IL FARO DEI SOGNI

Categoria:Gruppi etnici in Brasile

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Confederados



Confederados (pronuncia portoghese: [kõfedeˈɾadus]) è il nome brasiliano degli espatriati confederati (e dei discendenti brasiliani di queste famiglie) fuggiti dagli Stati Uniti meridionali durante la Ricostruzione. Furono attirati in Brasile dalle offerte di terra a buon mercato dell'imperatore Pietro II che sperava di acquisire esperienza nella coltivazione del cotone.

Si stima che fino a 20 000 confederati americani emigrarono nell'Impero del Brasile dagli Stati Uniti meridionali dopo la guerra di secessione. Inizialmente, la maggior parte si stabilì nell'attuale stato di San Paolo e fondarono la città di Americana, che un tempo faceva parte della vicina città di Santa Bárbara d'Oeste. I discendenti di altri Confederados si sono poi diffusi in tutto il Brasile.

Il centro della cultura confederada è il cimitero del campo a Santa Bárbara d'Oeste, dove furono sepolti la maggior parte dei confederados originari della regione. Inafatti, a causa della loro religione protestante, non potevano essere sepolti in un camposanto cattolico e così crearono un luogo di sepoltura proprio che fu il primo cimitero non cattolico del paese. La comunità confederada istituì un Museo dell'Immigrazione a Santa Bárbara d'Oeste per spiegare la storia dell'immigrazione della loro comunità ed evidenziarne i benefici per la nazione.

I discendenti promuovono ancora una connessione con la loro storia attraverso la Fraternity of American Descendants, un'organizzazione dedicata a preservare la cultura mista unica di queste persone. I confederados organizzano anche un festival annuale, chiamato Festa Confederada, che viene utilizzata per finanziare il cimitero del campo. Il festival è caratterizzato da bandiere confederate, abiti tradizionali comprendenti uniformi confederate e gonne a cerchio, cibo del Sud degli Stati Uniti con un tocco brasiliano e danze e musica popolari nel Sud durante il periodo antecedente il conflitto.

Storia
Cappella a Santa Bárbara d'Oeste costruita da espatriati confederati.

Dopo la guerra, molti piantatori confederati non erano disposti a vivere secondo le nuove regole imposte dalla vittoria dell'Unione e dai cambiamenti costituzionali che ne seguirono: la fine della schiavitù, un nuovo regime di lavoro e la perdita del potere politico che arrivò con la concessione del diritto di voto agli afroamericani. Abituati a coltivare cotone con il lavoro degli schiavi, alcuni cercarono altrove nell'emisfero occidentale un luogo dove poter continuare la loro vecchia vita.

"Molte persone che, per lunga abitudine e teorie affettuosamente amate, sono diventate fortemente attaccate all'istituzione della schiavitù africana, immaginarono che in Brasile avrebbero trovato un'opportunità per l'uso permanente di quel sistema di lavoro - il Brasile e i possedimenti spagnoli sono le solo due comunità di schiavisti rimaste nel mondo civile", scrisse il New Orleans Daily Picayune nel settembre del 1865.[1]

L'imperatore Pietro II del Brasile vide un'opportunità nella crisi economica negli Stati Uniti meridionali e sperava di aumentare la sua produzione di cotone per l'esportazione ai telai di Inghilterra e Francia, che da tempo facevano affidamento sulla produzione americana. L'imperatore incoraggiò l'immigrazione di piantatori di cotone dall'ex Confederazione per consentire tale espansione.[2]
Immigrazione in Brasile

Già prima della fine della guerra, nel 1865, si parlava di emigrare in Brasile, ma di questo i confederati sapevano molto poco. Dopo la fine del conflitto, ci fu un tale risveglio della questione che furono formate diverse compagnie di emigrazione. Vennero inviati in Brasile dei rappresentanti per controllare la terra, il clima e le strutture offerte dall'imperatore.[3]

Nel novembre del 1865, lo stato della Carolina del Sud formò una società di colonizzazione e inviò il maggiore Robert Meriwether e il dottor H.A. Shaw, tra gli altri, in Brasile per indagare sulla possibilità di stabilire una colonia. Sulla via del ritorno pubblicarono un rapporto in cui si affermava che due signori avevano già acquistato un terreno e si erano stabiliti lì.[3] Inoltre riferirono che gli schiavi erano a buon mercato.

Molti meridionali che accettarono l'offerta dell'imperatore persero i loro schiavi durante la guerra, non erano disposti a vivere sotto un esercito conquistatore o semplicemente non si aspettavano un miglioramento della situazione economica del Sud sotto quello che consideravano un governo abolizionista, con la schiavitù vietata da un emendamento costituzionale. Infatti, il Brasile abolì la schiavitù solamente nel 1888. I confederados furono il primo gruppo protestante organizzato a stabilirsi in Brasile.[3]
Americana e Santa Bárbara d'Oeste
Casa della prima famiglia di espatriati confederati a Villa Americana.

Il 27 dicembre 1865, il colonnello e senatore dell'Alabama William Hutchinson Norris sbarcò nel porto di Rio de Janeiro. Nel 1866, William e suo figlio Robert Norris scalarono la Serra do Mar, si fermarono a San Paolo e specularono sulla terra. Fu loro offerto gratuitamente un terreno in quello che oggi è il quartiere di Brás ma lui non lo accettò perché era paludoso. Fu loro offerta anche la terra dove si trova oggi São Caetano do Sul ma non la accettarono per lo stesso motivo. Decisero di andare a Campinas ma all'epoca la ferrovia andava solo 10 miglia oltre San Paolo e Campinas si trova a 73 km da San Paolo. Così i Norris acquistarono un carro trainato da buoi e si diressero a Campinas. Impiegarono 15 giorni per raggiungere la città e rimasero lì per un po' in cerca di terra, finché non gettarono gli occhi sulla pianura che si estendeva da Campinas a Vila Nova da Constituição, l'attuale Piracicaba.[4]

I Norris acquistarono terreni dai Domingos da Costa Machado sesmaria e si stabilirono sulle rive del Ribeirão Quilombo, all'epoca appartenente al comune di Santa Bárbara d'Oeste, oggi parte della città di Americana. Al suo arrivo, il colonnello Norris iniziò a tenere corsi pratici di agricoltura ai coltivatori della regione, interessati alla produzione del cotone e alle nuove tecniche agricole. L'aratro che portò dagli Stati Uniti suscitò tanto scalpore e curiosità tanto che, in breve tempo, divennero una sorta di scuola agraria, con molti studenti che lo pagarono per avere il privilegio di imparare a coltivare meglio i loro orti. Il colonnello scrisse alla sua famiglia di aver guadagnato 5000 dollari solo da quello. A metà del 1867 arrivò il resto della sua famiglia, accompagnato da molti parenti.[4]
Villa Americana nel 1906.

Gli immigrati dagli Stati Uniti fondarono numerose fattorie in cui coltivavano e lavoravano il cotone. Stabilirono un intenso commercio, in particolare dal 1875 in poi, con l'arrivo della ferrovia e l'installazione della stazione di Santa Barbara da parte della Companhia Paulista de Estrada de Ferro. Per la costante presenza di questi immigrati, il villaggio che si formò nei pressi della stazione divenne noto come "Vila dos Americana", o "Vila Americana", e diede origine all'attuale città di Americana.[4]

Risale a questo periodo anche l'installazione della fabbrica Carioba da parte dell'ingegnere nordamericano Clement Willmot e dei soci brasiliani, situata a un miglio dalla stazione ferroviaria. La produzione giocò un ruolo molto importante nella fondazione e nello sviluppo di Americana. L'educazione dei bambini era una delle priorità per le famiglie immigrate e pertanto crearono scuole nelle proprietà e assunsero insegnanti dagli Stati Uniti. I metodi di formazione sviluppati dagli insegnanti americani si rivelarono così efficaci che successivamente furono adottati dall'istruzione ufficiale brasiliana.[4]

Le funzioni religiose venivano celebrate nelle proprietà da pastori che si spostavano tra le varie case e i vari centri della diaspora americana. Nel 1895 nel villaggio di Estação venne fondata la prima chiesa presbiteriana del Brasile. A causa del divieto di seppellire persone di altre fedi nei cimiteri amministrati dalla Chiesa cattolica, gli immigrati americani iniziarono a seppellire i loro morti vicino alla fattoria. Questo cimitero divenne noto come cimitero del campo. Esso attualmente è un'attrazione turistica nella città di Santa Bárbara d'Oeste. Ancora oggi vi sono sepolti i discendenti delle famiglie americane. In questo luogo i discendenti si riuniscono periodicamente per cerimonie religiose di culto e feste intorno alla cappella ottocentesca.[4]
Amazonas
Il colonnello Archibald Stephenson Dobbins si trasferì a Santarém nel 1867.

Jason Williams Stone, un immigrato americano di origine britannica proveniente da Dana, nel Massachusetts, si trasferì in Brasile prima della guerra civile americana e finì per diventare un coltivatore di tabacco e gomma, divenendo presto molto ricco. Le piantagioni di Stone, che si estendevano per più di cinquemila ettari, erano chiamate Colonia Stone e si trovavano vicino alla città di Itacoatiara, nell'Amazonas. Molti dei suoi discendenti hanno ancora il cognome "Stone". Si trovano principalmente nelle città di Manaus e Itacoatiara, nell'Amazonas.[5]
Pará

La città di Santarém, nello stato del Pará, accolse numerose famiglie di profughi dalla guerra civile americana. La prima ad sbarcare fu la famiglia Riker. Negli anni '70, David Afton Riker pubblicò un libro intitolato The Last Confederate in the Amazon, che racconta la saga di questa migrazione e della vita nella nuova patria. I confederati e i loro discendenti divennero importanti per la vita economica e politica della regione.[6]

Non si sa quanti immigrati giunsero in Brasile come profughi di guerra ma una ricerca senza precedenti nei registri del porto di Rio de Janeiro curata da Betty Antunes de Oliveira, dimostrò che circa 20 000 cittadini statunitensi entrarono in Brasile tra il 1865 e il 1885.[6]
Discendenti dei Confederati
Jimmy Carter, in visita in Brasile nel 1972 con bambini di origini confederate di quinta generazione alla base del monumento confederato della città di Americana.

La prima generazione di confederati rimase una comunità insulare. Come è tipico, nella terza generazione, la maggior parte delle famiglie aveva già sposato nativi brasiliani o immigrati di altre origini. I discendenti confederati iniziarono sempre più a parlare la lingua portoghese e a identificarsi come brasiliani. Quando la regione intorno ai comuni di Santa Bárbara d'Oeste e Americana divenne un fulcro della produzione di canna da zucchero e la società divenne più mobile, i confederati si trasferirono in città più grandi in cerca di lavoro nelle aree urbane. Attualmente, solo poche famiglie di discendenti vivono ancora su terreni di proprietà dei loro antenati. I discendenti di questa comunità sono diffusi in tutto il Brasile. Mantengono la sede della loro organizzazione al cimitero del campo a Santa Bárbara d'Oeste, dove ci sono una cappella e un memoriale.

