MITO DI PERSEO

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  1. Ninfa dei Sogni
     
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    La leggenda racconta che nella città di Argo, regnava il re Acriso con la sua sposa Euridice e la loro figlia Danae. Il tempo scorreva sereno ad Argo ma poiché era desiderio del re avere un figlio maschio cui lasciare il regno, lo stesso consultò un oracolo per sapere il futuro della sua casa. Nefasta fu la profezia! Apprese che non solo non avrebbe avuto figli maschi ma che un giorno sarebbe morto per mano di suo nipote, il figlio di Danae.


    Perseo, Cellini
    (Firenze, Loggia dei Lanzi, Piazza della Signoria)
    ll re, spaventato da questa tremenda predizione e con la mente ottenebrata dalla paura, fece costruire nel cortile del suo palazzo una stanza di bronzo dove imprigionò la figlia, sperando in questo modo che non fosse avvicinata da alcun uomo. Ma Zeus che dall’alto dell’Olimpo seguiva le vicende dei mortali, impietosito dalla sorte toccata alla giovane e bella fanciulla di cui si era innamorato, sotto forma di pioggia di gocce d’oro entrò nella sua cella e concepì quello che un giorno sarebbe diventato uno dei più grandi uomini dell’antichità: Perseo.

    Re Acriso, scoperta la gravidanza della figlia (che fu costretta a confessare le origini divine del figlio), nonostante la terribile paura e la gran rabbia, non ebbe il coraggio di ucciderla ma aspettò che il bambino nascesse, per rinchiudere entrambi in una cassa che abbandono’ alla deriva nel mare. La loro sorte sarebbe stata sicuramente segnata se Zeus non avesse sospinto la cassa verso le rive dell’isola di Serifo.

    Regnava a quel tempo a Serifo il re Polidette, e Danae con Perseo trovarono ospitalità presso la casa di Ditti, fratello del re, che li accolse come parenti.


    Passarono gli anni e Perseo, circondato dall’amore della madre, cresceva forte e valoroso. Danae, che la maturità aveva reso ancora più bella, era oggetto dei desideri del re Polidette che cercava in tutti i modi di convincerla a sposarlo; ma Danae, il cui unico pensiero era il figlio Perseo, non ricambiava il suo amore.

    Fu cosi’ che Polidette, decise di allontanare Perseo dalla sua vita e con l’inganno lo convinse a portargli la testa della Gorgona Medusa. In realtà Polidette sperava che l’impresa fosse fatale per il giovane in quanto mai nessun mortale era riuscito in una simile avventura.

    Narra la leggenda che Medusa una delle tre Gorgoni, l’unica alle quale il fato non avesse concesso l’immortalità, era un tempo tra le donne più belle. Invaghitasi di Poseidone, aveva fatto con lui l’amore nel tempio d'Atena. Quest'ultima profondamente irritata dall’affronto subito, aveva trasformato la fanciulla in un orribile mostro: le mani le aveva trasformate in pezzi di bronzo; aveva fatto comparire delle ali d’oro e ricoperto il corpo di scaglie; i denti erano diventati simili alle zanne di un cinghiale; i capelli erano stati trasformati in serpenti ed al suo sguardo aveva dato la capacità di trasformare in pietra tutto ciò che la guardasse direttamente negli occhi.

    Medusa, Bernini - Roma
    Musei Capitoli (Appartamento dei Conservatori, Sala delle Oche)


    Disse di lei Dante Alighieri nel IX canto dell’inferno (51-57):

    "Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso: che se il Gorgon si mostra, e tu il vedessi, nulla sarebbe del tornar mai suso".

    L’impresa che Perseo stava per affrantare non era facile ma accorsero in suo aiuto Atena ed Ermes che gli donarono, la prima uno scudo lucente e ben levigato, attraverso il quale guardare riflessa la Gorgona ed evitare così di essere pietrificato dallo sguardo; il secondo l’antica spada dei Titani con cui decapitarla in quanto le sue squame erano più dure del ferro. Tali armi non erano però ancora sufficienti per riuscire nell’impresa, così i due dei suggerirono a Perseo di farsi donare dalle Ninfe i calzari alati per volare veloce nel regno di Medusa, l’elmo di Ade che rendeva invisibile chi lo portasse ed una sacca magica nella quale riporre la testa di Medusa, una volta tagliata (infatti i suoi poteri non sarebbero venuti meno con la morte ed i suoi occhi sarebbero stati ancora in grado di pietrificare).

