IL FARO DEI SOGNI

Categoria:Inventori italiani

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Domenico Mastini


Domenico Mastini (Roma, 13 febbraio 1897 – Milano, marzo 1973) è stato un inventore italiano, ideatore e progettista di oggetti ad alto contenuto tecnologico ideati con molto anticipo rispetto alla reale diffusione commerciale.

Lavori

Domenico Mastini ha progettato diverse macchine in svariati campi (radiocomunicazioni, aeronautica, fluidodinamica, elettromeccanica), riuscendo in alcuni casi a realizzare il solo progetto, in altri a spingersi alla realizzazione prototipale, in altri ancora arrivando all'avvio di una produzione commerciale. Le sue idee sono state coperte da numerosi brevetti internazionali ma, nonostante questo, molte di esse sono state realizzate da altri, diversi anni dopo, quando era ormai intervenuta la scadenza del brevetto.

Oltre alla progettazione tecnica Mastini si cimentò anche nella definizione di polizze assicurative e prodotti finanziari.[1][2][3]
Radiotelefono

Nel 1935, presso la Mostra Nazionale delle Invenzioni di Torino, fu presentato il radiotelefono automatico mobile da lui ideato e realizzato. Attraverso tale sistema era possibile telefonare, da un veicolo provvisto di questo dispositivo, a ogni apparecchio della rete telefonica urbana automatica.[4][5] Tale sistema era costituito da un ricetrasmettitore fisso con trasmettitore operante sulla frequenza dei 46 MHz e un ricevitore operante sui 42 MHz. L'apparecchio telefonico, viceversa, aveva il trasmettitore sui 42 MHz e il ricevitore sui 46 MHz. Ciò consentiva al telefono installato sulla vettura di collegarsi alla rete telefonica per distanze dal ricetrasmettitore fisso fino a qualche decina di chilometri.[6][7][8][9] Per questa invenzione Mastini fu premiato nel 1939 da Benito Mussolini a Palazzo Venezia con la Coppa del Re Imperatore.[10]

Nel 1943 la licenza fu ceduta da Mastini a grandi aziende tedesche per il territorio del Großdeutsches Reich. Si iniziava già allora a intravedere la possibilità di un vero e proprio telefono portatile sia per il destinatario che per il ricevente [11]: un ulteriore sviluppo del progetto del 1944 prevedeva infatti di realizzare una rete radiotelefonica automatica attraverso l'installazione dei terminali sulle montagne[12], anticipando di quasi trent'anni l'invenzione di quello che sarebbe stato il telefono cellulare, poi realizzato nel 1973 da Martin Cooper, direttore della sezione Ricerca e sviluppo della Motorola.

Il progetto, pubblicato nel 1945, è rintracciabile presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.[13]

Mastini intentò una causa civile contro AT&T e altre due compagnie statunitensi, la Western Electric Company, principale fornitore di AT&T, e la New York Telephone Company, gestore all'epoca dei servizi telefonici nella città di New York per conto di AT&T, per violazione del proprio brevetto. Mastini perse la causa perché, secondo il giudice Medina, nella sentenza di appello del 1966, il sistema di Mastini era automatico mentre quello della AT&T era manuale e funzionava solo mediante operatore.[14]
Convertiplano

Sempre nel 1935 Domenico Mastini, attraverso l'Associazione Nazionale Fascista Inventori, fu promotore presso, il Ministero dell'Aeronautica, di un suo progetto di aeroplano-elicottero, un precursore del convertiplano, al fine di ottenere un finanziamento per la costruzione del prototipo. Di questo progetto è andata persa qualsiasi documentazione originaria.[15] Solo nel 2005, 70 anni dopo l'idea di Mastini, è stato certificato il primo esemplare di convertiplano commerciale, il Bell Boeing V-22 Osprey.
Radio a gettone

Nel 1937, Phonola presentò un apparecchio radio, progettato da Mastini, a gettone o radiomoneta, che rimaneva in funzione per un tempo definito e proporzionale al valore della "moneta" inserita nella gettoniera collegata tra l'alimentazione e la radio.[16] Per questa soluzione, la Phonola mise in produzione un antesignano del jukebox, il modello 670M, in cui la lettera M individua il progettista, Mastini. Dello stesso apparecchio fu messa in commercio anche una variante domestica priva di gettoniera.[12][17][18] Una variante dello stesso progetto, solo brevettata e mai realizzata, consentiva di applicare la gettoniera a un apparecchio televisivo.[19]
Macchina da scrivere elettrica

Nel 1948 brevettò una macchina per scrivere elettrica trasportabile, con meno servomeccanismi e connessioni elettriche, e quindi più economica di quelle realizzate all'epoca. Una particolarità della macchina per scrivere elettrica di Mastini era quella di poter regolare la pressione necessaria da esercitare sui tasti.[20]
Segreteria telefonica

Nel 1954 brevettò un sistema elettromeccanico di risposta automatica e registrazione delle chiamate telefoniche in arrivo, un precursore della segreteria telefonica. Il sistema era anche protetto da un meccanismo di codifica che consentiva l'accesso ai messaggi registrati solo agli operatori autorizzati.[21][22]
Sistema idraulico a dislivello naturale

Nel 1966, Domenico Mastini brevettò un sistema capace di ottenere il massimo lavoro utilizzando il flusso di liquido che per caduta si spostava da una posizione più elevata a una inferiore. Il sistema riusciva a essere una fonte di forza motrice per azionare un meccanismo (ad esempio, una turbina) anche in presenza di bassi dislivelli.[23]



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Felice Matteucci

Felice Matteucci (Lucca, 12 febbraio 1808 – Capannori, 13 settembre 1887) è stato un ingegnere e inventore italiano.
Brevetto inglese per il motore Barsanti-Matteucci (12 giugno 1857) conservato presso l'archivio del Museo Galileo
Modello del motore Barsanti-Matteucci all'osservatorio Ximeniano di Firenze

Con Eugenio Barsanti realizzò il primo motore a combustione interna.

Biografia

Il padre di Matteucci fu insigne avvocato e Ministro di Giustizia del Principato di Lucca e Piombino. Sposò Angiola Tomei Albiani di Pietrasanta, città allora compresa nel Granducato di Toscana, e ciò lo indusse presto ad interagire con personaggi influenti di quello Stato. Dopo la restaurazione il Matteucci divenne un diplomatico al servizio del Granducato e questo lo portò a distaccarsi progressivamente dall'ambiente lucchese (Lucca era capitale di un suo Ducato, non faceva parte dello Stato toscano). Il giovane Felice iniziò i suoi studi accademici nel 1823/24 nell'Università Lucchese (vedi Università di Lucca). Il padre venne però nominato rappresentante diplomatico del Granduca di Toscana in Francia e ritenne di dover iscrivere il figlio al Real Collegio Borbonico di Parigi, dove studiò ingegneria idraulica e meccanica. Dopo un anno di permanenza nella capitale francese i Matteucci rientrarono in Italia e Felice continuò la sua formazione scientifica a Firenze.

In seguito il padre di Felice assunse alti incarichi nel governo toscano e lavorò alla compilazione del codice delle leggi. I Matteucci vivevano prevalentemente a Firenze e conservavano due dimore nel Ducato di Lucca e, probabilmente durante i lunghi soggiorni nella villa di Vorno (oggi comune di Capannori, Lucca), Felice studiò l'assetto idraulico del Lago di Sesto o Bientina, grande specchio d'acqua posto al confine tra Stato lucchese e Granducato. Nel 1835, a soli 27 anni, lo studioso formulò un progetto per la bonifica del lago. L'ipotesi fu presentata al governo granducale che però decise di scartarla, generando nel Matteucci una delusione notevole. Nel 1838 sposò Giulia Ramirez de Montalvo da Campi Bisenzio, ultima discendente di una nobile famiglia di origine spagnola, e si trasferì nella villa della moglie. Nel 1851 conobbe il pietrasantino padre Eugenio Barsanti degli Scolopi e rimase impressionato dalla sua idea per un motore a combustione interna; da questo momento i due collaborarono per tutta la vita allo sviluppo pratico dell'invenzione.
Motore a scoppio Barsanti e Matteucci, 1854 (riproduzione ante 1962, Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci, Milano). Fu il primo esempio di motore a combustione interna usato per azionare macchine utensili.

Tra il 1851 e il 1864 i due costruirono vari prototipi di motore a scoppio, provando alcune varianti al concetto di combustione interna ad un cilindro. Presentarono inoltre vari brevetti in Italia e all'estero a nome della Società anonima del nuovo motore Barsanti e Matteucci. Il motore fu sviluppato presso l'Osservatorio Ximeniano di Firenze e all'invenzione dettero un qualche apporto Giovanni Antonelli e Filippo Cecchi. Purtroppo i due inventori, nonostante avessero depositato numerosi brevetti, non si videro mai riconoscere l'invenzione e questo non incise in modo positivo sulle condizioni del Matteucci che, già dal 1862, aveva iniziato a soffrire di esaurimento nervoso.

Dopo la morte del socio nel 1864 e il fallimento della società costituita per promuovere l'applicazione del motore a macchine industriali, ritornò alla sua attività di ingegnere idraulico. Fece studi su idrometri e pluviometri e sulle opere idrauliche fluviali.

Nel 1877 rivendicò per sé e per Barsanti la priorità dell'invenzione del motore a combustione interna, nel frattempo sviluppato da Nikolaus August Otto in modo palesemente simile al motore Barsanti-Matteucci.

Gli insuccessi e le frustrazioni accumulate favorirono la malattia, che probabilmente ne causò la morte nella sua villa di Vorno, frazione di Capannori posta a pochi chilometri da Lucca.

La sua salma fu collocata nella cappella della Villa Montalvo di Campi Bisenzio, comune del quale fu consigliere comunale (dal 1865 al 1875).

Numerosi documenti relativi ai brevetti richiesti dalla Società anonima del nuovo motore Barsanti e Matteucci in Inghilterra, Piemonte, Francia, Belgio e Prussia sono ora conservati presso l'archivio della biblioteca del Museo Galileo[1].
Opere
Sfioratori a stramazzo per moderare le piene dei fiumi (1875)

Felice Matteucci, Intorno a due istrumenti automatici che descrivono in modo continuo le curve delle piogge e delle variazioni nel pelo dell'acqua dei fiumi, Roma, Stabilimento Giuseppe Civelli, 1874.
Felice Matteucci, Sfioratori a stramazzo per moderare le piene dei fiumi, Firenze, Tipografia Bencini, 1875.

Dediche

Il liceo scientifico di Viareggio è stato intitolato alla coppia di inventori toscani Barsanti e Matteucci.
Sul palazzo Matteucci di Lucca vi è una lapide che ricorda che quello fu il luogo di nascita dell'inventore.
Un viale del quartiere lucchese di Borgo Giannotti è intitolato a Barsanti e Matteucci.
La Fondazione Barsanti e Matteucci di Lucca ha donato al Deutsches Museum di Monaco di Baviera una riproduzione, in grandezza naturale, del primo motore a combustione interna costruito da Eugenio Barsanti e Felice Matteucci.
Scuola media Felice Matteucci di Campi Bisenzio, che prima era una scuola elementare.
Sull'ex Scuola Elementare di Vorno (Capànnori) a sinistra dove morì nella Villa di sua proprietà: medaglia commemorativa 3 giugno 2003 per il 150° dell'invenzione "del motore a scoppio" Vorno.


https://it.wikipedia.org/wiki/Felice_Matteucci
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Erminio Meschini


Erminio Meschini (Roma, 19 giugno 1880 – Roma, 6 dicembre 1935) è stato un inventore italiano, ragioniere, professore, stenografo di fama mondiale e autore dell'omonimo sistema stenografico.

Storia

Nel 1904 fondò il primo Istituto per l'insegnamento delle lingue a Roma, in Via del Tritone. Autore, tra il 1905 ed il 1906, di uno dei principali sistemi stenografici italiani, da lui stesso denominato Stenografia nazionale e poi legalmente Stenografia nazionale Meschini. Riconosciuto con R.D. 7-XII-1913 n. 1442, fu insegnato con successo dall'anno scolastico 1923-24 fino al 1927-28, quando il governo limitò l'insegnamento al solo sistema Gabelsberger-Noë, ritenendo più pratica l'adozione di un unico sistema per tutto il territorio nazionale. Quando il governo cambiò opinione, il sistema Meschini fu prontamente riammesso con R.D. 7-X-1937 n. 1759, insieme al Gabelsberger-Noë e all'allora nuovo, ma altrettanto valido, sistema Cima.

Erminio Meschini realizzò inoltre un sistema di stenoscrittura universale.[1]
La Stenografia nazionale Meschini

Il professor Meschini riuscì nell'arduo intento di creare una tecnica mista geometrico-corsiva che conciliasse i caratteri delle due Scuole tradizionali, quella inglese a base geometrica e quella tedesca a base corsiva, perfezionando notevolmente le idee di Marco Vegezzi, autore di un sistema che ebbe un temporaneo seguito soprattutto in Lombardia, ed inserendosi nella tendenza mondiale intrapresa soprattutto da John Robert Gregg (1867-1948), irlandese ma che ottenne un grande successo soprattutto negli Stati Uniti. Meschini realizzò il suo difficile scopo usando segni a base geometrica, ma discendenti per le consonanti e ascendenti e orizzontali per le vocali, in modo che le vocali si intersecassero con le consonanti, costituendo di fatto un filetto di unione tra le consonanti e ottenendo così un tracciato complessivo del tutto corsivo.

Un'altra innovazione importante di Meschini fu una teoria abbreviativa basata su semplici principi fonetici anziché, come nei sistemi precedenti, su principi grammaticali; tanto da fornire le idee di base adottate, in linea di massima, da tutti gli autori italiani che lo seguirono.

Ma niente può descrivere le caratteristiche del sistema meglio di quanto scrisse lo stesso Meschini nelle introduzioni dei suoi libri:

«Base geometrica dei segni fondamentali, costituiti quasi esclusivamente da segni di curva contraria, indeformabili anche alle maggiori velocità; adozione del principio fonetico di far corrispondere segni simili a suoni simili e segni differenti a suoni diversi; unica pendenza per i segni delle consonanti più frequenti; base unica di scrittura; indicazione delle vocali con segni fissi alfabetici, ascendenti e orizzontali, ossia di direzione diversa da quella dei segni delle consonanti; abbreviazione fondata essenzialmente sull'accento tonico della parola.»

«Dal sistema Gabelsberger, che ancora oggi rappresenta il prototipo della Scuola stenografica corsiva, la Scuola italiana si differenzia soprattutto per la base geometrica del suo alfabeto, che esclude in modo assoluto ogni filetto di congiungimento e ogni arbitrario raccorciamento o prolungamento dei segni fondamentali; per la rigorosa applicazione del principio fonetico di far corrispondere segni simili a suoni simili; per l'indicazione alfabetica, anziché simbolica, delle vocali medie; per l'estrema semplicità della sua teoria e per l'abbreviazione, fondata sui principi fonetici, anziché sull'etimologia e sulla grammatica.»






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Antonio Meucci

Antonio Santi Giuseppe Meucci (Firenze, 13 aprile 1808 – New York, 18 ottobre 1889) è stato un inventore e imprenditore italiano, celebre per lo sviluppo di un dispositivo di comunicazione vocale a distanza, che egli chiamò «telettrofono» e che diverse fonti accreditano come il primo telefono.[1][2]

Oltre all'invenzione del telettrofono, Meucci propose varie innovazioni tra cui le candele steariche, oli per vernici e pitture, bevande frizzanti, condimenti per pasta e riso e una tecnica per ottenere pasta cellulosica di buona qualità.[3]

Biografia
La targa commemorativa posta nella casa di Meucci, in via de' Serragli a Firenze
La vita a Firenze

Antonio Meucci nasce a Firenze, nel popoloso quartiere di Borgo San Frediano, cura di Cestello, in Via Chiara n. 475 (oggi Via de' Serragli n.44), alle cinque del mattino di mercoledì 13 aprile 1808[4]. Era il primogenito del trentaduenne Amadigi di Giuseppe Meucci (1776-1864), e della ventiduenne Maria Domenica di Luigi Pepi (1786-1862). Suo bisnonno era stato il pittore Vincenzo Meucci. Il giorno dopo, il neonato, primo di 9 figli, ricevette il battesimo[5] al Battistero di S. Giovanni.

Il 27 novembre 1822, all'età di tredici anni e mezzo, Antonio Meucci fu ammesso[6] all'Accademia di Belle Arti, alla scuola di Elementi di Disegno di Figura, dove studiò per sei anni oltre alle materie base, la chimica e la meccanica (che comprendeva tutta la fisica allora conosciuta, compresa acustica ed elettrologia), introdotte nell'Accademia durante l'occupazione francese.[4]

All'età di 14 anni trova il suo primo impiego, grazie al padre Giuseppe che, essendo custode di presidenza del Buon Governo, si rivolse ai suoi superiori per far concedere un posto al figlio permettendo così di far fronte alle numerose spese della famiglia. Il 3 ottobre 1823 il capo delle guarnigioni preposte alle porte di Firenze ricevette la seguente comunicazione[7]:

«Sig. Gio. Boldrini, capo dei Portieri Mlto Ill. Sig. Sped. 3 ottobre 1823

La prevengo che in rimpiazzo dei due vacanti posti di Portiere soprannumero, sono stati nominati Luigi Ficini e Antonio Meucci, con gli obblighi e condizioni annessi al determinato posto. Ella ne farà occorrenti partecipazioni.»

Il 12 maggio 1824, dopo aver fatto domanda per ricoprire il posto di aiuto portiere su consiglio del padre e aver aspettato 7 mesi circa, Antonio fu destinato alla Porta di S. Niccolò.
Il carcere

Un anno dopo la promozione ad aiuto portiere, ai primi di aprile del 1825 Antonio trovò un lavoro extra per la preparazione e il lancio dei fuochi d'artificio, presso l'impresario Girolamo Trentini, per festeggiare il parto imminente della Granduchessa Maria Carolina di Sassonia. Tutto andò bene per le prime due serate, ma la terza, il 4 aprile 1825, ci fu un incidente in seguito al quale risultarono ferite 8 persone. I risultati dell'inchiesta mandarono Antonio Meucci, Giuseppe Franci e Vincenzo Andreini alla Ruota Criminale, che concesse loro il beneficio del dubbio. Ma il 4 giugno dello stesso anno Antonio fu incarcerato[8] in seguito alla caduta accidentale in un fosso del collega Luigi Ficini, che si fratturò una gamba. Fu accertata la negligenza di Meucci, che aveva dimenticato di inchiodare la porta che stava davanti al fosso. L'incidente con i fuochi non aiutò l'esito della condanna, che prevedeva una durata di otto giorni, di cui i primi tre a pane e acqua. Grazie al padre che scrisse una lettera di supplica al Buon Governo, Antonio fu scarcerato tre giorni prima del previsto.

All'inizio del 1826 si fece trasferire alla Porta di S. Gallo, più vicina a casa, ma il 2 maggio 1829 fu nuovamente incarcerato, per essersi invaghito della figlia del trattore che corrispondeva apertamente, ma che aveva rifiutato più di una volta altri giovani, tra cui Gaetano del Nibbio, anche lui portiere alla Porta di S. Gallo. Essendo una certa Teresa Paoletti gelosa di questa relazione, del Nibbio ne approfittò per infierire su Antonio provocandolo con insulti feroci, facendogli piantare in asso il servizio. Nibbio poté accusarlo di abbandono dal posto di lavoro, rivelando la tresca amorosa. Meucci fu quindi incarcerato dal 2 maggio 1829 al 1º giugno 1829 e sospeso dalla paga con condanna delle spese e con l'impossibilità di trattare con le donne coinvolte.