I discendenti creano un collegamento con la loro storia attraverso l'American Descendant Fellowship, un'organizzazione dedicata alla conservazione della cultura degli immigrati. I confederados organizzano anche un festival annuale a Santa Bárbara d'Oeste chiamato "Festa Confederada", dedicato al finanziamento del cimitero campo. Durante questo evento vengono alzate bandiere e indossate uniformi confederate, mentre vengono serviti cibi ed eseguiti balli sudamericani. I discendenti mantengono l'affetto per la bandiera confederata, sebbene si identifichino come completamente brasiliani. Molti discendenti confederati si recarono negli Stati Uniti su invito dei Sons of Confederate Veterans, un'organizzazione di discendenti americani, per visitare i campi di battaglia della guerra civile, partecipare a rievocazioni storiche o visitare i luoghi in cui vivevano i loro antenati.[7]

La bandiera confederata in Brasile non ha acquisito lo stesso simbolismo politico che ha negli Stati Uniti. Dopo la visita dell'allora governatore Jimmy Carter nella regione nel 1972, il governo della città di Americana incorporò la bandiera confederata nel suo stemma (sebbene la maggior parte della popolazione di origine italiana l'abbia rimossa pochi anni dopo dal simbolo ufficiale della città, poiché i discendenti dei confederati ora costituiscono circa un decimo della popolazione della città). Durante la sua visita in Brasile, Carter si recò anche nella città di Santa Bárbara d'Oeste alla tomba di un prozio di sua moglie, Rosalynn Carter, sepolto nel cimitero del campo. A quel tempo, Carter notò che i discendenti confederati suonavano e sembravano esattamente come i meridionali del suo paese.[7]





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Oggi, il cimitero del campo (e la cappella e il memoriale situati al suo interno) a Santa Bárbara d'Oeste è un sito importante poiché lì furono sepolti la maggior parte degli immigrati confederati della regione. In quanto protestanti, la Chiesa cattolica proibì loro di seppellire i loro morti nei cimiteri locali e dovettero fondare un proprio camposanto. La comunità dei discendenti contribuì a creare il Museo dell'Immigrazione, anch'esso situato a Santa Bárbara d'Oeste, per spiegare la storia dell'immigrazione statunitense in Brasile.

Gli immigrati americani introdussero nella loro nuova patria molti nuovi cibi come le noci pecan, le arachidi della Georgia e l'anguria; nuovi strumenti come l'aratro in ferro e le lampade a cherosene; innovazioni come l'odontoiatria moderna, l'agricoltura moderna e la prima trasfusione di sangue; e le prime chiese non cattoliche (battista, presbiteriana e metodista).[8] Portarono con loro anche alcuni cibi del Sud che divennero parte della cultura brasiliana generale come la chess pie, la torta all'aceto e il pollo fritto. Gli immigrati fondarono anche scuole pubbliche e fornirono istruzione alle loro figlie, cosa insolita nel Brasile di quel tempo.



Statistiche


Immigrazione americana in Brasile per Stato fino a gennaio (1867) [9]


Screenshot_2022-12-21_at_10-39-29_Confederados_-_Wikipedia

Gli emigrati confederati erano circa 20 000, provenienti da dodici stati del Sud (in particolare da Arkansas, Alabama e Mississippi) che preferirono le terre selvagge brasiliane alla vita sotto il dominio degli yankee dopo la guerra civile.[10]
Brasiliani con antenati statunitensi[in che anno fa riferimento?]


Screenshot_2022-12-21_at_10-40-28_Confederados_-_Wikipedia

Citazioni di confederados

"[...] Mio padre prese parte al I battaglione che lasciò Gonzalez. Fu ferito in una battaglia in Virginia e rimandato a casa, ma poco dopo si riprese e tornò in guerra. Fu confinato in prigione e rilasciato. Egli tornò a casa e ancora una volta tornò sul campo di battaglia. "[...] In quei giorni di terrore scioccante, sia ricostruire che rimanere lì divenne impossibile. I crimini quotidiani ci circondavano e non c'era niente che potessimo fare [...]".[11]

"La nostra fattoria era bellissima, aveva diversi acri, buone case, cavalli e bovini. Avevamo un mulino per il mais, macchinari per il cotone. [...] Il governo brasiliano ci ha accolto molto bene, ci ha ospitato all'Hotel Immigrant, dandoci così alloggio e cibo. Era mio dovere spiegare che non eravamo immigrati. Eravamo rifugiati. Rifugiati di guerra".[11]

"Ho canna da zucchero, cotone, zucche, cinque tipi di patate dolci, patate irlandesi, piselli, fagiolini, fagioli bianchi, ocra, pomodori e buone possibilità di tabacco. Ho una grande varietà di frutta a casa mia. Ho guadagnato abbastanza per vivere bene e sono più contento di altri".[12]

"Ricordo che quando avevo 4 anni mi perdevo in una fabbrica tessile e non potevo dire niente alla gente perché parlavo solo inglese", ricorda un ingegnere e discendente di terza generazione. "Non ho imparato il portoghese finché non ho iniziato la scuola".[13]

"Sono venuti qui perché sentivano che il loro 'paese' era stato invaso e la loro terra confiscata", ha detto la pronipote della famiglia originaria dei McKnight che si è trasferita in Brasile dal Texas, negli Stati Uniti meridionali. "Per loro non era rimasto più niente. Quindi, sono venuti qui per cercare di ricreare ciò che avevano prima della guerra".[13] "Sono cresciuto ascoltando le storie. Erano arrabbiati e amareggiati. Quando ne parlavano, trasferirsi qui, la guerra, lasciare le loro case, era sempre un argomento molto dolente per loro".[13]
Confederati celebri

Warwick Estevam Kerr

Nella cultura popolare

Rollin G. Osterweis, professore di storia all'Università di Yale, scrisse Santarem, un romanzo sui confederados.[14]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Confederados

 
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Coripaco


I Curipaco (o anche Curripaco, Kuricapo) sono un gruppo etnico del Brasile e del Venezuela con una popolazione totale stimata di circa 7.827 persone.[1] Questo gruppo etnico è per la maggior parte di fede animista.


Lingua

Parlano la lingua Coripaco (D:Unhun-KPC02) lingua che appartiene alla famiglia linguistica Aruak. In Venezuela, essi sono chiamati Wakuenai, un'auto-denominazione che significa "quelli della nostra lingua".[1]
Insediamenti

I Kuripako, che parlano un dialetto del linguaggio Baniwa e sono imparentati con i Baniwa, vivono in Colombia (nei pressi del fiume Guainía, ossia il Rio Negro al di fuori dei confini del Brasile, sulla congiunzione con il canale Cassiaquiare, e sui suoi tributari) e sulla parte superiore del fiume Içana (Brasile), anche se non si identificano come un sottogruppo Baniwa.[1]
Storia

Data la stretta correlazione tra i due gruppi, i principali cenni storici riguardanti i Curipaco coincidono con quelli dei Baniwa.[1]
Attività produttive

La loro economia si basa sull'agricoltura, la pesca, la caccia e la raccolta di prodotti selvatici. Coltivano manioca (kiinaki), di cui conoscono 50 varietà, mais, pesche, patate dolci, chonque, igname, pepe, banane, ananas, lulo, papaia, canna da zucchero, achiote e herriwai (per le fibre). La pesca è un'importante fonte di proteine in estate. Cacciano cervi, tapiri, pecari, capibara, alligatori, vari uccelli, armadilli, tartarughe e rane.

L'artigianato è un'attività che genera entrate. Fabbricano canestri. Nel bosco raccolgono fibre di chiquichiqui (Leopoldinia piassaba) per fare scope e li vendono ai commercianti intermediari.





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Deni (popolo)


I deni (o anche dani) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 1.254 individui (2010).[1] Parlano la lingua deni (D:Inauini-DAN01) e sono principalmente di fede animista.


Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano dell'Amazonas nella regione del bacino che separa i fiumi Juruá e Purus, nei comuni di Itamarati, Lábrea e Tapauá. Sono correlati ai Jamamadi, con cui spesso sono confusi.
Storia
Come gli altri popoli stanziati nella regione dei fiumi Juruá e Purus, anche i deni hanno sofferto, durante i primi decenni del XX secolo, dell'avanzata dei raccoglitori di caucciù e dello sfruttamento schiavistico da parte di questi. Ciò portò a numerose dispute territoriali. Solo dopo molte richieste ufficiali da parte di ONG nel 2003 i deni hanno ottenuto la demarcazione di un loro territorio sebbene i problemi derivanti dalle invasioni di pescatori ed estrattori di legname continuino ancora oggi





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Desano


I Desano (o anche Desana, Kusibi) sono un gruppo etnico del Brasile e della Colombia.[1]


Lingua

Parlano la lingua Desana (codice ISO 639: DES) che appartiene alla famiglia linguistica Tucano. Si fanno chiamare Umukomasã.[2]
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano dell'Amazonas e in Colombia. In Brasile vivono principalmente sul fiume Tiquié e sui suoi affluenti, il Cucura, l'Umari e il Castanha; sul fiume Papuri, presso Piracuara e Monfort, e sugli affluenti del Papuri, il Turi e l'Urucu. Vivono anche sui fiumi Uaupés e Negro.[3]





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Djeoromitxí


I Djeoromitxí (o anche Jabuti, Yabutí) sono un piccolo gruppo etnico, vicino all'estinzione, del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 123 individui. Parlano la lingua Jabuti (codice ISO 639: JBT) e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello Stato brasiliano di Rondônia, nei pressi di Rio Branco.
Bibliografia

People groups of Brazil da Peoplegroups.org
Languages of Brazil da Ethnologue





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Djeoromitx%C3%AD

 
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Enawenê-nawê


Gli Enawenê-nawê sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 566 individui (2010).[1]


Lingua

Parlano la lingua Enawenê-nawê, lingua che appartiene alla famiglia linguistica Aruak.
Insediamenti

Vivono in un unico grande villaggio vicino al fiume Iquê, un affluente del Juruena, nel nord ovest dello stato brasiliano di Mato Grosso. Sono correlati al gruppo dei Parecís.[1]
Storia

Fin dal 1962 i missionari gesuiti avevano ricevuto segnalazioni da raccoglitori di lattice che operavano nella regione dell'esistenza dei popoli indigeni. Sembravano pacifici in quanto non attaccavano i lavoratori, ma evitavano i contatti probabilmente per timore che i "bianchi" potessero giungere fino alle loro abitazioni. Durante un volo di ricognizione da parte della Missione Anchieta, nel 1973, fu identificato un villaggio sulle rive del fiume Juruena. Scambiati per Nambikwara prima e per Rikbaktsa poi, i missionari dovettero ricredersi quando, accompagnati proprio da alcuni membri Rikbaktsa, si accorsero che questo nuovo gruppo non capiva una sola parola della loro lingua. Inizialmente si imbatterono in un gruppo di sole donne e bambini che fuggirono subito nella foresta, poi in un membro anziano nei confronti del quale i missionari e i Rikbaktsa si mostrarono subito pacifici appoggiando machete e asce per terra davanti a lui. In seguito presero atto del fatto che si trattava di una popolazione appartenente alla famiglia Arawak, fatto dimostrato dallo stile delle malocas (capanne) e dall'accento della lingua.

Fino all'inizio degli anni ottanta gli Enawene Nawe erano conosciuti come i "Salumã". Solo nel 1983, dopo vari studi, i missionari gesuiti alla fine scoprirono che il nome che utilizzavano per auto-identificarsi era Enawene Nawe.[1]

Al tempo dei primi contatti ufficiali la popolazione Enawene Nawe fu stimata in circa 130 persone. Nel 1996, a seguito di un nuovo censimento, si prese atto che la popolazione Enawenê-nawê era raddoppiata in soli 22 anni (260 persone), ma il numero di individui era in costante crescita sin dal 1974. Negli anni duemila la cultura Enawenê-nawê è considerata in pericolo a causa dell'inquinamento dei fiumi da cui ottengono la loro fonte di cibo. Diverse dighe sono in costruzione sul fiume principale Juruena e ciò ha ucciso molti pesci.[2]





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Franco-brasiliani


Un franco-brasiliano è un cittadino brasiliano di origini francesi. La cifra di brasiliani di origine francese viene stimata dal mezzo milione al milione.[1] La maggior parte di essi arrivò alla fine dell'Ottocento. L'emigrazione francese in Brasile si concentrò nello stato del Paraná.
Franco-brasiliani celebri

Nelson Piquet
Flavel & Neto





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Fulni-ô


I Fulni-ô (o anche Yatê, Furniô, Fornió, Carnijó, Iatê, Yatê) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 5.000 individui. Parlano la lingua Fulnio (codice ISO 639: FUN) e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello stato brasiliano di Pernambuco. Alcuni Fulnio parlano il portoghese. Sono in gran parte agricoltori di fagioli e cotone.





