IL FARO DEI SOGNI

IL SACRO TERAPEUTICO-SCIAMANICO TRA NEW AGE E NEXT AGE

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(((claudio)))
view post Posted on 3/2/2023, 17:31 by: (((claudio)))     Top   Dislike
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V. IL NEOSCIAMANESIMO CASTANEDIANO TRA SALUTE E SALVEZZA. LA PRATICA

5.1. Introduzione

Il sistema di insegnamenti donjuanisti presentati dall’antropologo peruviano al mondo occidentale, ha lo scopo specifico di riuscire a muovere con successo e in maniera volontaria il punto d’unione, per produrre quei fondamentali cambiamenti nella vita, tanto nel modo d’essere quanto in quello di comportarsi e di percepire il mondo. Tutta la teoria che si trova nelle opere di Castaneda è priva di valore se non viene supportata da una relativa esperienza pratica e personale delle “lezioni” (“teachings”) del maestro-sciamano.

L’opera castanediana punta completamente in tale direzione, ed è finalizzata a sviluppare il controllo della percezione su una parte della totalità delle emanazioni, tramite forme caratteristiche dette da Castaneda di “non-fare”[203] che dovrebbero portare il punto d’unione a spostarsi. Don Juan impartisce a proposito alcune tecniche apposite suddivise in lezioni per il lato destro e per il lato sinistro, definite durante l’opera castanediana come l’arte dell’agguato e l’arte del sognare.[204]

5.2. L’arte dell’agguato

Questo insieme di tecniche trasmesse da Don Juan a Castaneda, e da Castaneda al mondo occidentale, riguardano un uso quasi “sacralizzato” della realtà ordinaria, a cui soggiaciono alcune idee ad essa relative prima delineate.

L’arte dell’agguato opera solo nella realtà ordinaria. Essa è per il neosciamano un’arte da praticare nel lato destro, consistente in un utilizzo particolare della quotidianità, il cui fine è l’accesso alla realtà separata, realtà “salvifica” che invita il guerriero alla libertà, offrendogli nuovi mondi pieni di mistero in cui sperimentare il suo essere in maniere insospettate.

Il “maestro dell’agguato”[205] è un praticante consumato, che fa del mondo quotidiano il suo campo di battaglia, trasformando ogni atto, ogni interazione con i suoi simili, in un problema di strategia. L’agguato è praticamente il controllo strategico della propria condotta. Il suo campo privilegiato è quello in cui ha luogo l’interazione con altri esseri umani; per questo il praticante, lungi dal separarsi dal contesto sociale, vi resta dentro, utilizzandolo per temprare il suo spirito, aumentare la sua (solita) “energia” e spingersi oltre i limiti del suo “potere personale”[206] e della sua storia. I maestri di quest’arte sono detti cacciatori (l’analogo dei sognatori nell’arte del sognare).

I principali concetti che riguardano l’agguato nell’opera castanediana sono: tutto quello che ci circonda è un mistero indecifrabile; l’uomo deve cercare di svelare il mistero, ma senza sperare di riuscirvi mai; un guerriero prende il posto che gli è dovuto tra gli altri misteri e si considera uno di loro.[207]

Inoltre il guerriero deve abbandonare tutto quello che non gli è necessario, scegliere il proprio campo di scontro, battersi sempre fino al limite delle sue forze, non aver paura di nulla ma non spingersi mai “in prima fila”;[208] deve essere “spietato” e risoluto con se stesso, “astuto” ma non crudele, “paziente” senza essere negligente e “gentile” ed affascinante senza risultare stupido.[209]

