IL FARO DEI SOGNI

Iran

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L'Iran (persiano: إيران‎‎, [iˈrɑːn]),[9] ufficialmente Repubblica Islamica dell'Iran e conosciuto anche come Persia, è uno Stato dell'Asia situato all'estremità orientale del Vicino Oriente.[10]



Oltre il velo: Iran, un Paese da scoprire



Video



Fino al 1935 l'Iran era noto in Occidente come Persia, patria di una delle più antiche civiltà del mondo.[11] La prima dinastia dell'Iran si formò durante il regno di Elam nel 2800 a.C., mentre i Medi unificarono vari regni dell'Iran nel 625 a.C.[12] Nel 550 a.C. fu poi la volta degli Achemenidi, ma nel 334 a.C. Alessandro il Grande invase il regno achemenide, sconfiggendo l'ultimo re persiano Dario III durante la battaglia di Isso del 333 a.C. e la battaglia di Gaugamela del 331 a.C.[13] Dopo la morte di Alessandro la Persia cadde sotto il controllo del regno ellenistico dei Seleucidi e poi sotto il controllo di vari regni ellenistici.[14] In seguito l'Iran cadde sotto il regno dei Parti nel II secolo a.C e dal 224 d.C. fino al 651 dei Sasanidi, ma questi ultimi crollarono a loro volta sotto i colpi degli arabi musulmani, i quali nel 633 avevano avviato la conquista islamica della Persia.[15]



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L'affermazione della dinastia Safavide nel 1501[16] promosse uno dei rami minoritari dell'Islam (lo sciismo duodecimano)[17] come religione ufficiale dell'impero, segnando un punto cruciale nella storia della Persia e del mondo islamico.[18] La rivoluzione costituzionale persiana stabilì il parlamento del Paese nel 1906 noto come Majilis e una monarchia costituzionale, seguiti nel 1921 dall'autoritaria dinastia Pahlavi.[19] Nel 1953 fu spento il primo esperimento democratico del Paese per via di un colpo di Stato perpetrato da parte del Regno Unito e degli Stati Uniti che riportò al potere i Pahlavi.[20] Il dissenso popolare portò alla cosiddetta rivoluzione iraniana, istituendo la Repubblica Islamica dell'Iran il 1º aprile 1979, un regime di democrazia con tendenze teocratiche.[21]



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Storicamente noto come Persia, il 21 marzo 1935 lo scià Reza Pahlavi chiese formalmente alla comunità internazionale di riferirsi alla nazione con il nome utilizzato dai suoi abitanti in persiano di Iran, ovvero «Paese degli Arii».[22] Alcuni studiosi protestarono contro questa decisione perché il cambio di nome avrebbe separato il Paese dalla sua storia, ma nel 1959 lo scià annunciò che i nomi di Persia e Iran erano interscambiabili e di uguale rilevanza in comunicazioni ufficiali e non.[22] Tuttavia il nome Iran rimase il termine di uso più frequente in riferimento allo Stato, mentre i sostantivi e aggettivi "persiani" e "persiano" sono tuttora usati frequentemente in riferimento alla popolazione e alla lingua del Paese.[23]

Con capitale Tehran e una popolazione di circa 77,1 milioni di abitanti al censimento del 2013 i più grandi gruppi etnici in Iran sono persiani, azeri, curdi e luri.[1]



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Etimologia

Il termine Iran (o Airyana) deriverebbe da arya che significa «aratore». La radice ar è presente anche in latino con arare, aratro e arvum («campo»). Il termine ârya ha una designazione onorifica e si applicava ai popoli dediti all'agricoltura.[24]



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Era antica

I primi reperti archeologici dell'Iran, quali quelli trovati nel sito del Kashafrud e di Ganj Par, dimostrano la presenza di insediamenti umani già dal Paleolitico inferiore.[25] Reperti dell'uomo di Neanderthal risalgono al Paleolitico medio e sono stati trovati principalmente nella regione dei monti Zagros, quali le caverne Warwasi e Yafteh.[26][27] Le prime comunità agricole invece cominciarono a stabilirsi in Iran attorno all'8000 a.C.,[28][29] con insediamenti quali Chogha Mish, situato nella regione delle montagne Zagros, mentre la nascita di una delle prime città persiane, Susa, è stata fissata attorno al 4395 a.C.[30] Vi sono dozzine di reperti preistorici attorno all'altopiano iranico che suggeriscono l'esistenza di culture antiche e di insediamenti urbani in altre regioni già dal IV millennio a.C.[31][32] Durante l'era del bronzo l'Iran è stata la patria di diverse civilizzazioni, quali quella dell'Elam, della civiltà di Jiroft e della civiltà del fiume Zayande. Elam è fra le più importanti di queste e si sviluppò nel sud-ovest dell'Iran, influenzata dalle civiltà mesopotamiche. Lo sviluppo della scrittura nell'Elam (IV millennio a.C) fu forse parallelo a quello dei Sumeri.[33] Il regno elamico proseguì la sua esistenza fino all'emergere della civiltà dei Medi e dell'Impero achemenide.



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Era classica

Durante il secondo millennio a.C. antiche popolazioni iraniche arrivarono dalle steppe eurasiatiche,[34] entrando in diretto conflitto con le popolazioni locali.[35][36] Con l'insediamento di questi popoli la regione corrispondente all'odierno Iran fu dominata da tribù persiane, dei Parti e dei Medi. Dal X al VII secolo a.C. assieme ai regni pre-iranici tali popolazioni iraniche divennero parte dell'Impero assiro, situtato nella Mesopotamia settentrionale.[37] Sotto il re Cyaxares i Medi e i Persiani si allearono con Nabopolassar di Babilonia e con l'aiuto degli Aramei, Cimmeri e Sciti attaccarono l'Impero assiro. Da ciò scaturì una guerra civile che durò dal 616 a.C. al 605 a.C. e che determinò la liberazione di vari popoli sottomessi all'Impero assiro.[37] L'unificazione dei Medi sotto un unico capo politico nel 728 a.C. portò alla creazione dell'Impero medo.[38]



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Nel 550 a.C. Ciro il Grande sottomise l'Impero medo e fondò l'Impero achemenide dopo aver unificato altre città-Stato nella regione. La sua ascesa al potere fu il risultato della ribellione dei Persiani, scaturita dalle azioni del re dei Medi Astiage: ribellione che si estese velocemente alle vicine provincie, le quali si allearono con i Persiani. Le successive conquiste di Ciro e dei suoi successori portarono all'annessione al nuovo Impero persiano di nuove regioni e province, quali Babilonia, l'Antico Egitto, la Lidia e le regioni a ovest del fiume Indo. L'espansione a ovest causò lo scontro diretto tra le varie città-Stato greche e l'impero, dando avvio alle cosiddette guerre persiane. Lo scontro si sviluppò in più occasioni durante la prima metà del V secolo a.C. e si concluse con la ritirata della Persia dai territori greci annessi nella prima parte della guerra.[39] L'impero aveva un sistema amministrativo centralizzato, formato grazie a una fra le prime burocrazie del mondo, sotto il comando diretto dello Shahanshah (scià) e dei suoi satrapi, coadiuvati da un vasto numero di funzionari pubblici e da un esercito di professionisti. Tale strutturazione amministrativa fu successivamente presa come esempio in vari altri imperi successivi.[40]



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Nel 334 a.C. Alessandro il Grande invase l'Impero achemenide, sconfiggendo l'ultimo Shahanshah di questa dinastia, Dario III nella battaglia di Isso del 333 a.C. Dopo la morte di Alessandro la Persia cadde sotto il controllo di vari regni ellenistici. Nel II secolo a.C. la Partia divenne la potenza principale nella regione, riprendendo controllo dei territori iranici occupati dai regni ellenistici e ricreando il precedente Impero persiano sotto l'Impero partico, tuttavia senza alcuna nuova espansione territoriale. L'Impero partico durò fino al 224 d.C., quando gli succedette l'Impero sasanide.[41]



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I Sasanidi stabilirono un impero con dimensioni pari a quello degli Achemenidi e con capitale a Ctesifonte.[42] Buona parte del periodo sotto l'Impero partico e l'Impero sasanide fu segnata dalle guerre romano-persiane, le quali avvennero sui confini occidentali e durarono circa settecento anni. Le guerre portarono all'indebolimento economico, militare e politico dell'Impero sasanide e dell'Impero bizantino, provocando successivamente la fine del primo con conseguenti estese perdite territoriale per mano delle armate dell'invasore arabo-musulmani.



