IL FARO DEI SOGNI

BIOGRAFIA DI ANTONIO GRAMSCI

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Riflessioni sulla lingua

La formazione linguistica di Antonio Gramsci inizia durante gli anni universitari a Torino con la frequentazione delle lezioni di linguistica generale del prof. Matteo Bartoli. Dal Bartoli Gramsci apprende che la lingua è un "prodotto sociale" e che non può essere studiata senza tenere conto della storia generale: ciò vuol dire che non è possibile comprendere i mutamenti di una data lingua senza riflettere sui mutamenti sociali, culturali e politici del popolo che la parla.[131] È stato notato che Gramsci fece aderire le teorie apprese dal Bartoli alle letture filosofiche che lo formarono politicamente; in primo luogo all'Ideologia Tedesca di Karl Marx, dove il filosofo affermava che la lingua, come la coscienza, appartiene alla sfera degli istituti sovrastrutturali, cioè al mondo dell'organizzazione politica e giuridica della società.[131]

Le più interessanti riflessioni linguistiche gramsciane sono contenute nei Quaderni del carcere e riguardano da una parte la questione della lingua in Italia, ovvero lo studio delle ragioni che hanno reso difficile la diffusione di una lingua nazionale italiana, dall'altra il tema dell'insegnamento linguistico nelle scuole primarie. Soprattutto il secondo tema è di fondamentale importanza per Gramsci, perché riguarda direttamente il riscatto culturale delle grandi masse popolari e la creazione di uno spirito nazionale in grado di superare ogni forma di particolarismo regionale.
L'indagine storica

I Quaderni del carcere sono costellati in maniera asistematica di molte note dedicate a problemi di caratteri linguistico; queste note tracciano una vera e propria storia della lingua italiana e racchiudono le riflessioni di Gramsci in merito alla cosiddetta questione della lingua in Italia. Questo tipo di argomento si riallaccia a un altro importante tema dei Quaderni ovvero lo studio delle responsabilità degli intellettuali italiani per la formazione di uno spirito nazionale unitario. A tal proposito Gramsci scrive: «mi pare che, intesa la lingua come elemento della cultura e quindi della storia generale e come manifestazione precipua della nazionalità e popolarità degli intellettuali, questo studio non sia ozioso e puramente erudito».[132]

Nell'affrontare una ricostruzione storica delle vicende linguistiche italiane Gramsci cerca dei termini di confronto con altri paesi europei come la Francia: mentre in Francia il volgare viene usato per la prima volta nella storia per redigere un documento ufficiale di carattere politico-istituzionale, in Italia il volgare appare per la registrazione di documenti privati legati al commercio o a questioni giuridiche:

«l'origine della differenziazione storica tra Italia e Francia si può trovare testimoniata nel giuramento di Strasburgo (verso l'841), cioè nel fatto che il popolo partecipa attivamente alla storia (il popolo-esercito) diventando il garante dell'osservanza dei trattati tra i discendenti di Carlo Magno; il popolo-esercito garantisce giurando in volgare, cioè introduce nella storia nazionale la sua lingua, assumendo una funzione politica di primo piano, presentandosi come volontà collettiva, come elemento di una democrazia nazionale. Questo fatto demagogico dei Carolingi di appellarsi al popolo nella loro politica estera è molto significativo per comprendere lo sviluppo della storia francese e la funzione che vi ebbe la monarchia come fattore nazionale. In Italia i primi documenti di volgare sono dei giuramenti individuali per fissare la proprietà su certe terre dei conventi, o hanno un carattere antipopolare («Traite, traite, fili de le putte»).»
(A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p. 646.)

In Francia i gruppi dirigenti si rendono conto dell'importanza del popolo negli affari di Stato: la demagogia di cui parla Gramsci è da intendere, oltre che come strumento di propaganda, anche come un nuovo atteggiamento politico in grado di crearsi «una propria civiltà statale integrale»,[133] in cui si stabilisce un rapporto diretto tra governati e governanti: il popolo diventa testimone di un fatto storico legittimato dal suo giuramento.