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Galibi


I galibi (citati anche come kalina, karina, carina, kalinha, kariña, kari'ña, kaliña o karinya) sono un gruppo etnico amerindo che vive in diversi paesi della costa caraibica del Sud America. La loro lingua e cultura è il cariban. Sono conosciuti anche come kali'na e Caribi[1].

L'origine del nome galibi, dato dagli europei, è sconosciuta. Essi preferiscono farsi chiamare kali'na tilewuyu, cioè "veri kali'na", principalmente per differenziarsi dai meticci cimarroni. L'uso del nome kali'na è divenuto solo recentemente di uso comune nelle pubblicazioni.

Storia
Mappa indicante la corrente distribuzione geografica della popolazione kali'na (vedi la sezione Distribuzione geografica per maggiori dettagli).

Mancando una forma scritta di linguaggio prima dell'arrivo degli europei, la storia dei kali'na è stata tramandata oralmente da una generazione all'altra attraverso miti e leggende.

Per molto tempo, i pochi europei che studiavano la storia dei popoli amerindi di quest'area non distinsero tra le varie tribù caraibiche. Quando il periodo di esplorazione finì, l'interesse nello studio di queste popolazioni diminuì grandemente e non riemerse fino alla fine del XX secolo, quando pochi espatriati francesi, tra cui Gérard Collomb, si interessò ai kali'na, e i kali'na stessi cominciarono a narrare la loro storia, in particolar modo Félix Tiouka, presidente dell'Associazione degli amerindi della Guiana Francese (AAGF), e suo figlio Alexis. (vedi bibliografia.)

Per le ragioni sopra esposte, le informazioni storiche al riguardo dei Kali'na sono rare e incomplete.
Era precolombiana

Per supplire alla mancanza di documenti scritti, gli archeologi hanno esaminato 273 siti archeologici amerindi su solo 310 km² della zona della diga di Petit-Saut del fiume Sinnamary. Alcuni risalgono a duemila anni fa, stabilendo così la datazione della presenza amerindia in quest'area.[2],[3]

Le poche evidenze disponibili indicano che prima del 1492 i kali'na abitavano lungo la costa (dalla foce del Rio delle Amazzoni a quella dell'Orinoco), dividendo il loro territorio con gli Arawak, contro i quali essi combatterono durante la loro espansione verso est e il Rio delle Amazzoni.[4],[5]
Colonizzazione

Nel loro primo contatto con gli europei, i kali'na pensarono di aver incontrato gli spiriti del mare, palanakiłi, nome che essi ancora usano quando si riferiscono ai bianchi.[6],[7]

Una delle prime conseguenze dell'arrivo dei palanakiłi, come per molti altri popoli amerindi, fu una diminuzione della popolazione dovuta alle malattie portate dagli europei. I kali'na perirono rapidamente in gran numero, perché il loro sistema immunitario non era adattato ai virus e ai batteri provenienti dall'Europa.

«A quei tempi, i kali'na conoscevano solo asce di pietra e machete in legno duro. Questi uomini portavano con sé asce e machete di ferro, essi mostravano che quelle tagliavano molto meglio... Quella volta, i Palanakiłi avevano portato delle buone cosa.[8]»

Screenshot_2022-12-25_at_09-34-05_Galibi_-_Wikipedia


Galibi do Oiapoque
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Galibi do Oiapoque.

I Galibi do Oiapoque sono un gruppo etnico del Brasile originatosi dall'etnia Galibi. Il sottogruppo è abbastanza differenziato a livello culturale dal gruppo madre. Hanno una popolazione stimata in circa 65 individui (2010) e vivono nello stato brasiliano dell'Amapá sul fiume Oiapoque.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Galibi

 
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Galibi do Oiapoque



I Galibi do Oiapoque (Galibi del fiume Oiapoque) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in 65 individui (2010). Sono un sottogruppo del popolo Galibi, gruppo che è stanziato principalmente in Venezuela, nella Guyana francese e in Suriname.[1]

Lingua

Parlano la lingua Kali'na, lingua che appartiene alla famiglia linguistica Karib.
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano di Amapá, in un piccolo territorio omologato nei pressi del villaggio São José. In questo territorio, assegnato esclusivamente ai Galibi dell'Oiapoque, è stato incluso anche il villaggio di Ariramba, una postazione del gruppo dei Karipuna su una riva del fiume Oiapoque. Le relazioni tra i due gruppi sono di buon vicinato ma non hanno alcun particolare tipo di contatto.[1]
Storia

I Galibi dell'Oiapoque si considerano un gruppo distinto dal resto della popolazione Galibi, così come il governo brasiliano che ha omologato un territorio assegnato esclusivamente a questo piccolo gruppo familiare. Invitati a più riprese dal governo della Guyana francese, durante gli anni cinquanta e sessanta del XX secolo, a fare ritorno nelle loro terre originarie, i Galibi dell'Oiapoque hanno sempre rifiutato mantenendo ferma la loro posizione e il loro desiderio di rimanere nelle attuali zone all'interno dei confini brasiliani. Il gruppo, 38 persone, arrivò sull'Oiapoque a bordo di tre canoe nel corso degli anni quaranta. Con la morte dei membri più anziani, la differenza tra i Galibi e il sottogruppo brasiliano si è fatta ancora più marcata nel corso degli anni. Il gruppo è abbastanza integrato nel tessuto sociale brasiliano. Uno dei membri è presidente della Associação dos Povos Indígenas do Oiapoque mentre altri due fanno parte dell'esercito brasiliano, con carriere ben avviate nella marina e nell'aeronautica. Quattro donne sono impiegati statali e trascorrono molti fine settimana e le vacanze nel villaggio.[1]
Organizzazione sociale
La sussistenza dei Galibi del fiume Oiapoque proviene essenzialmente dall'agricoltura. Nel villaggio ci sono cinque campi coltivati di manioca, patate, banane, ananas, mais, pomodoro e passiflora edulis. Nei pressi delle case ci sono alberi di cocco, avocado, arance, mandarini, anacardi e mango. L'attività della pesca è svolta da soli due uomini ma ciò non limita la loro dieta perché gli anziani del villaggio, percependo una pensione dal Funrural, sono soliti acquistare merci nei mercati della cittadina di Oiapoque.





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Galibi-Marworno


I Galibi-Marworno (o anche Galibi do Uaçá) sono un piccolo gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 1.825 individui.

Parlano la lingua caribe e sono principalmente di fede animista. Vivono nello Stato brasiliano dell'Amapá.





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Gavião Parkatêjê


I Gavião Parkatêjê sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in 582 individui (2010).[1]

Lingua

Parlano un dialetto della lingua pará gavião orientale, lingua che appartiene alla famiglia linguistica Jê. A partire dal 1981, grazie a complessi scolastici fondati dal FUNAI, i Gavião Parkatêjê hanno cominciato ad usare anche il portoghese come lingua quotidiana. Gavião significa letteralmente "falco".[1]
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano di Pará, nel territorio indigeno Mãe Maria situato all'interno del comune di Bom Jesus do Tocantins, un territorio delimitato dai fiumi Flecheiras e Jacundá, affluenti destri del Tocantins.[1]
Storia

Nella prima metà del XX secolo, i "Gavião occidentali" sono stati divisi in tre gruppi locali, a seconda della posizione che occupavano nel bacino del Tocantins. Tra questi gruppi vi erano anche i Parkatêjê oltre ai Kyikatêjê ("il popolo a monte del fiume"). A causa di una serie di conflitti tra questi due gruppi, i Kyikatêjê si rifugiarono a monte del fiume del Tocantins, nel Maranhão, e presero anche il nome di gruppo "Maranhão" per differenziarli dai gruppi dei Pukôbjê e dei Krinkatí. Il terzo gruppo dei "Gavião occidentali" occupò le foci del fiume Capim ed era conosciuto come "il gruppo della montagna", ossia Akrãtikatêjê, in cui akrãti significa "montagna".

Oggi questi tre sottogruppi vivono riuniti anche se una certa differenziazione culturale ancora esiste. Basti pensare alla scritta posta su un cartello all'ingresso del villaggio che indica "Indigena Comunidade Parkatêjê" (comunità indigena Parkatêjê), ad indicare l'autonomia culturale e storica acquisita.

Nel 1977, la costruzione di un'autostrada, la PA-150, che da Morada Nova porta a Castanhal, un comune nei dintorni di Belém, ha toccato i bordi sud-occidentali del territorio indigeno Mãe Maria, creando notevoli difficoltà ai Gavião Parkatêjê, a seguito delle invasioni nell'area di lavoratori, operai vari e coloni. Altri problemi vi furono con la costruzione di linee elettriche, nei primi anni ottanta, da parte della centrale elettrica di Tucuruí.[1]





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Gê (popolo)


Gê è un gruppo di tribù amerinde del Brasile sud-orientale e dell'Argentina nord-occidentale, avente un'omogenea e precisa unità etnica e linguistica, compresa fra le lingue amerinde.

Fin dal XVI secolo i Gê furono noti per la ferocia e bellicosità con cui si opposero alla penetrazione dei bianchi e per le frequenti lotte ingaggiate contro le altre tribù indigene. Proprio per questi continui e feroci scontri il loro numero, una volta molto elevato, ora si è decisamente ridotto.

L'agricoltura, benché praticata, è meno importante della caccia e della pesca. Possiedono una limitata organizzazione politica mentre hanno una notevole organizzazione sociale che si rivela nelle numerose cerimonie e nelle particolari usanze estetiche, infatti, alcuni si pitturano il corpo e si inseriscono un disco di legno nel labbro inferiore e nel lobo dell'orecchio.

Le tribù principali del gruppo, ormai in via di estinzione, sono quelle dei Cayapò, degli Akua, dei Botocudo e dei Crenak.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/G%C3%AA_(popolo)

 
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Guajajara


I Guajajara sono un gruppo etnico del Brasile con una popolazione stimata in 19.471 individui nel 2006 (Funasa).[1] Sono uno dei due gruppi facenti parte del macro-gruppo storico dei Tenetehara (insieme ai Tembe).[2]

Lingua

Parlano la lingua guajajára (codice ISO 639-3 gub) che appartiene alle lingue tupi-guaraní. Chiamano la loro lingua ze'egete ("il buon discorso"). Guajajara significa "colui che possiede l'ornamento di piume in testa". Altro nome che utilizzano per auto-identificarsi è Tenetehára che significa "noi siamo i veri esseri umani".[3]
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano del Maranhão nelle regioni dei fiumi Pindaré, Grajaú, Mearim e Zutiua, stanziati per la maggior parte nei tre territori indigeni Araribóia, Bacurizinho e Cana Brava. Altri piccoli gruppi vivono in altri territori indigeni insieme ad altri gruppi etnici.[4]
Storia
Abbozzo

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Fino alla metà del XVIII secolo, i Tenetehára furono perseguitati dagli esploratori portoghesi che li catturavano nei pressi del fiume Pindaré per sfruttarli come schiavi. La situazione cambiò leggermente con le prime spedizioni dei Gesuiti tra il 1653 e il 1755. Nel 1901 i Tembe si resero protagonisti di una violenta rivolta contro un gruppo di missionari cappuccini.[5]





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Guaraní


I Guaranì sono un popolo di lingua tupí che vive principalmente nel Brasile meridionale, in Paraguay, nel nordest dell'Argentina, in Uruguay e nelle zone sud-orientali della Bolivia[1].

