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| Eppure io sono Una che Resta. Resto così follemente, atavicamente, imponderabilmente avvinghiata al mio battito centrale, animale, sacramentale, che è distopico anche il solo pensiero di lasciare la prima posizione. Addominale. Inaddomesticabile. Scelebrale. Resto appoggiata sui petali bianchi del fiore a proteggerlo dal temporale facendomi arco perenne per non fargli del male. Resto davanti alla porta degli inferi senza indietreggiare custodendo in mano una saetta ed un’allodola che non ha fretta nemmeno di cantare. Resto anche quando tutto il resto non lo fa e le imposte sbattono, i tacchi ridacchiano e le promesse si rispediscono auomaticamente al mittente come vecchie raccomandate con ricevuta di ritorno. Resto perché in fondo tutto ciò che ha carne offerta e che dal mobilissimo motore ha fede certa mai diserta ‘appuntamento con l’attimo e con l‘eterno.
Eppure io sono una che Va. Vado impenitente e pure sfacciatamente se devo andare, se pur nel canto e nel tanto restare. Vado succhiando nettare di vita matura, mordendo lentamente ma pienamente i fianchi all’esistenza, anche quando si fa guardinga, tenace, dura. Vado per rispetto, per cortesia, per amore e così sia. Vado perché c’è un gattino appeso al filo che ha gli occhietti così belli che non resisto. Vado perché c’è una mano che sta aspettando la mia e la mia che non sa più che tasca indossare. Vado ma non smetto di restare.
Eppure io sono una che Torna. Torno a casa ogni giorno: nel cuore, la mia grande Promessa, nell’amore, che non sarei se ne facessi senza, nel soffio, la mia inappropriabile inopinabile inalienabile essenza. Torno ad ogni sguardo che porto dentro offrendo ad esso la mia innocenza, sì, lo dico e non lo contraddico, la mia mai perduta innocenza. Torno ad ogni tocco che mi ha toccata appena appena, ma dappertutto. Torno a quella terra che mi è fino al midollo di cellula madre e a quel cielo che mi è, fino al midollo di cellula madre. Torno, perché io sono Una che Resta, perché io sono Una che Va.
*Ste, La Bruja del Viento*
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