Fu poi imprigionato altre 2 volte, la prima per aver parlato con una delle donne per cui era stato imprigionato, e la seconda per essere arrivato in ritardo al lavoro. Il 13 luglio 1830 ottenne le dimissioni[9], ma successivamente tentò di farsi riassumere come aiuto portiere scrivendo una supplica al Buon Governo. Antonio si affiliò alla carboneria e prese parte ai moti dal 1831 al 1833, anno in cui trascorse tre mesi di galera insieme a Francesco Domenico Guerrazzi.

Secondo Carlo Lucarelli: "Aveva 23 anni quando, infervorato per i moti insurrezionali del '31 che stavano scuotendo l'Italia, strappò le foto del Granduca di Toscana Leopoldo II sotto gli occhi della polizia"[10].
Il lavoro al Teatro della Pergola

Date le dimissioni, Meucci trovò lavoro per qualche serata in vari teatri tra cui il Teatro della Quarconia, l'Alfieri e il Goldoni. Dato che aveva già lavorato saltuariamente da ragazzo al Teatro della Pergola come aiutante degli attrezzisti, provò anche qui e il custode gli consigliò di tornare verso fine ottobre 1833 per incontrare l'impresario Alessandro Lanari e gli disse che il primo macchinista Artemio Canovetti cercava proprio una persona che avesse frequentato l'accademia e che si intendeva di meccanica. Infatti, il Teatro della Pergola era un prodigio della tecnica teatrale; inoltre dietro questo teatro agiva un gruppo di carbonari che teneva i contatti con Genova per appoggiare l'azione di Giuseppe Mazzini.

Nel luglio del 1834 Meucci era diventato, oltre che aiuto attrezzista, anche uomo di fiducia di Lanari, come provato da 4 lettere scambiate tra i due, conservate presso la Biblioteca Nazionale di Firenze[11]. Il lavoro al Teatro della Pergola costituì per Antonio un'esperienza di altissima professionalità. In questo teatro si faceva un po' di tutto, dalla meccanica alla chimica, dall'ottica all'elettricità e in generale tutta la fisica, oltre alle arti figurative.

Fu proprio nel teatro che Antonio mise a frutto la preparazione tecnica ricevuta in Accademia. In un piccolo sgabuzzino assegnatogli impiantò il suo primo laboratorio; qui costruì un telefono acustico[12] per comunicare tramite un'imboccatura dal piano del palcoscenico alla graticcia di manovra, posta a circa 18 metri di altezza, grazie a un tubo acustico che correva incassato nel muro.

Questa innovazione di Meucci apportata al teatro fu gradita a tutto il personale e particolarmente ai soffittisti, non tanto per il bisogno di trasmettere gli ordini in silenzio, quanto più per permettere di lavorare in sicurezza e con facilità.

Fu qui che conobbe Maria Matilde Ester Mochi, con cui si sposò il 7 agosto 1834 nella chiesa di S. Maria Novella[13]. I due chiesero di essere dispensati dalle pubblicazioni del loro matrimonio, evitando in questo modo di svelare il domicilio di Antonio, dati i suoi problemi con la giustizia.
Verso Cuba

A quel tempo l'opera italiana era forse al culmine della celebrità in tutto il mondo e molti impresari stranieri venivano in Italia per scritturare le compagnie italiane. Don Francisco Marty y Torrens[14], impresario teatrale proveniente dall'Avana, pensò che avrebbe potuto mettere insieme una troupe in Italia, farla debuttare e recitare per un paio di stagioni al Teatro Principal, il più importante teatro dell'Avana, ed utilizzarla, successivamente, per dar prestigio al nuovo Gran Teatro de Tacón[15], quando ne fosse stata ultimata la costruzione.

Scritturò ben 81 persone, per i più svariati ruoli e ad ogni livello, con un contratto di 5 anni, tra cui Antonio Meucci e la moglie Ester. Ester sarebbe stata assunta come direttrice della sartoria del teatro e Antonio avrebbe assunto le funzioni di ingegnere, macchinista e disegnatore scenico. Inoltre avrebbero potuto alloggiare, a costruzione ultimata, in uno degli appartamenti che erano previsti nelle dipendenze del nuovo teatro. L'offerta fu accettata di buon grado dai coniugi Meucci, indotti ad abbandonare Firenze anche a causa dei problemi avuti con la giustizia e che, tra l'altro, non gli permisero di ottenere il passaporto, costringendoli quindi a lasciare il Granducato più o meno clandestinamente.

Don Francisco noleggiò un brigantino sardo denominato Coccodrillo al porto di Livorno omologato per il trasporto di merci, ma che poteva essere facilmente adattato al trasporto di passeggeri. Per quella nave il capitano non era tenuto a depositare la lista dei passeggeri alla capitaneria in quanto, formalmente, non avrebbe dovuto averne. Così dava notizia della partenza da Livorno della troupe di Don Francisco il Giornale di Commercio del Porto-Franco di Livorno del 7 ottobre 1835:[16]

«il dì 5 Per l'AVANA, Brig. Sardo il Coccodrillo, capit. Bartolommeo Lombardo con div. Articoli»

Come si può vedere, nessuna menzione degli 81 passeggeri; al contrario, così dava notizia dell'arrivo il giornale El Noticioso y Lucero dell'Avana, il 17 dicembre 1835:[17]
(ES)

«Puerto de la habana entradas de ayer De Liorna en 72 días, 81 individuos de la compañia De ópoera italiana para esta ciudad.»
(IT)

«Porto dell'Avana i biglietti degli ingressi di Livorno in solo 72 giorni, 81 passeggeri della compagnia dell'Opera italiana.»
L'Avana
Antonio Meucci nel 1878

I quindici anni all'Avana furono per i coniugi Meucci i più felici e redditizi della loro vita. Il contratto era previsto per 5 anni rinnovabili ed era compreso, oltre al salario, anche l'alloggio e il personale di servizio gratuito. Qui Antonio ebbe modo di parlare con Don Manuel Pastor, ingegnere capo tecnico e meccanico e ispettore delle fortificazioni dell'isola.

Data la scarsa cultura nel settore della chimica, Pastor consultò Meucci sul problema dell'acqua in relazione agli inconvenienti che si stavano verificando al nuovissimo acquedotto Fernando VII, costruito sotto la sua direzione. L'intervento di Antonio mirò a risolvere i problemi relativi alla durezza dell'acqua e alla presenza di inquinanti vari che i filtri meccanici non riuscivano a trattenere. Il problema venne risolto con costanti analisi chimiche e successive aggiunte calibrate di sostanze adeguate come la soda.

Questo intervento lo portò ad avere un tale successo che, nel 1885, Domenico Mariani al processo Bell/Globe[18] disse: udii da molti spagnuoli che egli era un grande inventore; aveva inventato i filtri dell'acqua[19].

Nella primavera del 1838, ultimati i locali della dipendenza del Gran Teatro, Antonio e la moglie vi si trasferirono. Qui Meucci aveva a disposizione un ampio laboratorio-officina per gli attrezzi ed il macchinario del teatro e Ester aveva a disposizione un ampio laboratorio di sartoria teatrale. Antonio era affascinato dalla chimica e una delle prime tecniche che provò fu la conservazione dei corpi defunti. Infatti, con lo sviluppo della navigazione oltre oceanica, la conservazione dei corpi dei defunti assunse una rilevanza commerciale notevole, soprattutto per l'esigenza di riportare in patria, in buono stato di conservazione, salme di persone decedute nel nuovo mondo. Si trattava dunque di un buon affare che, dati gli investimenti fatti nell'acquisto di costosi materiali e attrezzature, non andò a buon fine.

Agli inizi del 1842 Antonio si interessò alla lettura di alcuni libri che trattavano di galvanostegia, cioè della ricopertura elettrochimica, tramite apposite batterie, con oro o argento di oggetti di metalli meno pregiati come ferro, ottone o rame. Nell'ottobre del 1843, venne mandato dalla Spagna un nuovo governatore, Leopoldo O'Donnell, che per risparmiare tempo e denaro sulle forniture dell'esercito spagnolo, stipulò un contratto con Meucci della durata di circa 4 anni, per galvanizzare tutto ciò che veniva richiesto, compresi alcuni oggetti privati. Antonio Meucci fu il primo ad introdurre la galvanostegia in America.

La popolarità di Meucci all'Avana aumentò a tal punto che, il 16 dicembre 1844 gli fu dedicata una serata d'onore[20] al Gran Teatro de Tacón, il quale, dopo un violento uragano e una breve riapertura, venne ristrutturato grazie alla direzione generale dei lavori affidata proprio ad Antonio Meucci. Egli introdusse un nuovo complesso di sipari e un nuovo sistema di ventilazione da lui concepito, installando anche una nuova macchina importata dagli Stati Uniti con la quale si poteva alzare e abbassare il palco in pochi minuti. Si dice anche che Antonio sia stato vicino agli insorti, aiutando con denaro la rivoluzione del 48'.
La trasmissione della voce
Telefono di Meucci

Fu nel corso di esperimenti di elettroterapia che Antonio Meucci scoprì, nel 1849, la trasmissione della voce per via elettrica, divenendo così, in assoluto, il primo pioniere del telefono elettrico della storia. Antonio diede subito al suo sistema il nome di "telegrafo parlante", ribattezzato successivamente telettrofono.

Essendo il teatro Tacón inattivo dal 1º febbraio 1848 ed essendo scaduto il contratto con O'Donnell, Antonio non aveva molto da fare, se si eccettua la galvanizzazione di oggetti per privati. Accadde che alcuni suoi amici medici, discutendo con lui dei sistemi terapeutici elettrici di Mesmer, sui quali Meucci si era documentato, gli chiesero di farne una verifica su alcuni pazienti, per lo più affetti da reumatismi.

Durante il processo Bell/Globe[18] Antonio così ne riferì:

«Avendo trascorso il trattato di magnetismo animale di Mesmer mi venne l'idea di applicare e farne esperimenti, applicando la elettricità per le persone malate per ordine di qualche amico dottore che teneva per vedere se era giusto quello che diceva detto Mesmer; e nel tempo che non aveva molto da fare mi dedicava pure a dar delle scosse a diverse persone che erano impiegate da me – negri – e qualche volta a mia consorte; nello stesso tempo avevo collocato dal mio laboratorio ad una terza stanza un conduttore elettrico e prodotta elettricità per una serie di batterie Bunsen che riteneva nel mio laboratorio. Un giorno si presentò una persona da me conosciuta che era malata di reumatismi alla testa. Allora lo collocai nella terza stanza, gli misi in mano i due conduttori che comunicavano alla batteria, che alla fine detti conduttori tenevano un utensile, isolato dal conduttore, di sughero, della forma che qui descrivo; di sopra al detto sughero una linguetta metallica saldata al conduttore di filo di rame isolato che passava nell'interiore di detto sughero e comunicava colla batteria. Nel mio laboratorio, dove io riteneva uno strumento equale a quello che lui teneva nella mano gli ordinai di mettersi la linguetta metallica nella bocca onde essendo in comunicazione con me del fluido elettrico, desiderava sapere ove era la sua malattia. Mi misi lo stesso utensile al mio orecchio. Al momento che la persona malata s'introdusse la linguetta alle labbra ricevette una scarica e diede un grido. Io ottenni nello stesso momento al mio udito un suono. Interruppi l'operazione e per prevenire il caso della scarica elettrica che aveva ricevuto la persona mi venne l'idea di rimediare a tal caso. Presi i due utensili, quello che teneva nella mano l'individuo e il mio, e li foderai con un cartoccio di cartone onde rendere isolata la linguetta dal contatto con la carne; ordinai all'individuo malato che ripetesse l'operazione fatta anteriormente, che non avesse alcun timore di essere più offeso dall'elettricità e che parlasse pure liberamente dentro al cartoccio. Lui lo fece immediatamente. Lui mise il suo cartoccio alla bocca e io misi il mio all'orecchio. Al momento che il suddetto individuo parlò ricevetti il suono della parola, non distinta, mormorio, suono inarticuolato. Feci ripetere differenti volte nella stessa giornata. Di poi riprovai in differenti giorni e ottenni lo stesso risultato. Da questo momento fu la mia immaginazione e riconobbi che avevo ottenuto la trasmissione della parola umana per mezzo di filo conduttore unito con diverse batterie per produrre l'elettricità, a cui diedi il nome immediatamente di “Telegrafo parlante”. Questo fu circa la fine del '49 al '50 onde rilasciai i miei esperimenti su detto oggetto, riservandoli al mio arrivo a New York, che dovevo lasciare l'Avana dal '50 al '51. Io aveva una quantità immensa di batterie, circa 60»

Meucci dichiarò inoltre, sempre durante il processo Bell/Globe[18], di aver effettuato il primo esperimento con tutte le 60 batterie e, dato che ogni batteria produceva circa 1,9 volt di tensione, si può concludere che la prima scarica arrivava a un totale di 114 volt, mentre nei successivi esperimenti dichiarò di aver ridotto il voltaggio al solo utilizzo di 4 o 6 pile, quindi un voltaggio compreso tra i 7,6 e 11,4 volt circa.

L'espressione mi misi lo stesso utensile al mio orecchio non deve intendersi, almeno per quella prima volta, al fatto che Meucci accostò deliberatamente il suo strumento all'orecchio, ma che udì provenire il grido dallo strumento accidentalmente vicino al suo orecchio, dato che tale strumento era tenuto nella mano sinistra in modo tale da poter spostare il morsetto tra le varie batterie permettendo così la regolazione di tensione necessaria ai fini terapeutici. Quindi, se Meucci non avesse seguito l'assurda prescrizione di Mesmer e di Bertholon di porsi in comunicazione elettrica con il paziente (molto probabilmente ai fini di regolare la tensione al voltaggio più opportuno), non avrebbe scoperto il suo telegrafo parlante.




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New York

Nel 1850 veniva a scadere il terzo rinnovo del contratto dei coniugi Meucci con Don Francisco, al quale, a sua volta, scadeva la concessione governativa per la gestione in esclusiva degli spettacoli teatrali all'Avana. Molti amici di Meucci gli consigliarono, specie dopo aver ascoltato il racconto degli esperimenti da lui eseguiti, di spostarsi verso New York, perché all'epoca non c'era miglior terreno per sfruttare il suo ingegno. Inoltre, vi era la concreta possibilità che il governatore fosse venuto a sapere dei soldi inviati a Garibaldi, cosa non molto preoccupante data la buona fama di Antonio, ma comunque da non sottovalutare.

Il 23 marzo 1850, tutti i componenti dell'Opera Italiana, insieme alla famiglia al completo dell'impresario che aveva pensato bene di dedicarsi ad organizzare spettacoli negli Stati Uniti, dato il crescente interesse per l'opera degli americani, partirono per Charleston. Antonio non partì con loro, molto probabilmente a causa della morte della figlia, avvenuta a ridosso della progettata partenza. Tale notizia risulterebbe da un'unica fonte ritenuta attendibile, il "The Sun", che così riporta nel necrologio di Antonio Meucci pubblicato il 19 ottobre 1889: "In 1850 Meucci come to New York from Cuba, where his only child, a girl of 6, had just died". Il fatto che non fossero nati figli dalla coppia nei 10 anni antecedenti, potrebbe essere spiegato dalla grave forma di sifilide contratta da Antonio all'età di 21 anni, la quale avrebbe potuto indurre un certo grado di sterilità.

Domenica 7 aprile 1850, il Diario de la Marina dava la notizia della partenza prossima dei coniugi Meucci. La partenza della Norma, una nave americana, fu fissata in un primo momento per il 16 di aprile, ma partì invece martedì 23 aprile 1850.

L'allontanamento dall'Avana giovò anche alla moglie Ester, data la notevole presenza di umidità dannosa per la sua salute.

Il 1º maggio 1850 i coniugi Meucci sbarcarono a New York, stabilendosi quasi subito a Clifton, un piccolo quartiere nell'isola di Staten Island, dove rimasero fino alla morte. Qui nello stesso anno Meucci visitò con Giuseppe Garibaldi la Loggia massonica "Tompkins"[21]. Antonio acquistò un cottage (oggi trasformato nel Garibaldi-Meucci Museum[22]) e aprì una fabbrica di candele steariche, secondo un progetto di sua concezione. Garibaldi, anch'esso giunto a New York, venne ospitato da Meucci tra il 1850 e il 1853, come possiamo constatare dalle sue Memorie[23] in cui scrive:

«Antonio si decise a stabilire una fabbrica di candele e mi offrì di aiutarlo nel suo stabilimento. Lavorai per alcuni mesi col Meucci, il quale non mi trattò come un lavorante qualunque, ma come uno della famiglia, con molta amorevolezza»

La fabbrica, sebbene fosse la prima del suo genere nelle Americhe, non ebbe molto successo e Antonio la trasformò successivamente in una fabbrica di birra lager, molto richiesta nella zona. Anche quest'ultimo tentativo non andò a buon fine, a causa di un certo J. Mason, a cui Meucci aveva affidato la direzione amministrativa e commerciale.

Il 13 novembre 1861, il cottage dei coniugi Meucci, con tutto il contenuto, venne venduto all'asta, ma fortunatamente il compratore gli consentì di abitarci senza pagare alcun affitto. Da quel momento la loro situazione economica continuò a peggiorare ulteriormente.
Esperimenti successivi sul telettrofono
Francobollo (foglietto del 2003) del disegno di Nestore Corradi realizzato per Antonio Meucci nel 1858 e prova importante sugli studi sull'invenzione del telefono

Nel 1854 la moglie Ester fu costretta a letto da una grave forma di artrite reumatoide, che la rese permanentemente invalida, fino alla morte, avvenuta il 21 dicembre 1884. Antonio per poter comunicare con la moglie, al secondo piano del loro cottage, mise a frutto la sua scoperta dell'Avana del 1849 e realizzò un collegamento telefonico permanente tra la camera da letto e la cantina, poi di qui al suo laboratorio esterno.

Successivamente, dal 1851 al 1871, Meucci provò sul collegamento più di trenta telefoni di tipi diversi di sua concezione. Riuscì ad ottenere un primo soddisfacente risultato tra il 1858 e il 1860, usando un nucleo magnetico permanente, una bobina e un diaframma, ma fu solo tra il 1864 e il 1865 che ne riuscì a realizzare uno praticamente perfetto.

Questo telefono aveva tutti i requisiti di uno moderno; era infatti stato risolto il problema del diaframma in pelle, sostituito con uno interamente in metallo che poteva essere bloccato lungo tutta la circonferenza grazie a una scatola da barba il cui coperchio venne forato per ricavarne un cono acustico, e pure risolti i problemi riguardanti la comunicazione a lunga distanza, che i laboratori Bell avrebbero individuato molti anni più tardi. Nello stesso anno, fu data dalla stampa la notizia dell'invenzione di un telefono da parte del valdostano Innocenzo Manzetti. Antonio in questa occasione rivendicò la sua priorità, con una lettera[24] inviata al direttore del Commercio di Genova il 13 ottobre 1865 e che venne pubblicata il 1º dicembre. Inoltre, il 30 luglio 1871, alla già disagiata situazione economica, si aggiunse un'ulteriore sciagura a causa dell'esplosione del traghetto Westfield, che collegava New York a Staten Island, e che rese Meucci infermo per molti mesi. Ciononostante, ancora convalescente, si impegnò con tutte le sue forze per rendere operativa la sua invenzione.
Caveat e brevetto del telettrofono

Il 12 dicembre 1871, Meucci fondò con tre italiani la Telettrofono Company[25], il cui obiettivo primario era quello di effettuare tutti i necessari esperimenti per la realizzazione del telettrofono. Il contratto prevedeva inoltre di estendere le attività della società in ogni stato d'Europa e del mondo, nei quali la Telettrofono Company si proponeva di ottenere brevetti, di formare società affiliate e di concedere licenze. Tuttavia la compagnia si dissolse nel giro di un anno e, fallito il precedente tentativo del 1860 di proporre la sponsorizzazione dell'invenzione a qualche imprenditore italiano, il 28 dicembre 1871 Antonio Meucci depositò presso l'Ufficio Brevetti statunitense, a Washington, il caveat n. 3335 dal titolo Sound Telegraph in cui descriveva la sua invenzione, in attesa di trovare i 250$ per depositare un brevetto regolare.