Se ne contano tre sottogruppi.


Storia e localizzazione

I Guaranì parlano varianti linguistiche della famiglia tupi-guaranì, e vengono classificati attualmente in tre sottogruppi: i Guaranì-Kaiowa, i Guaranì-Mbya e i Guaranì-Ñandeva. Questi gruppi si distribuiscono nel sud del Brasile (Rio Grande do Sul - Mbya; Santa Catarina - Mbya; Paraná - Mbya e Ñandeva; San Paolo - Mbya e Ñandeva; Rio de Janeiro e Espírito Santo - Mbya; e Mato Grosso do Sul - Kaiowa e Ñandeva), nel Paraguay Orientale (Kaiowa, Ñandeva, Mbya) e nel nord dell'Argentina - Mbya. Stime attuali di organi federali (FUNAI - Fundação Nacional do Índio, FUNASA - Fundaçã Naiconal de Saude) e di ONG (ISA - Instituto Sócio-Ambiental) sommano a circa 50/55.000 individui la loro presenza nel solo Brasile, dove costituiscono il popolo indigeno più numeroso.

Queste popolazioni sono discendenti dei gruppi che abitavano le foreste tropicali che ricoprivano i bacini dell'alto Paraná, alto Uruguay e ai bordi meridionali dell'altipiano brasiliano. Ritrovamenti in siti archeologici testimoniano l'esistenza di questo gruppo etnico a partire dal V secolo (400 d.C.), con caratteristiche che lo distinguono chiaramente da altri gruppi della stessa famiglia linguistica. I ritrovamenti archeologici mostrano anche che le popolazioni che hanno dato origine ai Guaraní furono protagoniste di intense migrazioni che, a partire da territori localizzati nella parte est del Brasile attuale, li portarono già nel XII secolo a.C., a occupare grande parte dei territori dove ancora oggi si incontrano i loro discendenti. Alla vigilia dell'arrivo degli europei, i Guaranì occupavano le ampie foreste comprese tra i fiumi Paraná, Miranda, Tiete, Uruguay, e i loro affluenti, e ampi tratti della costa sud del Brasile, cosa che li portò a essere il primo popolo contattato da Spagnoli e Portoghesi come testimonia, per esempio, Cabeza de Vaca (Naufragios y Comentarios, Espasa-Calpe, Colección Austral No. 304, 5a. Edición, Madrid, 1971.) All'epoca della Conquista i Guaraní erano divisi in cinque grandi gruppi, distribuiti in regioni differenti:

Carios, localizzati lungo il fiume Paraguay e la città di Asuncion
Tapes, nell'odierno territorio dello stato Brasiliano di Rio Grande do Sul e dintorni
Paraná, lungo il corso del fiume omonimo
Itatim, occupavano i territori tra i fiumi Miranda e Apa (gli attuali Kaiowa)
Guaira, nel Paraguay Nord orientale e lungo i corsi dei Fiumi Amambai, Iguatemi e loro affluenti (gli attuali Ñandeva)

Il tempo della colonia

La storia dei contatti fra colonizzatori e Guaraní è marcata da una forte presenza missionaria cristiana e dalle spedizioni alla ricerca di schiavi organizzate da Spagnoli (partendo dall'attuale capitale del Paraguay, Asuncion) e da Brasiliani (a partire da San Paolo). I territori da loro occupati erano interessati da dispute e conflitti fra i regni di Spagna e Portogallo, e si trovarono coinvolti in vari progetti coloniali. Per molto tempo rappresentarono l'unica ricchezza disponibile in tutta la regione, in qualità di mano d'opera, e per questo venivano ridotti in schiavitù. A partire dall'inizio del Seicento, e per più di un secolo e mezzo, l'amministrazione dei Gruppi Guaraní fu affidata ai missionari Gesuiti che fondarono decine di "Riduzioni" nelle province occupate da questi indios. Mentre l'amministrazione coloniale si aspettava dai Gesuiti l'accesso facilitato alla mano d'opera schiava, le Riduzioni si trasformarono in luoghi di rifugio per molti gruppi Guaraní, isolate dal sistema economico coloniale e autosufficienti, sottraendo di fatto tale mano d'opera ai colonizzatori portoghesi e spagnoli. Questi i motivi che portarono a organizzare le spedizioni di Encomenderos e Bandeirantes, alla ricerca di indigeni da ridurre in schiavitù, che misero a ferro e fuoco varie Riduzioni, privando della libertà decine e decine di migliaia di Guaraní. Con la scoperta di giacimenti auriferi nell'attuale Mato Grosso alla fine del XVII secolo, i Guaraní perdettero interesse come fonte di rendita, scomparendo per la maggior parte dai registri storici. Con il Trattato di Madrid (1750), Portogallo e Spagna modificarono sostanzialmente le proprie relazioni, cambiamento che interessò anche i loro possedimenti coloniali. In meno di vent'anni dal trattato i Gesuiti furono espulsi con editto reale. Le notizie loro riguardanti diventano estremamente frammentarie, limitate alle spedizioni di esplorazione e definizione dei confini. I territori occupati dai Guaraní furono interessati dai lavori di una commissione, istituita dal Trattato di Madrid, deputata a stabilire i limiti dei rispettivi possedimenti nell'America meridionale, in special modo la frontiera fra Brasile e Paraguay. Le spedizioni di questa commissione portarono a una riscoperta dei gruppi guaraní che erano sfuggiti alle politiche coloniali e si erano rifugiati nelle foreste. Gli ulteriori registri dei Guaraní si hanno a partire dal XIX secolo, a seguito di spedizioni organizzate dal Barone di Antonina (Lopes, 1850 "Itinerário de ... encarregado de explorar a melhor via de communicação entre a Província de São Paulo e a de Matto Grosso pelo Baixo Paraguay". Revista do Instiruro de História e Geografia Brasileira 13, Rio de Janeiro) Con la guerra detta della Triplice Alleanza del 1864-1870 i confini territoriali vennero ulteriormente rimaneggiati, portando altre testimonianze sopra la presenza di gruppi Guaraní in quella regione. Gran parte dei territori al momento occupati dai Guaraní Kaiowa e Ñandeva vennero affidati in concessione alla Compagnia Matte Laranjeira che usava i Guaraní come mano d'opera, ma non occupava i loro territori in quanto era interessata unicamente allo sfruttamento dell'erba mate, anzi, per mantenere il monopolio dell'estrazione favorì l'isolamento dei Guaraní e tenne lontani eventuali progetti di colonizzazione.
Sviluppi moderni
Mappa dei gruppi etnici in Sud America nel 1937. La distribuzione dei Guaranì è evidenziata in azzurro.

Con la fine del monopolio della Compagnia Matte Laranjeiras e le migrazione di coloni provenienti principalmente dallo Stato di San Paolo e Rio Grande do Sul, si ridussero, durante il XX secolo, sempre di più i territori a loro disposizione. La creazione dello SPI (Serviço de Proteçao aos Índios), organo federale brasiliano preposto alla "protezione" degli Indios, avvenuta negli anni venti del secolo passato, non riuscì a fermare il processo di esproprio, addirittura facilitando lo stesso attraverso la rimozione forzata dei gruppi indigeni a richiesta dei coloni. Gli indios rimossi venivano confinati in piccole aree di riserva dove si trovano a tutt'oggi, con gravi conseguenze per la loro sopravvivenza sociale e benessere fisico. A partire dagli anni 1980 i Guaraní hanno cominciato a organizzarsi per rivendicare i propri territori nelle arene politiche nazionali, dando vita a movimenti di rivendicazione territoriale che continuano fino ad oggi.
Economia

Si tratta di una tradizione fondamentalmente agricola, e non di una società nomade, come viene a volte erroneamente considerata, con regole di distribuzione e redistribuzione dei mezzi di produzione e dei prodotti, e di collaborazione costruite a partire dai legami familiari. Le tecniche agricole consistono in coltivazioni di medi e piccoli appezzamenti dedicati alla produzione per il consumo personale, i kokue raramente superiori ai tre ettari. I terreni vengono puliti, se necessario con l'uso del fuoco, e preparati per ricevere le sementi, rimanendo in uso per vari anni, dipendendo dal tipo di terreno e dalle piante che vi si coltivano, dopo di che vengono lasciati "riposare" fino a quando non saranno pronti di nuovo per l'uso. Questi terreni si trovano, in condizioni ideali, nel raggio di un chilometro dalla residenza dell'unità di lavoro e produzione, la famiglia. Possiedono una tassonomia botanica raffinata, che gli permette di ottenere ottimi risultati in campo agricolo nella relazione costo-beneficio e nella gestione di suoli e policulture (differenti specie alternate nello stesso terreno). Le eventuali collaborazioni in attività economiche e produttive avvengono per via delle relazioni di parentela, che implicano determinati obblighi, anche se si è sempre liberi di cercarsi altri gruppi con cui instaurare relazioni di reciprocità. Così, per determinati lavori in cui il nucleo familiare ha bisogno di aiuto, come il raccolto stagionale o la preparazione di nuovi campi, si chiameranno a collaborare parenti e vicini, a cui viene fornito cibo e, alla fine del lavoro, una festa a base di bibite fermentate (preferibilmente di mais - chicha), cibo, canti e danze.

La pesca e la caccia sono attività importanti, anche se non più - come in passato - dal punto di vista economico, sicuramente ancora da quello della formazione personale, della ricreazione e del controllo del territorio. Si pratica la caccia con fucile, arco e mazzafionda, spostandosi anche per grandi distanze, oppure con l'uso di trappole (a percussione, monde, e a laccio, ñuha), posizionate soprattutto nei pressi dei campi coltivati. Le tecniche di pesca comprendono l'arpione e la lenza per la pesca individuale, o l'impiego di reti e quello di una radice con proprietà stordenti, il Timbó, in caso di pesca in gruppo.
Cosmologia e rituali
Cerimonia religiosa guaraní

I rituali sono attività praticate socialmente e hanno un ruolo notevole nel determinare le forme di organizzazione e coesione sociale. Tra i più importanti troviamo quelli agrari, avatikyry (benedizione del mais), e ñemongarai (piante nuove), e altri non legati al ciclo agrario come i jeroky, destinati a mantenere l'equilibrio fra i differenti elementi del cosmo e il Meta Pepi rituale di iniziazione maschile (quasi completamente abbandonato in Brasile). La terra, Yvy in Guaraní, ha bisogno di essere continuamente curata, anche attraverso il mantenimento di un comportamento corretto in linea con il giusto modo di essere Guaraní, il Teko Porã. Secondo la mitologia Guaraní, la cura della terra è stata affidata ai Guaraní dal suo creatore Ñande Ru Guasu (Nostro Grande Padre), entità superiore, ritiratasi dopo la creazione in luoghi inaccessibili agli uomini, con eccezione dei Paí, i leader politico-religiosi dei gruppi Guaraní. I Guaraní praticano la magia omeopatica per influenzare la vegetazione e anche alcuni avvenimenti vitali come la fecondità: per esempio esiste la credenza che nutrendosi di un grano doppio di miglio, la donna avrà conseguentemente un parto gemellare[2





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Guaran%C3%AD

 
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Guarani Kaiowá


I Guarani Kaiowá sono un gruppo etnico del Brasile e del Paraguay con una popolazione stimata tra i 18.000 e i 20.000 individui in Brasile e 9.000 in Paraguay.[1][2] Fanno parte dal macro-gruppo storico dei Guarani.