    Dove dimorassero le Ninfe non era però noto ad Ermes e ad Atena (in quanto le divinità giovani non conoscevano tutto quello che era noto a quelle più anziane) che suggerirono a Perseo di recarsi presso le tre Graie per estorcergli con una stratagemma la preziosa informazione.

    Erano queste sorelle delle Gorgoni, e non avevano mai conosciuto la giovinezza in quanto nate vecchie. Avevano il corpo di cigno e possedevano insieme un solo dente ed un unico occhio che si scambiavano vicendevolmente per mangiare e vedere. Perseo, arrivato nella loro dimora, si nascose e attese che una di loro si togliesse l’occhio dalla fronte per passarlo ad una sorella per portarglielo via, rifiutandosi di restituirlo se prima non gli avessero indicato la via per arrivare al regno delle Ninfe. All’intimazione le tre sorelle, terrorizzate dall’idea di restare cieche per sempre, obbedirono, e così Perseo poté raggiungere le Ninfe che gli donarono la bisaccia, i calzari alati e l’elmo di Ade.

    Così equipaggiato volò all’isola dove dimoravano le tre Gorgoni (Steno, Euriale e Medusa) che trovò addormentate. Forte dei consigli di Ermes e d’Atena si avvicinò a Medusa, nel paesaggio desolato di uomini e animali che il suo sguardo aveva pietrificato, camminando all’indietro e guardandola riflessa nello scudo lucente. Non appena le fu vicino vibrò il colpo mortale che tagliò di netto la testa mentre i serpenti tentavano in tutti i modi di avvolgerlo nelle loro spire. Presa la testa la ripose immediatamente nella bisaccia mentre dal sangue che sgorgava copioso nacque Pegaso il magico cavallo alato che divenne il fedele compagno di Perseo. Le sorelle della vittima cercarono in tutti i modi di inseguirlo ma grazie all’elmo di Ade che lo rendeva invisibile e al magico Pegaso, riuscì a sfuggire, volando via più veloce del pensiero da quell’isola tetra e nefasta.

    Disse Ovidio di Pegaso:

    "fu terra il ciel e furono piedi le ali".

    Approdò per riposare nella regione dell’Esperia, dove regnava il titano Atlante. Era questo molto sospettoso e diffidente nei confronti degli estranei in conseguenza di una profezia secondo la quale il suo regno sarebbe stato distrutto da uno dei figli di Zeus. Inavvertitamente Perseo (che non sapeva della profezia) gli rivelò la sua origine divina e all’apprenderla, Atlante cercò di ucciderlo. Il giovane, sorpreso dalla sua reazione fu costretto a difendersi in una lotta impari contro il Titano fino a che, aperta la bisaccia dove teneva la testa di Medusa, pose fine al combattimento in quanto Atlante iniziò a pietrificarsi trasformandosi in un’alta montagna.

    Racconta Ovidio nelle Metamorfosi (IV 650-662):

    "Gli mostrò l’orribile testa della Gorgone. Altlante si mutò quasi all’istante in un’alta montagna: boschi diventarono la sua barba e le sue chiome, cime le spalle e le braccia; quello che prima era la testa, divenne la vetta del monte; rocce divennero le ossa; cresciuto in tutte le sue parti, si ingigantì in una immensa mole …."

    Narra pertanto la leggenda che da Atlante prese origine il sistema montuoso omonimo e poiché era molto alto, si affermò che Atlante reggesse sulle sue spalle la volta celeste.

    Perseo, ancora sorpreso da quanto era accaduto riprese il suo volo verso casa, percorrendo una terra arida e desolata, senza accorgersi che alcune gocce di sangue fuoriuscivano dalla bisaccia che conteneva la testa di Medusa che cadendo nel terreno davano origine a tanti serpenti velenosi i quali in seguito avrebbero popolato per sempre il deserto.