Nell'estate del 1872, Antonio Meucci si rivolse al Vice Presidente Mr. Edward B. Grant dell'American District Telegraph Co. di New York, del quale erano consulenti Alexander Graham Bell ed Elisha Gray, affinché gli fosse concesso di sperimentare il suo telettrofono nelle linee telegrafiche di quella compagnia. Poiché Grant, dopo aver promesso il suo aiuto, tergiversava con pretesti vari, dopo due anni Meucci richiese la restituzione delle descrizioni e dei disegni consegnati, ma gli fu risposto che erano stati smarriti. Nel dicembre 1874, Antonio non riuscì più a trovare qualcuno che gli prestasse i 10$ necessari per pagare la tassa annuale di mantenimento del suo caveat e pertanto, esso decadde il 28 dicembre 1874, secondo quanto previsto dalla legge brevettuale statunitense di quel tempo. Tuttavia, alcuni critici hanno messo in dubbio tale aspetto della vicenda, poiché Meucci fu in grado di brevettare altre invenzioni (non correlate al telefono) al costo di 35$ l'una negli anni 1872, 1873, 1875 e 1876[26].

Massone, insignito del 33º grado del Rito scozzese antico ed accettato, l'8 agosto 1888 presiedette a New York, per delega del Gran maestro del Grande Oriente d'Italia Adriano Lemmi, l'iniziazione a vista di un diplomatico italiano[27].
La lapide di Antonio Meucci

Venerdì 18 ottobre 1889 alle ore 9:40 antimeridiane, Antonio Meucci morì nella sua casa di Clifton, Staten Island, poco prima che la società Globe Telephone Company presentasse la sua sentenza[28], ancora fiducioso nel pieno riconoscimento della sua invenzione. Le sue ceneri si trovano al Garibaldi-Meucci Museum di New York, assieme alla tomba della moglie Ester.[4][29]
Altri brevetti

Oltre al "trasferimento elettrico della voce", Meucci inventò e brevettò molti altri strumenti basati su processi chimici e meccanici. Fu titolare e depositario di ben 22 brevetti, tra cui:

Bevande frizzanti a base di frutta e vitamine, che Meucci trovò utili durante il suo ricovero causato dalle ustioni subite per l'esplosione del Westfield ferry (US Patent No. 122,478).[30][31]
Condimento per pasta e altri cibi in accordo con Roberto Merloni, General Manager della STAR, Agrate - Milano (US Patent No. 142,071).[32]
Fogli di carta bianca e resistenti, a cui si interessarono molti giornali dell'epoca.
Nuovo modo di fabbricare candele, ancora oggi usato.
Oli per vernici e pitture.

La paternità del telefono

Dopo Johann Philipp Reis (1860), il mancato rinnovo di 10 dollari del caveat da parte di Meucci a causa delle sue difficoltà economiche permise a Bell nel marzo del 1876 di presentare la domanda di brevetto per il telefono elettrico da egli sviluppato.

Appena venne a conoscenza che Bell aveva ottenuto il brevetto del telefono, Antonio Meucci reclamò in ogni sede ed in ogni occasione la sua priorità. Tale priorità si fondava sul fatto che la sua invenzione era di dominio pubblico nell'area di New York e pertanto, secondo la legge vigente, il brevetto Bell non costituiva una "nuova ed utile arte... non prima conosciuta o usata in questo paese..."[33].

Essendo Antonio Meucci un rispettato esponente della comunità degli immigrati italiani di New York e una persona ben veduta da tutti, furono in molti a chiedere al governo degli Stati Uniti di annullare i due brevetti Bell sul telefono. In data 29 settembre 1885, La Globe Telephone Co. di New York acquisì i diritti di Antonio Meucci e inoltrò una petizione al Procuratore Generale degli Stati Uniti sostenendo la priorità di Antonio Meucci nell'invenzione del telefono. La stampa americana diede molto rilievo all'azione della Globe Telephone Company, parteggiando apertamente per Antonio Meucci.

La Bell Telephone Company, che deteneva i brevetti, giocando d'anticipo, il 10 novembre 1885 citò in giudizio la Globe e Meucci dinanzi alla Corte Distrettuale di New York, per infrazione di brevetto. Il Governo degli Stati Uniti avviò una serie di udienze pubbliche presso il Ministero degli Interni, presieduto da Lucius Q. C. Lamar, per accertare la fondatezza delle varie petizioni.

Il 22 dicembre 1885, gli assistenti di H. L. Muldrow e G. A. Jenks, redassero un rapporto conclusivo, in cui affermavano di aver raccolto prove sufficienti in favore di Antonio Meucci. Nel 1886, nel primo dei tre processi in cui fu coinvolto, Meucci andò alla sbarra come testimone nella speranza di stabilire la sua priorità nell'invenzione del telefono. Le prove presentate da Meucci in questa occasione furono contestate per la mancanza di evidenze materiali, poiché esse sarebbero state perdute al laboratorio dell'American District Telegraph (ADT) di New York. L'ADT si fuse con la Western Union per diventarne una filiale solo nel 1901.

Il 13 gennaio 1887, il Governo degli Stati Uniti citò in giudizio la Compagnia Bell nello stato del Massachusetts, dove la stessa aveva la sua sede legale. Mentre tale processo era in corso, la Compagnia Bell ottenne dalla Corte Distrettuale di New York una vittoria locale sulla Globe Telephone e su Meucci, grazie ad una sentenza del giudice William J. Wallace, emessa il 19 luglio 1887, secondo la quale Meucci avrebbe realizzato telefoni "meccanici" e non elettrici. Questa sentenza fu definita dallo storico italo-americano Giovanni Schiavo uno dei più lampanti errori giudiziari negli annali della giustizia americana[34].

La Globe ricorse in appello e, successivamente, il caso venne rimandato alla Corte Suprema di Washington DC. Qui, il 12 novembre 1888, l'Onorevole William H. H. Miller annullò la sentenza della Corte Distrettuale del Massachusetts e riaffermò definitivamente la liceità dell'azione del Governo degli Stati Uniti. Fiduciosi in un esito favorevole all'azione del Governo contro la Compagnia Bell, la Globe Telephone Co. abbandonò l'appello alla sentenza di primo grado della Corte distrettuale di New York.

Il processo "Stati Uniti contro Bell" venne rinviato varie volte fino al 1897, quando, per evitare al governo degli Stati Uniti di aumentare ulteriormente i già enormi costi sopportati fino a quel momento, ma anche a causa dell'ormai sopraggiunta morte di Antonio Meucci, fu chiuso.[35]

L'apparecchio descritto nell'originale domanda di brevetto presentata da Meucci descriveva un telefono meccanico (non elettrico), capace di trasmettere vibrazioni acustiche meccanicamente attraverso un cavo teso, una conclusione raggiunta da diverse pubblicazioni scientifiche ("La corte ha inoltre ritenuto che il caveat del Meucci non descriveva alcun elemento di un telefono elettrico parlante..." e "La corte ritenne che il dispositivo del Meucci consisteva in un telefono meccanico consistente in un bocchino ed in un auricolare collegati da un cavo, e che oltre a ciò l'invenzione del Meucci era pura immaginazione").[36][37]

Christopher Beauchamp, chiedendosi chi abbia inventato il telefono, osserva che la concessione dei diritti di brevetto "lungi dall'essere una mera questione di curiosità scientifica [...] divenne la chiave per controllare l'intero settore telefonico, ma che in realtà questa è una questione di più ampio interesse storico"[38].

Successivamente, un'indagine dello storico italo-americano Giovanni Schiavo ha sostenuto l'infondatezza e le irregolarità del processo. Il giudice della corte suprema D.R. Massaro invitò l'ingegnere Basilio Catania (esperto di telecomunicazioni ed ex direttore generale del centro di ricerca CSELT) a presentare in una conferenza pubblica all'Università di New York le prove da lui rinvenute[fonte?].

L'11 giugno 2002 la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha passato una risoluzione chiedendo di riconoscere "la vita e i risultati", oltre che il suo contributo nell'invenzione del telefono.[39] L'interpretazione della risoluzione è controversa[40][41][42], perché non lo si accredita come vero e proprio inventore del telefono, ma come avente dato un contributo. Una simile risoluzione fu proposta al Senato degli Stati Uniti, ma non votata.[43] La Camera dei Comuni del Canada, dieci giorni dopo la risoluzione statunitense, votò all'unanimità una mozione parlamentare nella quale si riconosceva Alexander Graham Bell quale inventore del telefono elettrico.[44]




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Testo della Risoluzione della Camera dei Rappresentanti
(EN)

«H. Res. 269
In the House of Representatives, U.S.,
June 11, 2002.
Whereas Antonio Meucci, the great Italian inventor, had a career that was both extraordinary and tragic;
Whereas, upon immigrating to New York, Meucci continued to work with ceaseless vigor on a project he had begun in Havana, Cuba, an invention he later called the 'teletrofono', involving electronic communications;
Whereas Meucci set up a rudimentary communications link in his Staten Island home that connected the basement with the first floor, and later, when his wife began to suffer from crippling arthritis, he created a permanent link between his lab and his wife's second floor bedroom;
Whereas, having exhausted most of his life's savings in pursuing his work, Meucci was unable to commercialize his invention, though he demonstrated his invention in 1860 and had a description of it published in New York's Italian language newspaper; Whereas Meucci never learned English well enough to navigate the complex American business community;
Whereas Meucci was unable to raise sufficient funds to pay his way throug hellothe patent application process, and thus had to settle for a caveat, a one year renewable notice of an impending patent, which was first filed on December 28, 1871;
Whereas Meucci later learned that the Western Union affiliate laboratory reportedly lost his working models, and Meucci, who at this point was living on public assistance, was unable to renew the caveat after 1874;
Whereas in March 1876, Alexander Graham Bell, who conducted experiments in the same laboratory where Meucci's materials had been stored, was granted a patent and was thereafter credited with inventing the telephone;
Whereas on January 13, 1887, the Government of the United States moved to annul the patent issued to Bell on the grounds of fraud and misrepresentation, a case that the Supreme Court found viable and remanded for trial;
Whereas Meucci died in October 1889, the Bell patent expired in January 1893, and the case was discontinued as moot without ever reaching the underlying issue of the true inventor of the telephone entitled to the patent; and
Whereas if Meucci had been able to pay the $275 fee to maintain the caveat after 1874, no patent could have been issued to Bell
Now, therefore, be it
Resolved, That it is the sense of the House of Representatives that the life and achievements of Antonio Meucci should be recognized, and his work in the invention of the telephone should be acknowledged.»
(IT)

«H. Res. 269
Nella Camera dei rappresentanti, Stati Uniti,
11 giugno 2002.
Mentre Antonio Meucci, il grande inventore italiano, ha avuto una carriera che era al tempo stesso straordinaria e tragica;
Considerando che, emigrando a New York, Meucci ha continuato a lavorare con vigore incessante su un progetto che aveva iniziato a L'Avana, Cuba, una invenzione che ha poi chiamato il 'teletrofono', che coinvolge le comunicazioni elettroniche;
Mentre Meucci ha istituito un collegamento di comunicazione rudimentale nella sua casa di Staten Island che collegava il seminterrato con al piano primo, e più tardi, quando la moglie ha cominciato a soffrire di artrite paralizzante, ha creato un legame permanente tra il suo laboratorio e la seconda camera da letto al piano di sua moglie;
Considerando che, dopo aver esaurito la maggior parte dei risparmi della sua vita nel perseguire il suo lavoro, Meucci è stato in grado di commercializzare la sua invenzione, anche se ha dimostrato una descrizione della sua invenzione del 1860 fatta pubblicare nel giornale di lingua italiana di New York; Mentre Meucci non ha mai imparato l'inglese abbastanza bene per poter navigare il mondo degli affari americani;
Mentre Meucci non è stato in grado di raccogliere fondi sufficienti per pagare il processo di domanda di brevetto, e, quindi, ha dovuto accontentarsi di un avvertimento, un avviso rinnovabile di un anno di un brevetto imminente, per la prima volta depositata il 28 dicembre 1871;
Mentre Meucci poi appreso che il laboratorio affiliato Western Union riferito ha perso i suoi modelli di lavoro, e Meucci, che a questo punto viveva in materia di assistenza pubblica, è stato in grado di rinnovare l'avvertimento dopo il 1874;
Considerando che nel marzo 1876 Alexander Graham Bell, che ha condotto gli esperimenti nello stesso laboratorio dove erano stati conservati materiali di Meucci, gli è stato concesso un brevetto ed è stato successivamente attribuita l'invenzione della telefono;
Considerando che in data 13 gennaio 1887, il governo degli Stati Uniti ha annullato il brevetto rilasciato per motivi di frode e false dichiarazioni, un caso che la Corte Suprema ha trovato valido e ha rinviato a giudizio;
Mentre Meucci morì nel mese di ottobre 1889, il brevetto di Bell è scaduto nel mese di gennaio del 1893, e il caso è stato interrotto come discutibile senza mai raggiungere la questione di fondo del vero inventore del telefono diritto di brevetto; e
Mentre se Meucci era stato in grado di pagare la tassa di $ 275 e mantenere l'avvertimento dopo 1874 nessun brevetto avrebbe potuto essere rilasciato
Ora, dunque, sia esso
Risolto, la Camera dei Rappresentanti ha riconosciuto la vita e le realizzazioni di Antonio Meucci, ed il suo lavoro dell'invenzione del telefono.»

(Testo della risoluzione 269 del Congresso degli Stati Uniti)
Riconoscimenti
Targa a ricordo di Meucci, Palazzo delle Poste Centrali (Firenze)

Pochi giorni dopo la morte di Meucci, fu posto nel prato antistante il suo cottage un piccolo ceppo con la scritta: “Antonio Meucci - The Inventor of the Telephone” sul cui fianco destro furono fissati i suoi due telefoni del 1854 e del 1864 e gli schemi elettrici dei più importanti modelli realizzati, mentre sul colmo venne posata la maschera di morte, circondata da una ghirlanda d'alloro.
Il 16 settembre 1923 venne inaugurato un monumento ad Antonio Meucci al Garibaldi-Meucci Museum. L'iniziativa fu presa dal Capitano Cuomo Cerulli e dalla comunità italiana residente negli Stati Uniti per interessamento del Generale Guglielmotti. Scolpito da Ettore Ferrari, con il marmo offerto dal comune di Roma e con il bronzo — proveniente dai cannoni austriaci catturati a Vittorio Veneto — offerto dal Ministero della Guerra, il monumento fu trasportato per nave dall'Italia a New York e di qui all'attuale ubicazione. Le ceneri di Meucci, gelosamente custodite fino allora da un fervente garibaldino, furono poi sistemate in un'urna sotto il busto del monumento.
Nel 1932 Guglielmo Marconi, incaricò il dr. Francesco Moncada di effettuare una approfondita indagine su Antonio Meucci. Grazie a questa relazione, Marconi poté dare incarico alle Officine Galileo di ricostruire, in 4 esemplari (oggi al museo della Rai di Torino, ex museo Sirti), le due versioni più importanti dei telefoni realizzati da Meucci, datate rispettivamente 1857 e 1867, e di inviarne una coppia alla esposizione internazionale “Un secolo di Progresso”, tenutasi a Chicago nel marzo 1933. Data l'attenzione che Guglielmo Marconi mostrò per il compatriota, le Poste italiane ritennero opportuno, in occasione del primo centenario (1965) della Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT), l'emissione di un francobollo commemorativo in cui venivano ricordate le due glorie italiane Marconi e Meucci.
Il 16 maggio 1996 viene apposta una lapide[45] sulla casa natale di Antonio Meucci (in Via de' Serragli 44) e congiuntamente nel cortile del Gran Teatro de Tacón, nel punto dove Meucci aveva il suo laboratorio.
Il 28 maggio 2002, a Roma, è stato proclamato il Meucci Day. In tale occasione, nell'Aula Magna del Ministero delle comunicazioni, si è tenuta la cerimonia celebrativa in suo onore, ricordando il grande uomo che ha reso possibile le telecomunicazioni ma che non ha mai avuto riconoscimenti nel corso della sua vita.
Gli eredi dell'ing. Basilio Catania hanno lasciato alla Fondazione Marconi l'archivio Catania-Meucci. L'archivio contiene carte note e quelle non ancora divulgate che hanno permesso all'ing. Catania di ottenere dalla Corte Suprema di Washington DC la riabilitazione completa dello studioso italiano, che fu dunque dichiarato “inventore del telefono”. Si è così portato a compimento il disegno avviato da Guglielmo Marconi, che per primo sollevò la questione della paternità dell'invenzione del telefono a livello internazionale, sostenendo l'opera di Meucci.

Meucci al cinema, in televisione e radio

Nella commedia americana Colpo di fulmine (1941), un giovane professore (Gary Cooper) conosce accidentalmente dei gangster amici di un'avvenente Barbara Stanwyck, i quali fanno uso di un ricco lessico gergale, tra esso l'espressione "attaccati al Meucci" (orig. catch the Bell, lett. prendi la campana), mettendo in risalto la divergenza storica tra Italia e Stati Uniti sul merito dell'invenzione.
Nel 1940 il regista Enrico Guazzoni gira un film "Antonio Meucci, il mago di Clifton" con protagonista Luigi Pavese. In questa versione l'italiano dimostra e vede riconosciuta la paternità dell'invenzione.
Nel 1970 la RAI produsse uno sceneggiato dal titolo Antonio Meucci cittadino toscano contro il monopolio Bell, con Paolo Stoppa nel ruolo di Meucci.
Nel 2005 la RAI ha prodotto una nuova fiction su Meucci: Meucci - L'italiano che inventò il telefono, con Massimo Ghini.
Il 3 gennaio 2011 la RAI ha proposto una puntata di Speciale Superquark su Meucci, intitolato "L'incredibile storia di Antonio Meucci", la terza delle puntate monografiche a carattere storico. Nel corso della trasmissione, sono stati riproposti alcuni spezzoni dello sceneggiato del 2005 e Piero Angela ha dichiarato che Basilio Catania sarebbe dovuto intervenire come ospite ma che non era stato possibile, a causa dell'improvvisa morte di quest'ultimo il giorno precedente la registrazione del programma. Il ricercatore fu omaggiato con un filmato, nel quale spiegava come Meucci avesse scoperto la pupinizzazione prima dello stesso Mihajlo Idvorsky Pupin.
Carlo Lucarelli ha condotto la puntata di Dee Giallo del 21/02/2011 dedicata a Meucci, dichiarando che lo scienziato era un suo bisavolo.


https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Meuc..._Rappresentanti
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Antonio Michela Zucco

Antonio Michela Zucco (San Giorgio Canavese, 1º febbraio 1815 – Quassolo, 24 dicembre 1886) è stato un inventore italiano. Compì i suoi studi presso la Regia Accademia Albertina di Torino e si dedicò all'insegnamento presso vari Comuni del Canavese e infine a Ivrea.