Gramsci ricorda nei suoi appunti come in Italia l'uso del volgare si diffonda con l'avvento dell'età comunale, non solo per la redazione di documenti privati, tipo atti notarili o giuramenti, ma anche per la creazione di opere letterarie: in particolare, il volgare toscano, lingua della borghesia, ottiene un certo successo anche nelle altre regioni. Gramsci scrive: «fino al Cinquecento Firenze esercita una egemonia culturale, connessa alla sua egemonia commerciale e finanziaria (papa Bonifazio VIII diceva che i fiorentini erano il quinto elemento del mondo) e c'è uno sviluppo linguistico unitario dal basso, dal popolo alle persone colte, rinforzato dai grandi scrittori fiorentini e toscani. Dopo la decadenza di Firenze, l'italiano diventa sempre più la lingua di una casta chiusa, senza contatto vivo con una parlata storica».[134]

Da questo momento si verifica una cristallizzazione della lingua. I promotori del nuovo volgare, provenienti dalla borghesia, non scrivono più nella lingua della loro classe d'origine perché con essa non intrattengono più nessun rapporto, nella visione di Gramsci essi «vengono assorbiti dalle classi reazionarie, dalle corti, non sono letterati borghesi, ma aulici».[135] In questo senso, Gramsci vede sciupata l'occasione di una diffusione graduale del volgare toscano su scala nazionale, occasione compromessa soprattutto dalla frammentazione politica della penisola e dal carattere elitario dei ceti intellettuali italiani.

Gramsci affronta con maggior vigore la questione della lingua italiana in relazione al periodo post-unitario; nella seconda metà dell'Ottocento il nuovo Stato Italiano era per gran parte dialettofono, mentre l'italiano veniva usato solo a livello letterario e come lingua delle istituzioni. La scarsa diffusione di una lingua nazionale testimoniava la frammentazione politica e culturale del popolo italiano; questo fenomeno veniva avvertito come un problema politico, soprattutto da molti intellettuali di tendenze democratiche come Alessandro Manzoni.

Nella sua ricostruzione storica Gramsci scrive che «anche la questione della lingua posta dal Manzoni riflette questo problema, il problema della unità intellettuale e morale della nazione e dello Stato, ricercato nell'unità della lingua»;[136] eppure, sebbene Gramsci riconosca al Manzoni di aver compreso la questione linguistica italiana come una questione politica e sociale, si distingue dall'autore lombardo nel modo di interpretare la risoluzione del problema.
Graziadio Isaia Ascoli

Durante il suo apprendistato glottologico presso il professor Bartoli a Torino Gramsci aveva avuto modo di confrontare le posizioni del Manzoni con quelle di Graziadio Isaia Ascoli, autore del Proemio al primo numero dell'Archivio Glottologico italiano del 1873. Mentre Manzoni prevedeva la diffusione di una lingua nazionale sul modello fiorentino imposta per decreto statale e per mezzo di maestri di scuola di origine toscana, Ascoli concepiva la nascita di una lingua nazionale come il frutto di un'unificazione culturale prima ancora che linguistica.

Secondo Ascoli l'unità culturale e linguistica, prima di tutto, deve avere un centro irradiante, cioè un determinato 'municipio' in cui si concentrano e da cui provengono gli elementi essenziali della vita nazionale: beni di consumo, stimoli culturali, mode, ritrovati della tecnica, istituti statali e giuridici, ecc. Se quel dato municipio riuscirà a stabilire un primato politico, economico e culturale su tutta la nazione, riuscirà anche a diffondere, per conseguenza, il suo particolare idioma. Per Ascoli «una lingua nazionale altro non può e non deve essere, se non l'idioma vivo di una data città; deve cioè per ogni parte coincidere con l'idioma spontaneamente parlato dagli abitatori contemporanei di quel dato municipio, che per questo capo viene a farsi principe, o quasi stromento livellatore, dell'intiera nazione».[137] Ascoli, nel suo Proemio, prende la Francia come esempio per avvalorare la sua tesi; infatti l'unità linguistica francese corrisponde all'egemonia politico-culturale della città di Parigi:

«La Francia attinge da Parigi la unità della sua favella, perché Parigi è il gran crogiuolo in cui si è fusa e si fonde l'intelligenza della Francia intera. Dal vertiginoso movimento del municipio parigino parte ogni impulso dell'universa civiltà francese; [...] viene da Parigi il nome, perché da Parigi vien la cosa. E la Francia avendo in questo municipio l'unità assorbente del suo pensiero, vi ha naturalmente pur quella dell'animo suo; e non solo studia e lavora, ma si commuove, e in pianto e in riso, così come la metropoli vuole; e quindi è necessariamente dell'intiera Francia l'intiera favella di Parigi».»
(G. I. Ascoli, Proemio, AGI, n. I, 1873, p. X)

