e i kibbuzim, villaggi collettivistici, dove la proprietà dei beni è in comune e uguale è la distribuzione del lavoro, delle spese e dei guadagni; si hanno poi altre forme miste, come i moshavim shitufim, nei quali sussiste una piccola proprietà familiare accanto a quella collettiva. Con la progressiva espansione dell'economia, che si è venuta gradualmente articolando in forme sempre più complesse, si è però rapidamente sviluppato, contrariamente all'iniziale indirizzo agricolo del Paese, il fenomeno dell'urbanesimo, anche per l'affievolirsi dello spirito pionieristico dei primi tempi e per la preminente qualificazione urbana della maggior parte degli immigrati. Le città principali sono: Gerusalemme, considerata capitale ma non riconosciuta come tale dalle Nazioni Unite, una delle più antiche e prestigiose città del mondo, al confine con la Cisgiordania; Tel Aviv-Giaffa, il maggior centro economico e demografico del Paese, quello che meglio ne illustra la componente, modernissima e tutta occidentale, delle strutture economiche e sociali; Haifa, il principale sbocco marittimo d'Israele, sede altresì di poderosi complessi petrolchimici; Beʽer Sheva, con funzioni amministrative e nodo delle comunicazioni per il Negev; tutte scaglionate lungo la pianura costiera sono Netanya, celebre stazione balneare e “capitale” mondiale dell'industria della lavorazione dei diamanti, Ramat Gan, ormai un sobborgo industriale di Tel Aviv, Ashdod, situata nel distretto Meridionale, importante porto petrolifero, Rishon LeẔiyyon, centro industriale non lontano da Tel Aviv, Petah Tiqwa, massimo centro agrumario, Bat Yam e Holon; sul Mar Rosso è infine il centro turistico e portuale di Eilat.



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