Le ricerche

Per tutta la vita studiò, il più approfonditamente possibile per quegli anni, il linguaggio umano, gli organi anatomici preposti alla produzione dei suoni, i valori fonetici. Classificò gli elementi occorrenti alla formazione di tutte le sillabe di cui sono composti i vocaboli e diede a ognuno una espressione grafica, un simbolo e un valore numerico al fine di stabilirne l'esatta pronunzia.

All'epoca questo tipo di ricerche era assolutamente d'avanguardia e d'altra parte gli studi e gli esperimenti sulla scrittura fonetica sono tuttora molto recenti. Ideò un meccanismo per riuscire a registrare con assoluta precisione i simboli corrispondenti a raggruppamenti fonici con la stessa velocità con la quale fluiscono dalle labbra di chi parla. La genialità del sistema, che consiste nella diversa combinazione di soli sei comunissimi segni con i quali si ottengono le sillabe dell'alfabeto e di conseguenza le sillabe, sta nella semplicità e nella chiarezza, caratteristiche che permisero e permettono tuttora alte velocità di registrazione.
Il Metodo Michela

Coadiuvato da abilissimi artigiani di Ivrea e di Torino e alle prese con problemi tecnici di quasi impossibile soluzione in quel periodo storico, finalmente Antonio Michela Zucco nel 1863 poté illustrare al II Congresso Pedagogico che si tenne a Milano a Palazzo Brera il suo sistema di stenografia "a processo sillabico istantaneo mediante piccolo e portatile apparecchio a tastiera".

La macchina suscitò immediatamente grande interesse perché si intuivano le sue molte possibilità di applicazione, e non solo in Italia (il Consiglio Municipale di Torino fu probabilmente il primo organo collegiale ad avere un resoconto stenografico immediato della sua seduta del 20 gennaio 1879) ma anche in Francia dove, come riportano gli "Annales Industrielles" del 27 febbraio 1881, era stata eseguita il 24 dello stesso mese una dimostrazione nell'aula del Consiglio Municipale di Parigi a Palazzo Borbone. Lo stesso Garibaldi, con lettera del 16 dicembre 1877 da Caprera, dichiarava:

«Desidero che l'utilissima scoperta del professor Michela sia messa in opera»

Nel 1878 la macchina ottenne il brevetto italiano e nel 1879 quello statunitense dell'U.S. Patent Office. Alla grande Esposizione Universale di Parigi del 1878 le fu assegnata solo la medaglia d'argento e non d'oro, non avendo voluto l'inventore pubblicare le particolarità tecniche dell'invenzione. Nel 1881 vinse la medaglia d'oro alla Esposizione di Milano e nel 1884 a quella di Torino.

Nel 1881 fu adottata per la resocontazione stenografica dei lavori parlamentari del Senato, attività che è proseguita ininterrottamente fino a oggi (la macchina Michela attuale è del tutto computerizzata e consente la trascrizione immediata e in chiaro dei dibattiti).

Antonio Michela Zucco prevedeva intanto altri sviluppi della sua invenzione. Già nella relazione allegata all'attestato di privativa industriale scriveva:

«"Il presente processo sillabico, oltre alla stenografia, è ancora applicabile ai seguenti casi: a) per la lettura e scrittura dei ciechi; b) per la riproduzione di un discorso per mezzo dell'elettricità; c) per utilizzare la recente portentosa invenzione del telefono". E a questi traguardi si indirizzarono dal 1880 in poi i suoi interessi scientifici e la sua attività. In Francia studi approfonditi sul sistema e sulla macchina erano stati compiuti dall'ing. G. A. Cassagnes, il quale negli Annales Industrielles del 27 febbraio 1881 ne aveva presentato una relazione particolareggiata. Insieme a lui l'inventore puntò all'obbiettivo di applicare il sistema Michela al telegrafo. L'interesse era vivissimo e se ne comprende il motivo guardando le cifre di rendimento dei principali apparecchi telegrafici dell'epoca (linea da 600 a 700 km): Morse semplice, 25 dispacci di 20 parole all'ora (parole 500); Hughes, 60 dispacci di 20 parole all'ora (parole 1.200); Meyer a tastiera, 25 dispacci di 20 parole all'ora (parole 500); Baudot a tastiera, 40 dispacci di 20 parole all'ora (parole 800); Wheatstone, 90 dispacci di 20 parole all'ora (parole 1.800); Stenotelegrafo Cassagnes a tastiera, 500 dispacci di 20 parole all'ora (parole 10.000).»

(Antonio Michela Zucco, "La Stenotélégraphie", Impr. Chaix, Paris 1884)

Furono eseguiti numerosissimi esperimenti tra Parigi (Ministère de Télégraphes), Orleans, Tour, Le Havre e varie altre città a distanza sempre maggiore. Gli "Annales Industrielles" del 4 aprile 1886 ne presentarono una meticolosa relazione. Le dimostrazioni ebbero tutte positivi e promettenti risultati, così le prove e gli esperimenti proseguirono. Un notevole passo avanti fu compiuto con l'applicazione di bande perforate e di trasmettitori automatici[1]. Due allievi del Michela, Luigi Saudino e particolarmente Giuseppe Vincenti idearono congegni più semplici di quello dell'ingegnere francese e progettarono lo steno-telegrafo. Ma la scoperta della radio nell'anno 1896 diminuì enormemente l'interesse verso questi esperimenti per fare del telegrafo un mezzo di comunicazione di impensabile velocità ed essi cessarono. La ricerca scientifica e tecnologica prese altre strade e questa, che sarebbe stata di enorme utilità anche parallelamente alla radio, venne abbandonata.

L'inventore non ebbe la fortuna di assistere alla grandiosa invenzione della radio. Pur addolorato per la fine degli esperimenti con il telegrafo, chissà quali altri campi si sarebbero schiusi alla sua vivace intelligenza. Del suo continuo interessamento ai problemi matematici e geometrici ci restano purtroppo solo due relazioni su “Proprietà caratteristiche comuni alla periferia del circolo e al perimetro del quadrato equivalente” e soprattutto su “Proposta di un invariabile rapporto tra periferia e raggio, dimostrato con cinque teoremi”. Amava la musica e fondò la banda del suo Comune. Nel Museo Etnografico di S. Giorgio Canavese è esposta una pianola meccanica (spinetta a cilindri) fatta nel 1884 sul prototipo da lui costruito. Anche in questo caso l'interesse dello studioso si spingeva dagli studi speculativi alle applicazioni pratiche.
Prof. Antonio Michela Zucco (olio su tela - G. Stornone - 1892)

Ritiratosi dall'insegnamento, lavorò intensamente al completamento del “Sistema fonografico universale a mano”, che con un numero limitatissimo di segni riusciva a scrivere manualmente qualunque parola in qualsiasi lingua. Il sistema fu pubblicato nel 1885 e illustrato dall'inventore alla Società Filotecnica Torinese (l'adozione di questo alfabeto universale fu allora molto caldeggiata anche presso il Ministero della Pubblica Istruzione e certamente sarebbe stata utilissima soprattutto per l'apprendimento delle lingue, riuscendo a registrarne l'esatta pronunzia. Gli studenti, ad esempio, sui dizionari italo-inglesi avrebbero trovato già, a fine Ottocento, la pronunzia precisa che solo da pochi anni ci si sforza di trascrivere con i più recenti metodi).

Nel pieno dei suoi studi e delle sue realizzazioni, premiato dal Ministero della Pubblica Istruzione con la medaglia d'argento al merito scolastico e ricompensato dal Re con la nomina a Cavaliere dell'Ordine Mauriziano, morì il 24 dicembre 1886.

Intanto la macchina Michela continuava a essere, presso il Senato, la testimone sicura e fedele della vita parlamentare italiana. Quando cominciò a operare, nell'infuocato clima politico del periodo compreso tra i governi Cairoli, Depretis, Crispi, registrò le discussioni sull'abolizione della tassa sul macinato, sulla legge speciale per Roma capitale, sulla legge elettorale, sulla legge relativa al lavoro dei fanciulli, sulla riforma universitaria. È interessante notare che nel primo gruppo di stenografi vi erano due donne, Anna Violetta e Luisa Gillio.

Un bel disegno su “L'Illustrazione italiana” dell'11 giugno 1893 mostra la macchina in azione durante la discussione sulle pensioni civili e militari.[2]

E così, legislatura dopo legislatura, la storia d'Italia è passata sui tasti della Michela: il Regno, la I guerra mondiale, il fascismo, la II guerra mondiale, la Repubblica. In tutti quegli anni la macchina rimase invariata, essendo perfettamente idonea alle esigenze della attività parlamentare. A riprova del rilievo assunto negli anni dal sistema , anche a livello europeo, si osserva che una macchina Michela è stata esposta alla mostra permanente “Les grandes heures du Parlament”, realizzata a Parigi per iniziativa dell'Assemblée Nationale nello Château de Versailles.

Gli stenografi del Senato hanno conseguito ai campionati di stenografia quattro titoli mondiali (1979, 1983, 1985, e 1995) e dal 1977 al 1996 tutti i titoli italiani. Nel corso degli ultimi decenni la Michela, pur continuando a basarsi sul meccanismi non troppo dissimili da quelli dei primi esemplari, ha adottato via via le più aggiornate tecnologie informatiche e il medesimo protocollo di comunicazione adottato dalle tastiere musicali (MIDI), fino a divenire uno dei più veloci sistemi di inserimento dati oggi esistente. Di recente il sistema è divenuto disponibile anche su piattaforme OpenSource. Filmato audio Plover with Michela-MIDI, su YouTube.



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Eugenio Minisini

Eugenio Minisini (Gemona del Friuli, 19 novembre 1878 – Varese, 16 maggio 1946) è stato un generale, inventore e partigiano italiano.
Biografia

Il padre Francesco era un farmacista ed apparteneva ad una ricca famiglia friulana, mentre la madre Eugenia Fremont, era originaria di Fiume[1].

Nato ad Ospedaletto di Gemona, una frazione di Gemona, 15 anni entrò nell'Accademia Navale di Livorno e fu guardiamarina nel 1898. A bordo la nave Elba per tre anni lavorò come sottoufficiale in oriente, e fu decorato con l'Ordine di San Stanislao dallo zar per aver partecipato con le truppe russe alla spedizione italiana nel mar Giallo in Cina, quindi, rientrato in patria, si imbarcò prima sulla nave Affondatore, poi sulla Regina Margherita ed infine sul primo sommergibile italiano, il “Delfino”.

Si congedò dalla Marina militare italiana nel 1907, e in seguito richiamato alle armi, fu nominato capitano di corvetta per meriti durante la prima guerra mondiale. Successivamente per il suo acume, fu chiamato quale direttore della Commissione permanente per gli esperimenti del materiale da guerra e nel 1934 passò alla guida del Silurificio Italiano, come presidente.

Fu anche Direttore Generale e vice presidente dell'IRI. Divenne poi a seguito delle ordine di Mussolini, un consulente tecnico della Navalmeccanica.
Progetti navali

Al Minisini si deve la costruzione della artiglieria militare in campo navale come il lanciasiluri ad impulso laterale installato sul Motoscafo armato silurante; progettò anche alcuni mezzi incursori come "il Minisini".
I sommergibili di assalto

Il Minisini fu anche il progettista dei sottomarini sperimentali chiamati "Sommergibile d'Assalto" (S.A.) [2]. Durante la guerra mondiale furono progettati e costruiti il SA1, SA2 e SA3, i quali dovevano in origine superare l'agilità degli U-Boot. Tali sottomarini di piccole dimensioni furono costruiti segretamente presso il Silurificio di Baia, silurificio che aveva il proprio poligono presso l'isolotto di San Martino. Alcune testimonianze rivelano che questi progetti erano attenzionati anche dai servizi segreti giapponesi. I sottomarini avevano delle soluzioni ingegneristiche d'avanguardia per l'epoca come una propulsione basate su eliche traenti (anziché propulsive) e che anticipavano di molti anni gli attuali battelli con propulsione indipendente dall'aria (AIP)[3].
Negli Stati Uniti
Il generale Minisini venne infine trasferito negli Stati Uniti il 21 ottobre 1943 assumendo la direzione di un gruppo misto di ingegneri e tecnici italiani operanti presso la U.S. Navy Torpedo School di Newport, nel Rhode Island. In quella sede sviluppò un acciarino magnetico per siluri.


https://it.wikipedia.org/wiki/Eugenio_Minisini
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Peter Mole


Peter Mole, vero nome Pietro Mulè (Termini Imerese, 11 ottobre 1891 – San Diego, 2 agosto 1960), è stato un inventore italiano nel campo dell'elettricità.
Biografia

Mulè (che ha cambiato nome sostituendolo con Peter Mole), è nato a Termini Imerese nel 1891 ed è emigrato in America, con il padre Pietro ed i fratelli Filippo, Giuseppe e Giuseppa, nel 1897.

Mulè nel 1917 si laurea in "ingegneria elettrica" e comincia a lavorare per la Thomas Edison e per la General Electric, a New York, mentre nel 1923 si trasferisce a Los Angeles.

Nel 1927 fonda la Mole-Richardson, azienda che si occupa di illuminazione e di produzione cinematografica, con sede a Hollywood, California, e rifornisce la casa cinematografica Metro Goldwyn Mayer.

La Mole-Richardson di Mulè ha brevettato nel 1935 il primo "Fresnel Solar Spot" (Riflettore) e durante la seconda guerra mondiale, Mulè concentra i suoi sforzi verso lo sviluppo di proiettori per corazzate, carri armati e artiglieria per le forze alleate in Europa e nel Pacifico.

Nel 1945 Peter Mole è stato scelto per realizzare l'illuminazione per il Consiglio storico delle Nazioni Unite, tenutosi a San Francisco.

Sposa Cecilia Lazarus, dalla quale ha avuto una figlia, Anna Frances Mole.

Peter Mole è deceduto improvvisamente il 2 agosto 1960 a San Diego e il genero, Warren Parker, ha assunto la presidenza della società.

La Mole-Richardson Company, che attualmente è gestita dai nipoti di Peter, Larry e Mike Parker, è oggi considerata una delle principali industrie legata al cinema e alla televisione.





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Ernesto Montù


Ernesto Montù (Alessandria, 3 gennaio 1893 – Santa Margherita Ligure, 1981) è stato un ingegnere, inventore e radioamatore italiano.

Dal maggio 1921 fu condirettore della società Industrie Telefoniche Italiane dell'ingegner Doglio con l'incarico di responsabile della produzione radio iniziata da tale azienda. Nell'aprile 1924 passa alla Ansaldo Lorenz.

Ernesto Montù fece parte del consiglio di amministrazione dell'Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche. Brevettò diversi macchinari industriali tra cui un primitivo modello di radar che però non fu capito dalle autorità. Con nomina di Guglielmo Marconi, divenne membro del CNR.

Nel 1966 ottenne il premio Cristoforo Colombo.

Fu fondatore dell'Associazione Radiotecnica Italiana, divenuta in seguito Associazione Radioamatori Italiani (A.R.I.), di cui fu anche segretario dal 1927 al 1947 e presidente onorario dal 1964 alla sua morte nel 1981.





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Leo Morandi

Leo Morandi (Sassuolo, 14 settembre 1923 – Casinalbo, 2 maggio 2009) è stato un imprenditore e inventore italiano.

Gli inizi con Marazzi

Di famiglia numerosa, Morandi iniziò presto a lavorare, ottenendo un impiego presso le officine meccaniche Ballarini. Dopo la Seconda guerra mondiale Morandi trovò lavoro al ceramificio Marazzi. Gli anni quaranta furono un periodo di grande crescita per il settore della vetroceramica, e Sassuolo era il centro di un fiorente distretto produttivo che raccoglieva alcune tra le più grandi, antiche e prestigiose industrie del settore.

Qui Morandi, con il benestare di Filippo Marazzi si applicò nella ricerca di soluzioni semplici per risolvere problemi del processo produttivo: il 1º dicembre 1945 depositò il brevetto n. 424701 per un Dispositivo per raschiare automaticamente lo smalto dai bordi delle piastrelle per rivestimento.

Questa raschiatrice automatica semplificava il lavoro di pulizia dello smalto in eccesso dai bordi delle piastrelle, un lavoro precedentemente fatto manualmente con lame e soggetto ad un alto numero di difetti su una produzione industriale.

In seguito Marazzi mise a disposizione di Morandi un laboratorio di ricerca all'interno dello stabilimento di Sassuolo, dove l'inventore sviluppò un sistema per il controllo dei difetti di produzione tramite un sistema elettrico.

Il biscotto ceramico veniva fatto passare attraverso due punte metalliche, su cui si trovava una forte differenza di potenziale; dove la superficie ceramica era irregolare si formava un abbassamento della resistenza elettrica e l'effetto isolante era compromesso, per cui si formava un passaggio di corrente che permetteva un agevole rilevamento delle fessurazioni del materiale.
L'attività artigiana

Nel 1954 Marazzi e Morandi sottoscrissero una convenzione privata, che dava all'industriale un diritto di prelazione sulle invenzioni del tecnico, consentendogli di acquistarle ad un prezzo convenuto in cambio del finanziamento delle ricerche.

Il sistema elettrico di controllo dell'integrità venne brevettato da Morandi il 27 aprile 1954, col nome di Dispositivo per la rilevazione ed eliminazione automatica di piastrelle da rivestimento difettose. Due mesi dopo i diritti vennero ceduti a Marazzi come da accordi.

L'invenzione fruttò un buon guadagno, che Morandi reinvestì aprendo una propria officina, la Officina Morandi Leo Sassuolo, installata nel proprio garage di viale 28 settembre a Sassuolo. Lì lavorò allo sviluppo di nuove applicazioni per il settore meccano-ceramico, in particolare legate all'automazione dei processi produttivi. In seguito l'officina si trasferì in una struttura industriale in viale Ghiberti, e di nuovo in una sede in via Circonvallazione N/E.

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Le innovazioni
In una decina d'anni le applicazioni sviluppate dall'officina di Morandi arrivarono a permettere l'automatizzazione completa dei processi di smaltatura e decorazione delle piastrelle, integrando tutti i processi produttivi con delle linee di trasporto a velocità variabile. Questi prodotti si diffusero dapprima sul territorio italiano, per poi raggiungere il distretto produttivo spagnolo di Castellon della Plana e altre importanti aree europee specializzate nelle lavorazioni ceramiche.

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Tra i prodotti brevettati in questo periodo si possono citare

14 giugno 1958, brevetto n.592220, Sistema per la legatura con fili di ferro di piastrelle greificate o altri materiali aventi forme geometriche simili o quasi

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1º agosto 1958, brevetto n.598125, Macchina per levare automaticamente dalle piastrelle di ceramica lo smalto colato sui bordi durante la smaltatura a umido e brevetto n.593124 Dispositivo per spazzolare piastrelle di ceramica contemporaneamente di sopra e di sotto con un passaggio solo
2 agosto 1958, brevetto n.593126 Macchina automatica per levare dalle piastrelle di ceramica non ancora smaltate le sbavature lasciate dagli stampi sugli spigoli e brevetto n.593127 Pompa per liquidi densi in modo particolare per smalto vetroso in sospensione acquosa per l'industria ceramica in genere
25 settembre 1958, brevetto n.595789, Macchina per recuperare lo smalto vetroso delle piastrelle che risultano difettose dopo la smaltatura a umido
6 aprile 1959, brevetto n.606642, Procedimento per fabbricare le piastrelle smaltate a spigolo smussato dette normalmente a becco di civetta
7 aprile 1960, brevetto n.629034, Macchina automatica per impilare piastrelle ceramiche umide all'uscita dalla pressa
7 aprile 1961, brevetto n.646867, Trasportatore per piastrelle ceramiche e brevetto n.646866 Dispositivo per girare le piastrelle ceramiche sui trasportatori
15 aprile 1961, brevetto n.647228, Macchina per dividere le piastrelle ceramiche secondo il loro spessore.