Secondo Don Juan sarebbe la cosiddetta “ricapitolazione” a dover costituire il forte dei maestri dell’agguato; essa vuol dire semplicemente saper ricordare, o, meglio, “rivivere”. La ricapitolazione rappresenta il recupero corporeo di tutte le esperienze passate, metodo che Castaneda ritiene il più efficace per muovere il punto d’unione e condurre alla coscienza dell’altro io. È la tecnica fondamentale del lato destro. La ricapitolazione è il non-fare della memoria. Mentre la memoria ordinaria ha a che fare solo con i pensieri, la ricapitolazione è una memoria sensibile, o super-cosciente, che ha più a che fare con i sentimenti. Quando ricordiamo, afferma Don Juan, è il nostro ego che ricorda per mezzo del “dialogo interno”, al quale aggiungiamo delle immagini. Nella ricapitolazione invece è il corpo che ricorda e lo fa liberando i sentimenti che ha immagazzinato.[210] L’uomo possiede una memoria alternativa, nascosta nella consapevolezza dell’altro io, che non ha niente da spartire con le interpretazioni dell’ego. Castaneda dice che è possibile recuperarla. La ricapitolazione è un fenomeno corporale che ha luogo nella totalità del nostro essere che ci permette di rivivere i sentimenti provocati durante gli eventi che si ricapitolano. La tecnica di base, di cui parla Castaneda in “Il dono dell’Aquila”, è la “ricapitolazione dentro una cassa”. La cassa rappresenta ovviamente uno strumento ed un simbolo, rappresenta cioè i confini in cui la storia personale ci tiene prigionieri, i confini dell’ego. Una volta entrati nella cassa (o in una “bara” personale), praticando una tecnica di respirazione[211] del potere, e cercando di evocare gli aspetti non ordinari (immagini, associazioni…) dei nostri ricordi, i ricapitolatori neosciamani dovranno disfarsi dell’ involucro che li contiene, con un rituale personale che esprima il momento in cui il cacciatore si è finalmente liberato dei limiti della sua storia personale.

Un’altra tecnica basilare descritta da Castaneda nella sua opera è quella del “piccolo tiranno”,[212] sicuramente una delle espressioni più raffinate dell’arte dell’agguato. Come la presenta l’antropologo, questa tecnica rappresenterebbe uno dei punti più alti di tale arte, sviluppato durante il periodo della conquista spagnola, quando tribù e sciamani si trovarono sottoposti a una tremenda pressione, sotto il giogo degli spagnoli. Dai resoconti di Don Juan si evince come, sebbene la maggioranza perì miseramente, alcuni stregoni approfittarono della situazione per sviluppare l’arte dell’agguato, grazie alla quale riuscivano a trarre vantaggio persino dalle circostanze più avverse. Notiamo qui un aspetto importante degli scritti castanediani, relativo all’interesse dell’autore per il rapporto fra bianchi e indigeni, spostato a quello fra bianchi e sciamani, rapporto che spesso anima alcune vicende dei suoi romanzi oltre alla storia moderna del Messico. Castaneda afferma che gli sciamani impararono in questo periodo a passare inosservati e a manipolare le situazioni in modo che – se non morivano – ne uscivano alla fine vittoriosi. Essi trasformarono il rapporto con il “tiranno spagnolo” in una questione di “strategia”. [213] Per don Juan il piccolo tiranno “è un torturatore, qualcuno che ha il potere di vita e di morte sui guerrieri, o che semplicemente gli rende la vita impossibile”[214] Per contrastarlo è necessaria la cosiddetta “strategia dell’agguato”,[215] che Castaneda fa constare di sei elementi appartenenti tutti al mondo del tonal, del conosciuto: il controllo, la disciplina, la sopportazione, l’abilità di scegliere il momento opportuno, il tiranno meschino, la volontà.

Il lavoro con le apparenze è un’altra tecnica di agguato, che ha a che fare con la creazione artistica nel suo senso più autentico e sfrutta, a un certo livello, l’arte dell’attore e quella del travestimento.[216] Don Juan dice a Castaneda che, portata all’estremo, l’arte del recitare dell’attore è l’arte dello stregone e del nagual: l’arte della trasformazione, con cui è possibile accedere all’altro io presente dentro di noi. Il segreto dello sciamano diventa per Castaneda la capacità di modificare la sua percezione fino a renderla uguale a quello in cui ci si vuol trasformare o essere (uomo, donna, animale, uccello…), cambiando la posizione del suo punto d’unione. Le conoscenze di stregoneria, la sua convinzione e il suo lavoro, gli permettono di riuscirci. Però qui viene fuori la domanda di Castaneda al maestro: cosa vedrebbe uno spettatore? Uno spettatore qualunque forse vedrebbe un uomo addormentato, di cui penserebbe che è ubriaco o drogato. Ma uno spettatore in stato di sensibilità non ordinaria,[217] o di fronte a uno stregone tanto potente da forzare a muoversi – per il potere della sua convinzione – il punto d’unione dello spettatore, sicuramente assisterebbe ad un miracolo di metamorfosi; e, alla domanda dello scettico, impersonato da Carlos: “È stato reale? È successo realmente ciò che ho visto e sentito?”, si contrapporrebbe la solita risposta di Don Juan: “Non c’è nulla di più reale di ciò che hai sentito…La realtà è un sentire”.

