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| Ce ne siamo raccontate tante, vero? La dipendenza affettiva mascherata dall'apparente impossibilità di trovare qualcuno che ci ami incondizionatamente. La solitudine di chi si nasconde dietro un dito, sperando di non essere notato, perché sono le domande che spaventano, non le risposte; quelle le conosciamo fin troppo bene. Le aspettative di chi si aspetta ancora un abbraccio dal padre, ma riceve sempre e solo pacche forzate. Quanti silenzi che urlano parole taciute. Quante braccia pesanti e stanche per non aver mai stretto. Quanti occhi gonfi di lacrime. In realtà, se per un istante potessimo far cadere le mura di cinta della nostra casetta di carta, ci sgretoleremmo come una foglia secca. Cerchiamo qualcuno che sappia come toccarci senza infrangerci. Ma in realtà abbiamo bisogno di pronunciare quelle parole, abbiamo bisogno di stringere e abbiamo bisogno di piangere per renderci più liberi, più forti e più morbidi. Tutto questo cinismo ci ha blindati dentro una cassaforte. Siamo rintanati in un angolo buio, pregando ogni giorno che non entri neanche un filo di luce che possa evidenziare le nostre ferite. Potesse esistere una carezza talmente intensa da superare l'ispessimento della pelle procurato dalle cicatrici. Ma non c'è. Non possiamo aspettare che giunga una mano materna a insegnarci come si ama o uno sguardo paterno a insegnarci come renderci amabili. Siamo cresciuti. Il problema è che siamo stati abbandonati lontani da casa. E nessuno è tornato a prenderci. Sta a noi cercare la strada del ritorno, ripercorrendo proprio quei solchi lasciati dalle cicatrici.
Mario Bucci - Scrittore
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