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Il 28 marzo 1962 Morandi brevettò alcuni sistemi per migliorare le presse idrauliche (Sistema idraulico per la pressatura di materiale mediante una pressa azionata da più cilindri tecnicamente predisposti la maggior parte dei quali si autoalimenta, brevetto n.685219 e Sistema idraulico per la pressatura di materiale mediante una pressa azionata da più cilindri tecnicamente predisposti la maggior parte dei quali si autoalimenta, n.685219).

All'epoca erano preferite le presse a frizione, più veloci, potenti e precise di quelle idrauliche: l'applicazione di Morandi permetteva un aumento della velocità di queste ultime, rendendole più competitive. Durante la fase finale dello sviluppo di questa tecnologia una ditta concorrente presentò un prodotto simile. Morandi, pur affermando di aver dimostrato che i concorrenti avevano plagiato l'invenzione grazie alla collaborazione con l'artigiano che aveva realizzato l'impianto idraulico, effettuò una prima diffida ma non intraprese una battaglia legale.

Al 13 marzo 1968 risale il brevetto per la Macchina automatica per applicare decorazioni serigrafiche alle piastrelle ceramiche, e al 3 luglio 1978 quello della Cabina di smaltatura a dischi nebulizzatori.



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Nel 1973 seguirono i brevetti n.1001087 (Dispositivo per distribuire le piastrelle ceramiche facenti parte di una fila) e 1001086 (Dispositivo per svuotare i supporti di cottura delle piastrelle ceramiche), entrambi assegnati il 6 dicembre e nel 1978 i brevetti n.1104063 (Dispositivo perfezionato a dischi rotanti per nebulizzare e distribuire uniformemente sostanze su superfici in particolare smalti da applicare in modo uniforme su piastrelle ceramiche, 12 aprile) e n.28979B (Cabina di smaltatura a dischi rotanti per nebulizzare e distribuire uniformemente lo smalto da applicare sulle piastrelle ceramiche, 3 luglio).

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Ulteriori prodotti sviluppati da Morandi non furono seguiti da brevetto, in quanto l'inventore era giunto a ritenere inefficace il sistema di tutela dato da questi.

L'impresa di Morandi subì un ridimensionamento negli anni ottanta, dovuto alla crisi del settore ceramico, per poi ritirarsi a vita privata, pur continuando a mantenere un piccolo laboratorio meccanico nella sua abitazione.



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Leo_Morandi

 
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Francesco Morano



Francesco Morano (Caivano, 8 giugno 1872 – Città del Vaticano, 12 luglio 1968) è stato un cardinale, arcivescovo cattolico e inventore italiano.

Biografia

Nasce a Caivano l'8 giugno 1872.

Entrato nel seminario di Aversa, s'immerge con passione nello studio delle scienze esatte prima ancora dell'ordinazione sacerdotale, che avverrà il 10 agosto 1897[1].

Nel 1896 consegue la laurea in matematica e fisica e vince il premio "Fondazione Corsi", che gli permette di attendere agli studi scientifici per un altro anno presso l'Università di Roma. Lì consegue anche la libera docenza nelle predette discipline.

Nel 1900 entra quale assistente aggiunto nella Specola Vaticana, fondata da Gregorio XIII per lo studio del Calendario e richiamata in vita da Leone XIII.

Nel 1903 diviene socio corrispondente della Pontificia Accademia dei Nuovi Lincei, nel 1916 socio ordinario, nel 1928 membro del Comitato Accademico e infine presidente negli anni 1934-1935.

Pubblica diversi lavori scientifici, alcuni dei quali sono riportati più sotto. Nel 1917 brevetta in Inghilterra, in Francia e in America il modulatore di corrente ad uso di microfono metallico.

Parallelamente, sempre prima dell'ordinazione sacerdotale, consegue anche la laurea in filosofia, in teologia e in utroque iure, nella Pontificia Università Lateranense. Quest'ultimo titolo gli consentirà l'ingresso negli organismi della Curia Romana.

Nel 1896 diventa avvocato della Curia Romana. Nel 1903 vince il concorso di notaio sostituto della Sacra Congregazione del Sant'Uffizio, di cui sarà sommista nel 1912 e consultore nel 1938. Nel 1921 è prelato referendario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, nel 1922 prelato votante, nel 1925 prelato uditore della Sacra Rota, nel 1928 consultore della Sacra Congregazione del Concilio, nel 1930 consultore della Pontificia Commissione per l'interpretazione del Codice Diritto Canonico e membro della Pontificia Commissione per le opere di Religione, nel 1935 segretario della Segnatura Apostolica e Uditore di Sua Santità, consigliere del Papa in materia giuridica.

All'età di 87 anni diventa uno dei cardinali elettori più anziani del Collegio Cardinalizio (All'epoca della sua nomina non era ancora stato creato vescovo, quando poi il Pontefice Giovanni XXIII rese obbligatoria per tutti i cardinali, la nomina episcopale).

Papa Giovanni XXIII lo eleva al rango di cardinale nel concistoro del 14 dicembre 1959.

Partecipa al conclave del 1963 che porta alla elezione di Giovanni Battista Montini Papa Paolo VI

Muore il 12 luglio 1968 all'età di 96 anni a causa di una grave malattia che gli impedisce di parlare correttamente facendogli emettere versi incomprensibili all'uomo.

Aveva nominato erede universale la Piccola Casa della Carità di Aversa, fondata dal fratello, il canonico Giuseppe Morano, alla quale in vita aveva dedicato costante attenzione.
Opere

Marea atmosferica, Tip. della R. Accademia dei Lincei, Roma 1899
Sul raccordamento delle fotografie stellari, Tip. Fratelli Fusi, Pavia 1900
Tavole matematiche per i calcoli di riduzione delle fotografie stellari per la zona vaticana, 1905
Il modulatore di corrente, 1915
Il modulatore di corrente ad uso di microfono metallico, 1917
Religio Iesu Christi cum compendio, Typis Polyglottis Vaticanis, Città del Vaticano 1957
La religione di Gesù Cristo. Con compendio ad uso degli insegnanti e degli alunni di teologia e di catechesi cristiana, dei parroci e dei missionari, Tipografia poliglotta vaticana, Città del Vaticano 1958
Gli elementi essenziali del cristianesimo, Tipografia poliglotta vaticana, Città del Vaticano 1959

Genealogia episcopale

La genealogia episcopale è:

Cardinale Scipione Rebiba
Cardinale Giulio Antonio Santori
Cardinale Girolamo Bernerio, O.P.
Arcivescovo Galeazzo Sanvitale
Cardinale Ludovico Ludovisi
Cardinale Luigi Caetani
Cardinale Ulderico Carpegna
Cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni
Papa Benedetto XIII
Papa Benedetto XIV
Papa Clemente XIII
Cardinale Bernardino Giraud
Cardinale Alessandro Mattei
Cardinale Pietro Francesco Galleffi
Cardinale Filippo de Angelis
Cardinale Amilcare Malagola
Cardinale Giovanni Tacci Porcelli
Papa Giovanni XXIII
Cardinale Francesco Morano


https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Morano
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Giovanni Morbelli

Giovanni Morbelli (Casale Monferrato, 8 luglio 1874 – Casale Monferrato, 13 maggio 1947) è stato un chimico e inventore italiano.

Nato in una famiglia di imprenditori del cemento, si laurea in Chimica pura presso l'Università di Torino. Dopo aver prestato servizio nella prima guerra mondiale come ufficiale del Genio, Giovanni Morbelli nel 1929 inventa il cosiddetto Asbest-Zement Morbelli, un tipo di fibrocemento che, oltre ad eliminare quasi del tutto l'aerodiffusione delle particelle cancerogene dell'asbesto, consentiva un sostanziale miglioramento della solidità delle condotte idriche, permettendo così l'irrigazione di vaste aree coltivabili come in Argentina dove fu largamente utilizzato.

Nello stesso anno, il prodotto viene brevettato a Berlino e, successivamente nel 1937, anche negli Stati Uniti[1].

Nel 1904 Morbelli aveva fondato a Genova la rivista Il Cemento, primo periodico del settore, dove era stato sia l'istitutore, sia il maggior esponente; ad essa si aggiungeranno in seguito Il cemento armato e Le industrie del cemento dedicate al calcolo delle strutture ed alla chimica dei leganti idraulici.[2] Premiate cinque volte con medaglia d'oro e poste sotto gli auspici della Presidenza del Consiglio dei ministri, le pubblicazioni continueranno fino al 1969.

Giovanni Morbelli muore il 13 maggio 1947 dopo un lungo periodo di infermità causato dai postumi di un incidente stradale.[3]



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Angelo Moriondo


Angelo Moriondo (Torino, 6 giugno 1851 – Marentino, 31 maggio 1914) è stato un inventore e imprenditore italiano noto per aver realizzato la prima macchina da caffè espresso moderna, brevettata il 16 maggio 1884 e presentata all'Expo 1884 di Torino. Così venne progettata la macchina del caffè istantaneo[1].

Biografia

Angelo Moriondo apparteneva a una famiglia di imprenditori; un suo antenato, già alla fine del XVIII secolo, aveva ottenuto dalla corte sabauda una licenza per produrre Vermouth. Il padre, con il fratello Agostino e il cugino Gariglio, fondò la nota fabbrica di cioccolato "Moriondo & Gariglio".[2]
Scatola in cartone per i cioccolatini Moriondo & Gariglio, primi anni del 1900.

Sposò Sinforosa Omegna da cui ebbe quattro figli: Giacomo, Caterina, Margherita ed Antonio. Sulle orme del padre, fu anch’egli molto impegnato in attività imprenditoriali alberghiere di successo.

Angelo ampliò la sua sfera di attività acquistando a Torino il Grand-Hotel Ligure, nella centralissima piazza Carlo Felice, e l'American Bar nella Galleria Nazionale di via Roma. Fu proprio questa attività alberghiera e di ristorazione che fece sorgere l'esigenza, e quindi l'idea, di mettere a punto una macchina per la produzione del "caffè istantaneo" al fine di soddisfare in tempi rapidi la sempre più esigente e frettolosa clientela.[3]

Fu padre di Giacomo, noto pittore ed illustratore.
Carta intestata dell'American Bar nella Galleria Nazionale di via Roma a Torino.
Storia
Primo brevetto (16 maggio 1884) della macchina per il caffè espresso
Articolo "Chiosco del caffè Ligure" sulla Gazzetta Piemontese n.203 del 24 luglio 1884 pag.3

Fu in occasione dei grandi preparativi per l’Esposizione Generale del 1884 al Valentino, che Angelo Moriondo, animato sempre da geniale spirito imprenditoriale, pensò di ammodernare i suoi esercizi. Era per lui e per le sue aziende un’opportunità da non perdere, un evento da sfruttare, attendendosi in città l’arrivo di centinaia di migliaia di visitatori provenienti da tutta l’Italia e dall’Estero.

Vi era a quel tempo a Torino una generale atmosfera di rinnovamento, di grandi trasformazioni economiche, politiche e sociali, e l’esposizione fu l’occasione per mettere in moto quel processo virtuoso che, dopo la delusione per la perdita del primato politico con il trasferimento della capitale del regno, avrebbe definitivamente segnato il passaggio di Torino da capitale politica a capitale industriale, facendo rimarcare i grandi progressi compiuti nel mezzo secolo di vita del regime liberale. Insomma l’Esposizione costituì l’occasione per far risvegliare la città dal torpore in cui era caduta dopo il trasferimento della capitale prima a Firenze e poi a Roma.
Expo Generale di Torino

La macchina venne presentata in occasione dell'Esposizione generale italiana del 1884 a Torino, presso lo stand allestito da Angelo Moriondo che ne ricevette la medaglia di bronzo[4]. La macchina, costruita in collaborazione con il meccanico Martina sotto la direzione dell'inventore, era in rame e bronzo, alta circa un metro e aveva "la forma di campana", come venne riportato in un articolo della Gazzetta Piemontese del 24 luglio 1884.[5]

Fece inoltre installare la sua macchina all'Esposizione Generale del Valentino dove era stato allestito un chiosco presso il quale i visitatori potevano degustare il caffè prodotto con la nuova macchina.
La Galleria del Lavoro, dove si trovava lo stand di Moriondo.

Parlando di questa invenzione così un cronista la descriveva sul settimanale dell'Esposizione:

«Caffettiera degna d'essere presa in seria considerazione è quella esposta in apposito chiosco vicino all'entrata della Galleria dell'Elettricità dall'inventore signor Moriondo, padrone del Caffè Ligure e da lui tenuta in esercizio. È una curiosissima macchina a spostamento con cui si fanno trecento tazze di caffè a vapore in un'ora (proprio a vapore). Si compone di un cilindro o caldaia verticale che contiene 150 litri d'acqua la quale vien messa in ebollizione da fiammelle di gas sotto il cilindro, e per mezzo del vapore con una complicazione curiosissima di congegni si fanno in pochi minuti 10 tazze di caffè in una volta o, una sola tazza se volete.
È la caffettiera portata al suo massimo sviluppo, ridotta quasi ad essere pensante, e se Redi che ce l’aveva contro "l'amaro e rio caffè" tornasse in vita a vedere come il mondo si preoccupi più del caffè che della poesia, più delle caffettiere che dei poeti.»

Lo stesso cronista sentiva il bisogno di tornare ancora sulla macchina del Moriondo descrivendo più tardi i chioschi dell'Esposizione. Egli si soffermava a descriverne alcuni che si distinguevano per la grandiosità, per l'originalità e la bellezza, progettati da illustri ingegneri e architetti, passando poi in rassegna “quelli che sorgono nel viale fra la facciata della galleria dell'Elettricità e della Guerra e la parte posteriore del palazzo delle Belle Arti”.
La macchina per caffè espresso La Brasiliana, brevettata da Moriondo.

Ed era qui che egli faceva notare il contrasto fra la modestia della costruzione e la genialità della macchina che v'era esposta: "Qui si trova il modesto chiosco del signor Moriondo dove si ammira la famosa caffettiera miracolosa, invenzione del Moriondo stesso, con cui si preparano dieci, venti, cento tazze di caffè in pochi minuti."

Angelo Moriondo, a seguito della domanda e della documentazione da lui presentata per il rilascio del brevetto il 16 maggio 1884, ne ottenne la registrazione, effettuata al Vol. 33, n. 256, in questi termini:

"Attestato di privativa industriale, per sei anni, a datare dal 30 giugno 1884, rilasciato al signor Moriondo Angelo, a Torino, per un trovato che ha per titolo: Nuovi apparecchi a vapore per la confezione economica ed istantanea del caffè in bevanda. - Sistema A. Moriondo"
La scheda del progetto tecnico presentata da Moriondo all'Ufficio brevetti nel 1884.
Bollettino privative industriali del 1884 attestante il brevetto

Il 20 novembre 1884, Moriondo presentò un'ulteriore documentazione allo scopo di ottenere anche il riconoscimento di privativa per successivi perfezionamenti apportati alla sua macchina. In seguito a questa seconda richiesta, con registrazione avvenuta al Vol. 34, n. 381, egli ottenne l'"Attestato completivo della privativa industriale rilasciata il 16 maggio 1884 – Vol. 33, n. 256, al signor Moriondo Angelo, a Torino, per un trovato che ha per titolo: Nuovo apparecchio a vapore per la confezione economica ed istantanea dl caffè in bevanda, sistema Moriondo." (Vedi documentazione n. 2)

Per la macchina, frutto della sua invenzione, presentata all'Esposizione di Torino, il Moriondo fu premiato con la "Medaglia di primo grado".

Effettivamente la macchina di Moriondo costituiva per il suo tempo una vera rivoluzione. Si trattava veramente di una macchina all’avanguardia, con la caldaia dotata di tutti i controlli (livello dell'acqua e pressione del vapore) nonché di valvola di sicurezza; era inoltre versatilissima potendo davvero produrre da una a molte tazze di caffè. Quel che la rendeva però del tutto speciale e nuova era il fatto d’essere munita di maniglia porta-filtro con attacco di fissaggio rapido: questo la rendeva veramente una macchina per caffè espresso, tanto che lo slogan dell’inventore pare fosse questo: "Venite al Ligure, vi daremo il caffè in un minuto".

Successivamente, forse anche in seguito al successo avuto dalla sua macchina all'Esposizione torinese e agli apprezzamenti ricevuti, Angelo Moriondo provvide a brevettare la sua invenzione anche all’estero. Nel 1885 ottenne infatti il brevetto anche in Francia, che gli fu rilasciato a Parigi il 23 ottobre di quell'anno.

Angelo Moriondo tuttavia non sfruttò industrialmente il suo brevetto avviando una produzione in serie e una commercializzazione su vasta scala, come sarebbe stato logico attendersi. È forse questo il motivo per cui il suo nome è poco conosciuto fra gli storici del caffè e delle macchine del caffè. Fra gli storiografi del caffè, il primo a parlare di Angelo Moriondo è stato l'australiano Ian Bersten.[6]
Gli anni successivi

Le sue attività imprenditoriali lo spinsero verso altri obiettivi: la sua macchina venne costruita in un numero limitato di esemplari e venne posta in servizio soprattutto nei suoi esercizi pubblici per i quali doveva servire da richiamo.

Egli aveva costituito la Società Anonima Stabilimenti del Ligure per la gestione dell’albergo e del caffè e da imprenditore apprezzato entrò a far parte del consiglio di amministrazione della Camera di Commercio di Torino.

Angelo Moriondo continuò ad interessarsi alla sua macchina per caffè espresso e, seguendo l’evolversi della tecnologia e della moda in quel campo, apportò in seguito ulteriori miglioramenti alla sua idea originale, tanto che il 12 novembre 1910 presentò un’ulteriore richiesta di privativa industriale per tre anni a seguito della quale l’8 giugno 1911 gli venne rilasciato il brevetto n. 113332 registrato al vol. 342, n. 167 avente per titolo: “Macchina per fare istantaneamente il caffè”. Nella descrizione dell’invenzione è scritto: “Oggetto della presente invenzione è una nuova macchina per fare il caffè capace di dare indifferentemente ed istantaneamente da una a più tazze di caffè oppure da uno a più litri”.

Di questa privativa (pochi mesi prima di morire e precisamente in data 30 dicembre 1913) chiese il prolungamento di validità per altri 4 anni, ottenendone l’attestato n. 139663 l’8 aprile 1914. Quest’ultimo brevetto sembrerebbe quasi essere una rivendicazione del suo primato nell’aver ideato una vera macchina per caffè espresso.

Angelo Moriondo morì nella sua casa di campagna a Marentino il 31 maggio 1914, all’età di 62 anni, quando era al culmine del suo successo imprenditoriale in campo alberghiero.


https://it.wikipedia.org/wiki/Angelo_Moriondo
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Bruno Murari


Bruno Murari (Treviso, 14 maggio 1936) è un inventore italiano.

Nel corso della sua carriera ha brevettato circa 200 invenzioni nel campo della progettazione dei circuiti, delle tecnologie di potenza e dei dispositivi MEMS (Micro Electro Mechanical Systems). È l'unico italiano ad aver ricevuto il Premio Elmer A. Sperry, che viene assegnato a chi si è distinto con contributi ingegneristici di provata efficacia per fare avanzare il campo dei trasporti.

Biografia

Cresce a Venezia, sull'isola di San Giorgio e, dopo aver conseguito il diploma di perito industriale elettrotecnico, nel 1955 presso l'Istituto Tecnico "A. Pacinotti" di Mestre, inizia a lavorare in Edison Volta, per la quale progetta sottostazioni e linee elettriche in Val Camonica.