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Medioevo

Le prolungate guerre romano-persiane, così come i conflitti interni al Impero sasanide, portarono alla conquista islamica della Persia nel VII secolo d.C.[43][44] Nonostante la debolezza politica la Persia godeva di un elevato livello di civiltà e cultura, come dimostrato da Jundishapur, riconosciuto come uno straordinario centro medico per competenze scientifiche e mediche.[45] Sconfitto inizialmente dal califfato dei Rashidun, fu governato negli anni successivi dal califfato dei Abbasidi e dei Omayyadi. Il processo di islamizzazione della Persia fu lungo e graduale. Sotto il dominio del califfato dei Rashidun e più tardi degli Omayyadi i Persiani, sia musulmani (mawālī) sia non-musulmani (dhimmi), furono discriminati, esclusi da governo e forze armate califfali, venendo inoltre forzati a pagare le tasse dovute dai non-musulmani, quali la jizya.[46][47] Nel 750 gli Abbasidi abbatterono il califfato degli Omayyadi, principalmente per via della insoddisfazione dei mawālī persiani.[48] I mawālī formarono la maggior parte dell'esercito dei rivoltosi, guidati da Abu Muslim.[49][50][51] Dopo due secoli sotto il dominio arabo cominciarono a formarsi i primi domini persiani autonomi o indipendenti (quali i Tahiridi, i Saffaridi, i Samanidi e i Buwayhidi). Nel IX e X secolo prevalse e solidificò il proprio potere la dinastia dei Samanidi,[52] durante il cui governo si cominciò nuovamente a far uso della lingua persiana scritta grazie all'opera storica di Bal'ami, che parafrasò Tabari.



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L'affermazione di un califfato abbaside vide il risorgimento della cultura persiana, discriminata durante il primo periodo del dominio arabo. In tale processo l'aristocrazia araba fu gradualmente sostituita dalla burocrazia persiana.[53] Ciò fece sì che la letteratura, filosofia e medicina persiana divenissero maggiori elementi della epoca d'oro islamica.[54][55] L'epoca d'oro islamica raggiunse il proprio culmine nell'XI secolo, durante il quale la Persia fu il teatro scientifico di maggior importanza.[45] Dopo il X secolo assieme all'arabo la lingua persiana divenne di uso comune per trattati di filosofia, storia, matematica, musica, scienza e medicina. Fra gli autori persiani più autorevoli dell'epoca vi sono Nasir al-Din al-Tusi, Avicenna, Qotb al-Din Shirazi, Naser-e Khosrow, al-Biruni e ʿUmar Khayyām.



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Il rifiorire della cultura persiana in questo periodo portò anche a un forte risorgere del nazionalismo persiano, dato che il tentativo degli anni precedenti di renderlo un Paese arabo (talora anche in maniera violenta) non aveva dato alcun frutto in Persia. Il movimento della Shuʿūbiyya non servì alla Persia per recuperare una maggior autonomia, visto che il suo ambito era quello puramente letterario, ma fu utile a restaurare un'identità culturale alquanto appannatasi con la conquista araba del Paese.[56] Uno degli elementi più importanti di questo movimento fu il recupero delle proprie tradizioni letterarie e in questo un ruolo importante fu svolto da Ferdowsi e dal suo capolavoro epico che recuperava un passato storico e mitico di fondamentale importanza per i persiani.



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Territorio: geografia umana

Il popolamento dell'Iran è il risultato di quella progressiva espansione verso S delle popolazioni centroasiatiche, indoeuropee, che da un lato hanno conquistato la valle dell'Indo (i popoli Ari), dall'altro, varcando il Kopetdag, l'altopiano iranico. Il Kopetdag è rimasto ancora, come più a E il Paropamiso, l'elemento divisorio tra area iranica e area turca. Tuttavia non mancano in Iran diversi gruppi di turchi: gli azerbaigiani che rappresentano un quarto della popolazione, i turcomanni che vivono a E del Mar Caspio, kashkai, nomadi e seminomadi dello Zagros, discendenti di un'orda giunta nel Paese a seguito dell'invasione mongola. Però la maggioranza delle popolazioni è data da iranici, tra i quali tuttavia si riconoscono gruppi etnici che hanno conservato una loro unità di promozione feudale: tra questi gruppi i principali sono quelli rappresentati dalle grandi tribù nomadi dello Zagros, tra cui i luri, i bactiari e gli stessi curdi (questi ultimi rappresentano, in territorio iranico, solo una frazione del più vasto gruppo che occupa l'Iraq nordorientale e la Turchia orientale); altro gruppo importante è quello dei baluchi nel Sudest del Paese. Gli Iranici veri e propri rappresentano il 51% del totale e non hanno soltanto una comune paternità ma sono stati anche profondamente plasmati nel tempo da una cultura che non ha mai perduto i suoi profondi legami unitari. Questi si rifanno anzitutto all'impero achemenide, che per la prima volta ha allacciato sotto un'unica organizzazione il territorio iranico, creando centri nodali non più abbandonati e ponendo nel Fārs il nucleo di base del Paese. Importante fu poi l'islamizzazione, che ha esaltato l'urbanesimo, consolidando quella struttura territoriale che ha i suoi centri nelle grandi oasi già privilegiate anteriormente. Sotto il dominio dei Safavidi l'urbanesimo fu ancora riattivato dalla vivacità economica e commerciale del Paese, che trovò in Eṣfahān la sua raffinata capitale. Con la dinastia dei Cagiari la capitale fu trasferita a Teheran, e si ebbe così una riorganizzazione territoriale che, già sotto il dominio di Nādir Shāh, era stata contrassegnata da un nuovo regime delle terre (che favorì la riconversione del feudalesimo in quel latifondismo perdurato sino alla seconda metà del sec. XX) e da una estesa sedentarizzazione delle popolazioni nomadi.