    Volava ora Perseo sopra le terre degli Etiopi quando intravide una giovane fanciulla incatenata ad uno scoglio. Profondamente colpito dalla sua bellezza, decise di correre in suo aiuto. La fanciulla era Andromeda figlia del re d'Etiopia Cefeo e della sua sposa Cassiopea. La giovane donna scontava una colpa commessa dalla madre che stimolata dalla vanità si era dichiarata più bella delle Nereidi (ninfe del mare). Quest’ultime, capricciose e maligne, offese da tanta presunzione, avevano chiesto vendetta al re Poseidone che aveva inviato in quelle terre, dalle oscure profondità marine, un mostro che devastava tutto ciò in cui si imbattesse. Consultato un oracolo per sapere che cosa si potesse fare per placare l’ira delle dee, il responso fu che Cassiopea offrisse sua figlia Andromeda all’orribile creatura marina. Perseo, sdegnato da una simile sorte, si offrì di mutare il destino della fanciulla, combattendo il mostro e mettendo quindi fine alla maledizione in cambio della mano d'Andromeda. Il re Cefeo, accettò l’offerta e così Perseo, salito in groppa a Pegaso, si portò alle spalle del mostro calando dal cielo come un’ombra per tentare di trafiggerlo con la sua spada. Più volte Perseo era sul punto di essere sopraffatto fino a quando, aperta la sacca, prese la testa di Medusa che rivolta verso il mostro lo pietrificò all’istante.

    Finita la lotta, mentre Perseo liberava Andromeda, delle Ninfe curiose, rubarono un po’ del sangue che fuoriusciva dalla testa di Medusa che a contatto dell’acqua marina si trasformava in coralli. Da quel momento i fondali marini furono deliziati dalla presenza di questi straordinari echinodermi.

    Perseo, Andromeda, il re Cefeo con Cassiopea e tutto il popolo che aveva assistito alla lotta, ritornarono alla reggia dove si diede subito inizio al banchetto nuziale tra Perseo e Andromeda, in un clima di grande allegria. Ma per Perseo le disavventure non erano ancora finite. Infatti, fece ingresso nella sala del banchetto Fineo, fratello del re Cefeo, promesso sposo d'Andromeda. Questi, reclamava Andromeda pur avendone perso il diritto nel momento in cui aveva lasciato che la stessa andasse in sacrificio al mostro. Nella sala nuziale si scatenò una cruenta lotta. Fineo, con l’aiuto di molti alleati iniziò a combattere contro Perseo che stava per essere sopraffatto dalla moltitudine dei nemici quando, aperta la sacca magica, mostrò la testa di Medusa che ancora una volta portò la morte ai nemici, pietrificandoli uno ad uno.

    Stanco e sconfortato da tanti lutti che aveva arrecato, Perseo e Andromeda decisero di lasciare la terra degli Etiopi per ritornare a Serifo, da Danae dove arrivarono appena in tempo per salvarla dalla morte alla quale il re Polidette l’aveva condannata perché continuava a non ricambiare il suo amore. Il re, messo di fronte alla testa di Medusa, fu pietrificato all’istante.

    Ora che Polidette era morto, Danae e Perseo potevano finalmente fare ritorno alla loro terra natale, Argo, per riconciliarsi con re Acriso, verso il quale, gli anni avevano oramai cancellato il risentimento. Perseo, messo a capo di Serifo Ditti (riconsegnati i calzari e l’elmo alle Ninfe, la spada ad Ermes e la testa di Medusa ad Atena che la poneva come trofeo in mezzo al suo petto, mentre il magico Pegaso volava via verso l’Olimpo), con la madre e Andromeda salpava alla volta di Argo.

    Re Acriso, padre di Danae, saputo dell’arrivo del nipote Perseo e di sua figlia, per paura dell’antica profezia fuggì via dal suo regno e riparò a Larissa in Tessaglia.

    Sembrava che finalmente il triste destino di Perseo di portare morte e distruzione fosse finito ma così non era.

    Oramai famoso in tutte le terre conosciute, fu invitato a partecipare in Tessaglia a Larissa a delle gare sportive. Durante il lancio del disco, la potenza impressa da Perseo allo stesso fece si che questo andasse oltre gli spalti, per colpire uno sfortunato spettatore che altri non era che re Acriso che si era mischiato alla folla. Scoperta la triste fine toccata al nonno al quale Perseo, nonostante tutto, non portava alcun rancore, triste e sfiduciato abbandonò quella regione cambiando il regno di Argo (che ereditava dal nonno) con quello di Tirinto del cugino Megapente dove regnò in pace e con saggezza fino alla fine dei suoi giorni, fondando tra l’altro il regno di Micene.

    Perseo ed Andromeda ebbero molti figli tra cui Alceo, progenitore del grande Eracle.

    Alla morte di Perseo, la dea Atena, per onorare la sua gloria, lo trasformò in una costellazione cui pose affianco la sua amata Andromeda e la madre Cassiopea la cui vanità aveva fatto si che i due giovani si incontrassero. Ancor oggi, alzando lo sguardo verso il cielo, possiamo ammirare le tre costellazioni a ricordo della loro vita e soprattutto del grande amore dei due giovani.

     
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