Nel 1961 viene assunto alla Somiren (Società Minerali Radioattivi Energia Nucleare) di San Donato Milanese, una piccola società del gruppo Agip Nucleare. Dopo il lavoro, frequenta le lezioni serali dell’Istituto Radiotecnico Aurelio Beltrami ed ottiene due anni più tardi il diploma di perito elettronico.

Nel novembre del 1961 passa alla SGS ( Società generale semiconduttori) di Agrate Brianza, oggi STMicroelectronics, startup fondata da Adriano Olivetti e Virgilio Floriani, fondatore della Telettra, dapprima presso il Laboratorio applicazioni e poi nel gruppo di progettazione dei circuiti integrati lineari. Grazie alla partnership con la società di semiconduttori Fairchild Semiconductor[1], Murari inizia a collaborare con Bob Widlar, uno dei pionieri del design di circuiti integrati.

Alla fine degli anni ’60 sviluppa i primi amplificatori audio a circuito integrato per TV e radio portatili. In seguito adatta la tecnologia per circuiti integrati, inizialmente sviluppata in ambito elettronica di consumo, al mercato automotive, ottenendo il primo regolatore di tensione a involucro metallico per alternatori automobilistici, realizzato con il processo bipolare di STMicroelectronics.

Dal 1998 ha iniziato lo sviluppo delle tecnologie e di alcuni dispositivi MEMS (Micro Electro-Mechanical Systems, sistemi micro elettro-meccanici), come i trasduttori di pressione e gli accelerometri multiassiali[2], che sono stati utilizzati nei videogiochi,[3] negli smartphone[4] ed in numerosi prodotti tecnologici.[5]

Nella sua carriera, ha progettato personalmente 10 circuiti integrati, ha diretto lo sviluppo di oltre 2.000 circuiti integrati[5] e ha ottenuto più di 200 brevetti[6] nel campo della progettazione dei circuiti, delle tecnologie di potenza e dei dispositivi MEMS. È un esperto di aeromodellismo a volo libero[7].
Opere

Murari, B. (Bruno), Bertotti, F. (Franco) e Vignola, G. A. (Giovanni A.), Smart Power ICs : technologies and applications, Springer, 1996, ISBN 3540603328, OCLC 34513152. URL consultato il 17 settembre 2019.
IEEE Industrial Electronics Society., American Society of Mechanical Engineers. Dynamic Systems and Control Division. e IEEE Robotics and Automation Society., 2001 IEEE/ASME International Conference on Advanced Intelligent Mechatronics : proceedings : 8-12 July, 2001, Teatro Sociale, Como, Italy, IEEE, 2001, ISBN 0780367367, OCLC 48891717. URL consultato il 19 settembre 2019.
IEEE, Electron Devices Society Staff,, 1995 International Electron Devices Meeting., IEEE, 1995-12, ISBN 9780780327009, OCLC 812632708. URL consultato il 19 settembre 2019.
Institute of Electrical and Electronics Engineers. e IEEE Electron Devices Society., Transducers '03 : the 12th International Conference on Solid-State Sensors, Actuators and Microsystems : digest of technical papers : [June 9-12, 2003], Boston, IEEE, 2003, ISBN 0780377311, OCLC 812614177. URL consultato il 19 settembre 2019.
Institute of Electrical and Electronics Engineers. e University of Pennsylvania., 2003 IEEE International Solid-State Circuits Conference : digest of technical papers : ISSCC 1954-2003, 1st ed, IEEE, 2003, ISBN 0780377079, OCLC 53457374. URL consultato il 20 settembre 2019.

Premi e onorificenze

1993: finalista per il premio "EDN Innovator of the Year"
1995: European SEMI Award[8]

Laurea honoris causa in Scienza dell'Informazione - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Scienza dell'Informazione
«per il suo ruolo nello sviluppo delle tecnologie circuitali miste di potenza»
— Università Ca' Foscari Venezia, 1995[9]
Laurea honoris causa in Ingegneria Elettronica - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Ingegneria Elettronica
«per i suoi contributi fondamentali nel campo della microelettronica che hanno consentito l'affermazione internazionale dell'industria italiana di alta tecnologia»
— Politecnico di Milano, 2002[9][10]

2010: Murari tra i dieci innovatori del decennio secondo "Il Sole 24 ore"[11]
2011: Premio Sapio per l'industria[12]
2014: Lifetime Achievement Award da parte del MEMS and Sensors Industry Group[13]
2017: Premio Elmer A. Sperry per essere stato tra i primi a capire che il silicio non vanta solo straordinarie proprietà elettriche ma anche proprietà fisiche e meccaniche uniche e per i suoi contributi allo sviluppo dei primi amplificatori audio a circuito integrato per TV e radio portatili per la SGS (Società Generale Semiconduttori).[14]



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Vincenzo Muricchio

Vincenzo Muricchio (Portocannone, 26 dicembre 1861 – Ovada, 7 agosto 1960) è stato un generale e inventore italiano, facente parte dell'esercito. Il suo nome è riportato nell'elenco di quei militari che parteciparono a vario titolo alla progettazione del famoso fucile Carcano Mod. 91.
Biografia

Vincenzo Stefano Muricchio nacque a Portocannone (CB) il 26 dicembre 1861. Figlio del Notaio Pietro Muricchio e della N. D. Mariateresa Muricchio. Nel 1876 fu ammesso alla Scuola Militare Nunziatella di Napoli, e dopo 6 anni ebbe il grado di sottotenente. Quando era capitano d'artiglieria, nel 1889, andò all'Officina Militare Pirotecnica di Bologna. Da Colonnello è stato collocato a disposizione del ministero degli affari esteri quale ufficiale addetto alla riorganizzazione della gendarmeria imperiale ottomana in Macedonia dove ha avuto modo di conoscere personalità albanesi e rendersi utile per i loro problemi. Ebbe incarichi diplomatici in Grecia e in Albania, che condusse con successo, anche perché appassionato cultore, quale italo-albanese. Il 1º gennaio del 1923 gli fu assegnato il grado di generale di Divisione. È stato insignito di molte onorificenze e decorazioni: Cavaliere dell'Ordine Mauriziano, ebbe, tra le altre, anche eccelse decorazioni turche. Viene riportato un suo acquartieramento a Messina come direttore d'artiglieria. Morì a Ovada nel 1960, quasi centenario. Suo nonno materno fu D.Nicola Campofreda(*14 dicembre 1794 +1º aprile 1873)Ufficiale dell'Esercito Napoletano.
Il fucile '91

Nel febbraio-marzo 1958 apparve sulle pagine del quotidiano Il Giorno un'inchiesta in nove puntate a firma Angelo Fusco, intitolata Il romanzo del '91 nei ricordi del suo inventore il generale Muricchio. Prendendo spunto dalla consegna al novantaseienne Muricchio di una targa da parte rappresentanti dell'Unione Tiro a Segno nazionale ed intestata "U.I.T.S. al generale Vincenzo Muricchio, inventore del fucile 91", negli articoli veniva attribuita al generale l'adozione della bilancia idrostatica per la pesa delle cariche di esplosivo per le cartucce, l'invenzione del riflettore parabolico per le lampadine, l'impiego della nichelatura delle pallottole e soprattutto la progettazione dalla canna a rigatura parabolica del fucile modello 1891.

L'inchiesta ebbe pubblica risonanza e Vincenzo Muricchio fu indicato semplicemente come "l'inventore del modello '91"[1]. Già lo stesso generale smentì questa interpretazione, definendosi invece «l'ultimo superstite di un gruppo di militari che studiarono il problema e lo risolsero in maniera abbastanza soddisfacente». La credibilità di tutta l'inchiesta fu poi messa in discussione, per il riscontro di errori grossolani[2], ed in particolare la paternità della canna a rigatura progressiva elicoidale è oggi comunemente attribuita al maggiore Pietro Galelli, segretario della Commissione incaricata dello studio della nuova arma[3]. In effetti autorevoli testi specialistici non menzionano affatto il generale Muricchio.[4] [5]



https://it.wikipedia.org/wiki/Vincenzo_Muricchio

 
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Giuseppe Murnigotti


Giuseppe Murnigotti (Martinengo, 1834 – Nizza, 1903) è stato un inventore italiano.

È noto per essere l'inventore della motocicletta con motore a combustione interna[1],[2].

Brevetti

Murnigotti brevettò cinque progetti
Metodo per comprimere pietre cementizie

Ufficio brevetti Reg.ro Gen.le Vol.e 14 N 11047

Reg.ro Gen.le Vol.e 14 N.o 11047

Descrizione del trovato che ha per titolo ~ Nuovo metodo per comprimere pietre cementizie. ~

Constata la convenienza di comprimere fortemente l'impasto di sabbia e cemento negli stampi degli oggetti che si vogliono confezionare torna necessario di affidare alla macchina questa azione del comprimere, poiché gli operai non possono spingerne la forza fino a tale punto che raggiunga il grado desiderato né mantenere quella uniformità nel colpo che v alga a formare una massa egualmente compatta in ogni sua parte. – La difficoltà principale da superare nell'ideare questa macchina consiste nel trovare modo che il pistone formi sempre la stessa alzata per prendere colpo mentre continua ad alzarsi tutto il pestello in corpo per il crescere dello impasto sullo stampo. Questa manovra si ottiene così; vedi figure I II VI. Un'asta dentata A chiuse ed unita fra due aste sporgenti b b scorre verticalmente in una custodia C guidata da quattroi rulli D G – Uno scatto e imperniato in e ' ferma all'uopo l'asta dentata quando questo si incastra in uno dei denti dell'asta. Lo scatto è tenuto aderente all'asta dal suo stesso peso o da una molla f mentre può essere alzato dalla leva g , mossa da una fune legata al braccio dell'operaio, oppure dall'asta a dente h . ...
Costruzione di gallerie a cunei di cemento

Ufficio brevetti Reg.ro Gen.le Vol.e 17 N 15688

Archivio Centrale di Stato, Roma

Reg.ro Gen.le Vol.e 14 N.o 11047

Descrizione del trovato che ha per titolo Nuovo metodo di costruzione di gallerie a cunei di cemento immaschiantisi, procurando in questa lo scolo continuo delle acque.

L'inventore ha ideato il modo di costruire gallerie con cunei di calcestruzzo di cemento idraulico predisposti e stagionati prima di porli in opera. L'armilla di questa galleria è detta formata di questi cunei esattissimi nella loro forma perché fabbricati col getto di calcestruzzo in appositi stampi. Come si vede nelle fig. 1 e 2 , la disposizione dei filari orizzontali di questi cunei è tale che tutti i filari dispari sporgono dieci e più centimetri dai filari pari e questo, oltreché servire a rendere sfalsate le connessioni verticali, fa sì che l'ultimo Anello verso il cunicolo d'escavo A presenti delle immorzature o dentelli che permettono di legarlo con quello che si costruisce per sostenere l'escavo fatto della profondità dell'asse stesso. L'escavo procede in tal modo molto limitato dalla sua profondità, cioè quanto abbisogna per farvi stare un anello completo di cunei. Però avviene moltissime volte che durante le escavazioni, si presentano degli scoli d'acqua, la quale raccogliendosi in a sul fondo dell'escavo ne disturba l'escavazione e molto più disturba la posizione in opera dei pezzi di platea che formano la base di ogni anello. Ad ovviare a questo inconveniente, servono i condotti o intubamenti x x aperti nella platea stessa, i quali sono destinati a portar fuori della galleria tutte le acques che di raccolgono in a , senza che vi sia bisogno di condurle con intubamenti lungo e sopra la platea della galleria con non poco disturbo dei lavori di costruzione. Detti scoli si possono anche raccogliere nei pozzetti b (fig. 3 e 4), e di là estrarli con un corpo di tromba c . ...
Mantellata per le sponde dei fiumi

Ufficio brevetti Reg.ro Gen.le Vol.e 14 N 21866

Archivio Centrale di Stato, Roma

Reg.ro Gen.le Vol.e 17 N.o 15688

Descrizione del trovato che ha per titolo Nuova mantellatura a difesa delle sponde e degli argini dei fiumi

Il principio consiste nello stare fuori acqua e fabbricare e distendere sul fondo e sulle sponde dei fiumi, anche in piena, una martellatura pieghevole formata da pietra artificiale o naturale collegati da fili metallici. La mantellatura, che si propone più conveniente, è composta di due specie di lastroni di buona pietra cementizia, fabbricata coll'impastare cemento idraulico del migliore con sabbia silicea o ghiaietto o pietrisco, e gettando poi l'impasto in stampi predisposti della figura voluta. La fig. 3 rappresenta un lastrone B della prima specie. Esso è munito da fori a attraversanti la lastra nella direzione della punteggiata, o da occhioli a' o meglio da forchette a” con apposita spranghetta di ferro b . Le fig. 5 e 6 rappresentano un lastrone C della seconda specie, munito egualmente di fori o di occhiali o di forchette, come è indicato in disegno.
Velocipedi con motore a gas Archiviato il 25 aprile 2022 in Internet Archive.

Nel 1879 presentò la sua invenzione all'Ufficio brevetti. Per la prima voltra vi si descriveva il progetto di una motocicletta a due tempi a combustione gassosa (suggerito l'uso dell'idrogeno) e di un triciclo con lo stesso motore e con la possibilità di trasportare due passeggeri. È la prima idea del taxi.

Murnigotti non costruì mai un prototipo ma esisteva un modellino al Museo della Scienza e della tecnica di Milano.

Ufficio brevetti Reg.ro Gen.le Vol.e 13 N 10672

Archivio Centrale di Stato, Roma

Reg.ro Gen.le Vol.e N.o 10672

Descrizione Del trovato che ha per titolo Velocipede con motori a Gaz.

La presente invenzione consiste nel mettere in moto un Velocipede usando della forza sviluppata dai gaz esplodenti, cioè sostituendo la forza di un motore a gaz infiammabile a quella che fa il Velocipedista. Da una formula trovata dal matematico MacQuorn Rankine risulta che la forza che sviluppa un Velocipedista per muovere a corsa ordinaria il proprio velocipede è uguale a quello che lo stesso Velocipedista eserciterebbe per salire ad un'altezza uguale ad un quarantesimo del viaggio percorso. Per esempio, con lo sforzo fatto per percorrere un Chilometro, salirebbe ad un'altezza di 25 metri. Ora, secondo Morin, un uomo salendo va di una velocità di Mhertz 0,15 al minuto secondo, sviluppando Kilogrammetri 9,75, ciò che vale a dire che in due minuti primi e 46 secondi salirà all'altezza di 25 metri, e per caso nostro che un velocipedista percorrerà in egual tempo 1000 metri, che equivale a circa 20 Kilometri ogni ora consumando una forza di Kgm 9,75 = 0,13 (Kgm = Kilogrammetri) di Cavallo Vapore. ...

Nel 2005 la rivista dell'ACI, La manovella, pubblicava la storia del brevetto della motocicletta elaborato da Murnigotti.
Velocigrafo per locomotive

Ufficio brevetti Reg.ro Gen.le Vol.e 15 N 12471

Archivio Centrale di Stato, Roma

Reg.ro Gen.le Vol.e 15 N.o 2441

Descrizione del trovato che ha per titolo Velocigrafo per locomotive

Lo scopo e lo spirito del trovato viene indicato dal titolo stesso; consiste cioè in un apparato che segna graficamente su foglio di carta la velocità di una locomotiva e lo spazio da questa percorso in relazione col tempo. Consta quindi di un orologio A ; di un foglio di carta avvolto su di un tamburro B il quale tamburro ha per suo asse b il prolungamento di quello che nell'orologio porta la freccia indicatrice dei minuti, quindi fa con quello una intiera rivoluzione in un'ora; consta per ultimo di una penna a puntale destinata ad abbassarsi sul tamburo B segnando un punto ogni un dato numero di giri dell'asse delle ruote della locomotiva col quale è legata in sistema per mezzo di meccanismi variabili dei quali indicheremo in seguito i più adatti. L'orologio A deve essere tale da mantenersi in esatto movimento in onta al sussulto della locomotiva e deve portare una molla forte in modo da far ruotare coll'orologio il tamburro B ed anche la vite D posta con esso in movimento per mezzo delle due ruote dentate E ed F , la prima imperniata con essa vite e ingranante coll'altra ruota uguale Ö imperniata sull'asse b . ...
Urbanistica
Milano: Parco Sempione e nuovi quartieri

Fu uno dei fondatori dell'ordine degli ingegneri e architetti di Milano.

Una società aveva progettato e ottenuto il permesso di costruire dei quartieri nell'area dietro il Castello Sforzesco, adibita in passato come piazza d'armi, e non più usata per lo spostamento delle caserme in zona decentrata.

Murnigotti svolse un'attività frenetica di progettazione e di convincimento dell'ordine degli ingegneri e architetti, per salvare come parco la piazza d'armi, costruendo sui bordi dei nuovi quartieri e la Stazione Nord (ferrovie).

Riuscì a far cambiare le decisioni dell'Amministrazione comunale e si deve a lui la creazione del Parco Sempione e il mantenimento di quell'area verde.

Esistono quattro memorie relative a questa sistemazione:

I nuovi quartieri di Milano Progetto dell'ingegner Murnigotti 19-12-82
Nuovi quartieri di Piazza d'Armi Memoria al Collegio Ing. Arch Fine 82
Nuovo studio sui progettati Quartieri di Piazza d'Armi 83
I Nuovi quartieri di Milano Memoria dell'Ingegnere Giuseppe Murnigotti, 1884

Vedi Nuovi quartieri e Piazza d'armi.
Bergamo: nuovo centro

progetto del nuovo centro della città

La parte tra i due borghi storici di Bergamo era occupata da una fiera settecentesca che veniva aperta solo nel mese di agosto in occasione della festa del patrono, Sant'Alessandro.

Murnigotti propose un suo piano che venne all'inizio accettato (1891)[3]; richiesto di varianti presentò un secondo progetto nel 1900 .

Esistono due memorie presentate al consiglio comunale di Bergamo La prima Progetto di trasformazione dei Fabbricati di Fiera ed adjacenze del 1892 e la seconda del 1900 con titolo Secondo progetto di trasformazione dei caseggiati della fiera di Bergamo.

Poi si passò a un concorso che fu ripetuto e la seconda volta fu scelto un progetto di Piacentini, che divenne poi l'architetto del regime fascista.

La gestazione del progetto fu lunga e fu sottoposta a molte variazioni, ma poi si tornò praticamente al progetto di Murnigotti, che aveva come base l'idea di costruzioni di basso livello per non disturbare la vista dell'alta città.

Questo argomento è stato oggetto di una tesi di laurea in Architettura, Politecnico di Milano, D.ssa Giudicatti Stefania nell'anno 2002 con titolo Intervento piacentiniano in Bergamo bassa.

Vedi Fiera di Bergamo.
Idraulica
Sistemazione della fossa interna di Milano (1878)
Progetto per l'allargamento del Canale di Suez

Era stato deciso di piortare il canale di Suez da 22 a 60 metri.

Anche qui Murnigotti presentò al concorso un suo progetto: ideò una tecnica innovativa che utilizzava dei cassoni con i quattro lati smontabili dopo la gettata del calcestruzzo e ridisponibili più avanti, utilizzando i volumi già gettati come basi per le idrovore e per le macchine per gettare il calcestruzzo.