Lingua

Parlano un dialetto della lingua guaraníche appartiene alle lingue tupi-guaraní.[3]
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano del Mato Grosso do Sul e in Paraguay. Sono stanziati in un'area che si estende dalle zone dei fiumi Apa, Dourados e Ivinhema in Brasile fino alla catena montuosa di Mbarakaju e agli affluenti del fiume Jejui in Paraguay. Il territorio Kaiowá confina a nord con il territorio dei Terena e ad est e a sud con il territorio dei Guarani Mbya e dei Guarani Ñandeva. Diverse famiglie Kaiowá vivono anche in villaggi vicino Mbya sulla costa di Espírito Santo e Rio de Janeiro.[4]

La zona è stata promossa allo stato di riserva nell'ottobre del 2004.
Storia
Abbozzo

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I Guarani-Kaiowá non erano entrati in contatto con gente europea fino alla fine del XIX secolo. Nel corso del XX secolo e del XXI secolo la loro terra viene occupata da boscaioli e minatori. I Guarani sono obbligati a lasciare la loro terra e a cercare lavoro nelle piantagioni, dove vengono pagati poco. I Guarani del Mato Grosso do Sul stanno cercando di organizzarsi politicamente per proteggere la loro terra, che è essenziale alla loro sussistenza.

Marcos Verón, un capo di questa gente, è stato picchiato a morte nel 2003.[5]
Organizzazione sociale
Abbozzo

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I vari sotto-gruppi dei Guarani possiedono una società diversa, ma condividono la religione, e considerano la terra molto importante. Secondo il loro credo il dio Ñande Ru creò i Guarani come primi esemplari della specie umana. In ogni casa dei villaggi si trova un luogo di preghiera e il cacique sciamano è una figura importante nella comunità.

Terra sem Mal, traducibile in "terra senza male", è la terra dei morti e nel credo degli indigeni è importante che ogni anima possa raggiungerla.





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Guarani Ñandeva

I Guarani Ñandeva sono un gruppo etnico indigeno del Brasile con una popolazione stimata tra gli 8.000 e i 10.000 individui in Brasile e in 7.000 individui in Paraguay.[1][2] Fanno parte dal macro-gruppo storico dei Guaraní.

Lingua

Parlano il dialetto Ñandeva (lingua ava guaraní o chiripá, codice ISO 639-3 nhd) della lingua guaraní che appartiene alle lingue tupi-guaraní. Le differenze con i dialetti degli altri gruppi Guarani ancora esistenti (i Kaiowá e gli Mbya) sono minime.[3]
Insediamenti

Vivono negli stati brasiliani del Mato Grosso do Sul e Paraná e in Paraguay. L'area si estende dal fiume Iguatemi e suoi affluenti, in Brasile, fino ai fiumi Jejui Guasu, Corrientes e Acaray in Paraguay. Ci sono piccoli insediamenti di Ñandeva anche negli stati del Paraná e del São Paulo.[4]





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Guato


I Guato sono un piccolo gruppo etnico, vicino all'estinzione, del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 372 individui. Parlano la lingua Guato (codice ISO 639: GTA) e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello Stato brasiliano del Mato Grosso do Sul, ai confini con la Bolivia.





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Himarimã


Gli Himarimã sono un piccolo gruppo etnico del Brasile, vicino all'estinzione, che ha una popolazione stimata in circa 80 individui. Parlano la lingua Himarima (codice ISO 639: HIR) e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello Stato brasiliano dell'Amazonas, nella valle di Tapayá.





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Hixkaryana


Gli Hixkaryana sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in 942 individui (2010).[1]


Gruppi

La popolazione Hixkaryana è composta da diversi sottogruppi che attualmente vivono nella valle del fiume Nhamundá (Amazonas e Pará) e del medio Jatapu (Rio delle Amazzoni), tra cui i Kamarayana, gli Hixkaryana, gli Yukwarayana, i Karahawyana, gli Xowyana, i Kaxuyana (gruppo confluito nei Tiriyó e in comunità Hixkaryana durante gli anni cinquanta del XX secolo) e i Karara (nel 2002 vi erano solo due Karara nel villaggio di Jutai, nella terra indigena Nhamundá-Mapuera). Tutti i gruppi parlano dialetti di una lingua comune.[1]
Lingua

Parlano la lingua Hixkaryana, lingua che appartiene alla famiglia linguistica Karib.
Insediamenti

Vivono negli stati brasiliani di Amazonas, Pará e Roraima.[1]
Storia
Abbozzo

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Nel 1959, quando i primi esploratori arrivarono nelle zone abitate da questo gruppo, la popolazione totale superava di poco le 100 unità con pochi bambini, decimati da un'altissima percentuale di mortalità infantile. Nel 1977 la popolazione toccò quota 237; un aumento che si verificò grazie all'apporto delle moderne medicine, alle prime unioni interrazziali con altri gruppi (soprattutto con i Waiwai), ad aiuti governativi e ad un programma scolastico per i bambini sopravvissuti.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Hixkaryana

 
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Hupda


Gli Hupda (o Hupde Maku) sono un gruppo etnico indigeno della Colombia e del Brasile, con una popolazione stimata in 1.500 individui nel 1997.[1] Fanno parte del macrogruppo dei popoli Makù, insieme ai Kakwa, ai Nukak, agli Yuhupde, ai Dow e ai Nadöb.

Lingua

Parlano un idioma (codice ISO 639: JUP) appartenente al gruppo delle lingue makù.[2]
Insediamenti
Vivono in Colombia e in Brasile, nei pressi dei fiumi Papuri e Tiquiê.[3] Alcuni sottogruppi sono nomadi e si spostano tra i confini di Brasile e Colombia.





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Iapama


Gli Iapama sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 200 individui. Parlano la lingua Iapama (codice ISO 639: IAP) e sono principalmente di fede animista.

Vivono ai confini tra gli stati brasiliani di Pará e Amapá.





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Índio do Buraco


Índio do Buraco (in italiano, letteralmente, "Indigeno del buco") o Índio Tanaru è il nome dato all'ultimo uomo appartenente a un'etnia indigena sconosciuta che fu massacrata da agricoltori e proprietari terrieri negli anni 1980 e 1990. Dopo lo sterminio della sua gente, l'uomo, che si stima sia nato intorno al 1960, iniziò a vagare da solo nella regione amazzonica situata nella parte occidentale dello Stato brasiliano della Rondônia, vicino alla città di Corumbiara, vivendo di caccia e raccolta, in solitudine, fino alla morte, avvenuta nell'agosto del 2022. Il giorno 23 di quel mese, infatti, l'uomo è stato rinvenuto senza vita nella sua amaca da agenti della Fundação Nacional do Índio (FUNAI).[1]

I documenti del FUNAI che per primi attestano l'esistenza dell'uomo, di cui non si conosce il nome o che lingua parlasse e il cui soprannome proveniva da una buca lunga circa un metro, larga mezzo e profonda anche più di tre, che si trovava sempre all'interno delle capanne di paglia costruite dall'uomo ma il cui scopo è rimasto ignoto, risalgono al 1996, tuttavia è stato solo l'anno seguente che alcuni membri della fondazione sono riusciti a stabilire un contatto visivo con lui. Nonostante, per quanto si sappia, non abbia mai comunicato con nessuno, sulla base di tracce e segnalazioni di tribù conosciute nella regione, è stato ipotizzato che la sua famiglia sia stata assassinata nel 1995 da persone interessate a impossessarsi delle terre indigene che non erano ancora state incluse in riserve naturali protette dallo Stato, motivo che ha peraltro comportato un genocidio di innumerevoli popolazioni autoctone della regione amazzonica che si è protratto per anni.[2]

Genocidio

A partire dal 1986 iniziarono a diffondersi diverse notizie sul massacro di indigeni isolati facenti parte di tribù mai contattate, come gli Akuntsu e i Kanoê, che stava avvenendo in Rondônia. Secondo quanto riferito, le uccisioni erano iniziate dopo la costruzione di una strada nel sud dello Stato, negli anni 1970 ed erano continuate nel decennio successivo. Dopo le segnalazioni, il sertanista (parola portoghese che sta ad indicare un etnografo esperto dei territori interni del Brasile che è al contempo anche un attivista per i diritti degli indios)[3] del FUNAI Marcelo Santos, accompagnato dal regista Vincent Carelli, si recò nella regione e riuscì a filmare utensili e tracce dell'esistenza di un precedente villaggio indigeno in un luogo allora abitato da contadini, prima di essere cacciato dai contadini stessi. Screditato e accusato di essere un "nemico dello sviluppo", Santos, a cui fu imposto il divieto di tornare nella regione, lasciò la fondazione e la storia cadde nell'oblio.

Nel 1995, Santos, tornato nel FUNAI, riuscì a tornare in Rondônia alla ricerca di indigeni sopravvissuti, accompagnato, oltre che da Carelli, anche da giornalisti del quotidiano O Estado de S. Paulo. La spedizione dimostrò l'esistenza di indios nella regione, i quali, filmati e fotografati, finirono sulle prime pagine dei principali giornali brasiliani. Le associazioni contadine, dal canto loro, contestarono le immagini, sostenendo che si trattasse di fotomontaggi realizzati dal FUNAI.

Si ritiene che la tribù a cui apparteneva l'Índio do Buraco sia stata vittima di tale genocidio degli indigeni amazzoni che si protrasse fino al 1995, quando gli ultimi sopravvissuti furono uccisi, tranne per l'appunto l'Índio do Buraco, furono uccisi da minatori abusivi, i garimpeiros.[2] Il FUNAI scoprì nel 1996 i resti di quello che probabilmente fu un loro villaggio e che era stato raso al suolo dai trattori.[4] Fino ad allora, nessuno studio era stato compiuto su di essi, e non è quindi noto né quale lingua parlessero, né come identificassero loro stessi, né altro.[5]
Contatti

La spedizione di Santos continuò la sua ricerca di nuove tracce di popoli massacrati e probabili sopravvissuti trovando, lungo il suo percorso, improvvisate capanne di paglia, tutte con una grande buca scavata all'interno (negli anni, il FUNAI, e in particolare la sua divisione Frente de Proteção Etnoambiental, FPE, ne conterà oltre 50). Soprannominarono il loro residente "Índio do Buraco" e finalmente, qualche tempo dopo, riuscirono a trovarlo all'interno di una delle capanne; tuttavia l'uomo scappò prima che fosse possibile avere qualunque contatto con lui. Tra le testimonianze della vita quotidiana dell'uomo c'erano una piccola area coltivata, utilizzata per produrre mais e manioca, alcune trappole cacciare, bastoncelli utilizzati per estrarre il miele dagli alveari e le già menzionate capanne con all'interno una specie di fossa a cielo aperto. Sebbene la sua utilità rimanga sconosciuta, quest'ultima traccia è comunque servita a identificare i resti dei villaggi dell'etnia a cui apparteneva l'uomo, le cui capanne erano tutte dotate di tali buche.

