| «Vedi le mie orecchie?». «Sono così grosse che non si possono non vedere». «Adesso muoverò un orecchio e l’altro rimarrà immobile». «Non ci credo», disse O’Donnell. «Fa’ attenzione!», esclamò il mendicante. Si toccò col dito della mano sinistra il lobo destro e lo fece tremolare. O’Donnell rise e pagò.
«E questo me lo chiami un gioco di prestigio? – esclamò di nuovo il giovane. – Chiunque lo saprebbe fare». Si portò il dito all’orecchio per imitare il vecchio, ma gli rimase in mano l’orecchio. «L’incapacità è fonte di disgrazie», disse O’Donnell. «Finora, principe, ti ho mostrato un paio di giochi di prestigio – disse lo storpio. – Adesso, orecchio-boccheper la stessa somma ti mostrerò qualcosa di particolarmente divertente». «Continua pure. Ti pagherò», disse O’Donnell.
Il mendicante estrasse da una tasca nascosta dietro una spalla una palla di sapone, la gettò in aria e … quella diventò una scala. Poi, improvvisamente, tra le mani del mendicante comparve una lepre che cominciò a salire la scala; dalla tasca uscì anche un cane che inseguì la lepre. «C’è qualcuno di voi – chiese il mendicante magro e sciancato – qualcuno che vuole seguire il cane e la lepre?». Il giovane che, nel frattempo era riuscito – non chiedetemi come – a riattaccare l’orecchio alla testa e la mano al braccio, gridò: «Eccomi, ci vado io!». «Avanti, allora! Devi salire sempre più in alto sulla scala – disse il vecchio. – Però ti avverto: se tu permetterai che alla mia lepre succeda qualcosa, ti taglierò la testa».
Il giovane balzò sulla scala e cominciò a inseguire i due animali. Il mendicante lo seguì con lo sguardo, poi – dopo un attimo – esclamò: «Il cane sta divorando la lepre, e il nostro amico si è addormentato». Aveva appena finito di dire queste parole che il giovane stava dondolando in aria, e dietro di lui stava arrivando il cane con l’ultimo boccone di lepre tra i denti. Allora il mendicante tagliò la testa al giovane con una spada, e il cane fece la stessa fine.
«Non mi sembra divertente che un cane e un giovane vengano uccisi alla mia corte – disse O’Donnell. – Questo, anzi, mi rende furioso». «Datemi per ciascuno di loro cinque monete d’argento – disse il prestigiatore – e le loro teste torneranno dove stavano prima». «D’accordo», disse O’Donnell.
astra-cane-lepre
O’Donnell pagò cinque monete per ciascuno e, oplà, il cane e il giovane riacquistarono le loro teste. Per tutto il resto della sua lunga vita il cane non inseguì mai più una lepre, e il giovane, da quel momento in poi, tenne gli occhi ben aperti. Dopo aver compiuto quel miracolo, il vecchio sparì, e nessuno riuscì a capire se si fosse dissolto nell’aria o se fosse stato ingoiato dalla terra.
Scomparve, come un’onda che copre un’altra onda, come un vortice segue un altro vortice, come il furioso vento d’inverno, così veloce, così tagliente, così intempestivo. E non si fermò se non alla corte del re di Leinster. Con un balzo divertito saltò sulle bandiere segnavento, sopra il castello e sopra la città del re di Leinster.
Il re sedeva pigro e fiacco, dopo aver ben mangiato e ben bevuto. Era il momento in cui avrebbe volentieri ascoltato una storia, ma dovunque cercasse non riusciva più a trovare re-elfiil suo cantastorie. «Va’ a cercare qualcuno che possa portarmi notizie del mio cantastorie», disse il re all’usciere. L’usciere fece ciò che gli era stato ordinato e … chi incontrò per strada? il mendicante in persona! «Ehi, tu, straniero! Te la sentiresti di intrattenere un re?». «Si può fare», rispose il mendicante. «Non aver paura – disse al cantastorie che era con lui. – Potrai assistere a tutto senza essere visto perché sei diventato invisibile».
Quando il re udì che era arrivato un prestigiatore, lo fece entrare nel salone: «Sono molto orgoglioso – disse – di avere a corte i migliori suonatori d’arpa di tutt’e cinque le nazioni d’Irlanda», e fece cenno di suonare. Poi, rivolto al mendicante, gli chiese: «Hai mai sentito una musica così bella?». «Ma certo – rispose lo straniero. – Questo è il rumore d’un gatto che fa le fusa davanti a un piatto di minestra, è il ronzio delle tignole al tramonto, è il canto di una brutta vecchiaccia».