Gramsci ricalca la lezione ascoliana nei suoi Quaderni, dove scrive: «poiché il processo di formazione, di diffusione, e di sviluppo di una lingua nazionale unitaria avviene attraverso tutto un complesso di processi molecolari, è utile avere consapevolezza di tutto il processo nel suo complesso, per essere in grado di intervenire attivamente in esso col massimo di risultato. Questo intervento non bisogna considerarlo come decisivo e immaginare che i fini proposti saranno tutti raggiunti nei loro particolari, che cioè si otterrà una determinata lingua unitaria: si otterrà una lingua unitaria, se essa è una necessità e l'intervento organizzato accelererà i tempi del processo già esistente; quale sia per essere questa lingua non si può prevedere e stabilire [...]».[138]
L'insegnamento linguistico





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L'insegnamento linguistico

Gramsci, nel Quaderno 29 alla nota Focolai di irradiazione linguistiche nella tradizione e di un conformismo nazionale linguistico nelle grandi masse compila un elenco di tutti gli strumenti utili alla diffusione di una lingua unitaria: «1) La scuola; 2) i giornali; 3) gli scrittori d'arte e quelli popolari; 4) il teatro e il cinematografo sonoro; 5) la radio; 6) le riunioni pubbliche di ogni genere, comprese quelle religiose; 7) i rapporti di conversazione tra i vari strati della popolazione più colti e meno colti [...] ; 8) i dialetti locali, intesi in sensi diversi (dai dialetti più localizzati a quelli che abbracciano complessi regionali più o meno vasti: così il napoletano per l'Italia meridionale, il palermitano o il catanese per la Sicilia ecc.)».[139]

Al primo posto di questo elenco troviamo la scuola; per tradizione, a scuola, gli insegnanti introducono gli alunni allo studio di una lingua attraverso la grammatica normativa. Gramsci definisce la grammatica normativa come una «fase esemplare, come la sola degna di diventare, organicamente e totalitarmente, la lingua comune di una nazione, in lotta e in concorrenza con le altre fasi e tipi o schemi che esistono già [...]».[140]

Le riflessioni gramsciane in materia di grammatica si pongono in netto contrasto con la riforma della scuola realizzata da Giovanni Gentile nel 1923. La riforma, in linea con l'impianto filosofico idealista gentiliano, prevedeva che l'apprendimento della lingua nazionale nelle classi elementari si basasse sull'espressione viva o parlata e non sulla grammatica, considerata questa come una disciplina astratta e meccanica. Nell'ottica gramsciana questo metodo apparentemente liberale racchiude uno spiccato carattere classista, in quanto gli scolari appartenenti alle classi sociali più alte sono avvantaggiati dal fatto che apprendono l'italiano in famiglia, mentre gli scolari del basso popolo possono contare su una comunicazione familiare realizzata esclusivamente in dialetto. In questo senso lo studio della grammatica si presenta come uno strumento in grado di livellare le differenze sociali degli scolari permettendo a tutti la conoscenza della lingua nazionale.

Secondo Gramsci la conoscenza della lingua nazionale presso le classi subalterne è fondamentale per la loro organizzazione politica. Un proletariato dialettofono non può partecipare alla vita politica di una nazione e non può sperare di crearsi un ceto intellettuale in grado di competere con i ceti intellettuali tradizionali. I dialetti non devono sparire, ma restare funzionali a un tipo di comunicazione familiare che non può garantire, per cause interne al suo sistema, «la comunicazione di contenuti culturali universali, caratteristici della nuova cultura esercitata dal proletariato»[141]
Le lingue antiche

Gramsci prestò attenzione anche alle lingue storicamente determinate. Da giovane espresse in più occasioni l'idea che lo studio del latino e del greco fosse particolarmente utile nella formazione scolastica degli individui, in quanto esse potevano abituare gli alunni allo studio rigoroso ed educarli a pensare storicamente. Inoltre, contestò il nazionalismo degli studi e criticò ripetutamente gli intellettuali che, durante la prima guerra mondiale, chiedevano che fossero messe al bando le edizioni dei testi antichi e le grammatiche greche e latine compilate da autori tedeschi[142].