Nell’opera di Castaneda, infine, soprattutto in “Viaggio a Ixtlàn”, vi sono presentate una serie di tecniche destrutturanti dell’io personale, note come i “non-fare dell’ego”; esse sono: l’usare la morte come consigliera, cancellare la storia e perdere l’importanza personale, queste ultime suddivise a loro volta in altre tecniche.

La tecnica della morte-consigliere[218] consiste per Don Juan nel prendersi un momento fuori dalla dinamica degli avvenimenti quotidiani, per verificare la situazione in cui ci troviamo alla luce della nostra morte imminente, soprattutto quando l’importanza personale (nei momenti di autocompiacimento, di ira, di offesa…) si sta impossessando di noi stessi. Castaneda offre a proposito l’invito a particolari esercizi noti come “consapevolezza dello scheletro” – il risveglio dello scheletro, toccare lo scheletro, la danza con lo scheletro – atti al recupero di tale consapevolezza, al “darsi morto in anticipo” e al considerare ogni azione come “l’ultimo atto sulla terra”,[219] cercando di fare in modo che in tale atto ci sia il meglio del “guerriero”.

Don Juan allude poi anche alla necessità per l’apprendista di cancellare la storia personale,[220] riferendosi non solo al fatto del dover cambiare il suo modo di essere e di vivere, ma proponendo anche la possibilità che tale cambiamento avvenga come risultato della rottura di quella determinazione del passato – la memoria di ciò che abbiamo fatto, siamo stati, la descrizione fatta di noi agli altri e a noi stessi, l’immagine “etichettata” della persona – chiamata dagli stregoni “storia personale”. Le tecniche descritte da Castaneda a ciò finalizzate sono in questo caso assai semplici: il cominciare a “cancellarsi” nascondendosi con sagacia dai soliti rapporti personali,[221] dire bugie a se stessi,[222] cambiare facciata e rompere la ruota dell’abitudinarietà, “infrangere la routine della vita”[223] con attività inusuali in grado di destrutturare la descrizione del proprio ego, che rappresenta secondo Don Juan uno degli aspetti della posizione del punto di unione.

Per ultimo la tecnica dell’ “eliminare l’importanza personale”, compito principale del neostregone, poiché in essa si consumerebbe la maggior parte della sua “energia”. Don Juan così ne parla: “I guerrieri fanno inventari strategici, elencano le loro attività, i loro interessi. Dopo decidono quali si possono cambiare per ottenere così una pausa del consumo di energia…”[224]; e: “Una delle prime preoccupazioni del guerriero è liberare quell’energia per affrontare con essa l’ignoto…l’azione di ricanalizzare quell’energia è l’impeccabile”.[225] Secondo lo sciamano yaqui l’ importanza personale rappresenta una maniera specifica per l’uomo di organizzare la percezione: una posizione specifica del punto d’unione, che implica uno spreco inutile ed eccessivo di energia. A causa dell’importanza personale, concentrandoci ossessivamente sulle richieste dell’ego, ci troviamo e ci sentiamo di essere al centro del mondo, convincendoci che noi siamo questo ego e che nel nostro essere non esista più nient’altro. La strategia generale per riuscire nel tentativo di abbandonare tale situazione mentale è rappresentata specificamente dalle tecniche prima menzionate del lavoro riguardo la ricapitolazione, il piccolo tiranno e i non-fare dell’io personale, a cui Don Juan aggiunge il “parlare empaticamente con alberi e piante” (suggerendo ciò a Carlos per smettere di prendersi troppo sul serio), l’ “agire fine a se stesso”, il “denunciarsi” e, soprattutto, come si nota spesso analizzando il comportamento del maestro, “fare lo sciocco”, il “buffone”, trickster della quotidianità.