Titolo:

PROJET D'ELARGISSEMENT DU CANAL EN SUBSTITUANT AUX BERGES EN TERRE, ACTUELLEMENT EXISTANTES, DEUX MURS DE SOUTÈNEMENT, FORMÉS EN MORTIER HYDRAULIQUE, D'APRÈS LE SYSTÈME SPÉCIAL INVENTÉ PAR L'INGÉNIEUR JOSEPH MURNIGOTTI

Tipografia Croci, Gallarate 1884, vedi Biblioteca Braidense di Milano
Nuovo metodo per proteggere le sponde dei fiumi

La mantellata che egli ideò, protetta dal brevetto suddetto, era basata su una tecnica di disposizione di pietre cementizie esagonali che si incastravano tra loro e venivano guidatn nella discesa e tenute in sito da cavi di ferro che scorrevano dentro occhietti inseriti nelle pietre stese.

Oltre al brevetto sopra accennato Murnigotti presentò una memoria, corredata da tre tavole con appendice illustrante le tecniche oratiche di Installazione, dal titolo Nuova mantellata a difesa delle sponde dei fiumi

Riportata nella rivista Il Politecnico, Giornale dell'ingegnere architetto civile e industriale , anno XXX num. 3-4 pag. 129
Navigli di Milano

Per la manutenzione, pavimentazione e pulizia dei navigli Murnigotti scrisse dei progetti innovativi che furono in parte recepiti.

Titolo della memoria: Sistemazione della fossa interna di Milano

Lettura fatta al Collegio degli Ingegneri ed Architetti il 23 giugno 1878.

Memoria : Pavimentazione della fossa interna di Milano.

Un sunto fu presentato anche alla Società Italiana di Igiene nel 1880, successivamente riportato nel Giornale della SOCIETÀ ITALIANA D'IGIENE - Anno II, N. 5.

Vedi Navigli e Drenaggio e fossa
Nuovo metodo per diaframmi e fondazioni

Memoria con titolo:

Nuovo sistema per diaframmi e fondazioni, da adoperarsi principalmente nelle opere idrauliche.

Lettura fatta all'adunanza dell'ordine degli ingegneri ed architetti il 26 novembre 1882.


https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Murnigotti
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Giulio Natta




«[...] per le sue scoperte nel campo della chimica e della tecnologia dei polimeri»

(Dalla motivazione per il Premio Nobel per la chimica 1963)
Giulio NattaMedaglia del Premio Nobel Premio Nobel per la chimica 1963

Giulio Natta (Porto Maurizio, 26 febbraio 1903 – Bergamo, 2 maggio 1979) è stato un ingegnere chimico italiano, insignito del premio Nobel per la chimica insieme a Karl Ziegler nel 1963 per "le loro scoperte nel campo della chimica e della tecnologia dei polimeri"[1], in particolare per la messa a punto di catalizzatori capaci di operare sulla stereochimica delle reazioni di polimerizzazione del propilene[2] per la produzione di polipropilene isotattico[3] (polimerizzazioni stereospecifiche[4][5]).


Biografia
L'infanzia, la formazione, la carriera accademica
Bancone del laboratorio di Giulio Natta, esposto al Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano

Giulio Natta nacque a Porto Maurizio, allora capoluogo dell'omonima provincia (quella di Imperia nacque negli anni 1920 dalla fusione con Oneglia), il 26 febbraio 1903, figlio di Francesco Maria, magistrato, e di Elena Crespi. La madre, già vedova di un rinomato medico inglese dal quale aveva avuto una figlia, si occupò attivamente dell'educazione di Giulio sin dai primi anni, insegnandogli prestissimo a leggere. Natta rimase sempre legato alla sua famiglia e ai luoghi d'origine della costa ligure, dove si recava spesso quando gli era possibile.[6]

Diplomatosi ad appena 16 anni al liceo classico Cristoforo Colombo di Genova, frequentò il biennio propedeutico in ingegneria nella stessa città.[7] Nel 1921 si iscrisse al corso di laurea in Ingegneria industriale del Politecnico di Milano e l'anno successivo divenne anche allievo interno all'Istituto di Chimica generale e inorganica del Politecnico. Laureatosi in Ingegneria chimica nel 1924, a soli 21 anni, con Giuseppe Bruni, ne divenne subito dopo assistente e, a partire dal 1925 e fino al 1933, fu incaricato di chimica analitica al Politecnico. Al contempo, dal 1929 al 1933, fu altresì incaricato di chimica fisica alla Facoltà di Scienze dell'Università di Milano. In questo periodo, Natta già si distinse per alcune sue ricerche in cristallografia e in chimica industriale inorganica.[8]

Nel 1932, grazie a una borsa di studio della Fondazione "A. Volta", si recò a Friburgo, in Germania, presso il laboratorio di Hugo Seemann, dove entrò pure in contatto con il gruppo di lavoro di Hermann Staudinger che si occupava di macromolecole. Qui Natta, oltre a perfezionare le sue ricerche di strutturistica diffrattometrica (che già aveva intrapreso, come allievo interno all'Istituto di Chimica generale e inorganica del Politecnico, fin dai primi anni 1920) con Seemann, intuì l'importanza e le potenzialità delle macromolecole e, tornato a Milano, iniziò studi e ricerche sulla struttura cristallina dei polimeri mediante le nuove tecniche diffrattometriche.

Conseguita la libera docenza in chimica generale nel 1927, al suo ritorno dalla Germania vinse, nel 1933, un concorso a una cattedra di chimica generale dell'Università di Pavia che tenne fino al 1935, quando passò alla cattedra di chimica fisica dell'Università di Roma. Nel 1937 assunse la cattedra di chimica industriale del Politecnico di Torino, quindi quella del Politecnico di Milano nel 1938, che mantenne fino al suo pensionamento, nel 1973, quindi la nomina a professore emerito.

Al suo rientro al Politecnico di Milano nel 1938, fu chiamato a dirigerne anche l'Istituto di Chimica industriale per sostituire Mario Giacomo Levi[9], costretto dalle leggi razziali fasciste a lasciare l'insegnamento. Durante gli anni della guerra soggiornò, come sfollato milanese, alla Cascina Marzorata di Vittuone.[10]

Nel 1935 si sposò con Rosita Beati, laureata in lettere, da cui ebbe due figli, Franca e Giuseppe. Oltre l'affetto e l'amorevole accudimento del marito per il sopraggiungere della malattia di Parkinson nel 1956, gli suggerì alcuni nomi etimologicamente molto appropriati per i nuovi composti chimici che Natta scoprì.
La maturità, l'attività di ricerca, il premio Nobel
Giulio Natta al Politecnico di Milano (1963)

Fin da quando era allievo interno all'Istituto di Chimica generale e inorganica diretto da Giuseppe Bruni, nei primi anni 1920, Natta condusse approfondite ricerche, sia teoriche sia sperimentali, sulla struttura microscopica di leghe e altri composti inorganici tramite tecniche diffrattometriche, da poco introdotte, da cui emerse, in particolare, una notevole correlazione fra la struttura cristallina dei catalizzatori chimici e la loro operatività chimica. Nei primi anni 1930, durante l'assistentato, riuscì pure a stabilire un nuovo processo di sintesi del metanolo in collaborazione con la Montecatini, rompendo, per la prima volta, un monopolio detenuto nel settore da industrie tedesche. Costante attenzione di Natta si rivelò essere, già da questi anni, il rapporto fra le scienze chimiche teoriche, il loro ambito sperimentale e le loro possibili applicazioni tecnico-pratiche e industriali, interesse, questo, che caratterizzò tutta la sua carriera.

Durante la guerra, Natta poté portare a conclusione, sempre partendo da un approfondito studio delle inerenti questioni teoriche, diverse importanti scoperte, numerosi brevetti (in comproprietà con diverse industrie italiane) e notevoli innovazioni tecniche, fra cui la produzione di gomma sintetica (butadiene),[11] il processo di ossosintesi, la formazione di formaldeide, sintesi di glicoli, glicerina e isottano, l'idrogenazione di carboidrati. Nel 1938, a Ferrara, contribuì alla costruzione del primo impianto in Italia per la produzione di gomme sintetiche. Nel primo dopoguerra, Natta ritornò a interessarsi, sempre più approfonditamente, della chimica macromolecolare, iniziando ricerche di acustica degli ultrasuoni nei polimeri finalizzate allo studio degli stati condensati delle sostanze polimeriche e sulla polimerizzazione radicalica di monomeri vinilici.

Nell'estate del 1947, Natta e Piero Giustiniani, direttore della Montecatini, si recarono negli Stati Uniti per aggiornarsi sulla ricerca scientifica e tecnologica in chimica d'oltreoceano, constatandone le differenze rispetto all'Europa, ad esempio con la crescente attenzione americana per la petrolchimica. Al ritorno, Giustiniani mise a disposizione di Natta e del Politecnico di Milano finanziamenti e strutture per un nuovo centro di ricerca chimica avanzata, in sinergia sia col Centro di ricerca in chimica industriale del CNR (voluto proprio da Natta nel 1946) sia con l'Istituto di Chimica industriale del Politecnico di Milano, diretto prima da Mario G. Levi (dopo il suo rientro in Italia dall'esilio in Svizzera) e poi da Natta.
Natta nel 1960

A partire dai primi anni 1950, sempre nell'ambito della chimica delle macromolecole, Natta cominciò a interessarsi, sempre più specificatamente, di problematiche riguardanti la stereochimica dei polimeri e delle macromolecole in generale,[12] da quando venne a conoscenza dei processi di polimerizzazione dell'etilene (reazione di Aufbau) e della dimerizzazione delle alfa-olefine in presenza di composti alluminio-alchilici, realizzati, in quegli anni, da Karl Ziegler mediante catalizzatori organometallici, poi detti "catalizzatori Ziegler".[13] Natta intuì le potenzialità di questi processi di polimerizzazione catalitica (metallorganica) nell'ottenere bassi polimeri molto lineari e cristallini a partire da monomeri quali l'etilene, la cui struttura lineare venne, da Natta, messa a confronto con la struttura ramificata tipica degli alti polimeri.[14] La successiva produzione, da parte di Ziegler, di polietilene lineare ad alta densità ottenuto con gli stessi procedimenti di polimerizzazione dell'etilene ma adoperando altri catalizzatori, suggerì a Natta di applicare lo stesso disciplinare non all'etilene ma al polipropilene e ad altre alfa-olefine superiori con l'uso di alcune varianti dei catalizzatori tipo Ziegler, ottenendo, l'11 marzo 1954, un nuovo composto organico altamente ordinato nella struttura cristallina, poi denominato polipropilene isotattico, dando così il via ai polimeri stereospecifici (o stereoregolari),[15][16] brevettati poi con il nome commerciale di Moplen, Meraklon, Mopeflan, ecc., dotati di eccellenti proprietà chimiche e meccaniche.[17][18]

L'invenzione di questi nuovi catalizzatori per la polimerizzazione stereospecifica, detti poi catalizzatori di Ziegler-Natta, fruttò congiuntamente a Natta e Ziegler il premio Nobel per la chimica nel 1963. La produzione industriale su scala mondiale di polipropilene isotattico, il più apprezzato fra i polipropileni, si baserà sui successivi brevetti (comunemente noti come "brevetti Natta-Montecatini") depositati da Natta a partire dalla metà degli anni 1950, in comproprietà con la ditta Montecatini, a cui fondamentalmente s'ispireranno tutte le altre metodologie di produzione autonomamente sviluppate in seguito da altre ditte.[19][20]

Nel 1961, con il parere favorevole del CNR, Natta fondò e diresse un nuovo istituto di ricerca in chimica macromolecolare, appositamente creato per dar seguito agli studi e alle ricerche della sua scuola in cui si formeranno numerosi ricercatori e docenti, che lavoreranno in varie sedi universitarie e in diversi centri di ricerca pubblici e privati, nonché futuri dirigenti di aziende pubbliche e private, sia italiane sia straniere.
L'opera scientifica, la vita istituzionale e gli ultimi anni

I contributi di Natta ricadono in molti ambiti della chimica industriale organica, sia teorica sia sperimentale e applicata. Fu tra i primi in Italia a credere – e mettere in pratica – nella proficua collaborazione fra ricerca accademica e industria privata (la Montecatini, in particolare). Profondo conoscitore di molti settori delle scienze chimiche, dalla chimica inorganica alla chimica organica e chimica fisica, dalla chimica industriale all'impiantistica chimica, che seppe coordinare in maniera interdisciplinare e proficua, i suoi risultati hanno riguardato principalmente la struttura chimico-fisica e le proprietà fisiche di numerosi composti organici e inorganici, quindi la chimica fisica, la cristallografia macromolecolare, la stereochimica e la cinetica chimica delle reazioni organiche, con specifica attenzione alle metodologie di polimerizzazione, studiate sia dal punto di vista teorico sia negli aspetti merceologici e tecnico-applicativi, che porteranno Natta e la sua scuola a sintetizzare un'ampia classe di nuovi polimeri. In particolare, anche sulla base dei lavori di Ziegler, ha dato il via a un nuovo capitolo della stereochimica dei polimeri e delle macromolecole in generale,[21] quello della stereodinamica chimica dei processi di polimerizzazione, sulla base della scoperta della polimerizzazione stereospecifica.[22][23][24]
Giulio Natta con la moglie Rosita Beati negli anni 1960

A Milano, anche grazie alla sinergia che Natta riuscì per primo a stabilire in Italia fra università, enti di ricerca pubblici (fra cui, il CNR) e privati e industria, creò una delle più rinomate scuole di chimica industriale e ingegneria chimica, in cui si formarono numerosi allievi poi divenuti, a loro volta, importanti docenti universitari, ricercatori e dirigenti d'azienda, fra cui, in linea più o meno diretta, ricordiamo Giuseppe Allegra, Ivano W. Bassi, Luisa Bicelli, Fausto Calderazzo, Sergio Carrà, Paolo Chini, Paolo Corradini, Gino Dall'Asta, Ferdinando Danusso, Raffaele Ercoli, Mario Farina, Giorgio Gaudiano, Umberto Giannini, Luigi Giuffrè, Paolo Longi, Enrico Mantica, Giorgio Mazzanti, Giovanni Moraglio, Attilio Palvarini, Italo Pasquon, Mario Peraldo, Piero Pino, Lido Porri, Mario Ragazzini, Massimo Simonetta.[25][26]

Fu socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei, dell'Accademia delle Scienze di Torino, dell'Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere, nonché membro onorario di numerose accademie e società scientifiche straniere; ricevette inoltre numerosi premi, riconoscimenti e onorificenze, italiani e stranieri, assieme a varie lauree ad honorem.

A Natta venne diagnosticata la malattia di Parkinson nel 1956. A partire dal 1963, le sue condizioni di salute erano andate peggiorando e per questo motivo divenne necessario affiancargli il figlio Giuseppe (1943-2022) e altri quattro colleghi, che presenziarono inoltre al conferimento del premio Nobel a Stoccolma il 10 dicembre 1963. Nel 1968 morì la moglie Rosita, di cui la figlia Franca (1937-2015) si era attivamente occupata.

Natta morì a Bergamo il 2 maggio 1979, all'età di 76 anni, dove da anni si era trasferito per esser anch'egli accudito dalla figlia Franca.
Alcuni lavori

"A New Class of Polymers of α-Olefins with and Exceptions Regularity of Structure", Atti dell'Accademia Nazionale dei Lincei-Memorie, 4 (8) (1955) pp. 61–72.
"Crystalline High Polymers of α-Olefins" (con P. Pino, P. Corradini, F. Danusso, E. Mantica, G. Mazzanti, G. Moraglio), Journal of the American Chemical Society, 77 (1955) pp. 1708–1710.
"Stereospecific Polymerization of α-Olefins" (con P. Pino, E. Mantica, F. Danusso, G. Mazzanti, M. Peraldo), Chimica e Industria, 38 (1956) pp. 124–128.
"Stereospecific Catalysis and Isotactic Polymers", Chimica e Industria, 38 (1956) pp. 751–768.
"Isotactic and Stereoisomeric Polymers", Materie Plastiche, 23 (1957) pp. 541–563.
"Isotactic Polymers", Chemistry and Industry, 47 (1957) pp. 1520–1531.
Stereoregular Polymers and Stereospecific Polymerizations. The Contributions of Giulio Natta and his school to Polymer Physics (edited with F. Danusso), 2 Vols., Pergamon Press, Ltd., Oxford, 1966-67 (collectanea, in due volumi, dei lavori pubblicati nel periodo 1955-1960 dalla scuola di Natta, di complessive pp. 887).

Tutte le pubblicazioni di Natta sono reperibili nell'Archivio "Giulio Natta", disponibile a quest'indirizzo [1].
Opere principali

Chimica analitica, 2 voll., Libreria Editrice Politecnica C. Tamburini, Milano, 1932-34 (con successive edizioni).
Lezioni di chimica industriale, 2 voll., Libreria C. Tamburini, Milano, 1942-44.
Fondamenti della chimica industriale, Libreria Editrice Politecnica C. Tamburini, 1951.
Gli orientamenti della grande industria chimica organica (con I. Pasquon), Scuola in Azione-ENI, Milano, 1961.
Principi della chimica industriale (con I. Pasquon), 2 voll., Libreria Editrice Politecnica C. Tamburini, Milano, 1966-78.
Stereochimica: molecole in 3D (con M. Farina), Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1968; II ed. nel 1979 (tradotto in francese nel 1971, in inglese nel 1972, in giapponese e in slovacco nel 1975).

La memoria

Nel 2007 è stata assegnata alla sua memoria la cittadinanza onoraria di Cucciago, paese dove Natta aveva trascorso periodi di vacanza e sposato, nel 1936, la moglie Rosita Beati[27].

Nel 2013, la città di Imperia ha celebrato il cinquantenario dell'assegnazione del premio Nobel con la produzione di due documentari[28].

L'istituto superiore IIS G.V. Deambrosis-G. Natta con sedi a Sestri Levante e Chiavari porta anche il nome di Giulio Natta.



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Nella cultura di massa

Nel numero 2916 di Topolino, Natta compare nella storia Qui Quo Qua e la grande storia della chimica dei paperi.

Gino Bramieri è stato testimonial di una pubblicità del Moplen, uno dei prodotti ideati da Natta, andata in onda nei primi anni 1960.

Nel gioco per computer Hearts of Iron 2, Natta e Enrico Fermi sono le uniche persone fisiche utilizzabili nell'albero tecnologico della nazione Italia.
Riconoscimenti e onorificenze

Insignito del premio Nobel per la chimica nel 1963, per la messa a punto di catalizzatori stereospecifici per la polimerizzazione stereochimica selettiva delle alfa-olefine, in particolare per la realizzazione del polipropilene isotattico, alcuni di tali polimeri sono stati poi commercializzati e resi noti in tutto il mondo dalla Montecatini e da altre aziende dello stesso gruppo, con il nome di Moplen (articoli in plastica) e Meraklon (fibra tessile).
Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
— 27 dicembre 1965[29]
Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte
— 1961
Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia (Casa Savoia) - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia (Casa Savoia)
— 15 settembre 1964[30]

Premio ministeriale dell'Accademia Nazionale dei Lincei;
Premio reale dell'Accademia Nazionale dei Lincei (1943);
Medaglia d'oro del Comune di Milano come Cittadino benemerito (1960) e della Provincia di Milano come Benemerito della Provincia (1962);
Ia medaglia d'oro "International Synthetic Rubber" conferitagli dalla "Rubber & Plastics Industry" (1961);
"Fronda d'oro" della Liguria (1962);
Medaglia d'oro della "Society of Plastic Engineers" di New York (International Award in Plastic Science and Engineering) (1963);
Medaglia Perkin della inglese "Dyers and Colourist Society" (1963);
John Scott Award del Board of Directors del City Trust di Filadelfia (1963);
Medaglia Exposition Nationale Suisse, Lausanne (1964);
Medaglia Lomonosov (1969).