Dal 1997, il FUNAI ha organizzato diverse spedizioni in Rondônia per monitorare la posizione e le condizioni di sopravvivenza dell'indigeno. Nessuno è comunque mai riuscito a comunicare con l'uomo, in quale ha sempre evitato ogni contatto, abbandonando le proprie capanne e reagendo anche in modo aggressivo a tentativi di contatto evidentemente da lui ritenuti minacciosi, arrivando persino a lanciare frecce agli uomini della fondazione e ferendone uno nel 2006.[6] Dopo quell'episodio, il FUNAI decise di cambiare strategia, interdicendo nel 2007 un'area di 80 chilometri di raggio attorno alla regione dove risiedeva l'uomo, monitorandone le peregrinazioni e curando la tutela della sua riserva territoriale, che, a partire dal 1998, tramite decreti governativi, era stata a lui riservata in maniera esclusiva. L'unica forma di comunicazione mantenuta con l'indio era l'offerta di cibo e talvolta anche di rudimentali utensili, lasciati nella foresta dai membri del FUNAI. Dal canto suo, sembra che l'uomo abbia in più occasioni segnalato alle squadre del FUNAI come evitare alcune trappole che aveva scavato per difesa o per cacciare.

Nel 2018, con lo scopo di porre l'attenzione dell'opinione pubblica sulle minacce gravanti sulle popolazioni mai contattate del Brasile, il FUNAI ha mostrato al pubblico un video dell'Índio do Buraco, in cui l'uomo, che sembrava avere una cinquantina d'anni, appariva in buono stato di salute.[2]
Tentato omicidio

Nel 2009, Vincent Carelli lanciò il pluripremiato lungometraggio Corumbiara, contenente filmati di popolazioni indigene isolate della regione amazzonica, in una scena del quale veniva mostrato un contadino che afferma di voler sparare all'Índio do Buraco. Nel novembre dello stesso anno, uno dei posti di sorveglianza del FUNAI nella riserva fu attaccato e vandalizzato da un gruppo armato che distrusse un'antenna radio, pannelli solari, tavoli, sedie, scaffali e una stufa a legna, lasciando due proiettili di fucile davanti alla sede. Secondo la fondazione, l'azione fu opera di contadini della regione, che non avevano mai accettato la restrizione imposta sugli 8 070 ettari della riserva indigena Tanaru. Le tracce osservate in seguito nel sito, tuttavia, indicarono che l'indigeno era sopravvissuto all'attacco.[7][8]

Nel gennaio 2010, allertate dall'attacco, le organizzazioni di difesa indigene pubblicarono una lettera richiamando l'attenzione sulle condizioni critiche dei gruppi isolati in Amazzonia e in particolare delle tribù della Rondônia. Il messaggio, indirizzato all'allora presidente Luiz Inácio Lula da Silva, lamentava anche la minaccia ai gruppi rappresentata dalle costruzioni nella valle del Guaporé e sul fiume Madeira. Nel maggio dello stesso anno, a Brasilia, l'ONU tenne una riunione di consultazione sulle linee guida per la protezione delle popolazioni indigene isolate e in primo contatto in Amazzonia e nel Gran Chaco. La Procura federale affermò in seguito che l'istituto avrebbe attuato il "principio di precauzione", al fine di evitare il contatto e l'alterazione delle terre abitate dagli indigeni, vista l'interdipendenza tra questi popoli e l'ambiente in cui vivono.
Morte

Il 23 agosto 2022, l'Índio do Buraco è stato trovato morto in un'amaca, nella sua ultima capanna, da Altair José Algayer, un agente del FUNAI.[9] È stato stimato che l'uomo sia morto nel mese di luglio per cause non violente, come faceva supporre il luogo del ritrovamento, e che avesse all'incirca una sessantina d'anni. Il 27 agosto, il già citato Marcelo Santos, sostenuto da diversi gruppi di attivisti per i diritti degli indigeni, ha affermato che l'uomo, il cui corpo era stato mandato a Porto Velho per l'autopsia, avrebbe dovuto essere sepolto nello stesso posto in cui era vissuto, e che il governo brasiliano avrebbe dovuto provvedere immediatamente a proteggere tale territorio onde evitare la sua invasione e degradazione da parte di minatori e contadini.[1][9]
Media

La storia dell'Índio do Buraco è stata trasposta in un libro scritto dal giornalista americano Monte Reel. L'opera, intitolata The Last of the Tribe: The Epic Quest to Save a Lone Man in the Amazon, è stata pubblicata nel 2010 da Simon & Schuster. Nel 2011, i diritti cinematografici del libro sono stati acquistati da una società di produzione di Hollywood.[10]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/%C3%8Dndio_do_Buraco

 
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Ingarikó



Gli Ingarikó (nella loro lingua, A'murugok: popolo delle sorgenti) sono un gruppo etnico del Brasile, della Guyana e del Venezuela che ha una popolazione stimata in circa 4.000 individui (1990).[1]


Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano di Roraima, in Guyana e in Venezuela, nella zona del monte Roraima, un punto in cui i tre paesi confinano. La loro terra fa parte del territorio indigeno Raposa Serra do Sol, in cui vivono con i Patamona e gli Akawaio, sottogruppi del più ampio gruppo definito Kapon[2]
Storia

Nel 1998 reclamano alla corte suprema della Guyana il loro diritto di coltivare la terra, usurpato a loro dire dai numerosi cercatori d'oro.

Nel 2013 Survival International rende noto che il governo della Guyana vorrebbe costruire una diga per una centrale idroelettrica sul fiume Mazaruni inonando la valle dove vivono e senza il consenso degli indigeni stessi[3][4].





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Iranxe Manoki



Gli Iranxe Manoki sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 258 individui. Parlano la lingua Irantxe (D: Munku-IRA01) e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello Stato brasiliano del Mato Grosso, sul Rio Cravari. Si autodefiniscono con il nome di "Münkü". Molti dei componenti di questa etnia usano il portoghese come seconda lingua.
Bibliografia

People groups of Brazil da Peoplegroups.org
Languages of Brazil da Ethnologue





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Italo-brasiliani



Un italo-brasiliano è una persona nata in Brasile con antenati italiani, o un italiano ivi residente da molti anni. Il Brasile ha oggi la più grande popolazione etnicamente italiana fuori dall'Italia. Secondo l'Ambasciata d'Italia a Brasilia, vivrebbero nel paese circa 30 milioni di italiani o discendenti di immigrati italiani.[3] Altre fonti concordano con tale stima.[4][5][6]

Nel 1925, il governo italiano stimò che gli italiani e loro discendenti erano il 6% della popolazione del Brasile ed il 15% dei bianchi.[7] Secondo il censimento brasiliano del 1940, 1.260.931 brasiliani dichiaravano di essere figli di padre italiano, e 1.069.862 figli di madre italiana. Gli italiani nati erano 285.000 e 40.000 erano stati naturalizzati brasiliani. Pertanto, a quella data, gli italiani e i loro figli erano poco più del 3,8% della popolazione del Brasile.[8]

Secondo stime recenti, oggi il 15% della popolazione brasiliana sarebbe di origine italiana, ovvero circa 30 milioni di persone, risultando quindi la più numerosa popolazione di oriundi italiani nel mondo.[9] Secondo un'altra ricerca condotta nel 1999 dall'ex presidente dell'IBGE, il 10,5% dei brasiliani hanno affermato di avere origini italiane. In una popolazione di 210 milioni di brasiliani, sono quindi circa 22 milioni di persone.[10] Secondo un'altra ricerca condotta nel 2016, 7,7% dei brasiliani hanno un cognome di origine italiana.[11]

Tutte le stime sono da ritenersi approssimative, poiché non è mai stato fatto un censimento vero e proprio in merito, il Censo brasiliano, infatti, prevede al quesito “nazionalità” solo tre possibili risposte: A-Brasiliano nato; B-Brasiliano naturalizzato; C-Straniero.[6]

Il fenomeno migratorio nel Brasile

La popolazione di origini italiane è una minoranza in Brasile, anche se molto importante e concentrata regionalmente. Il centro-sud del paese nel 1920 riuniva il 97% degli italiani. San Paolo, lo stato più popoloso del Brasile, ha la più grande popolazione di origini italiane nel Brasile e gli oriundi italiani sono il 38% della popolazione.[2]

Una grande immigrazione europea ha avuto luogo in Brasile, soprattutto fra il 1880 e il 1930. Quella italiana è la prima minoranza tra gli immigrati in Brasile; seguono i portoghesi, gli spagnoli, i tedeschi, i giapponesi, i russi, gli austriaci (in cui si includono fino al 1914 i trentini), i siriano-libanesi, i polacchi, i romeni, gli inglesi, i lituani, i jugoslavi, gli svizzeri, i francesi e varie altre nazionalità.[12]

I dati da IBGE mostrano che fra il 1884 e il 1959, 4.734.494 persone emigrarono in Brasile, e di questi gli italiani costituivano il gruppo più numeroso, con 1.507.695 persone. I portoghesi, i colonizzatori del Brasile, hanno valori inferiori, con 1.391.898 persone.


Screenshot_2023-01-04_at_09-17-04_Italo-brasiliani_-_Wikipedia

A differenza degli Stati Uniti, dove la maggioranza degli immigrati erano meridionali, in Brasile, fra il 1870 e il 1950, il 53,3% degli immigrati proveniva dall'Italia settentrionale, il 14,6% dalle regioni centrali e il 32,1% dal Sud (mentre negli Stati Uniti i meridionali erano circa l'80%).[14] In Brasile il maggiore afflusso di immigrati proveniva dal Veneto, con il 26,6% del totale, seguito dalla Campania con il 12,1% e la Calabria con l'8,2%. Agli ultimi posti la Liguria con solo lo 0,7% degli immigrati, Sardegna con lo 0,4% e Val D'Aosta con lo 0%.[12]


Screenshot_2023-01-04_at_09-18-11_Italo-brasiliani_-_Wikipedia





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Storia

La presenza degli italiani in Brasile ha origini remote. È di Amerigo Vespucci la scoperta della Baía de Todos-os-Santos (oggi Salvador, anche detta Bahia) nel 1501 e già nel 1502 la grande baia è rappresentata in una carta geografica del Duca di Ferrara Ercole I d'Este. Amerigo Vespucci costeggiò la costa fino ad Angra e fondò, a Cabo Frio, il primo insediamento fortificato portoghese, una guarnigione di 24 uomini di cui 12 italiani.

Il primato dell'immigrazione italiana in Brasile andrebbe invece ai liguri: furono infatti genovesi i primi italiani che verso il 1820 giunsero a Rio de Janeiro. Rivolte di lavoratori italiani generarono sentimenti di chiusura verso l'immigrazione dalla penisola superati peraltro dopo l'arrivo a Rio de Janeiro da Napoli di Teresa Cristina di Borbone-Due Sicilie, sposa dell'Imperatore Don Pietro II. Ne seguì un flusso di piccoli commercianti, professionisti e artigiani dell'Italia meridionale e della Toscana.

Da questa emigrazione, circoscritta a figure professionali, si giunse alla storica emigrazione di massa. La prima colonia italiana organizzata nello Stato ebbe luogo a Porto Real dove giunsero nell'estate del 1874 un gruppo di famiglie italiane. Alla fine del XIX secolo, nell'ambito della “immigrazione programmata” dal governo brasiliano dopo l'abolizione della schiavitù (1888), furono le grandi "fazendas" la meta di agricoltori e braccianti italiani ed austriaci di lingua italiana (trentini, friulani, triestini). Tale emigrazione sussidiata poteva portare ad abusi, a cui il governo italiano reagì con il Decreto Prinetti che la proibì, ma con uno strascico di polemiche tra l'Italia e il Brasile.

Centri significativi della collettività italiana nello Stato di Rio de Janeiro, oltre alla capitale, sono Valença, Nova Friburgo, Porto Real, Varre-Sai.