Quando i suonatori d’arpa udirono quest’offesa, estrassero le spade e fecero per gettarsi sullo straniero, ma invece di colpire lui, si tagliarono le teste l’un l’altro. Il re assistette a tutto ciò, si infuriò e gridò: «Impiccate questo maledetto prestigiatore. È stato lui a cominciare. Se non potrò più sentire storie, voglio almeno avere pace e tranquillità nel mio regno». Le guardie presero il mendicante, lo condussero alla forca e lo impiccarono. Ma quando i soldati tornarono nel salone del re, chi videro seduto su una panca a bere un boccale di birra? Il magro mendicante che avevano appena giustiziato!
«Ma non ti abbiamo or ora impiccato? – gridò il capitano. – Come sei riuscito a ritornare in questo salone?». «Vi ingannate – disse il mendicante bevendo un sorso. – Nessuno mi ha mai impiccato». Le guardie ritornarono di corsa alla forca. Invece dello straniero, pendevano i corpi dei tre fratelli prediletti del re. Il capitano era disperato. Corse dal re e chiese balbettando: «Cosa devo fare? Abbiamo impiccato quel vagabondo come ci avete ordinato, e ora lui si trova seduto su una panca vecchio-bevitoredel salone come se nulla fosse accaduto. E sulla forca, al posto suo, abbiamo visto penzolare i corpi dei vostri tre fratelli». «Qui gatta ci cova – disse il re. – Impiccate il vagabondo un’altra volta».
Quando tornarono col vagabondo alla forca, trovarono impiccati non più i tre fratelli del re, bensì i suoi migliori suonatori d’arpa. Il capitano era confuso. «Per quanto tempo ancora volete tentare di giustiziarmi?», gli chiede il mendicante in tono beffardo. Il capitano si mise a riflettere, poi: «Accidenti a te – disse. – Vattene! E in fretta. Ci hai già creato abbastanza problemi». «Finalmente riuscite a usare il vostro intelletto – disse il mendicante. – Come vi salta in mente di impiccare uno sconosciuto soltanto perché non gli piace la vostra musica? Adesso guardate ai piedi della forca: troverete vivi e vegeti tutti coloro che prima hanno assaporato il gusto della corda al collo». E così dicendo … scomparve.
Il cantastorie improvvisamente si ritrovò dove aveva incontrato per la prima volta lo sconosciuto, e accanto a lui c’erano il suo carro, i suoi cani, i suoi cavalli e … pure sua moglie. «Adesso non t’importunerò più – gli disse il mendicante. – Ecco le tue cose, te le ridò». «Per quanto riguarda il carro, i cavalli e i cani, ti ringrazio – disse il cantastorie. – Ma mia moglie e il mio denaro puoi tenerteli». «No, riprendi anche il tuo denaro – disse lo sconosciuto. – E in quanto a tua moglie, non pensar male di lei. Non poteva fare altrimenti!».
«Non poteva fare altrimenti? Ha aizzato contro di me i miei cani, per non parlare poi del fatto che mi ha subito piantato in asso per andarsene con un vecchio barbone». «Io non sono né così vecchio né così cencioso come può sembrare – replicò lo sconosciuto. – Io sono Angus di Bruff. Tu hai sempre reso dei buoni servigi al re di Leinster. Stamattina il mio mago mi ha raccontato in quali difficoltà ti trovavi, allora ho deciso di aiutarti. Per quanto riguarda tua moglie, la stessa magia con la quale ho trasformato te in una lepre, ha trasformato anche la sua mente. Perdona e dimentica. In cambio, adesso avrai una storia da raccontare quando il re di Leinster ti chiamerà». Ciò detto … scomparve.
Scomparve dopo aver detto il vero. Davvero, infatti, il cantastorie adesso aveva una storia da raccontare, e quella sera stessa la raccontò al re di Leinster, e il re rise così a lungo e così forte che quella notte non riuscì a dormire. L’indomani, chiamò a sé il cantastorie e gli disse: «D’ora in poi non devi più preoccuparti di inventare una storia nuova. Finché vivrò, tu verrai qui da me la sera e mi racconterai di nuovo la storia del vecchio mendicante.
fonte https://lartedeipazzi.blog/2018/11/28/irla...-da-raccontare/ Edited by (((claudio))) - 9/4/2024, 10:33
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