Lauree Honoris Causa:
Laurea honoris causa in Chimica - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Chimica
— Università degli Studi di Torino, Torino 1962
Laurea honoris causa in Chimica - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Chimica
— Università Johannes Gutenberg di Magonza, Facoltà di Scienze Naturali, Magonza, Germania 1963
Laurea honoris causa in Chimica - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Chimica
— NYU Polytechnic School of Engineering, New York 1964
Laurea honoris causa in Chimica - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Chimica
— Università di Genova, Genova 1964
Laurea honoris causa in Chimica - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Chimica
— Università Cattolica di Lovanio, Lovanio, Belgio 1965

A lui sono state inoltre intitolate le seguenti scuole e strutture:

l'Istituto tecnico per attività sociali di Milano;
l'Istituto Tecnico Industriale Statale di Bergamo;
l'Istituto Tecnico Tecnologico e il Liceo Scientifico delle Scienze Applicate di Rivoli;
il Dipartimento di Chimica Industriale e Ingegneria Chimica del Politecnico di Milano;
il Centro di Ricerca della Montedison, sede di Ferrara (poi della Basell-Polyolefins);
l'Istituto Tecnico Industriale Statale di Padova;
l'Istituto di Istruzione Superiore di Sestri Levante;
il laboratorio di chimica del Liceo Scientifico "S. Cantone" di Pomigliano d'Arco;
il 20 ottobre 2008, gli è stato dedicato il laboratorio di chimica del Liceo classico "Cristoforo Colombo" di Genova, dove Natta si diplomò;
l'istituto di scuola secondaria di primo grado di Pontedassio (IM);
la Scuola Secondaria di primo grado di Dolceacqua (IM), Istituto comprensivo della Val Nervia.

In suo onore sono stati istituiti:

la "Medaglia d'oro Giulio Natta", istituita nel 1991 dalla Società Chimica Italiana (SCI);[31]
il "Premio Giulio Natta", come «riconoscimento ad un ricercatore scientifico affermato che, con i suoi studi, le sue scoperte e relative eventuali applicazioni pratiche, abbia contribuito in maniera significativa allo sviluppo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche ed al progresso umano»;[32]
il "Premio di laurea Giulio Natta", istituito nel 2002 dal Ministero dello sviluppo economico, con "l'intento di promuovere l'innovazione tecnico-scientifica nel mondo accademico attraverso la maggiore diffusione della cultura brevettuale".[33]

Inoltre, nel 1994, per il quarantennale della scoperta del polipropilene isotattico, fu aperto uno speciale annullo filatelico commemorativo dalle Poste Italiane. Lo stesso avvenne in Svezia, nel 1988, per commemorare le scoperte sia di Ziegler sia di Natta.

Molte città italiane, fra cui Milano, Torino, Roma e Reggio Emilia, gli hanno intitolato delle vie.


https://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Natta..._d'immagini
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Ferdinando Negri

Ferdinando Negri (... – ...; fl. XX secolo) è stato un inventore italiano. Disegnatore Capo dell'Ufficio Studi Locomotive del servizio Materiale e Trazione delle Ferrovie dello Stato a Firenze, lavorò allo sviluppo delle tecniche di trazione ferroviaria.

È noto per avere inventato la trasmissione a foglie libere.
Biografia

Studiò tra il 1938 ed il 1939 due tipi di trasmissioni per locomotive.

Il primo tipo era con molle ad elica; sui raggi delle ruote erano presenti due perni sui quali insistevano delle leve. Le leve attraverso un appoggio snodato premevano su un "bicchiere" contenente la molla, che si comprimeva tra il bicchiere stesso e l'alloggiamento posto sul mozzo.

Sul lato più lungo di ogni leva agiva un rullo fissato all'asse cavo; ogni ruota portava sei gruppi di questo tipo e lo sforzo veniva trasmesso da un rullo (a seconda del senso di rotazione) alla corrispondente leva, agendo contemporaneamente sulla molla ad elica.

Tale sistema era assai complesso e bisognoso di una capillare lubrificazione; venne provato su qualche sala di E.428, ma venne abbandonato quasi subito, a favore della trasmissione a foglie libere

Questo tipo di trasmissione, sempre sviluppato da Negri, fu provata su una unità E.428 di 2ª serie per poi essere applicata a tutta la 4ª serie

La trasmissione a foglie libere risultava più semplice del tipo Bianchi: ogni pacco di molle lamellari era appoggiato su due alveoli portati dal mozzo e dalla corona della ruota motrice, i quali erano liberi di ruotare in modo da lasciar flettere le molle sotto lo sforzo trasmesso da due rulli portati dall'asse cavo.

L'intercambiabilità delle sale con trasmissione Tipo Bianchi con quelle con trasmissione Tipo Negri fece sì che nel corso di revisioni qualche unità venisse riadattata con tipi diversi di trasmissione elastica, senza peraltro che si verificassero inconvenienti di sorta.



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Leopoldo Nobili

Leopoldo Nobili (Trassilico, 5 luglio 1784 – Firenze, 22 agosto 1835) è stato un fisico e inventore italiano.

Biografia

Nato a Trassilico (attuale frazione del comune di Gallicano, in Garfagnana) da una famiglia reggiana originaria di Vetto d'Enza, era figlio del podestà del paese Pellegrino, e di Irene Beretti Amorotti di Carpineti. All'epoca Trassilico faceva parte dei domini Estensi, che avevano da poco esteso i confini del Ducato di Modena e Reggio al mar Tirreno. Dopo aver trascorso la giovinezza nel paese natale, entrò a far parte della Scuola Militare di Modena. Si arruolò nell'esercito napoleonico e fu aiutante di campo del viceré Eugenio di Beauharnais e partecipò alla campagna napoleonica di Russia, nella quale meritò la Legion d'Onore. Rientrato in Italia, lasciò la vita militare e diresse la fabbrica di armi di Brescia. Riprese gli studi pubblicando numerose opere, fra cui si ricorda Dell'attrazione molecolare coll'astronomia.
Il galvanometro astatico di tipo Nobili al Museo Galileo, Firenze.

Nel 1825 inventò il galvanometro basato su aghi astatici, strumento fondamentale nella storia dell'elettromagnetismo. L'anno successivo realizzò la pila termoelettrica con Melloni. Nel 1832 venne nominato professore di fisica presso il Reale Museo di fisica e storia naturale di Firenze, dove, in collaborazione con Vincenzo Antinori (direttore del Museo dal 1829), realizzò importanti esperimenti sull'induzione elettromagnetica scoperta da Michael Faraday.

Leopoldo Nobili viaggiò attraverso l'Europa, tenendo conferenze ed incontri con i più famosi scienziati dell'epoca. Partecipò ai moti del 1831 e dovette recarsi esule in Francia. Rientrato nella penisola, per evitare di essere incarcerato nella sua Reggio dalle truppe ducali, pensò di riparare in Toscana. Nel granducato scrisse “La storia sperimentale della moderna fisica”. Nel 1833 fu incaricato dal Granduca Leopoldo II di reggere la cattedra di fisica sperimentale presso il Reale Museo di fisica e storia naturale di Firenze. Il professor Nobili, oltreché insegnare, scrisse fra le altre un'opera in due volumi intitolata Memorie e osservazioni edite ed inedite.

La fama di Leopoldo Nobili si diffuse in tutta Europa ed anche oltre. Fu considerato il primo fra i fisici italiani della prima metà dell'800 "degno di stare vicino a Galileo e di confabulare con Volta" così lo definì nel suo volume La storia di Reggio Emilia il professor Balletti.

Nobili inventò anche il sistema delle Metallocromie[1].

Leopoldo Nobili, debilitato nel fisico a causa della malattia contratta nella campagna di Russia e dell'intensa mole del lavoro svolto, morì il 22 agosto 1835[2] all'età di cinquantuno anni.

Fu sepolto fra i grandi nella basilica di Santa Croce a Firenze.
Busto di Leopoldo Nobili a Reggio Emilia
La calamita scintillante di Nobili al Museo Galileo, Firenze.
Opere

Introduzione alla meccanica della materia, Milano, Paolo Emilio Giusti, 1819.
Questioni sul magnetismo, Milano, eredi Soliani, 1824.





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Italo Pacchioni

Italo Pacchioni (Mirandola, 29 marzo 1872 – Milano, 11 luglio 1940) è stato un inventore e fotografo italiano pioniere del cinema in terra italiana, inventore di una macchina da presa e proiezione del tutto simile al cinématographe di Auguste e Louis Lumière[1]
Biografia

Italo Pacchioni nacque nel 1872 a Mirandola, al civico 55 dell'isolato del Castello dei Pico[2].

Sulla storia di Italo Pacchioni esistono fonti scarse e contraddittorie a partire dalla data di inizio della sua attività di fotografo; la rivista Cinema, 25 maggio '42 ci dice che il Pacchioni possedeva uno studio fotografico a Milano già nel 1891, mentre nella recente pubblicazione della Fondazione Cineteca Italiana, "Moltiplicare l'istante" (2007) gli autori propongono il 1893.[3] Altre fonti ci dicono che in questi anni esercitava la stessa professione a Mirandola.

Sappiamo però, attraverso la sua invenzione conservata al Museo del Cinema della Fondazione Cineteca Italiana a Milano, che il Pacchioni era uomo di cultura tecnica più che artistica, dotato di un acuto spirito di osservazione. Nel 1896 fu testimone a Parigi delle prime proiezioni pubbliche e, tentato invano di accaparrarsi un modello da portare a casa, si annotò o memorizzò il funzionamento dettagliato del cinématographe dei Lumière con anche un po' di materiale che in Italia sarebbe stato irreperibile[3]. Con l'aiuto del fratello Enrico e di un meccanico di cui ci è giunto solo il cognome, Veronelli, assemblò la macchina da presa e proiezione di cui si è detto[3].
Funerale di Giuseppe Verdi (1901)

Se la forma della macchina era del tutto uguale, anche come dimensioni, al cinématographe, il funzionamento differiva in alcuni punti: l'illuminazione era ottenuta mediante un saturatore ossieterico, con l'ossigeno contenuto e rilasciato gradualmente da una sacca a forma di mantice; c'era anche un tentativo di stereoscopia, ottenuto attraverso il passaggio di due pellicole l'una vicino all'altra; l'ottica e qualche altro pezzo provenivano da Parigi, il resto era esclusiva del Pacchioni[3]. Sempre dalla rivista Cinema del 42 sappiamo che la difficoltà più grande affrontata da Pacchioni e compagni fu far corrispondere la pellicola alle griffe della macchina copiata, difficoltà superata praticando manualmente le perforazioni sulla striscia fotografica.
Il primo cinematografo allestito a Mirandola nel castello dei Pico

Dopo la prima proiezione eseguita il 31 ottobre 1896 a Mirandola[1], Italo Pacchioni girò l'Italia con la sua invenzione e propose spettacoli di 45 minuti, a differenza di quelli dei Lumière di durata non superiore ai 25: 10, 15 a volte anche 20 film a seconda della quantità del pubblico pagante. Il sonoro era costituito da gruppi musicali improvvisati, non c'erano didascalie e, all'occorrenza, i titoli venivano urlati dalla cabina di proiezione[3].

Il pioniere abbandonò ogni attività cinematografica nel 1902. Aprì poi uno studio fotografico a Milano, e quindi altri due, uno a Busto Arsizio e uno ad Abbiategrasso[3].

Morì a Milano nel 1940 e venne sepolto al Cimitero Maggiore di Milano[4].



https://it.wikipedia.org/wiki/Italo_Pacchioni

 
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Ercole Pace


Ercole Pace (Roma, 28 settembre 1906 – Roma, 9 giugno 1983) è stato un inventore e tecnico del suono italiano.


Ha lavorato principalmente come tecnico del suono nell'industria cinematografica[1].

Biografia

Secondo degli otto figli di Italo Pace, in gioventù fu fervente antifascista e per tale ragione fu arrestato più volte e detenuto nella cella adiacente a quella di Gian Carlo Pajetta di cui era amico. In seguito ebbe il riconoscimento ufficiale di perseguitato politico dall'Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti.

Si sposò con Lucrezia Panettoni, detta Giulia, da cui ebbe tre figli Silvia, Rossana e Sergio.

Tra gli otto fratelli, era probabilmente il più animato da interessi culturali, aspirazioni e da obiettive doti intellettuali, infatti lasciò ben presto il lavoro di elettricista all'Azienda Tranviaria di Roma per diventare coordinatore delle luci del Teatro dell'Opera e quindi approdare al cinema dove divenne un noto ed apprezzato fonico: prima alla Scalera Film[2] e poi alla Titanus, collaborando anche con altre case cinematografiche, tra cui la Romana Film e la Zeus Film[3].

Durante il periodo alla Titanus, dove lavorò fino al suo pensionamento, avvenuto nel 1966, precisamente operò negli stabilimenti di Roma, oggi gestiti dalla CDC Sefit group[4].

Lavorò con registi famosi come Eduardo De Filippo, Vittorio De Sica, Roberto Rossellini, Federico Fellini, Alberto Lattuada, Luchino Visconti, Guido Brignone, Amleto Palermi e con gran parte dei registi e attori del neorealismo italiano.
Ercole Pace (con il telefono a sinistra) sul set di Le sorprese del divorzio al Sestriere
Il primo brevetto in Italia per la chitarra elettrica ottenuto da Ercole Pace il 21 marzo 1951 al n. 462480 su domanda presentata il 7 marzo 1950
Ercole Pace sul set di Le sorprese del divorzio al Sestriere
Ercole Pace (a sinistra) sul set di È caduta una donna di Alfredo Guarini
Ercole Pace, in piedi al centro, sul set di Cavalleria rusticana in Sicilia

Tra i film più importanti a cui ha lavorato: La spiaggia, 1954 (regista Alberto Lattuada)[5][6], Cento serenate, 1954 (regista Anton Giulio Majano)[7], Gli innocenti pagano, 1953 (regista Luigi Capuano), Una donna prega, 1953 (regista Anton Giulio Majano)[8], Serenata amara, 1952 (regista Pino Mercanti)[9], Marito e moglie, 1952 (regista Eduardo De Filippo)[10], La figlia del diavolo, 1952 (regista Primo Zeglio)[11], La carovana del peccato, 1952 (regista Pino Mercanti)[12], La vendetta di una pazza, 1951 (regista Pino Mercanti), Angelo tra la folla, 1950 (regista Leonardo De Mitri)[13].

Non si hanno invece notizie precise sul periodo precedente al 1950[14], in cui operò presso la Scalera Film, in quanto Ercole Pace era persona modesta e schiva e non amava apparire nei titoli di testa, preferendo cedere l'onore ad altri colleghi, con la conseguenza che il suo nome non risulta mai ufficialmente accreditato in alcun film della Scalera.

Risale anche a quel periodo la collaborazione con De Sica, Rossellini, Fellini, Visconti, Brignone e Palermi. Con certezza lavorò come fonico nel 1939 in Le sorprese del divorzio (regista Guido Brignone)[15], nel 1939 in Cavalleria rusticana (regista Amleto Palermi)[16], nel 1941 in Tosca (regista Jean Renoir e poi Carl Kock, assistito da Luchino Visconti)[17], nel 1941 in È caduta una donna (regista Alfredo Guarini)[18], nel 1943 in I bambini ci guardano (regista Vittorio De Sica) e molto probabilmente nel 1941 anche in Il re si diverte (regista Mario Bonnard).
Ercole Pace sul set di Cavalleria rusticana in Sicilia; a sinistra Leonardo Cortese, al centro con il cappello si intravede Massimo Terzano

Si può comunque ritenere con buona approssimazione che Ercole Pace abbia lavorato alla Scalera dal 1938 ad un ritmo di circa tre film l'anno.

Fu responsabile del doppiaggio dal 1947 al 1959 per gli otto film musicali interpretati dal tenore Mario Lanza nel suo contratto con la Metro Goldwyn Mayer[19].

L'interesse per la gestione del suono lo portò nel 1950 ad ideare il primo brevetto in Italia per la chitarra elettrica[20] che produsse in serie in un piccolo laboratorio in Trastevere, piazza di Santa Rufina 17. Nel 2016 l'immobile esisteva ancora, anche se il fabbricato appariva fatiscente. L'originale apparecchio fu acquistato dai più noti chitarristi dell'epoca.

La dizione esatta del brevetto N° 462480 concesso il 21 marzo 1951 era Dispositivo magneto-dinamico, applicabile a strumenti a plettro in genere ed a chitarre in particolare, per amplificare il suono in collegamento con la presa fono di apparecchi radio.

Tale dispositivo differiva dall'analoga invenzione oltreoceano di Leo Fender di due anni prima (di cui Ercole Pace era ignaro), in quanto il pickup applicato prevedeva un più elaborato avvolgimento per ogni magnete, anziché un unico avvolgimento per tutti i magneti come il pickup di Fender; adottando appunto una bobina per ogni corda Ercole Pace mirava a rendere il rilevamento delle sei corde più bilanciato ed accurato. Sotto il profilo tecnico si trattava quindi di due brevetti diversi.
Ercole Pace sul set di un film (da identificare) in piedi accanto a Amleto Palermi, seduto con occhiali scuri
Ercole Pace sul set probabilmente di Il re si diverte assieme a Juan de Landa (tra le due donne)
Ercole Pace, ultimo a sinistra, sul set di un film (da identificare)
Ercole Pace (a destra) negli studi della Scalera nel 1948
Come appariva l'ex laboratorio di Ercole Pace nel 2016

Ben presto il suo brevetto fu imitato con piccole differenze e commercializzato da altri imprenditori con maggiori disponibilità finanziarie.

Nel 1967 ideò anche un primo prototipo di telecomando a filo per televisore, con cui la moglie Giulia poteva cambiare i due canali Rai e regolare il volume.

Nel 2017 Roma Capitale ha avviato il procedimento amministrativo per intitolargli un'area di circolazione[21].
Filmografia parziale
Fonico

Le sorprese del divorzio, regia di Guido Brignone (1939)
Cavalleria rusticana, regia di Amleto Palermi (1939)
Il re si diverte, regia di Mario Bonnard (1941)
Tosca, regia di Carl Koch (1941)
È caduta una donna, regia di Alfredo Guarini (1941)
I bambini ci guardano, regia di Vittorio De Sica (1943)
Il bacio di mezzanotte (That Midnight Kiss), regia di Norman Taurog (1949)
Il pescatore della Louisiana (The Toast of New Orleans), regia di Norman Taurog (1950)
Angelo tra la folla, regia di Leonardo De Mitri (1950)
Il grande Caruso (The Great Caruso), regia di Richard Thorpe (1951)
La vendetta di una pazza, regia di Pino Mercanti (1951)
Da quando sei mia (Because You're Mine), regia di Alexander Hall (1952)
La carovana del peccato, regia di Pino Mercanti (1952)
La figlia del diavolo, regia di Primo Zeglio (1952)
Marito e moglie, regia di Eduardo De Filippo (1952)
Serenata amara, regia di Pino Mercanti (1952)
Una donna prega, regia di Anton Giulio Majano (1953)
Gli innocenti pagano, regia di Luigi Capuano (1953)
Il principe studente (The Student Prince), regia di Richard Thorpe (1954)
Cento serenate, regia di Anton Giulio Majano (1954)
La spiaggia, regia di Alberto Lattuada (1954)
Serenata (Serenade), regia di Anthony Mann (1956)
Arrivederci Roma, regia di Roy Rowland (1958)
Come prima (For the First Time), regia di Rudolph Maté (1959)



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Ercole_Pace

 
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