Vi sono anche alcune altre tecniche che si situano fra l’arte dell’agguato e quella del sognare, tra cui possiamo citare il “fermare il dialogo interno”, ( come abbiamo prima visto, la chiave di accesso alla realtà separata),[226] l’andatura del “potere”[227] e , molto importante, l’uso speciale dell’ “attenzione”.

Il termine “attenzione” è una delle parole chiave in tutta l’opera castanediana, che mi permette di introdurre l’affascinante tecnica del “lato sinistro”, l’arte del sognare. Secondo Don Juan è a causa del modo specifico in cui usiamo l’attenzione che percepiamo la realtà nella maniera solita. In questo senso, è l’attenzione che sostiene il mondo. Abbiamo avuto già modo di vedere come, nella visione donjuanista della realtà, il mondo non si esaurisce in ciò che percepiamo normalmente, ma contiene un’infinità di elementi in più che sfuggono alla nostra percezione, addestrata negli esseri umani a operare in modo selettivo e ordinario; il modo in cui usiamo l’attenzione è il risultato di tale addestramento a cui siamo sottoposti fin dalla nascita, da quando cioè entriamo in contatto con gli altri esseri umani che già percepiscono la realtà nei termini “normali” e addestrano il nuovo nato ad allineare la sua percezione alla loro. Il processo dell’attenzione, una sorta di “flusso”, comporta una complessa selezione (la “scrematura” citata in precedenza),[228] che riguarda la capacità di scegliere alcune parti e scartarne altre, nell’universo praticamente infinito delle possibilità percettive. Nel mondo di Don Juan, gli stregoni e i loro apprendisti sono guerrieri che lottano per recuperare la possibilità di utilizzare la loro percezione tramite la cosiddetta “seconda attenzione”[229] (la “prima attenzione” è quella ordinaria) in modi particolari, simili a quelli dei neonati, per poter penetrare così in altri mondi. La seconda attenzione è una forma di consapevolezza e di percezione sconosciuta e molto specializzata, che permette di percepire un’altra parte – praticamente illimitata – della realtà estranea ma “parallela” al mondo quotidiano, al di là dell’isola del tonal, nel mondo cosciente del “sogno” e del “sognare”.

5.3. L’arte del sognare

Nell’opera di Carlos Castaneda, il lavoro nell’ambito dei sogni rappresenta l’altra grande area di pratica tra i guerrieri del gruppo del nagual, la strada principale verso quello che Don Juan chiama il “Potere”. Lo sciamano messicano definisce il sognare[230] quel particolare tipo di sogno in cui non si perde del tutto la coscienza e che inizia quando ci accorgiamo di stare sognando. In termini generali il sognare consiste nell’ottenere con l’ “intento”[231] il dominio sulla situazione dei sogni in cui – a differenza di quanto accade in quelli “ordinari” – si può agire deliberatamente e persino con premeditazione.[232] Il sognare porta a sviluppare quello che Castaneda chiama “corpo del sogno”. Esso comincia a nascere nel momento in cui la pratica del sognare acquista una certa continuità, che le conferisce un valore operativo nel mondo quotidiano.[233] Quando si perviene ad uno stato di consapevolezza controllata nel sogno, non solo conferiamo al nostro “corpo di sogno” la capacità di agire con deliberazione e pragmatismo, dice il maestro yaqui, ma succede che anche per il nostro essere quotidiano si apre una possibilità diversa di esistenza.[234] Pur affermando che il mondo del sognatore e il mondo della veglia siano due realtà parallele ma separate,[235] don Juan parla dell’arte del sognare come di un ponte verso l’altro io, verso l’integrazione dei due lati della consapevolezza, Tonal e Nagual, in un’unità esistenziale che definisce “la forma dell’uomo”.[236] La consapevolezza del lato sinistro nel sogno è come la realtà dall’altro lato dello specchio: reciproca e tuttavia opposta. Nella realtà ordinaria dobbiamo sforzarci di usare la visione periferica per ottenere il silenzio interiore e percepire un mondo non frammentario e non contraddittorio. Nella realtà del sognare quello di cui l’apprendista stregone ha bisogno è la capacità di mettere a fuoco, di “sostenere la visione”, in opposizione alla visione periferica che è normale in questo stato di consapevolezza. Il “fare” di un lato della coscienza consapevole è il “non fare” dell’altro lato ed entrambi hanno lo scopo di creare dei punti di contatto, che portano poco alla volta a integrare tutte e due le parti in un’unica unità.[237]