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Nel corso del Novecento, dopo un lungo periodo di decadenza e di isolamento, il Paese si aprì all'influsso occidentale grazie alla politica di Reẓā Pahlavī con il quale ebbero inizio tutti quei fenomeni caratteristici connessi alla modernizzazione, tra cui crescita demografica, sviluppo dell'urbanesimo, valorizzazione delle aree più funzionali rispetto ai traffici a svantaggio di quelle più povere e periferiche. La popolazione dell'Iran ha subito delle leggere variazioni, che però non mutano in maniera sostanziale il quadro generale della situazione demografica iraniana che si caratterizza per un tasso di crescita contenuto. La densità media è di 44 ab./km², con percentuali decisamente più alte nell'area della capitale, nelle province settentrionali e in quelle situate sul Mar Caspio. Sulla relativa stabilità demografica iraniana hanno esercitato, nell'ultimo decennio del sec. XX e nei primi anni del secolo successivo, una certa influenza i flussi di profughi provenienti dall'Afghanistan e dall'Iraq, una parte dei quali è stata rimpatriata (850.000 gli afghani che hanno fatto ritorno in patria tra il 2002 e il 2007). La popolazione della campagna rappresenta ancora quasi il 35% del totale. Esistono gruppi di nomadi, soprattutto nello Zagros, che compiono migrazioni stagionali tra le piane costiere affacciate al Golfo Persico (terre calde o Garmsir) e i pascoli dell'altopiano (terre fresche o Sardsir). Seminomadi si trovano nel Baluchistan, nell'Elburz e nell'Azerbaigian. Ma la maggior parte della popolazione, dopo i processi di sedentarizzazione, vive in villaggi. Essi sono di diverse dimensioni e si raccolgono nelle oasi, più o meno estese secondo la ricchezza d'acqua, attinta dai qanat, i canali sotterranei lunghi decine di chilometri che consentono agli insediamenti di porsi anche lontano dal pedemonte, nelle piane aperte, dove i suoli sono migliori. A questa distribuzione nelle pianure si debbono i villaggi tipo qal'a, cioè quei centri fortificati, numerosi soprattutto nel Khorāsān, la cui origine è antichissima e la cui diffusione sembra sia da ricollegarsi all'insicurezza lasciata dall'invasione mongola di Gengis Khān. Questi villaggi comunque si ponevano come difesa dalle incursioni dei nomadi che, nei secoli passati, si avevano frequentemente sul fronte settentrionale aperto al Turkmenistan (la diga di Alessandro, il Sād-e-Iskender, è un elemento di difesa che aveva funzioni un po' simili a quelle della muraglia cinese). Nelle oasi, nelle zone di agricoltura più intensiva, al villaggio compatto si è sostituito in qualche caso la casa sparsa (costruita di fango e aerata mediante prese d'aria; ben diversa è la casa urbana signorile che deriva da tradizioni antiche ed è di notevole raffinatezza). Tuttavia all'antico fenomeno della concentrazione della popolazione nelle poche aree coltivabili e ricche di acqua si è affiancato quello della tendenza all'inurbamento. La povertà dell'agricoltura e la presenza di attività commerciali, culturali e religiose nei centri urbani hanno da sempre rappresentato un incentivo allo sviluppo, ma l'avvio di un processo di industrializzazione nelle città ha richiamato un consistente afflusso di popolazione. L'esempio più eclatante di questo urbanesimo accelerato è Teheran, un'immenso agglomerato di quartieri miserabili, che si contrappongono in modo violento a quelli moderni e lussuosi della parte alta, sulle pendici ospitali del Kolum Bartek.

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La città è cresciuta in modo vertiginoso negli ultimi decenni del Novecento: nel 1930 contava solo 120.000 ab., mentre al censimento del 2006 contava quasi 8 milioni di ab., considerando anche le vaste bidonvilles periferiche. Ciò è dovuto al fatto che essa concentra le principali attività, rispetto alle quali è favorita dalla sua posizione nodale nei confronti delle aree più prosperose e popolose del Paese. La capitale è direttamente collegata con le altre città del Paese, nodi centrali, a loro volta, di distinte regioni: Tabrīz, chiave di volta del Nord-Ovest, Eṣfahān del Centro-Sud e Mashhad del Nord-Est. In particolare un notevole sviluppo ha avuto Eṣfahān: l'antica capitale safavide rappresenta la tipica città persiana, con la sua ordinata urbanistica sviluppata intorno alla Maydān-i-Sahāh, con i suoi magnifici monumenti e con il vicino bazar diviso in quartieri artigianali e commerciali; essa ha conservato gran parte del suo fascino e al tempo stesso è andata industrializzandosi e moltiplicando le sue attività. Sulla direttrice tra Eṣfahān e la capitale è collocata Qom, città santa sciita capoluogo della provincia omonima. Eṣfahān si trova inoltre sull'importante direttrice stradale che, verso S, continua fino a Shīrāz, capoluogo del Fārs, città anch'essa in notevole fase di sviluppo e ricca di attività commerciali e industriali. Funzioni analoghe svolge Tabrīz, la cui importanza è accresciuta dalla posizione sulle arterie che collegano la capitale alla Turchia, all'Armenia e all'Azerbaigian. Su Mashhad, all'estremità opposta del Paese, gravita tutto il Khorāsān; essa inoltre, unita alla capitale da una linea ferroviaria, si trova sulla direttrice che conduce al confine afghano ed è al centro di una ricca e vasta oasi. È anche un prestigioso centro religioso, frequentato da migliaia di pellegrini. Su Teheran fanno direttamente capo le città del Caspio, di cui Rasht è la maggiore. Nonostante siano ormai unite da buone comunicazioni con la capitale, minor sviluppo hanno avuto le città che si trovano ai margini dei deserti, centri di antica origine come Yazd e Kermān, poste sulla direttrice che prosegue sino a Zāhedān, città di recente valorizzazione presso il confine con il Pakistan. Città importante, che si aggira sul milione di abitanti è anche Ahvāz, capoluogo del Khuzistān e importante località culturale ed economica, mentre presso il Golfo Persico è Ābādān, porto d'imbarco del petrolio e grosso centro petrolchimico. Un ruolo più rilevante hanno assunto Karaj (nei pressi di Teheran) Bandar-e Khomenī e Bandar-e ‘Abbās (città portuali).

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Territorio: ambiente

Le condizioni climatiche del Paese sono all'origine della grande povertà di vegetazione. In generale predominano le formazioni steppiche, con graminacee, astragali, piante spinose. Tra le specie arboree si trovano tamerici e acacie, però in generale con fusto poco sviluppato. Nella parte più meridionale, la tropicalità del clima è rivelata dalla presenza di palme nane (pish) e, nelle oasi costiere, di palme da dattero, specie nella zona di Ābādān. Sui versanti montagnosi meglio irrorati si hanno specie vegetali di ambiente temperato, tra cui in particolare le querce, che un tempo dovevano formare grandi boschi, oggi assai degradati. Boschi lussureggianti invece si trovano ancora sul versante caspico dell'Elburz, dove compaiono molte altre specie temperate, come pioppi e salici, olmi, ecc., alberi d'ambiente ripario presenti peraltro ovunque vi siano acqua e irrigazione, anche sull'altopiano. La fauna selvatica comprende leopardi, gazzelle, tigri, onagri, iene, orsi, cinghiali, stambecchi. Vi sono numerosi roditori, rettili e anfibi; notevole anche il numero di uccelli migratori. Nel Golfo Persico e nel Mar Caspio vive una grande varietà di pesci. Le aree protette coprono il 6,8% del territorio con 16 parchi nazionali, istituiti per preservare particolari ecosistemi, e numerose oasi e riserve. È notevole l'inquinamento atmosferico (principalmente nelle aree urbane) dovuto alle emissioni industriali e delle automobili, e delle acque a causa dei rifiuti urbani e delle acque reflue; il Golfo Persico inoltre è inquinato dal petrolio. Il Paese è stato molto danneggiato, anche a livello ambientale, dalle guerre, in particolare da quella Iran-Iraq. Deforestazione, desertificazione, degrado del suolo sono altri problemi ambientali del Paese. Vi è infine insufficienza di acqua potabile.

