IL FARO DEI SOGNI

BIOGRAFIA DI Jean-Jacques Rousseau

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view post Posted on 31/12/2020, 17:40     Top   Dislike
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L'uomo nuovo nella pedagogia dell'Émile

Nell'opera Émile, o dell'educazione (1762) Rousseau espone – tramite la descrizione minuziosa dell'educazione di un allievo ideale, Émile appunto – una concezione pedagogica che riprende e ricapitola, al fine della formazione di un uomo e di un cittadino nel senso più alto di questi due termini, tutti i temi più cari all'autore: filosofia della natura, antropologia, psicologia, politica, religione.[179] La critica tende a sottolineare l'intima unità che lega l'Émile al Contratto sociale, pure composto nel 1762: secondo alcune interpretazioni l'ardita proposta politica di Rousseau richiede, per essere attuabile, un'umanità retta e virtuosa che solo un'educazione estremamente accurata e ponderata dei singoli individui può sviluppare; in qualche modo, per la società nuova di Rousseau è necessaria una nuova umanità, una generazione di cittadini consapevoli e buoni, di cui idealmente Émile è il primo rappresentante.[180] In alternativa, quello dell'Émile può essere letto come un «programma minimo», cioè come un tentativo di riforma morale e civile sulla piccola scala dell'individuo che viene intrapreso perché si riconosce l'impossibilità pratica di attuare una simile riforma sulla grande scala dello Stato.[181] Ancora, alcuni hanno interpretato l'Émile come un tentativo di portare l'uomo alla felicità all'interno dello Stato e della società, cioè come una riscrittura del Contratto sociale non più nell'ottica di modellare uno Stato legittimo, bensì nell'intento di formare alla moralità un singolo individuo, di renderlo capace di rapportarsi correttamente con la comunità e di fargli ottenere così l'unica felicità possibile al di fuori dello stato di natura: i due testi sarebbero quindi due facce della stessa medaglia, dal momento che Rousseau stesso sostiene che «quelli che vorranno trattare separatamente la politica e la morale non capiranno mai niente di nessuna delle due.»[179]

Il testo si compone di cinque libri: nel primo, che va da prima della nascita di Émile al momento in cui inizia a parlare, Rousseau descrive il tipo di cure di cui il bambino ha bisogno da parte della madre e della nutrice, scendendo anche nei dettagli della sua alimentazione e del suo accudimento; ciò che traspare con chiarezza fin dall'inizio, comunque, è che l'educazione di Émile deve essere un'educazione "delle cose", e non "delle parole", in modo che il bambino si abitui ad accettare come inevitabili le necessità imposte dalle circostanze e sia invece totalmente indipendente dagli uomini e dalle loro opinioni: ad esempio, il precettore (la cui figura coincide sostanzialmente con quella di Jean-Jacques) dovrà sempre essere in grado di distinguere i bisogni dell'infante dai suoi capricci, assecondando senza esitazione i primi e ignorando completamente i secondi.[182][183]
Illustrazione da un'edizione del XIX secolo dell'Émile.

Nel secondo libro, che rispetto alla crescita di Émile va da circa tre anni a dodici anni, il bambino inizia a parlare, a giocare, a entrare in relazione sensoriale con il mondo in modo consapevole; in questo momento diventa essenziale il concetto rousseauiano di "educazione negativa":[183] dal momento che «tutto è bene quando esce dalle mani dell'Autore di tutte le cose [Dio], tutto degenera nelle mani dell'uomo»,[184] una buona educazione consiste in gran parte nel preservare l'originaria bontà e purezza del bambino contro la corruzione a cui la società che lo circonda lo farebbe altrimenti andare incontro; si cerca quindi di ritardare tutti i progressi del bambino in modo che nessuno degli errori che potrebbe commettere in questa età critica rimanga radicato in lui per tutta la vita;[183] Émile vive isolato, a diretto contatto con la natura, solo col suo precettore e con pochi servitori discreti. Consapevole che il bambino corre un elevato rischio di morire prima degli otto anni, il precettore insiste sull'importanza di far sì che sia felice nel presente (piuttosto che prepararlo a una felicità futura sfuggente e incerta) e quindi lo conduce nei suoi giochi e nelle sue attività in modo che essi gli risultino il più possibile piacevoli.[185]

Il secondo libro contiene anche una lunga dissertazione sulla dieta, con particolare riferimento al problema della liceità del mangiar carne. Già nella prefazione al secondo discorso Rousseau aveva sostenuto che «pare io sia obbligato a non fare alcun male al mio simile meno in quanto è un essere intelligente che non in quanto è un essere sensibile» e che quindi, «per via della sensibilità di cui sono dotati, è da ritenere che anche gli animali debbano partecipare del diritto naturale e che l'uomo sia tenuto nei loro riguardi a taluni doveri.»[186] Nell'Émile l'autore riprende questi temi e sottolinea, da un lato, che la dieta vegetariana è più salutare di quella che comprende anche la carne e, dall'altro lato, che il maltrattamento degli animali da parte dell'uomo (anche al fine di nutrirsene) non solo è illegittimo, ma costituisce anche il sintomo di una morale che rispetta solo i forti, senza farsi alcuno scrupolo a divorare esseri inermi e pacifici.[98][187] Rousseau riporta poi integralmente un lungo passo tratto dal saggio Del mangiar carne di Plutarco in cui si critica aspramente, in quanto innaturale e barbaro, il fatto di nutrirsi di carne.[98][188]