Anche nei Quaderni del carcere si soffermò sulla questione e ribadì l'utilità intrinseca del latino e del greco, osservando che erano strumenti importanti nella fase della formazione scolastica nella quale è necessario un insegnamento "disinteressato", cioè non legato a questioni pratiche. Gramsci, però, sottolineò anche che in futuro lo studio delle lingue morte avrebbe dovuto essere sostituito da altre materie: era un cambiamento difficile, ma necessario, per promuovere la formazione di un nuovo tipo di intellettuale.[143] Scrisse nel Quaderno 12:

Bisognerà sostituire il latino e il greco come fulcro della scuola formativa e lo si sostituirà, ma non sarà agevole disporre la nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine didattico che dia risultati equivalenti di educazione e formazione generale della personalità, partendo dal fanciullo fino alla soglia della scelta professionale. In questo periodo infatti lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere (e apparire ai discenti) disinteressato, non avere cioè scopi pratici immediati o troppo immediati, deve essere formativo, anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete.

(A. Gramsci, Quaderni del Carcere, a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1975, p. 1546)

Influenze sul pensiero di Gramsci

Niccolò Machiavelli — influenzò fortemente la teoria dello Stato di Gramsci.
Karl Marx — filosofo, storico, critico dell'economia politica e fondatore del materialismo storico
Friedrich Engels
Lenin
Antonio Labriola — primo notevole teorico marxista italiano, riteneva che la principale caratteristica del marxismo fosse quella di aver creato uno stretto nesso fra la storia e la filosofia
Georges Sorel — sindacalista francese e scrittore che ha respinto il principio dell'inevitabilità del progresso storico.
Vilfredo Pareto — economista e sociologo italiano, noto per la sua teoria sull'interazione fra masse ed élite.
Benedetto Croce — liberale italiano, filosofo anti-marxista e idealista il cui pensiero fu sottoposto da Gramsci a critica attenta e approfondita.





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Pensatori influenzati da Gramsci

Zackie Achmat · Eqbal Ahmad · Jalal Al-e-Ahmad · Louis Althusser · Perry Anderson · Giulio Angioni · Michael Apple · Giovanni Arrighi · Zygmunt Bauman · Homi K. Bhabha · Gordon Brown · Alberto Burgio · Judith Butler · Alex Callinicos · Partha Chatterjee · Marilena Chauí · Noam Chomsky · Alberto Mario Cirese · Hugo Costa · Robert W. Cox · Alain de Benoist · Biagio de Giovanni · Ernesto de Martino · Umberto Eco · John Fiske · Michel Foucault · Paulo Freire · Eugenio Garin · Eugene D. Genovese · Stephen Gill · Paul Gottfried · Stuart Hall · Michael Hardt · Chris Harman · David Harvey · Hamish Henderson · Eric Hobsbawm · Samuel P. Huntington · Alfredo Jaar · Bob Jessop · Ernesto Laclau · Subcomandante Marcos · José Carlos Mariátegui · Chantal Mouffe · Antonio Negri · Luigi Nono · Michael Omi · Pier Paolo Pasolini · Antonio Pigliaru · Michelangelo Pira · Juan Carlos Portantiero · Nicos Poulantzas · Gyan Prakash · William I. Robinson · Edward Saïd · Ato Sekyi-Otu · Gayatri Chakravorty Spivak · Piero Sraffa · Edward Palmer Thompson · Giuseppe Vacca · Paolo Virno · Cornel West · Raymond Williams · Howard Winant · Ludwig Wittgenstein · Eric Wolf · Howard Zinn · Edoardo Sanguineti
Gramsci al cinema e in televisione

Il delitto Matteotti, regia di Florestano Vancini, (1973)
Antonio Gramsci - I giorni del carcere, regia di Lino Del Fra, (1977)
Vita di Antonio Gramsci, regia di Raffaele Maiello - serie TV (1981)
Gramsci, film in forma di rosa, regia di Gabriele Morleo - cortometraggio (2005)
Gramsci 44, regia di Emiliano Barbucci (2016)
Nel mondo grande e terribile, regia di Daniele Maggioni, Maria Grazia Perria e Laura Perini (2017)

Gramsci nel teatro

Compagno Gramsci, di Maricla Boggio e Franco Cuomo, regia di Maricla Boggio, (1971-72)