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Storia: l’antica Persia

L'Iran, prima di essere occupato dalle tribù ariane, fu sede nella sua parte occidentale del regno elamita con capitale a Susa, che durante il II millennio a. C., sotto influenze mesopotamiche, ebbe una parte culturale importante fra la valle del Tigri, la catena degli Zagros e il litorale del Golfo Persico. Le tribù indeuropee, le cui prime sedi furono probabilmente le steppe della Russia meridionale e della Transcaucasia, mossero verso S intorno alla metà del II millennio. Fra le tribù di stirpe iranica stanziatesi nella parte occidentale dell'altopiano emergono per importanza gli Sciti, la cui supremazia fu di breve durata, i Medi, già citati negli annali assiri nell'836 a. C., il cui regno, con capitale Ecbatana, giunse dall'Elam all'Urartu, e principalmente i Persiani Achemenidi. Questi ultimi, dapprima sovrani di un piccolo regno nella regione di Pārsa, semindipendente sotto Assiri ed Elamiti, e poi vassallo dei Medi, giunsero a dominare in breve tempo quasi tutto il mondo antico, particolarmente sotto Ciro il Grande e Dario I (sec. VI-V a. C.), coi quali l'impero achemenide si estese dalla Tracia e dall'Egitto a occidentale sino al Gandhāra e alla valle dell'Indo a oriente. Tale impero, caratterizzato da una cultura composita e cosmopolita, grandiosa sintesi delle antiche civiltà della Mesopotamia, Siria, Egitto e Asia Minore, nel sec. IV a. C. cadde in pochi anni sotto i colpi di Alessandro Magno, che aprì la strada a una profonda ellenizzazione sia politica sia culturale dell'Iran, continuata sotto i Seleucidi. Presero quindi il sopravvento sull'altopiano iranico i Parti (sec. II a. C.-III d. C.), originari del Khorāsān, mentre l'estremità orientale dell'Iran era dominata, nei primi due secoli della nostra era, dal regno dei Kuṣāṇa. Una reazione nazionale iranica fu costituita dal sorgere della dinastia sassanide (sec. III-VII), originaria del Fārs, il cui impero fortemente centralizzato, con capitale a Ctesifonte in Mesopotamia, è segnato da un riassorbimento degli elementi ellenistici penetrati in Iran nelle epoche precedenti e da una rinascita delle tradizioni nazionali e della religione mazdea.

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Storia: dalla conquista araba al tentativo di protettorato inglese

La conquista araba (634-651) inserì l'Iran nell'impero musulmano che si andava creando nei primi anni dopo la morte di Maometto, diffondendo nel Paese l'Islam che sostituì quasi del tutto l'antica religione zoroastriana. Sotto i califfi omayyadi (661-750), che governavano da Damasco, l'Iran rimase in posizione alquanto marginale, mentre riacquistò la sua importanza col califfato degli Abbasidi, la cui ascesa si dovette soprattutto a elementi iranici, e che posero la loro capitale a Baghdad, sul territorio dell'antico impero sassanide. Con la disgregazione politica dell'impero califfale si vennero affermando a partire dal sec. IX in varie zone dell'Iran dinastie locali, fra cui i Tahiridi (820-872) nel Khorāsān e Transoxiana, coi loro successori Saffaridi (868-908), e particolarmente i Samanidi (874-999), che fondarono un vasto e importante Stato dal Khorāsān e Sistān sino a Taškent. Tali Stati, in seguito a scismi religiosi e alla pressione delle popolazioni centro-asiatiche, dovettero cedere a dinastie di origine turca, quali i Gasnavidi (sec. X-XII) con centro in Afghanistan, e i Selgiuchidi (sec. XI-XIII) che formarono un vasto regno comprendente Iran e Asia Minore, o di origine mongola: tali furono gli Ilkhānidi, successori di Hülägü, che governarono vaste zone dell'Iran sotto la sovranità del Gran Khān dei Mongoli, e i Timuridi. Una riscossa “nazionale” si ebbe, sotto le bandiere sciite, con i Safavidi (1502-1736). Il fondatore della dinastia, Ismāʽīl I, dopo una successione di rapide conquiste, cozzò invano contro l'ostacolo ottomano: di esso venne invece brillantemente a capo ʽAbbās I nei primi anni del Seicento grazie a un esercito organizzato all'europea. Ma dopo la morte di ʽAbbās I seguì un periodo di rapido declino: Baghdad, Armenia e Kurdistān furono recuperati dai Turchi. Nel 1722 gli Afghani saccheggiarono Esfahān, la capitale. L'impero persiano perse le sue province caucasiche, divise tra Turchi e Russi. La potenza dell'Iran appariva al tramonto, allorquando Nādir Shāh, un soldato di ventura, riuscì a risollevarne le sorti. Afghani, Turchi e Russi furono sconfitti o costretti con le minacce ad abbandonare i territori strappati. Successivamente Nādir invase l'India (1739) e annetté l'Afghanistan e le regioni a W dell'Indo; si rivolse poi a nord conquistando Khiva e Buchara. Alla morte di Nādir (1747) il vasto impero andò in pezzi. I successori di Nādir, gli Zand e i Cagiari (1786-1925) non raccolsero che una parte della sua eredità: inoltre dovettero ben presto fare i conti con la duplice pressione russa e inglese. Nel 1828 le regioni caucasiche furono definitivamente cedute alla Russia, mentre l'Inghilterra impedì ai Persiani di riconquistare l'Afghanistan (1857). I primi anni del Novecento sottolinearono i gravi mali che affliggevano il Paese: Russia e Inghilterra procedettero nel 1907 a una virtuale spartizione della Persia; all'interno le forze più illuminate strapparono allo scià Muzaffar ad-Dīn, nel 1906 (poco prima che morisse), una Costituzione. Durante la prima guerra mondiale la Persia fu neutrale, ma alla fine del conflitto gli Inglesi, approfittando della crisi che investiva la Russia, tentarono di imporre il loro protettorato al Paese. La manovra fallì.

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Storia: dalla dinastia dei Pahlavī alla Repubblica islamica