Nel terzo libro (il bambino ha da tredici a quindici anni) inizia la vera e propria istruzione del fanciullo: la sua ragione è ormai formata, ma egli è praticamente privo di pregiudizi; inoltre, dice Rousseau, egli ha molte forze (dovute al costante esercizio e alla vita sana e semplice) e pochissimi bisogni (non essendo stato aggiunto niente per mezzo dell'opinione, della vanità e dell'orgoglio a quello che è reso necessario dalla natura): queste circostanze massimizzano la capacità di Émile di dedicarsi ad attività impegnative come gli studi. Sempre condotto da un obiettivo pratico, cioè sempre immediatamente consapevole dell'utilità di quello che studia, Émile viene guidato alla scoperta della geometria, della fisica, della geografia: ma ogni insegnamento egli lo deve trarre direttamente dall'esperienza, e deve più ricostruire le discipline che impararle.[189] Nulla deve venire concesso all'autorità, e più che i contenuti (le verità) delle scienze che studia, Émile deve imparare ad apprezzare e a servirsi del loro metodo.[183][190]

Nel quarto libro, che va dai sedici ai vent'anni di Émile, il giovane comincia ad essere tormentato dalle passioni legate all'istinto sessuale. Non ha più solo sensazioni, ma (collegando e paragonando le sensazioni tra loro) sviluppa vere e proprie idee, e quindi in sostanza è tempo per il precettore di passare dall'educazione "della natura" a quella "della società".[183] Rousseau sostiene che il contatto di Émile con l'altro sesso debba essere ritardato il più possibile e che d'altra parte, se le indiscrezioni e le allusioni di coloro che lo circondano non avranno eccitato la sua immaginazione, l'emergenza del suo impulso riproduttivo sarà molto meno precoce di quello che normalmente è nei ragazzi. Il precettore deve essere in grado in questa fase di far entrare il giovane a contatto con l'umanità in modo che egli la capisca a fondo, e più che invidiare gli altri uomini li compatisca: fintanto che Émile proverà le forti passioni che lo spingono a negare il suo isolamento senza rendersi conto che esse sono dirette specificamente verso le donne, l'istitutore potrà trasformarle in un sentimento di empatia e solidarietà umana generalizzata. Comunque, per come è stato educato, il suo naturale amor di sé e la pietà verso il prossimo prevarranno sempre sull'amor proprio. Nel frattempo lo studio della storia contribuirà a far sì che Émile impari a capire gli uomini, e risposte discrete ma dirette alle sue domande gli chiariranno i principi della riproduzione. L'educazione sociale e morale del giovane viene completata dall'introduzione alla religione, alla quale è dedicata una larga parte del quarto libro sotto forma della Professione di fede del vicario savoiardo. Infine Émile (ormai ventenne) deve essere davvero introdotto in società: questo passo viene compiuto quando diventa necessario per il ragazzo trovarsi una compagna, sulla quale il precettore non ha mancato di alimentare le aspettative del discepolo in modo che egli non si accontenti di niente di meno di quello che merita. Inevitabilmente Émile disprezzerà la lussuosa e corrotta civiltà urbana, e la ricerca dell'amata si sposterà ben presto alla campagna.[191]