Gramsci nella musica

Quello lì (compagno Gramsci), canzone di Claudio Lolli contenuta nell'album Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita (1973)
Piazza Fontana, canzone dei Yu Kung contenuta nell'album Pietre della mia gente (1975)
Nino, canzone dei Gang contenuta nell'album Sangue e Cenere (2015)
Cerbero, canzone di En?gma contenuta nell'album Shardana (2018)

Gramsci, il teatro e la musica

È nota la passione di Gramsci per il teatro e per la musica, che si può leggere nelle lettere scritte a Tania[144]. Egli ha scritto circa il melodramma “verdiano” che per lui segnava l’apertura dei teatri al pubblico, svolgendo una funzione conoscitiva, pedagogica e politica in senso generale. Per Gramsci l’opera diviene l’arte più popolare e i teatri aperti i luoghi dove si esercitava parte del conflitto politico.

Una frase quasi ironica di Gramsci da citare, per quanto riguarda l’importanza dell’opera per l’Italia: “siccome il popolo non è letterato e di letteratura conosce solo il libretto d'opera ottocentesco, avviene che gli uomini del popolo melodrammatizzino”[145].

Nelle sue lettere si può leggere anche riguardo alla moda europea del jazz; egli sostiene che questa musica aveva conquistato uno strato dell’Europa colta e aveva creato un vero fanatismo[146].





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Opere

Alcuni temi della questione meridionale, in Lo Stato Operaio, a. IV, n. 1, gennaio 1930, ma ottobre 1926.
Opere di Antonio Gramsci (12 voll.)

Lettere dal carcere, Torino, Einaudi, 1947; premio Viareggio[147], con centodiciannove lettere inedite, 1965.
I quaderni dal carcere

Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino, Einaudi, 1948.
Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Torino, Einaudi, 1948.
Il Risorgimento, Torino, Einaudi, 1949.
Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, Torino, Einaudi, 1949.
Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi, 1950.
Passato e presente, Torino, Einaudi, 1951.

L'Ordine Nuovo. 1919-1920, Torino, Einaudi, 1954.
Scritti giovanili. 1914-1918, Torino, Einaudi, 1958.
Sotto la mole. 1916-1920, Torino, Einaudi, 1960.
Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo 1921-1922, Torino, Einaudi, 1966.
La costruzione del Partito comunista. 1923-1926, Torino, Einaudi, 1971.

L'albero del riccio, Milano, Milano-sera, 1948.
Americanismo e fordismo, Milano, Ed. cooperativa Libro popolare, 1949.
Ultimo discorso alla Camera. 16 maggio 1925, Padova, R. Guerrini, 1958.
Antologia popolare degli scritti e delle lettere di Antonio Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1957.
Il Vaticano e l'Italia, Roma, Editori Riuniti, 1961.
Note sulla situazione italiana 1922-1924, Milano, Rivista storica del socialismo, 1962.
2000 pagine di Gramsci

Nel tempo della lotta. 1914-1926, Milano, Il Saggiatore, 1964.
Lettere edite e inedite. 1912-1937, Milano, Il Saggiatore, 1964.

Elementi di politica, Roma, Editori Riuniti, 1964.
La formazione dell'uomo. Scritti di pedagogia, Roma, Editori Riuniti, 1967.
Scritti politici

La guerra, la rivoluzione russa e i nuovi problemi del socialismo italiano, 1916-1919, Roma, Editori Riuniti, 1967.
Il Biennio rosso, la crisi del socialismo e la nascita del Partito comunista, 1919-1921, Roma, Editori Riuniti, 1967.
Il nuovo partito della classe operaia e il suo programma. La lotta contro il fascismo, 1921-1926, Roma, Editori Riuniti, 1973.

Scritti 1915-1921, Milano, I quaderni de Il corpo, 1968.
Dibattito sui Consigli di fabbrica, Roma, La nuova sinistra, 1971.
Paolo Spriano (a cura di), Scritti politici, Roma, Editori Riuniti, 1971.
L'alternativa pedagogica, Firenze, La nuova Italia, 1972.
I consigli e la critica operaia alla produzione, Milano, Servire il popolo, 1972.
La lotta per l'edificazione del Partito comunista, Milano, Servire il popolo, 1972.
Il pensiero di Gramsci, Roma, Editori Riuniti, 1972.
Il pensiero filosofico e storiografico di Antonio Gramsci, Palermo, Palumbo, 1972.
Resoconto dei lavori del III congresso del P.C.D.I. (Lione, 26 gennaio 1926), Milano, Cooperativa editrice distributrice proletaria, 1972.
Scritti sul sindacato, Milano, Sapere, 1972.
Sul fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1973.
Quaderni del carcere

Quaderni 1-5. (1929-1932), Torino, Einaudi, 1975.
Quaderni 6-11. (1930-1933), Torino, Einaudi, 1975.
Quaderni 12-29. (1932-1935), Torino, Einaudi, 1975.
Apparato critico, Torino, Einaudi, 1975.