Questo è il senso del lavoro e degli insegnamenti trasmessi da Don Juan e da Castaneda nelle aree dell’agguato e del sognare: ricordare l’altro io, per integrarsi in una totalità.

Per i due (neo)sciamani, il sognare è la via migliore verso il potere, perché ci porta immediatamente al nagual, restituendoci con ciò il lato misterioso e sconosciuto della nostra coscienza. Così come l’agguato ha la virtù di portarci a muovere il punto d’unione e di farci ricordare l’altro io, così il sognare permette al sognato (il corpo del sogno) di muovere il punto d’unione nella posizione in cui può ricordare il sognatore. Entrambe le forme di non-fare sono lo sforzo che ciascun lato della nostra consapevolezza realizza per ricordare il suo altro io.[238]

Nell’opera castanediana vi sono alcune “tecniche” per riuscire a sviluppare questa possibilità (sognare e manovrare il sogno coscientemente), in pratica una serie di compiti da realizzare una volta varcata la soglia della consapevolezza onirica.

Don Juan insegna a Carlos innanzitutto il primo passo: per stabilire il sognare si comincia con una tecnica apparentemente molto semplice: sognare di guardarsi le mani, l’oggetto detto “punto di partenza”,[239] (anche se ogni altra parte del proprio corpo può ovviamente andar bene lo stesso).[240] Prima di addormentarsi, l’apprendista stregone “sognatore” deve darsi il comando di trovare le proprie mani in sogno. Il maestro afferma che quando il “sognato” riesce in questo intento, ciò che sta compiendo è obbedire a un ordine che viene dall’altro mondo, il mondo quotidiano che non sa nulla del corpo del sogno e per il quale la sua realtà è totalmente inconcepibile (e viceversa). A partire da questo momento – per Castaneda il più ostico da superare – inizia il vero sognare, e il discepolo può eseguire gli altri successivi compiti.[241]

Osservando le mani, Castaneda si accorge della difficoltà di mantenerle a fuoco, di “sostenere” la loro visione, gli spariscono se le osserva direttamente e troppo a lungo. Ma Carlos si rende conto ora di una cosa importantissima: l’esistenza dentro di lui di quel qualcosa che può forzare la visione a sostenersi: l’ “intento”, la volontà nella realtà dell’altro io. Don Juan dice di applicare l’intento per far sì che le mani, e tutte le cose intorno al corpo “energetico” del sogno non scompaiano. Il trucco dello sciamano è quello di gettare rapide occhiate a tutta la scena onirica che si presenta senza fissarsi su un oggetto in particolare (altrimenti svanisce), per riuscire ad abbracciare sempre più cose; in tal modo la situazione si “blocca” e il mondo del sogno acquista continuità, proprio come la realtà del mondo quotidiano.[242]

Il passo successivo è quello di muovere il sognato. Secondo lo stregone lo spostarsi nel sogno non ha nulla a che vedere con il movimento “fisico” del nostro corpo, poiché non si sente la sua “solidità”, la sua “fisicità”. Qui è necessario usare di nuovo l’intento, il quale è più simile a un sentimento o a una certezza che a un pensiero, e che permette al corpo di sogno – detto anche da Don Juan il “doppio” – di viaggiare in modalità non accessibili allo stato normale: camminando tranquillamente al di là della barriera gravitazionale, correndo in maniera velocissima, o, addirittura, volando in ogni direzione che si vuole.[243]