Dal caos del dopoguerra uscì un uomo forte, Reẓā Khān, che nel 1925 spodestò l'ultimo dei Cagiari, inaugurando la dinastia dei Pahlavī. Rezā (1925-41) restaurò l'autorità del governo centrale, promosse sulla scià del modello kemalista un'intensa campagna di modernizzazione “dall'alto” e cercò di impostare le relazioni con l'estero su un piano di parità. Ma non poté annullare le concessioni petrolifere inglesi e nel 1941 la sua neutralità filogermanica provocò un intervento anglo-russo. Lo scià abdicò in favore del figlio Moḥammad Reẓā. Durante il conflitto e nell'immediato dopoguerra l'URSS tentò di assicurarsi il controllo di vaste aree dell'Iran, ma i Paesi occidentali contrastarono tali iniziative. Nel 1951 i nazionalisti, guidati da Moṣaddeq, ebbero il sopravvento e decretarono la nazionalizzazione delle compagnie petrolifere. La reazione degli occidentali e delle forze conservatrici interne non si fece attendere: nel 1953 un colpo di Stato diretto dal generale Zāhedī privò Moṣaddeq del potere e aprì la via a un accordo con le compagnie petrolifere le quali, sia pure al prezzo di certe concessioni, recuperarono sostanzialmente le posizioni precedentemente detenute. Nel 1955 l'Iran aderì al Patto di Baghdad e, pur coltivando una politica di buon vicinato con l'URSS, mantenne sempre un atteggiamento decisamente favorevole agli Stati Uniti e successivamente (1971) stabilì normali relazioni diplomatiche con la Cina. Nel 1963 lo scià lanciò una campagna riformatrice, diretta a ridistribuire i latifondi fra i contadini e ad accelerare la modernizzazione del Paese, ma ben presto dovette ridimensionarla. Nel 1975 abolì l'opposizione legale facendola confluire in un unico partito, il Movimento per la Resurrezione politica nazionale (Rastakhiz). Ma l'opposizione allo scià si manifestò ugualmente con dimostrazioni e scioperi (1977 e 1978) e assunse dimensioni tali che egli decise di abbandonare il Paese (16 gennaio 1979). Il ritorno dall'esilio del leader religioso Rūḥollāh Khomeini (1º febbraio 1979) indusse l'esercito a ritirare, pochi giorni dopo, il proprio sostegno al primo ministro Chapur Baktiar che si rifugiava in Francia, dove poi sarebbe morto nel 1991 (Parigi) vittima di un attentato dei seguaci degli ayatollah. Khomeini, divenuto di fatto leader del Paese, nominò Mehdi Bazargan primo ministro. Mediante due successivi referendum popolari, sempre nel 1979, veniva instaurata la Repubblica islamica e quindi approvata la nuova Costituzione che designava Khomeini capo religioso supremo a vita, carica che accentrava l'effettivo potere politico. Nel frattempo, nel Paese scoppiarono diverse tensioni per le rivendicazioni autonomistiche delle minoranze etniche iraniane, mentre alcuni studenti iraniani sequestrarono il personale dell'ambasciata statunitense (4 novembre 1979), chiedendo in cambio il ritorno dello scià dagli USA per sottoporlo a processo. La questione, risoltasi grazie alla mediazione algerina col rilascio degli ostaggi (gennaio 1981), però passò in secondo piano con l'invasione di alcune zone del territorio iraniano (settembre 1980) da parte dell'Iraq per contese di frontiera. Gli anni Ottanta, quindi, si presentavano contrassegnati dal conflitto con l'Iraq, protrattosi fino all'agosto 1988, in una situazione di sostanziale stallo e di isolamento pressoché totale per l'Iran, e conclusosi con l'accettazione dei confini del 1975, secondo la risoluzione dell'ONU. Per quanto riguarda la politica interna, nel gennaio 1980 veniva eletto presidente della Repubblica Bani Sadr, esponente del Partito rivoluzionario islamico di Khomeini, che entrato presto in disaccordo col partito sulla nomina dei ministri del nuovo governo, nel giugno 1981, veniva sostituito da Moḥammad Alī Rajai, ucciso pochi mesi dopo in un attentato.

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Storia: il dopo Khomeini



A partire dal 1989, con la morte dell'imām Khomeini e l'elezione del nuovo presidente della Repubblica, Hashemi Alī Akbar Rafsanjani, i rapporti con l'estero sembravano avere un sensibile miglioramento. Rafsanjani, con il suo governo di tecnici, patrocinò azioni sia per la pacificazione della regione mediorientale sia per il rilascio degli ostaggi occidentali, detenuti in Libano dai gruppi sciiti, favorendo all'interno del Paese l'emarginazione delle correnti radicali islamiche. Un'ulteriore evoluzione nel campo delle relazioni internazionali fu prodotta dalla posizione di neutralità assunta in occasione della guerra del Golfo (gennaio-febbraio 1991). Le elezioni del 1992 per il rinnovo del Parlamento segnarono la disfatta dei candidati radicali dell'ala khomeinista, confermando la vittoria della linea moderata di graduale apertura all'Occidente, perseguita dal presidente Rafsanjani, riconfermato alla guida del Paese nelle successive presidenziali del 1993. La nuova fase di distensione con i Paesi occidentali subiva, però ben presto, una brusca interruzione per il divieto imposto dall'Iran alle società statunitensi di operare nel settore petrolifero iraniano. Accusata, inoltre, di promuovere il terrorismo e di dotarsi di un armamento nucleare, la Repubblica teocratica iraniana era costretta a subire un embargo finanziario e commerciale da parte degli Stati Uniti (aprile 1995), che andava a gravare ancora di più sul generale impoverimento del Paese, già tormentato da un'inflazione galoppante e da una crescente disoccupazione. Nel 1996, nonostante Rafsanjani avesse tentato di accentuare il carattere moderato della sua politica con il nuovo partito centrista, i Servi della Costruzione dell'Iran, e avesse stabilito un'alleanza con le componenti radicali di sinistra, le elezioni legislative confermarono ancora una volta l'egemonia dell'Associazione del Clero Combattente, movimento caratterizzato da un forte pragmatismo misto a improvvise fiammate di estremismo religioso. L'anno successivo, comunque, le elezioni presidenziali, con la vittoria di Moḥammad Khatami, una figura di rottura rispetto al rigorismo islamico ancora imperante, segnarono per l'Iran l'inizio di un processo di democratizzazione. Forte di un andamento economico momentaneamente positivo e di una nuova credibilità finanziaria, data dalla tenuta dei prezzi del petrolio sul mercato internazionale, il presidente Khatami si adoperava subito per un graduale processo di apertura democratica, simboleggiato anche dall'assegnazione della vicepresidenza a una donna, Massoumeh Ebtekar. La modernizzazione patrocinata dal nuovo presidente però incontrava forti resistenze da parte dei tradizionalisti che, controllando il potere giudiziario e disponendo della maggioranza parlamentare, incoraggiavano l'estremismo populista e trovavano alleati potenti in quegli strati della popolazione i cui interessi erano lesi dal rinnovamento culturale e dalla pur lenta liberalizzazione economica: di qui il riacutizzarsi, tra il 1998 e il 1999, dei fenomeni di violenza contro gli intellettuali liberali