L'emigrazione "italiana" nell'Espírito Santo è legata storicamente alla “Spedizione Tabacchi”, autorizzata e finanziata dalle autorità imperiali, che probabilmente rappresentava in assoluto la prima emigrazione di massa in Brasile. Il 17 febbraio 1874 sbarcarono a Vitoria 386 famiglie di coloni trentini della Valsugana (allora austriaci) e veneti che diedero vita alla “Colonia Nova Trento”, cui seguirono presto quelle di Santa Teresa e Santa Leopoldina. Dalla “spedizione Tabacchi” sempre di più (con punte massime tra il 1890-95) giunsero dall'Italia del nord e poi anche del sud lavoratori che si stabilirono in particolare nell'interno dello Stato.

Anche l'emigrazione a Bahia ha origini storiche; qui verso il 1820 era presente una piccola colonia di mercanti liguri e piemontesi, che rappresentarono l'elemento italiano fino a quando nel 1885 le porte del Brasile si aprirono alla grande emigrazione europea. La presenza italiana si nota nel primo Ottocento, oltre che in Salvador, anche a Caravelas, Feira de Santana, Ibiriçu.
Emigrazione di massa

I primi immigrati italiani arrivarono in massa nel Brasile nel 1874 attraverso la storica “Spedizione Tabacchi”, con destinazione Stato di Espírito Santo. Molti di essi erano contadini veneti, lombardi, piemontesi, trentini (tirolesi di nazionalità austriaca) e friulani attirati dal lavoro come piccoli coltivatori nel sud e sud-est del paese.

Il picco massimo dell'emigrazione italiana in Brasile si ebbe tra il 1880 e il 1920. La maggior parte degli italiani trovarono lavoro nelle piantagioni di caffè brasiliane negli stati di San Paolo, Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Paraná, Minas Gerais e Espírito Santo; ma molti altri preferirono insediarsi nelle città, da San Paolo a Rio de Janeiro, a Porto Alegre, ecc.; e diverse migliaia di italiani, infine, raggiunsero persino le città del nord-est e del nord amazzonico.

Una forma tipica di quel periodo fu l'emigrazione sussidiata: apposite organizzazioni anticipavano agli emigranti le spese del viaggio e si occupavano di collocarli nelle aziende che ne facevano richiesta. Il fenomeno tuttavia si prestava ad abusi: intervenne quindi il governo italiano che con il Decreto Prinetti proibì tale forma di emigrazione.

Si stima che attualmente il 13-14% dei brasiliani abbiano almeno un ascendente di origine italiana.

Più di un milione e mezzo d'italiani emigrarono in Brasile fra il 1880 e il 1950. Più della metà proveniva dal nord-Italia, con il 30% dal Veneto. Il resto era originario dalla Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e, in maggior misura nel Novecento, dall'Italia centrale (Toscana) e dal sud-Italia (Campania, Calabria, Basilicata, Abruzzo).


Screenshot_2023-01-06_at_18-26-21_Italo-brasiliani_-_Wikipedia





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Lingua

Immigrati italiani: destinazione Brasile.

Gli immigrati italiani si sono integrati facilmente nella società brasiliana. Oggi la grande maggioranza dei loro discendenti parla anche il portoghese.

Una minoranza di 500.000 persone ha come madrelingua una parlata di tipo veneto, nelle zone rurali dello stato di Rio Grande do Sul (nel Brasile del sud). La loro lingua è denominata Talian (pron. Taliàn), un dialetto veneto-brasiliano molto vicino alla lingua veneta, ma con influenze dal portoghese, dal lombardo, dal trentino, dal tedesco e da altre parlate italiane.

Nelle città brasiliane di Santa Teresa e Vila Velha, popolate soprattutto da discendenti di italiani, la lingua italiana è stata dichiarata "lingua etnica" e pertanto gode di uno status particolare riguardo al suo insegnamento ed alla sua considerazione.
La comunità italiana oggi

Anche se vittime di un certo pregiudizio durante la seconda guerra mondiale (quando il Brasile dichiarò guerra all'Italia), gli italo-brasiliani sono riusciti a mescolarsi e divenire parte integrante della società brasiliana. Molti artisti, politici, calciatori, modelli e personalità brasiliane sono di origine italiana, compresi quattro presidenti (Emílio Garrastazu Médici, Pascoal Ranieri Mazzilli, Itamar Franco e Jair Bolsonaro), diversi senatori, molti delegati e ambasciatori. Oggi i brasiliani di origine italiana costituiscono il 15% della popolazione del Brasile.

La presenza di stampa o di siti web destinati agli italo-brasiliani è abbastanza rilevante.
Regioni del Brasile in cui è forte l'influenza italiana
San Paolo

San Paolo del Brasile, la più grande città del Brasile, supera i 12 milioni di abitanti e la metà è di origine italiana. L'influenza culturale italiana è più visibile nelle vicinanze di Bixiga (Bela Vista), Brás e Mooca. È considerata, al di fuori dell'Italia, la più grande città "italiana" del mondo, superando Roma.[15]

Nel 1894 fu fondata una cooperativa di renaioli (composta quasi interamente da viareggini) che arrivò ad acquisire il monopolio dell’estrazione a fini edilizi delle sabbie del fiume Tiete[16].
Vitória

Vitória è un'importante città del Brasile ubicata su un'isola, all'interno di una baia in cui sfociano diversi fiumi nell'Oceano Atlantico, capitale dello stato di Espírito Santo, localizzata nella parte sudorientale del Brasile, la più sviluppata del Paese con una popolazione di 314.042 abitanti[17]; un'area a forte urbanizzazione denominata "Regione Metropolitana di Vitória", che comprende 7 grandi comuni: Vitória (la capitale), Serra, Fundão, Vila Velha, Guarapari, Cariacica e Viana. La regione raccoglie 1.685.384 abitanti[18].

La presenza italiana è grande in tutta la regione metropolitana. Ciò ha incominciato con "La Spedizione Tabacchi"[19] partita dal porto di Genova il 3 gennaio 1874, arrivata nel porto di Vitoria il 17 febbraio 1874; lo sbarco della nave "Sofia" è stato autorizzato solamente il 27 febbraio 1874. "La Spedizione Tabacchi" è considerata dagli storicisti il primo grande esodo di contadini italiani nel mondo dopo l'Unificazione. Dal 1874 fino al 1900 migliaia di italiani sbarcarono nei porti di Vitoria, São Mateus, Benevente, Santa Cruz, Piúma, Guarapari, Barra do Itapemirim, Cachoeiro de Itapemirim e Cachoeiro de Santa Leopoldina.
Criciúma

Criciúma è una città situata nello stato di Santa Catarina, con una popolazione di 210.000 abitanti. Fu fondata il 6 gennaio 1880 da un gruppo di famiglie di Belluno, Udine, Vicenza e Treviso, la maggior parte delle quali di Cordignano, Cappella Maggiore e Vittorio Veneto.
Caxias do Sul
Famiglia italiana a Caxias do Sul nel 1918.

Caxias do Sul è la seconda più grande città nello stato di Rio Grande do Sul, venne fondata il 20 giugno 1890 da immigrati veneti. La lingua Talian (derivata dalla lingua veneta con contributi dal portoghese) è parlata ancora da molti abitanti. L'architettura coloniale italiana nel Rio Grande do Sul, sviluppatasi nella regione del Rio Grande do Sul durante la grande immigrazione italiana avvenuta tra il 1875 e gli anni 1960, rappresenta un retaggio di grande importanza architettonica, storica e culturale.
Nova Veneza

Nova Veneza è una città nello stato di Santa Catarina. Fu fondata da immigrati veneti, dove tutt'oggi il 97% della popolazione di 15.000 abitanti è di origine italiana.
Bento Gonçalves

Bento Gonçalves è una città nel Rio Grande do Sul, di 100.000 abitanti, di cui il 90% è di origine italiana.
Nova Trento
La bandiera di Nova Trento, simile alla bandiera italiana, con i colori dello Stato di Santa Catarina in Brasile.

Nova Trento è una piccola città di 10.000 abitanti, nello stato di Santa Catarina. Fu fondata da immigrati trentini nel 1875, e ospita il secondo più grande centro religioso del Brasile. Dopo il 1876 arrivarono immigrati lombardi, veneti e toscani, ma anche tedeschi e polacchi. Fu fino al 1914 la più grande colonia austriaca del Brasile.

Paolina Visintainer, oriunda da Vigolo Vattaro nell'allora Tirolo Italiano, è la prima santa "brasiliana", ha vissuto in questa città che vive in parte del turismo religioso.
Curitiba

Curitiba è una città di 1.964.000 abitanti, capoluogo dello stato di Paraná. La comunità italiana è molto numerosa e vive principalmente nella vicinanze di Santa Felicidade, abitata da brasiliani di origine veneta e trentina.

In questa località sono numerosi i ristoranti italiani, mentre la cultura italiana la si nota dappertutto.
Porto Alegre

Porto Alegre è la capitale dello stato di Rio Grande do Sul, con 1.320.069 abitanti, ha una popolazione italiana enorme dal 1875.
Garibaldi
Garibaldi, città capitale dello spumante brasiliano.

Garibaldi è una città di 30.000 abitanti nello stato di Rio Grande do Sul. Nel 1875 immigrati italiani dal Veneto avviarono alcune piantagioni di uva nella regione: al giorno d'oggi produce i migliori vini del Brasile e l'80% dello spumante brasiliano vi viene prodotto. Il suo nome è un omaggio al rivoluzionario italiano Giuseppe Garibaldi e alla moglie brasiliana, Anita. Garibaldi è gemellata con la città di Conegliano (Treviso).
Belo Horizonte

Belo Horizonte è la capitale dello stato di Minas Gerais, con 2.5 milioni di abitanti, di cui 1 milione di origine italiana.
Venda Nova do Imigrante

Venda Nova do Imigrante è una piccola città di 20.000 abitanti, nello stato dell'Espírito Santo, dove la maggioranza della popolazione è di origine trevigiana.
Nova Bassano

Nova Bassano è una piccola città situata nello stato di Rio Grande do Sul, con una popolazione di 10.000 abitanti. Fu fondata nel 1895 da un gruppo di famiglie di Bassano del Grappa.
Nova Venécia

Nova Venécia è una piccola città di 40.000 abitanti, nello stato dell'Espírito Santo, la popolazione è per 80% di origine italiana.
Vila Velha e Santa Teresa

Sono due comuni dello stato di Espírito Santo. Hanno una popolazione rispettivamente di oltre 400.000 e 20.000 abitanti, perlopiù discendenti di italiani. Per tale motivo in esse recentemente la lingua italiana è stata ufficialmente dichiarata "lingua etnica" e gode di uno status particolare relativamente al suo insegnamento e alla sua considerazione.[20]
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Mantenópolis Espirito Santo
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Il Talian

Gli oltre 4 milioni di italo-brasiliani che parlano (bene o parzialmente) l'italiano, spesso conservano anche il dialetto originario della regione italiana da cui sono venuti i loro antenati. Un gruppo molto numeroso è quello veneto nel Brasile meridionale, che ha creato il talian.
Il Presidente del Brasile Lula con membri della comunità italo-brasiliana durante il Festival dell'Uva del 2007 nella città di Caxias do Sul (Rio Grande do Sul). Al suo fianco la moglie Marisa Letícia Rocco (italo-brasiliana di origine lombarda)

Infatti emigranti italiani iniziarono a colonizzare la regione del Brasile meridionale alla fine degli anni settanta dell'Ottocento, specialmente gli stati di Santa Catarina, Paraná, Rio Grande do Sul nella Regione Sud del Brasile e Espírito Santo nella Regione Sud-Est del Brasile. Questi coloni venivano da molte regioni differenti dell'Italia, soprattutto settentrionale, ma molti parlavano il veneto.

Col tempo emerse un idioma di koinè unicamente sud-brasiliano a base veneta: il talian. Fu però molto influenzato non soltanto da altri dialetti dell'Italia ma anche dal portoghese, lingua nazionale del Brasile.