La fase seguente riguarda invece il saper controllare le coordinate del “viaggio onirico”: spazio e tempo. Il posto e il momento specifico in cui si vuole sognare. Castaneda indica due modi per riuscire ad andare in sogno nella destinazione voluta: o cominciamo il sogno nel posto che abbiamo scelto, oppure lo iniziamo da uno stato di sogno e raggiungiamo il luogo da esso.[244] Se si riesce, il compito successivo sarà quello di ottenere che nel sogno l’ora corrisponda a quella in cui stiamo riposando. Questo rappresenta il punto più raffinato del controllo del tempo: fare in modo che il tempo del nostro sogno coincida con quello degli avvenimenti della nostra vita normale. Don Juan dice a Castaneda che quando tentiamo con successo di far coincidere lo spazio e il tempo del sognare con il mondo delle abitudini quotidiane, siamo pronti per cominciare “terapeuticamente” a influire sulla nostra vita con il corpo del sogno. Adesso, infatti, il compito principale consiste nel cercare il proprio corpo dormiente, nel “trovare se stessi”. Il sognato sa che lo si sta sognando e deve possedere l’integrità e il controllo sufficienti per trovare chi lo sta sognando. Se lo trova, come è convinto Don Juan, il sognatore sa che è arrivato il suo momento di “potere” e invece di spaventarsi o di svegliarsi di soprassalto, deve approfittare dell’esperienza per compiere l’impossibile: influire sul suo mondo quotidiano col corpo del sogno, con il “doppio”. Eccoci arrivati al dunque: l’arte neosciamanica del sognare rappresenta in questo contesto la terapia “sacra” per eccellenza; è una terapia salvifica totalmente “terrena” ed operativa, nel senso che è possibile trasformare degli aspetti della nostra vita quotidiana durante i sogni. Alcuni lati della nostra persona, dice il maestro yaqui, che non riusciamo a cambiare con metodi convenzionali, possono venire modificati con la cooperazione dell’altro io e del potere della seconda attenzione che gli è proprio.[245] Trovare soluzioni non ordinarie a problemi e necessità che sembrano irresolubili, diventa una possibilità concreta quando Castaneda ci offre di mettere in gioco il potere che viene dal lato “nagual” della nostra consapevolezza. Sognando, egli afferma, possiamo modificare il corso degli avvenimenti quotidiani, oppure trovare soluzioni nuove per qualche nostro vecchio problema, o addirittura aumentare la nostra personale “creatività”. Castaneda ci dice che i guerrieri del suo gruppo sviluppavano e arricchivano nel sognare le attività di base della loro vita quotidiana.[246] Pablito, come carpentiere, imparava a costruire oggetti, Nestor, che vendeva piante medicinali, trovava nuovi sistemi di cura. E Benigno, che possedeva un oracolo, trovava soluzioni alle preoccupazioni della gente. Così, chiunque abbia un’attività che consideri veramente sua, trova nel sognare un terreno fertile dove raccogliere segreti che l’arricchiscano.

Quando si riesce ad accettare qualcosa di tanto incredibile, ci conferma lo scettico Carlos, e tirato per i capelli come l’esistenza del corpo del sogno, una volta visto “se stessi”, la fase successiva è quella di mettersi in azione, quindi. Don Juan ci invita a lasciare da parte le paure e le domande, e ad usare pragmaticamente la situazione in svariate applicazioni. Va detto tra l’altro che Castaneda scrive che in nessun caso bisogna svegliare il corpo addormentato, perché farlo significa morire, ma anzi è doveroso voltargli le spalle e iniziare a risolvere o realizzare qualcosa di utile: rivivere scene problematiche della nostra vita e scoprire come le risolve il sognato, sviluppare potenzialità creative della nostra attività (curare, costruire, dipingere, scrivere…), scoprire cose che riguardano altri o noi stessi, “allinearci” con il punto d’unione di un altro corpo di sogno per condividere l’esperienza del sognare, affrontare la paura e gli incubi delle nostre trasformazioni psichiche…[247]




segue VI. IL “SOGNO LUCIDO” E IL “SOGNARE”

 
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14 replies since 29/10/2022, 09:43   2741 views
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