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Ciò, tuttavia, intaccava solo parzialmente la popolarità di Khatami e dei suoi sostenitori, incoraggiati a proseguire sulla via di pur caute riforme anche dalla nascita del Fronte della Partecipazione Islamica, un'organizzazione politica autonoma dalla vecchia destra clericale e dai seguaci dell'ex presidente Rafsanjani. Per quanto riguarda la politica estera, la difficile transizione interna non aveva nessuna ripercussione sugli orientamenti internazionali del Paese: immutata restava la linea di una graduale normalizzazione dei rapporti con l'Occidente, bene accolta dagli Stati Uniti a partire dal 1998, anno in cui venivano sospese tutte le sanzioni commerciali anitiraniane, pur rimanendo ancora in vigore l'embargo. Altro passo decisivo per il reinserimento iraniano in campo internazionale era il miglioramento delle relazioni con il mondo arabo. Benché infatti continuassero a sussistere contrasti con gli Emirati Arabi Uniti, si intensificavano gli scambi economici con gli Stati affacciati sul Golfo, si distendevano i rapporti con l'Egitto e l'Arabia Saudita. Nel 2000, malgrado i continui ostacoli posti dall'ala conservatrice al governo, i riformisti ottenevano anche nelle elezioni legislative una schiacciante vittoria. Trionfo riaffermato nelle presidenziali del 2001, che decretavano la rielezione di Khatami. Pur non avendo risolto ancora i nodi di fondo di un Paese in bilico tra democrazia e teocrazia, in cui il fondamentalismo degli sciiti, se pur ridimensionato, trovava un autorevole punto di riferimento nell'ayatollah Alī Khamenei, Khatami e i riformisti raccoglievano, quindi, notevoli consensi alla loro politica di modernizzazione soprattutto tra i giovani e le donne. Un problema irrisolto rimaneva però quello dei profughi afghani: l'invasione sovietica (1979-1989) e la guerra esplosa tra le diverse fazioni islamiche prima e l'attacco statuninense all'Afghanistan poi (2001) avevano infatti causato l'esodo verso l'Iran di oltre un milione di persone, incidendo pesantemente anche sulla situazione economica del Paese. Nel 2003 si verificavano numerose manifestazioni di protesta da parte degli studenti, che protestavano contro le gerarchie conservatrici che ostacolavano le riforme. Nel dicembre dello stesso anno un disastroso terremoto distruggeva la città di Bam, provocando decine di migliaia di morti e feriti. Nel febbraio 2004 si svolgevano le elezioni legislative che venivano vinte dai conservatori, dopo che i riformisti avevano invitato l'elettorato ad astenersi, per protestare contro la gestione della campagna elettorale da parte degli avversari. In agosto il Parlamento, composto in maggioranza da conservatori, bocciava un progetto di legge sulla parità trai i sessi proposto dal governo riformatore. Si era aperto nel frattempo un contenzioso con Europa e Stati Uniti circa il programma nucleare del Paese, che vedeva una prima soluzione con l'impegno, in novembre, da parte del governo di Teheran, di sospendere le attività di arricchimento dell'uranio, nell'ambito di un accordo con la UE. Nelle elezioni presidenziali di giugno 2005 si affermava il candidato conservatore Mahmūd Ahmadinejād, già sindaco di Teheran; anche questa volta il voto si caratterizzava per l'esclusione dalla competizione elettorale di numerosi candidati riformisti e per l'alto tasso di astensionismo tra gli elettori riformisti. Il primo atto del nuovo governo è consistito nella ripresa del programma nucleare, rompendo l'accordo con la UE. Nell'aprile del 2006 Ahmadinejād annunciava, che per la prima volta il processo di arricchimento dell'uranio era stato portato a termine, suscitando la preoccupazione della AIEA e della comunità internazionale e portando, nel luglio dello stesso anno, il Consiglio di Sicurezza del'ONU a dare un ultimatum al governo iraniano e a porre un embargo sulle forniture tecnologiche, nucleari e missilistiche (2007). Sul versante delle relazioni dirette con gli Stati Uniti, interrotte nel 1979, nel maggio del 2007 si svolgevano a Baghdad i primi colloqui ufficiali tra i due Paesi attorno al tema della crisi irachena sia pure senza grandi progressi. Nel marzo 2008 i partiti conservatori vincevano le elezioni, ma dall'opposizione e dalla comunità internazionale giungevano critiche sia sullo svolgimento sia sui risultati. Nel giugno del 2013 si svolgevano le elezioni presidenziali vinte al primo turno dal moderato Hassan Rohani con il 50,68% dei voti.

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Cultura: generalità

Il panorama culturale che l'Iran di oggi rappresenta ed esprime deriva in larga parte dalla civiltà persiana, che qui nacque e si sviluppò. Molto forte è infatti il legame che ancora lega gli iraniani al loro passato, così come grande è l'impegno per mantenere vivi questi vincoli. L'eredità del grande impero achemenide non è però l'unica componente del variegato mosaico odierno: vi si sono inserite le tradizioni della regione armena, le cui propaggini occupano il NW del Paese, quelle del Khorāsān, area situata nel NE e, ovviamente, gli influssi delle culture della Mesopotamia. Memoria tangibile di tale straordinario passato sono, per esempio, i siti inseriti dall'UNESCO nel patrimonio dell'umanità: Meidan Emam, Eṣfahān (1979); Persepoli (1979); Tchogha Zanbil (1979) presso Īlām; Takht-e Soleyman (2003); Bam e il suo paesaggio culturale (2004, 2007); Pasargadae (2004); Soltaniyeh (2005); Bisotun (2006). Lungo i secoli poi i diversi gruppi etnici che in Iran sono confluiti hanno apportato il proprio contributo, in termini di costumi, valori, folclore. Non ultima va considerata la componente religiosa, trasversale alle diverse comunità, dell'islamismo sciita, la cui marcata impronta sulla società ha connotato in maniera forte le abitudini quotidiane e gli stili di vita. Uno scenario, dunque, quanto mai nutrito, valorizzato con efficacia da un popolo che ne è orgogliosamente consapevole e che ha dato vita a espressioni multiformi in ogni ambito, dall'architettura, alla musica, alla letteratura. L'Iran attuale ha inoltre visto crescere la forza con cui le suggestioni dell'Occidente si sono inserite nella società, nonostante i regimi succedutisi alla guida della repubblica islamica non si siano distinti per l'apertura verso l'esterno. In ogni caso oggi si praticano sport occidentali come il calcio e il rugby, e si ascolta la musica rock. Anche in arte e letteratura l'Iran ha visto mescolarsi tradizione e modernità: il fermento culturale in atto è in costante progresso, alimentato in forme più o meno esplicite soprattutto dai giovani, i quali sempre di più guardano fuori dai confini nazionali alla ricerca di stimoli, idee e confronti per non restare prigionieri di un immobilismo che poco ha a che fare con la tradizione.

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Cultura: tradizioni

L'Iran, per il suo passato più che millenario, per il suo complesso tessuto storico e tradizionale, rappresenta, per quanto concerne il folclore, uno dei più complessi mosaici. Le sue usanze e i suoi costumi sono del resto marcati da una delle più misteriose e al tempo stesso delle più affascinanti religioni: lo sciismo, che ha inglobato l'eredità spirituale delle origini e l'influsso arabo in un'osmosi che ha influenzato in modo determinante le abitudini dei popoli nomadi, quelle ancestrali dei contadini e quelle cittadine. La vita sociale in Iran si distingue dalle vicine nazioni arabe per una maggiore semplicità della cucina (il riso occupa, come in India, un posto importante, ma è la frutta che prende il primo posto nell'alimentazione nazionale) e per una grande raffinatezza, soprattutto riguardo ai colori, agli abiti, alle suppellettili ecc. L'intero folclore del Paese è scandito dalle feste: se ne contano 51 nell'anno, prima tra tutte quelle del Now Ruz (capodanno) che ha luogo il 21 marzo e in cui, tra l'altro, tutto viene dipinto di rosso, dalle barbe degli uomini alle criniere e code degli animali. Gli altri elementi che più colpiscono, soprattutto nei centri urbani, consistono nell'attività nei pressi delle moschee (i cui cortili esterni sono veri e propri “giardini” per la meditazione), nell'intensa vita di scambi e di conversazioni nei bagni pubblici, nell'“ambiente” del tutto particolare dei caffè (riservati agli uomini), in cui cantastorie e musicisti raccontano le “vicende antiche” (tratte principalmente dal Libro dei re di Firdūsī), e infine in una istituzione straordinariamente pittoresca, quella delle zur-khané (“case della forza”, da intendere sia in senso fisico sia in senso morale), in cui vengono fatti esercizi ginnici dai movimenti particolarmente complessi, con delle clave molto pesanti o delle catene, alla presenza di un pubblico di adepti (e non di curiosi). Quest'ultima istituzione, unita a quelle legate ai mestieri (soprattutto alla pratica della tintura dei tappeti), testimonia del persistere in Iran delle “confraternite”, intese come una sorta di “cavalleria” nel senso medievale del termine, strettamente riservate agli uomini. Il tappeto è in Iran soprattutto elemento di pratica utilità, prima di essere un accessorio decorativo. E con i tappeti vanno ricordate le coperte, specie quelle per cavalli, le djol, opere di pazientissimo lavoro a mano che a volte richiedono anche un intero anno di lavoro. Altre espressioni dell'artigianato locale sono gli avori minuziosamente dipinti (soprattutto braccialetti), attraverso i quali rivive l'antica tradizione della miniatura persiana, i lavori in legno, gli oggetti di rame e di cuoio, specialmente dei nomadi del Sud.

