IL FARO DEI SOGNI

IL SACRO TERAPEUTICO-SCIAMANICO TRA NEW AGE E NEXT AGE

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(((claudio)))
view post Posted on 17/11/2022, 17:38 by: (((claudio)))     Top   Dislike
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2.2. Le origini storiche del Neosciamanesimo

La figura fondamentale nel contesto new age che si trova alla radice della rinascita della tradizione sciamanica è sicuramente Carlos Castaneda (?-1998), autore di una serie di opere intorno agli anni settanta (periodo fondamentale per il diffondersi della nuova cultura religiosa del New Age)[98] in grado di mettere in imbarazzo il mondo accademico tradizionale e riscuotere un autentico successo popolare specie al di fuori dell’ambito universitario.[99] “Per decine di migliaia di lettori, giovani e vecchi, il primo incontro di Castaneda con Don Juan Matus…è un avvenimento letterario meglio conosciuto che l’incontro di Dante con Beatrice sulle rive dell’Arno”.[100] Questo confronto, tracciato dall’articolo che la rivista americana “Time” dedicò all’opera di Carlos Castaneda appena uscita, fa cogliere l’importanza dell’impatto che Don Juan e le sue concezioni ebbero sul pubblico.[101] E d’altra parte il viaggio nel mondo “magico” degli sciamani che offriva Carlos ai suoi lettori non poteva che trovare un’entusiastica accoglienza in un pubblico quanto mai aperto ed interessato ad approcci non-razionali della realtà. Ma ai libri di Castaneda non arrideva solo un successo popolare tra i giovani americani di fine anni sessanta, ma anche tra quegli antropologi che avevano concentrato l’attenzione sull’uso di allucinogeni in altre società e sul rapporto tra stati psicofisici prodotti da tali sostanze ed esperienze estatiche e mistiche. Le ricerche di Castaneda si inserirono infatti in una drug literature[102] allora più che mai fiorente e in breve tempo diventarono un importante punto di riferimento sia per gli studiosi interessati a questi problemi, sia per i profani che erano solamente attratti dall’idea di un “ritorno” dello sciamanismo tradizionale visitato unicamente attraverso l’utilizzo psichedelico di prodotti allucinogeni al fine di arrivare a stati non ordinari di consapevolezza, a quell’agognata espansione della coscienza prima radice della nuova mistica intramondana del New Age.[103]

Il periodo iniziale del ritorno dello sciamanesimo nella cultura occidentale venne infatti a situarsi in concomitanza e in reciproca interazione con quello che è stato definito come “movimento psichedelico” sorto negli Stati Uniti nella seconda metà di questo secolo.

Dopo la seconda Guerra Mondiale[104] si assistette alla nascita negli Stati Uniti del movimento beat e, in seguito, della cosiddetta controcultura. I principali rappresentanti della cultura beat, J. Kerouac (1922-1969), W. Burroughs (1914), L. Ferlinghetti (1919), A. Ginsberg (1926), nelle loro opere glorificarono valori in aperto contrasto con quelli dominanti nella cultura occidentale tradizionale, come per esempio il girovagare per il mondo senza scopo, di cui ne è una testimonianza il romanzo di J. Kerouac, “Sulla strada”, scritto nel 1951. Nello stesso periodo fu dedicata particolare attenzione alle idee religiose provenienti dall’Oriente, specie dall’Asia, alla cui diffusione contribuì la moda dei viaggi, specie in India e in Nepal, e la letteratura, ad esempio attraverso gli scritti di Herman Hesse (1877-1962)[105] e A. W. Watts (1915-1973), che in questo periodo furono molto in voga. Le idee religiose orientali furono apprezzate dai “giovani ribelli” in quanto proclamavano idee opposte a quelle diffuse in Occidente da loro respinte, invitandoli ad un viaggio verso l’ignoto per il conseguimento di tesori non materiali, quali la conoscenza di se stessi, la comprensione del segreto dell’universo, il dominio sul proprio corpo e sulla propria mente, non in vista di una ricompensa futura e non per grazia divina, ma in virtù dei propri sforzi. In questo contesto l’attenzione non andò solo alle tradizioni orientali, ma anche a quelle degli Indiani d’America, e in questo caso soprattutto proprio attraverso le opere dell’antropologo peruviano Carlos Castaneda.[106]