La rivoluzione italiana, Roma, Newton Compton, 1976.
Arte e folclore, Roma, Newton Compton, 1976.
Scritti 1915-1921. Inediti da Il Grido del Popolo e dall'Avanti. Con una antologia da Il Grido del Popolo, Milano, Moizzi, 1976.
Ricordi politici e civili, Pavia 1977.
Scritti nella lotta. Dai consigli di fabbrica, alla fondazione del partito, al Congresso di Lione, Livorno, Edizioni Gramsci, 1977.
Scritti sul sindacato, Roma, Nuove edizioni operaie, 1977.
A Delio e Giuliano, Milano, N. Milano, 1978.
I consigli di fabbrica, Milano, Amici della casa Gramsci di Ghilarza, Centro milanese, 1978.
Favole di libertà, Firenze, Vallecchi, 1980.
Scritti 1913-1926

Cronache torinesi. 1913-1917, Torino, Einaudi, 1980.
La città futura. 1917-1918, Torino, Einaudi, 1982.
Il nostro Marx. 1918-1919, Torino, Einaudi, 1984.
L'Ordine nuovo, 1919-1920, Torino, Einaudi, 1987.

Nuove lettere di Antonio Gramsci. Con altre lettere di Piero Sraffa, Roma, Editori Riuniti, 1986.
Forse rimarrai lontana.... Lettere a Iulca, 1922-1937, Roma, Editori Riuniti, 1987.
Gramsci al confino di Ustica. Nelle lettere di Gramsci, di Berti e di Bordiga, Roma, Editori Riuniti, 1987.
Le sue idee nel nostro tempo, Milano, l'Unità, 1987.
Lettere dal carcere, con nuove lettere in parte inedite, 2 voll., Roma, l'Unità, 1988.
Il rivoluzionario qualificato. Scritti 1916-1925, Roma, Delotti, 1988.
Il giornalismo, Roma, Editori Riuniti, 1991.
Lettere, 1908-1926, Torino, Einaudi, 1992.
Per una preparazione ideologica di massa: introduzione al primo corso della scuola interna di partito, aprile-maggio 1925, Napoli, Laboratorio politico, 1994.
Scritti di economia politica, Bollati Boringhieri, Torino 1994.
Vita attraverso le lettere, 1908-1937, Torino, Einaudi, 1994.
Disgregazione sociale e rivoluzione. Scritti sul Mezzogiorno, Napoli, Liguori, 1996.
Piove, Governo ladro. Satire e polemiche sul costume degli italiani, Roma, Editori Riuniti, 1996.
Contro la legge sulle associazioni segrete, Roma, Manifestolibri, 1997.
Lettere, 1926-1935, Torino, Einaudi, 1997.
Le opere, Roma, Editori Riuniti, 1997.
Critica letteraria e linguistica, Roma, Lithos, 1998.
Il lettore in catene. La critica letteraria nei Quaderni, Roma, Carocci, 2004.
La nostra città futura. Scritti torinesi, 1911-1922, Roma, Carocci, 2004.
Pensare l'Italia, Roma, Nuova iniziativa editoriale, 2004.
Scritti sulla Sardegna. La memoria familiare, l'analisi della questione sarda, Nuoro, Ilisso, 2008.
Scritti rivoluzionari. Dal biennio rosso al Congresso di Lione (1919-1926), a cura di Orlando Micucci, Camerano, Gwynplaine, 2008.
Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti, 18 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana-Cagliari-L'Unione Sarda, 2009.
Epistolario 1906-1922, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.
Epistolario gennaio-novembre 1923, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2011.
Antologia, a cura di Antonio A. Santucci, prefazione di Guido Liguori, Roma, Editori Riuniti university press, 2012.
Il teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli, critiche, recensioni 1915-1920, a cura di Fabio Francione, Mimesis Edizioni 2017.
La taglia della storia. Idea e prassi della rivoluzione, NovaEuropa Edizioni, 2018.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Gramsci

 
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