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Cultura: letteratura. La produzione preislamica

Il più antico documento della letteratura iranica prima dell'avvento dell'Islam è l'Avestā, in cui è contenuta la predicazione religiosa di Zarathustra (sec. VI a. C.). Dell'Iran achemenide (sec. VI-IV a. C.) non ci rimangono opere letterarie, ma solo iscrizioni monumentali; le più importanti sono quelle di Behistūn, di Persepoli e di Susa, fatte scolpire da Dario e da Serse, in antico persiano, in accadico e in elamico. Con i Sassanidi (sec. III-VII) si assiste, dopo la parentesi di ellenizzazione del periodo arsacide, a una ripresa vigorosa della religione zoroastriana, testimoniata da una vasta produzione di parafrasi ed esegesi dei testi avestici, in una lingua medio-iranica sudoccidentale, il pahlavi. Di questa letteratura esegetica basterà ricordare il Denkart (Atti della fede), una specie di enciclopedia del mazdeismo (nome più recente per esprimere la religione di Zarathustra) pervenutaci in una redazione tarda, del sec. IX, e il Bundahišn (Storia della creazione). Sempre in pahlavi si possiede una non vasta produzione di ispirazione profana, dove cominciano ad apparire le leggende care poi ai poeti dell'Iran musulmano. Importanti, perché precedenti immediati del Libro dei re di Firdūsī in quanto a patrimonio di leggende e a ispirazione nazionale, sono i brevi romanzi in prosa assai popolari in quel tempo, di cui il più noto è il Libro delle gesta di Artaxšīr, figlio di Papakān, in cui viene celebrata la dinastia dei Sassanidi, a noi noto nella redazione composta intorno al 650. Poco si possiede della produzione poetica: soltanto la Storia degli Zārer (forse sec. IV) sembra accogliere le eco epiche degli yašt dell'Avestā nel racconto della guerra fra il re turanico Arǧasp e il re Guštasp, fedele alla religione di Zarathustra.

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Cultura: letteratura. La produzione neopersiana

Con l'invasione araba del sec. VII si fa iniziare la letteratura neopersiana. Sull'inaridita cultura aristocratica dei Sassanidi si innestò la ricca e vitale tradizione araba, tanto che dopo poco più di un secolo il lessico letterario persiano era in gran parte sostituito da quello arabo. La letteratura neopersiana appare forse come la più raffinata ed elegante fra le grandi letterature islamiche e abbraccia quasi tutti i generi letterari tradizionali, poesia (lirica ed epico-cavalleresca), prosa d'arte, storiografia, filosofia, trattatistica scientifica, ecc. Il suo veicolo linguistico, il neopersiano (fārsī), già lingua d'arte delle corti del mondo islamico dalla Turchia ottomana all'India moghūl e poi lingua ufficiale, seppure con varianti, dell'Iran, dell'Afghanistan e del Tagikistan, ha contribuito grandemente, con la sua struttura grammaticale estremamente duttile e sciolta, allo sviluppo e alla conoscenza di questa letteratura ben oltre i confini politici dell'Iran attuale. Spesso espressione di una società d'élite, e già al suo apparire ricercata e quasi definitivamente precisata nei suoi canoni estetici, la letteratura neopersiana si può dire non conosca, nel corso della sua già oltre millenaria storia, grandi variazioni stilistiche e, specie in poesia, si affida semmai alla diversità di contenuto tradizionalmente prevista dai suoi generi letterari (qaṣīda, masnavī, ġhazal, rubā'ī) per variare i propri motivi di ispirazione. I primi grandi nomi sono quelli dei poeti dell'età samanide (sec. IX-X), il lirico Daqīqī (m. ca. 952, autore di un masnavī) che si conosce in parte attraverso il Libro dei re di Firdūsī, e Rūdakī (m. 943), che in uno stile ornato rielaborò la famosa raccolta di favole indiane Calila e Dimna, purtroppo perduta. Ma fu tra i poeti della cosiddetta pleiade ghaznavide, riuniti alla corte del sovrano Maḥmūd'd di Ghaznā e dei suoi successori, che emersero figure di prima grandezza nella storia della cultura iranica e islamica di quel periodo; si ricordano i nomi di Farrūkhī (m. 1038), Asgiadī, Manūčihrī (m. 1041) e soprattutto di Firdūsī (m. ca. 1020), autore del Libro dei re, grandiosa cronaca in versi della storia dell'Iran dalle origini alla conquista araba. La successiva epoca dei Turchi selgiuchidi (sec. XI-XIII) vide il fiorire dei grandi masnavī di Niẓami di Gangia (1140-1203) e l'opera poetica e scientifica di ʽUmar Hayyām (m. ca. 1123), famoso anche in Europa per la fortunata traduzione che delle sue poesie brevi fece nel secolo scorso il letterato inglese E. Fitzgerald. Anche la prosa raggiunse in questo periodo la sua maturità: si ricordano i preziosi Quattro trattati di Niẓami ʽAruzi di Samarcanda (m. 1174), pieni di utili notizie culturali e culmine stilistico della prosa in stile antico. Il periodo dei Mongoli e dei loro successori Timuridi (sec. XIII-XV), politicamente caratterizzato dal frazionarsi dell'Iran e dell'Asia centrale in tanti piccoli regni autonomi, è l'epoca di Saʽdī (1184-1291) e di Ḥāfiẓ (ca. 1319-ca. 1390), insuperati maestri della prosa d'arte il primo (nell'elegantissimo e terso Roseto) e della lirica (ġhazal soprattutto) il secondo. Questo fertilissimo periodo, forse il “secolo d'oro” della letteratura neopersiana, vide ancora le figure di Rūmī (1207-1273), il più grande mistico di Persia, dello storico Mīrkhwānd, per chiudersi con gli armoniosi masnavī dell'ultimo poeta “classico”, Giāmī (1414-1492). Dalla sua opera risulta il grado di perfezione e di raffinatezza raggiunto dalla poesia persiana, ma anche l'esigenza di rinnovamento di una poetica non più vitale, consunta dall'irripetibilità della sua stessa perfezione. Con il sec. XVI iniziò infatti un periodo di decadenza causato anche dalle difficili condizioni politiche del Paese, sconvolto da lotte intestine. Molti poeti si rifugiarono in India alla corte del Gran Mogol, dando vita a quel cosiddetto “stile indiano” che ebbe il suo massimo rappresentante in Ṣāʽib di Tabrīz (1601-1677). Solo tra la fine del sec. XIX e gli inizi del XX si ebbe una ripresa della vita letteraria, stimolata anche dal mutato clima politico.