In tale contesto, fu fondamentale l’importanza data dalla diffusione delle droghe allucinogene, che negli anni cinquanta e sessanta influirono sulla formazione di una “coscienza alternativa” e che portarono alla nascita appunto del già citato psychedelic movement. A parte il termine psichedelico, oggetto di un’annosa controversia tra vari studiosi del campo, il vero e proprio precursore dell’uso di sostanze allucinogene per arrivare a stati di coscienza definibili come alterati in senso religioso, fu senza dubbio Aldous Huxley (1894-1963), il primo, in una maniera quanto mai suggestiva ed a volte persino poetica, ad ipotizzare un uso della mescalina per aprire ciò che egli definiva come le porte della percezione.[107] Per Huxley, la sostanza chimica era una specie di catalizzatore che per un attimo mandava in tilt quel complesso sistema di inibizioni sensoriali che permettono al nostro cervello di funzionare nella vita ordinaria: il risultato era un’apertura ad una esperienza percettiva che nelle forme più pure egli non esitava a definire mistica. Fu senza dubbio Timothy Leary (1920-1996), autore di “L’esperienza psichedelica” nel 1964, a raccoglierne negli anni ’60 l’eredità, anche se il suo proselitismo a volte fanatico contribuì non poco a ghettizzare l’uso delle sostanze allucinogene negli ambienti culturali underground e conseguentemente a renderle ben presto illegali. A lui va comunque riconosciuto il merito di averne teorizzato l’impiego come equivalente occidentale delle pratiche orientali di meditazione e soprattutto nell’avere individuato nel set e nel setting, cioè nell’atteggiamento psicologico e nell’ambiente fisico ove avviene l’esperienza, due importantissime variabili.

Nei primi anni ’70 apparve un altro testo scritto dal giovane antropologo Castaneda che si stava laureando all’Università di Los Angeles, dall’affascinante titolo di “A scuola dallo stregone”. Carlos Castaneda si era proposto di indagare le classificazioni indigene delle piante allucinogene utilizzate dagli stregoni messicani, operando direttamente sul campo uno studio che durò all’incirca per dieci anni, dai primi anni sessanta agli inizi dei settanta. Ma l’incontro con un indio yaqui chiamato Don Juan disposto a rivelargli le sue conoscenze segrete sull’iniziazione all’arte dello sciamanizzare fece mutare rotta alla ricerca. A partire da questo suo primo libro pubblicato nel 1968, “The Teachings of Don Juan. A Yaqui Wai of Knowledge”, Castaneda descrive infatti solo più le varie tappe del suo apprendistato, narrando come l’uso delle sostanze psicotrope rappresenti in fin dei conti l’aspetto meno importante nel sistema di valori e nel complesso di concezioni ruotanti intorno alla figura dello sciamano. Purtroppo però Castaneda iniziava una saga che avrebbe portato migliaia di giovani ignari del reale significato della vera ed antica arte sciamanica, ma solo interessati all’esperienza psichedelica ed estatica, prima in Messico alla ricerca dei misteri connessi all’uso del peyote, la Lophophora williamsii, pianta divinizzata nello sciamanesimo Huicholes e Tarahuamara, e poi più giù in Colombia, Ecuador e Perù fino ad immergersi nello sciamanesimo amazzonico e nelle sue magiche pozioni.[108]

Ma l’opera “neosciamanica” castanediana contiene altri e più complessi pensieri che esulano dal semplice “paradigma psichedelico” in voga in quegli anni. Questi sono messi a nudo proprio dal continuo scontro tra il razionalismo di Carlos e l’apparente irrazionalità del suo informatore che caratterizza gli ambigui dialoghi presenti nella sua prima opera.[109] L’indio messicano cerca di distruggere l’immagine che l’uomo occidentale Castaneda ha del mondo, le sue concezioni di reale e di irreale, di vero e di falso, di possibile e di impossibile. Attraverso esperienze allucinanti Carlos viene sottoposto ad un nuovo processo di socializzazione: la sua percezione viene modellata e riorganizzata secondo i criteri imposti e dettati dallo sciamanismo di Don Juan. Grazie a tali esperienze, su cui Castaneda si sofferma anche nei libri successivi, l’apprendista stregone acquisisce un “alleato”, una sorta di “spirito guardiano” che guida l’antropologo verso quella conoscenza esoterica che lo renderà un “sapiente” (man of Knowledge) o uno “stregone” (sorcerer).

Così, percorrendo la medesima scia, nel secondo resoconto castanediano, “A Separate Reality. Further Conversations with Don Juan”, uscito nel 1971, si parla dell’idea che la realtà non sia qualcosa di assoluto ma dipenda dalla percezione soggettiva del singolo individuo, vi è un esplicito invito ad accettare contemporaneamente verità contraddittorie, il riconoscere la “via del guerriero” come unico mezzo per “conoscere” la vera essenza di sé e della natura, il tutto condito con una visione generale riguardo alle diverse possibilità e facoltà sensoriali e cognitive che ogni uomo possiede pur non sfruttandole a dovere.[110]

La vera natura di questi insegnamenti si delinea tuttavia più nettamente l’anno successivo nel terzo volume, “Journey to Ixtlan. The Lessons of Don Juan”. In esso vi sono descritti alcuni precetti di un codice di tipo ascetico che predica un atteggiamento di distacco dalla realtà quotidiana: la cancellazione della “storia personale”, il non dare importanza al Sé, il dovere di distruggere la ruota dell’abitudinarietà e addirittura cercare sempre (meglio in una profonda solitudine) e in ogni circostanza di avvicinarsi al proprio vissuto per attingere a piene mani dalla universale saggezza nascosta dentro di noi. Insomma, chi vuole accostarsi alla “sapienza” deve dunque innanzitutto cambiare il proprio modello di vita: è questo è ciò che Don Juan chiede in ultima analisi anche all’antropologo.[111]





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14 replies since 29/10/2022, 09:43   2741 views
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