Il Talian non è considerato una lingua creola nonostante la preponderanza di prestiti lessicali portoghesi, perché la grammatica ed il lessico rimangono fondamentalmente veneti.

Come il Riograndenser Hunsrückisch (hunsriqueano riograndense), il principale idioma tedesco parlato da brasiliani del sud di origine tedesca, il Talian ha sofferto un grande deprezzamento dagli anni quaranta. A quel tempo, l'allora presidente Getúlio Vargas iniziò una campagna nazionalistica (simile al Nacionalismo della confinante Argentina o della stessa Italia fascista) per provare a costringere i locutori non portoghesi del Brasile ad "integrarsi meglio" nella cultura dominante nazionale.

Parlare Talian o Hunsriqueano in pubblico o persino nella propria casa era considerato offensivo e antipatriottico e meritevole di severe punizioni. Come risultato del trauma delle politiche di Vargas, c'è al giorno d'oggi uno stigma associato ad esse, che sta fortunatamente scomparendo.





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Itogapuk

Gli Itogapuk (o anche Ntogapid, Ramarama, Itanga) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 100 individui. Parlano la lingua Itogapuk (codice ISO 639: ITG) e sono principalmente di fede animista.

Vivono negli stati brasiliani di Rondônia e Mato Grosso.





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Jamamadi


I Jamamadi (o anche Yamamadí, Kanamanti) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 882 individui (2010).[1] Parlano la lingua Jamamadi (codice ISO 639: JAA) e sono principalmente di fede animista.

Insediamenti

L'attuale territorio della Jamamadi comprende i territori nella regione del medio Purus, negli stati di Amazonas e Acre, nelle regioni dei fiumi Curia e Saburrun (Sabuhã), affluenti del fiume Piranhas, e sui fiumi Mamoriazinho, Capana, Santana e Teruini, affluenti del Purus.

Le cinque aree indigene in cui risiedono i Jamamadi sono tutte riconosciute ufficialmente e sono:

Caititu nel comune di Lábrea (area divisa con gli Apurinã e i Paumari)
Camadeni nel comune di Pauini
Igarapé Capanã nel comune di Boca do Acre (area abitata esclusivamente dai Jamamadi)
Inauini (Teuini) nei comuni di Boca do Acre e Pauini (area abitata esclusivamente dai Jamamadi)
Jarawara (Jamamadi o Kanamanti) nei comuni di Lábrea e Tapauá (area divisa con i Jarawara)

Storia

I Jamamadi sono stati menzionati per la prima volta nel 1845 da João Henrique Matos, un ufficiale militare. In quel periodo molti Jamamadi erano lavoratori manuali per conto del mercante ed esploratore Manoel Urbano da Encarnação che controllava il mercato locale delle spezie e delle erbe. Un'altra segnalazione proviene dal naturalista francese Castelnau che li avvistò nel 1847.

Nel 1852, la spedizione di Serafim da Silva Salgado si imbatté in un gruppo di circa 400 Jamamadi alla foce del torrente Macuiany e in un gruppo di 100 presso la foce del torrente Euacá. Nel 1861 Manoel Urbano da Encarnação descrisse i Jamamadi come vicini degli Apurinã, numerosi e piuttosto inclini a lavorare nei campi e nella caccia.

Dal 1940 al 1960, i Jamamadi, come gli altri popoli della regione, furono vittime di violenze da parte di varie spedizioni, in particolare sul fiume Pauini.





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Jarawara


I Jarawara (o anche Jaruara) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 218 individui (2010)[1].


Lingua

Parlano la lingua Jaruara (codice ISO 639: JAP) facente parte della famiglia linguistica Arawan, come le lingue (della stessa famiglia) degli Jamamadi e dei Banawa-Yafi con cui comunicano facilmente, se necessario. Tuttavia, il tono e il modo di parlare è nettamente diverso, essendo lo Jarawara più veloce e meno nasale rispetto alle altre due lingue. Solo in pochi parlano portoghese fluentemente.

Il linguaggio è stato studiato in modo approfondito dai missionari linguisti Alan Vogel e Robert Dixon che hanno pubblicato diversi articoli, tesi e libri sul tema. L'ortografia Jarawara è composta da undici consonanti (b, t, k, f, s, h, m, n, r, w, y) e solo quattro vocali (a, e, i, o), lo studio fu redatto nel 1988 dai membri della Società Internazionale di Linguistica (SIL), soprattutto tenendo conto della ortografia Jamamadi, che ha lo stesso inventario fonemico.[2]
Insediamenti

Vivono nello stato brasiliano dell'Amazonas, in 7 villaggi nei pressi dei fiumi Juruá e Purus, vicino ai Jamamadí. Sono in gran parte agricoltori e pescatori. Il loro territorio, omologato ufficialmente, comprende un'area di 390.233 ettari e si trova nei comuni di Lábrea e Tapauá.

Gunter Kroemer, del Consiglio Indigenista Missionario (Cimi), li ha classificati come un sottogruppo del Jamamadi, ma dato che loro lingua è diversa il SIL (Società Internazionale di Linguistica, già Summer Institute of Linguistics) ha inviato una spedizione nei pressi del villaggio verificando il fatto che i Jarawara sono un gruppo distinto che non può essere considerato un sottogruppo dei Jamamadi.[1]
Attività produttive

I Jarawara sono fondamentalmente agricoltori ma non disdegnano la caccia e la pesca. Coltivano soprattutto patate dolci, manioca, taro, mais, banane, ananas, zucche, angurie, anacardi e pupunha, canna da zucchero e tabacco. Producono un succo che chiamano "kona".

La manioca, uno dei principali prodotti coltivati dai Jarawara, si distingue in ben 23 varietà di cui 5 appartengono al tipo di manioca dolce. Non mancano nei campi alberi da frutto, palme, legumi, verdure, condimenti, spezie e piante officinali.

Per la pesca adottano varie tecniche tra cui l'utilizzo di veleno per i pesci ricavato dal kona e che chiamano tingui.[1]





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Jenipapo-Kanindé


I Jenipapo-Kanindé (o anche Paiaku) sono un gruppo etnico del Brasile. Parlano la lingua Portuguese (codice ISO 639: POR) e sono principalmente di fede animista.





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Jurunas


Gli Jurunas (anche Yuruna, Iuruna o Yudjá nella loro lingua) sono un gruppo etnico indigeno brasiliano del Mato Grosso, nell'area settentrionale del Parco Indigeno dello Xingu, nei pressi del fiume Maritsauá-Mitau in due villaggi.

Nel 2011 la popolazione Yudjá è di 348 persone; nel 2001 erano 278, e nel 1950 solo 37[1].

Parlano la lingua Juruna (codice ISO 639: JUR) e sono principalmente di fede animista.

Sono in gran parte coltivatori di manioca e pescatori.





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Jurunas

 
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Ka'apor


I Ka'apor sono un gruppo etnico del Brasile con una popolazione stimata in 991 individui nel 2006 (Funasa).[1]

Lingua

Parlano la lingua kaapor (codice ISO 639-3 urb) che appartiene alle lingue tupi-guaraní, e il portoghese.[2] Il termine ka'apor sembra essere derivato da Ka'a-pypor che significa "impronte nella foresta".[3]
Insediamenti

Vivono negli stati brasiliani del Maranhão e del Pará, in un'area compresa tra il fiume Gurupi e i fiumi Turiaçu e Igarapé.[4]
Storia
Abbozzo

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Sono originari dell'area tra il fiume Tocantins e il fiume Xingu dove vivevano nel XVIII secolo. Probabilmente a causa delle invasioni dei coloni e di scontri con altri gruppi indigeni, migrarono nel XIX secolo nel Maranhão attraverso il fiume Gurupi.[5]





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Kabixi


I Kabixi (o anche Cabichí) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 100 individui (1986). Parlano la lingua kabixí (codice ISO 639-3 xbx)[1] e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello stato brasiliano del Mato Grosso, sui fianchi del Planalto dos Parecís, nei pressi di Vila Bela. Il gruppo è considerato prossimo all'estinzione.





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Kadiweu


I Kadiweu (o anche Caduveo) sono un gruppo etnico del Brasile che ha una popolazione stimata in circa 1.800 individui. Parlano la lingua Kadiweu (codice ISO 639: KBC) e sono principalmente di fede animista.

Vivono nello Stato brasiliano del Mato Grosso do Sul, nei pressi di Serra da Bodoquena, in 3 villaggi.





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Kagwahiva


I Kagwahiva (o Kawahíb) sono un macro-gruppo etnico del Brasile.

Gruppi

I gruppi considerati facenti storicamente parte del macro-gruppo dei Kagwahiva sono i seguenti:[1][2][3]

Apeiran'di (Aparandé, Apairandé)
Apiaká
Paribitete
Arino
Tepanhuna
Boca-Negra
Ipotewát (Ipotuát, Ipotuát, Ipotewát, Ipotêauáte)
Jabutiféd (Yabutiféd)
Jiahui (Diahói, Odiahuibe)
Juma (Júma)
Karipuna de Rondônia
Katukinarú (Katukinary, Catuquinaru)
Kutipai'i
Mialat
Pai'i
Paranawat (Paranawát)
Parintintin
Pawaté
Takuatep (Takwatib, Takwatíp, Tacuatêpe)
Tapechiche (Taipechichi)
Tenharim (Tenharin)
Tukumanféd (Tukumãféd, Tukumãnfet)
Uru-Eu-Wau-Wau (a loro volta suddivisi in Amondawa, Jupaú, Jurureí, Parakuara e Uru-Pa-In)
Wiraféd (Uirafed, Wirafet, Wirafed)

Storicamente sono conosciuti anche solo come Parintintin, nome assegnato loro dai Munduruku, con cui furono in guerra, e che significa "nemico".[1]
Lingua

Tutti i sottogruppi parlano varianti dialettali della lingua Kagwahiva (denominata anche Parintinin) che appartiene alle lingue tupi-guaraní. Il termine Kagwahiva significa "la nostra gente".[2]
Storia
Abbozzo

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Il gruppo è originario dell'area delle sorgenti del fiume Tapajós e del fiume Juruena. Il gruppo viveva in questa zona nel XVIII secolo prima di disperdersi in varie zone vicine a causa degli attacchi continui dei loro acerrimi nemici, i Munduruku, e dell'arrivo dei coloni e delle industrie estrattive.[2][4] Secondo Carl Friedrich von Martius, i Kagwahiva facevano a loro volta parte del più ampio gruppo dei "Tupi centrali", che comprendeva al suo interno anche i Kaiabi e gli Apiaká.[5]





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Kaiabi


I Kaiabi sono un gruppo etnico del Brasile con una popolazione stimata in 1.193 individui nel 2010 (Unifesp).[1

Lingua

Parlano la lingua kayabí (codice ISO 639-3 kyz) che appartiene alle lingue tupi-guaraní. Le lingue più simili al kaiabi sono quelle dei Kamayurá, degli Asurini dello Xingu e degli Apiaká. Quasi tutti i Kaiabi sono bilingue perché parlano sia la loro lingua madre che il portoghese.[2]
Insediamenti

Vivono negli stati brasiliani del Mato Grosso e del Pará. Vivono quasi tutti all'interno del Parco Indigeno dello Xingu (Mato Grosso), ma fino al 1940 erano stanziati principalmente tra i fiumi Arinos, Rio dos Peixes e Teles Pires, nei pressi del fiume Xingu. All'interno del Parco, i Kaiabi sono dispersi tra vari villaggi situati nella parte settentrionale già abitata dai Juruna.[3]





fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Kaiabi

 
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