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Cultura: letteratura. La produzione neopersiana

Con l'invasione araba del sec. VII si fa iniziare la letteratura neopersiana. Sull'inaridita cultura aristocratica dei Sassanidi si innestò la ricca e vitale tradizione araba, tanto che dopo poco più di un secolo il lessico letterario persiano era in gran parte sostituito da quello arabo. La letteratura neopersiana appare forse come la più raffinata ed elegante fra le grandi letterature islamiche e abbraccia quasi tutti i generi letterari tradizionali, poesia (lirica ed epico-cavalleresca), prosa d'arte, storiografia, filosofia, trattatistica scientifica, ecc. Il suo veicolo linguistico, il neopersiano (fārsī), già lingua d'arte delle corti del mondo islamico dalla Turchia ottomana all'India moghūl e poi lingua ufficiale, seppure con varianti, dell'Iran, dell'Afghanistan e del Tagikistan, ha contribuito grandemente, con la sua struttura grammaticale estremamente duttile e sciolta, allo sviluppo e alla conoscenza di questa letteratura ben oltre i confini politici dell'Iran attuale. Spesso espressione di una società d'élite, e già al suo apparire ricercata e quasi definitivamente precisata nei suoi canoni estetici, la letteratura neopersiana si può dire non conosca, nel corso della sua già oltre millenaria storia, grandi variazioni stilistiche e, specie in poesia, si affida semmai alla diversità di contenuto tradizionalmente prevista dai suoi generi letterari (qaṣīda, masnavī, ġhazal, rubā'ī) per variare i propri motivi di ispirazione. I primi grandi nomi sono quelli dei poeti dell'età samanide (sec. IX-X), il lirico Daqīqī (m. ca. 952, autore di un masnavī) che si conosce in parte attraverso il Libro dei re di Firdūsī, e Rūdakī (m. 943), che in uno stile ornato rielaborò la famosa raccolta di favole indiane Calila e Dimna, purtroppo perduta. Ma fu tra i poeti della cosiddetta pleiade ghaznavide, riuniti alla corte del sovrano Maḥmūd'd di Ghaznā e dei suoi successori, che emersero figure di prima grandezza nella storia della cultura iranica e islamica di quel periodo; si ricordano i nomi di Farrūkhī (m. 1038), Asgiadī, Manūčihrī (m. 1041) e soprattutto di Firdūsī (m. ca. 1020), autore del Libro dei re, grandiosa cronaca in versi della storia dell'Iran dalle origini alla conquista araba. La successiva epoca dei Turchi selgiuchidi (sec. XI-XIII) vide il fiorire dei grandi masnavī di Niẓami di Gangia (1140-1203) e l'opera poetica e scientifica di ʽUmar Hayyām (m. ca. 1123), famoso anche in Europa per la fortunata traduzione che delle sue poesie brevi fece nel secolo scorso il letterato inglese E. Fitzgerald. Anche la prosa raggiunse in questo periodo la sua maturità: si ricordano i preziosi Quattro trattati di Niẓami ʽAruzi di Samarcanda (m. 1174), pieni di utili notizie culturali e culmine stilistico della prosa in stile antico. Il periodo dei Mongoli e dei loro successori Timuridi (sec. XIII-XV), politicamente caratterizzato dal frazionarsi dell'Iran e dell'Asia centrale in tanti piccoli regni autonomi, è l'epoca di Saʽdī (1184-1291) e di Ḥāfiẓ (ca. 1319-ca. 1390), insuperati maestri della prosa d'arte il primo (nell'elegantissimo e terso Roseto) e della lirica (ġhazal soprattutto) il secondo. Questo fertilissimo periodo, forse il “secolo d'oro” della letteratura neopersiana, vide ancora le figure di Rūmī (1207-1273), il più grande mistico di Persia, dello storico Mīrkhwānd, per chiudersi con gli armoniosi masnavī dell'ultimo poeta “classico”, Giāmī (1414-1492). Dalla sua opera risulta il grado di perfezione e di raffinatezza raggiunto dalla poesia persiana, ma anche l'esigenza di rinnovamento di una poetica non più vitale, consunta dall'irripetibilità della sua stessa perfezione. Con il sec. XVI iniziò infatti un periodo di decadenza causato anche dalle difficili condizioni politiche del Paese, sconvolto da lotte intestine. Molti poeti si rifugiarono in India alla corte del Gran Mogol, dando vita a quel cosiddetto “stile indiano” che ebbe il suo massimo rappresentante in Ṣāʽib di Tabrīz (1601-1677). Solo tra la fine del sec. XIX e gli inizi del XX si ebbe una ripresa della vita letteraria, stimolata anche dal mutato clima politico. Sotto l'influenza occidentale gli scrittori persiani hanno abbandonato i canoni dell'imitazione classica per una prosa scarna, semplificata, che si adatti ai temi trattati, che sono per lo più di denuncia delle condizioni di arretratezza del Paese. Anche la lingua è stata radicalmente rinnovata; da una parte c'è stato il tentativo di sostituire al lessico arabo termini peculiari iranici, sollecitato anche dalle autorità, ma rimasto sostanzialmente lettera morta, dall'altra si è sviluppato un interesse per il linguaggio popolare, adottato con successo dalla maggior parte degli scrittori contemporanei. Domina fra tutti la figura di Ṣādieq Hidāyat (1903-1951), considerato dai Persiani come il loro più grande narratore. E in effetti la sua narrativa all'interno del Paese ha avuto un'importanza enorme per l'introduzione di tecniche nuove nella giovane novellistica persiana, mentre offre scarsi valori su un piano universale. Delle sue opere la più nota in Occidente è Il gufo cieco (1941), storia di un solitario pittore, fumatore d'oppio, in preda a un incubo che si può definire kafkiano. Altri nomi di rilievo sono, tra i narratori, Muḥammad ʽAlī Ǧamāl-zada (1892-1997), autore della raccolta di novelle C’era una volta (1922) e del romanzo Il manicomio (1942), e, tra i poeti, Farrukhī Yazdī (1888-1938), autore di raccolte inneggianti alla libertà e al comunismo, Abū'l-Qāsim Lahūtī (1887-1957), di cui è soprattutto famosa la sua ode al Cremlino, carme di esaltazione alla Russia socialista, la poetessa Parvīn Eʽtesami (ca. 1906-1941), che si è espressa in un linguaggio colloquiale. Fra gli altri autori, Āl-e Aḥmad (1923-1969), Afghānī (n. 1925), Nāder Nāderpūr (1929-2000), Modarresī (n. 1934), Aḥmad Reẓā Aḥmadī (n. 1940). Si distingue da questi Abdulkarim Soroush (n. 1945), filosofo e docente (da alcuni anni ad Harvard) ma soprattutto figura di riferimento per il movimento democratico iraniano in prima linea nella lotta al fondamentalismo e alla censura. Le generazioni dei nuovi scrittori iraniani contano alcuni nomi già sulla ribalta internazionale. Tra questi si segnalano tre donne: Azar Nafīsī (n. 1955), espulsa dall'Iran nel 1997, che con Leggere Lolita a Teheran, best-seller mondiale, ha saputo parlare degli anni della dittatura islamica con forza, sensibilità, coraggio come pochi altri prima di lei; Bahiyyih Nakhjavani, autrice di La donna che leggeva troppo, in cui è nuovamente la letteratura il mezzo di espressione e ribellione alle imposizioni dall'alto; e Marjane Satrapi (n. 1969), il cui romanzo autobiografico a fumetti Persepolis ha illustrato al grande pubblico un ulteriore spaccato della società iraniana del secondo Novecento.

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