Nel quinto libro (che è di stampo più narrativo dei precedenti, improntati maggiormente a uno stile didattico) Émile entra finalmente in contatto con Sophie, una ragazza semplice, virtuosa e modesta, educata con buon senso e onestà da una famiglia di campagna già ricca ma ormai decaduta. Rousseau descrive nel dettaglio l'educazione delle ragazze e le sue differenze rispetto a quella dei ragazzi; egli ritiene che la ragione delle donne sia di ordine strettamente pratico, mentre quella degli uomini ha un carattere maggiormente speculativo:[14] di conseguenza, pur non apprezzando incondizionatamente nemmeno il fatto che gli uomini si dedichino allo studio delle discipline teoretiche, nega totalmente alle donne la facoltà di dedicarsi ad attività diverse dalla cura della casa e della famiglia. Afferma inoltre che, mentre gli uomini dipendono dalle donne solo per i loro desideri, le donne dipendono dagli uomini per i loro desideri e per i loro bisogni, essendo naturalmente meno indipendenti. Tuttavia, benché nel rapporto di coppia debba essere l'uomo a "comandare", Rousseau riconosce alla donna la capacità implicita di "governare" l'uomo manipolando i suoi desideri per mezzo della sua grazia e dei talenti specifici del sesso femminile, che per certi versi è ancora superiore a quello maschile.[14] Émile e Sophie si innamorano, e risulta presto chiaro che si sposeranno. Tuttavia, a questo punto giunge quella che forse è la prova più importante dell'educazione di Émile: il precettore vuole che si distacchi da Sophie per un periodo di almeno due anni. Le ragioni sono che i due sono ancora troppo giovani per essere buoni genitori; che Émile deve viaggiare, per completare la sua educazione con lo studio dei popoli e dei paesi del mondo, dei loro governi, delle loro istituzioni e dei loro costumi; che, soprattutto, la sua virtù deve essere messa alla prova della rinuncia agli affetti, cioè del dominio razionale delle passioni: questo è uno dei passaggi più significativi dell'opera di Rousseau, il quale avrà importanti influenze, in particolare, su Kant[176] (che annoverò l'Émile tra i suoi libri preferiti).[192] Per Rousseau «l'uomo virtuoso è colui che sa vincere i suoi affetti. Allora infatti segue la ragione, la coscienza, fa il suo dovere.»[193] La vera moralità, per Rousseau, la virtù, va oltre il semplice fatto di compiere azioni il cui contenuto è buono: non consiste nell'obbedire a istinti che portano verso il bene, ma nel dominare tutte le passioni (senza comunque che esse debbano essere represse) e nell'agire in accordo alla ragione, a una legge morale che ci si è dati da sé: l'etica della legge a livello personale è simile a quella legata alla volontà generale a livello statale.[194] Durante i suoi viaggi Émile completa la sua educazione studiando e comprendendo le forme istituzionali di popoli diversi da quello francese; con un breve riassunto delle tesi contenute nel Contratto sociale si compie l'ultimo passo di Émile verso la condizione di cittadino consapevole e responsabile.[176] Al suo ritorno egli sposerà Sophie e il suo destino sarà quello della vita semplice e campestre, che Rousseau riassume in un motto di Orazio: «Modus agri non ita magnus», «un pezzo di terra non tanto grande».[195]



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Filosofia naturale e religione nella Professione di fede del vicario savoiardo

La Professione di fede del vicario savoiardo, contenuta nel quarto libro dell'Émile e costruita come una rievocazione autobiografica romanzata, espone la visione di Rousseau a proposito della filosofia naturale e della religione – quest'ultima considerata non più a livello statale come nel Contratto sociale, bensì a livello individuale. Procedendo con un metodo fortemente anti-intellettualistico, fondato sul buon senso e su un sincero e modesto amore per la verità, Rousseau (che parla per bocca del personaggio di un vicario parrocchiale della Savoia) ricostruisce una "fede razionale" semplice e intuitiva, basata sulle più elementari evidenze sensibili e sui sentimenti intrinseci al cuore dell'uomo. Dalla sensibilità egli deduce l'esistenza, dalla libera volontà dell'uomo (indipendente dalle semplici relazioni meccaniche tra i corpi) deduce la dualità di spirito e materia; dal moto dei corpi deduce una causa prima, l'indipendenza della cui volontà originaria deve essere ricondotta a una volontà universale che anima il mondo; dalla regolarità di questa volontà, che opera per mezzo di leggi, deduce un'intelligenza; dalla volontà, dalla potenza e dall'intelligenza deduce la bontà di un ente che viene chiamato Dio; dalla bontà di Dio deduce l'immortalità dell'anima, che garantisce la punizione dei malvagi e il premio dei buoni oltre questa vita. Da queste semplici considerazioni, a suo avviso, si possono ricavare tutte le massime necessarie per regolare la propria vita secondo giustizia, cioè per comportarsi moralmente.[14][196]
Un'incisione raffigurante Rousseau.

Quindi Rousseau, sempre attraverso le parole del vicario, prende a criticare le religioni rivelate, quelle caratterizzate da dogmi positivi e formalizzate da testi sacri o autorità terrene. La sua critica è rivolta soprattutto contro il principio di autorità, considerato il fondamento di ogni intolleranza; per Rousseau non si può «credere a tutto sulla fede altrui, e sottomettere all'autorità degli uomini l'autorità di Dio che parla direttamente alla ragione. [...] Tutti i libri sono stati scritti da uomini? Allora come fa l'uomo ad averne bisogno per conoscere i suoi doveri, e di che mezzi disponeva prima che questi libri fossero stati scritti? O apprenderà questi doveri da sé stesso, o ne sarà dispensato.»[197] E in particolare: «Se il figlio di un Cristiano fa bene a seguire la religione di suo padre senza un esame approfondito e imparziale, perché il figlio di un Turco farebbe male a seguire allo stesso modo la religione del suo? Sfido tutti gli intolleranti del mondo a darmi su questo una risposta che soddisfi un uomo assennato.»[198] In conclusione, Rousseau afferma di aver «chiuso tutti i libri. Solo uno resta aperto davanti agli occhi di tutti, ed è quello della natura.»[199] A Émile, quindi, come a ogni altro uomo, deve essere concesso di scegliere la religione positiva che preferisce o di non sceglierne nessuna, attenendosi alla fede razionale e naturale in una forma di deismo.[200] Secondo il pensatore, se la nostra comprensione pondera circa l'esistenza di Dio, non incontra altro che contraddizioni. Per cui gli impulsi del nostro cuore hanno più valore della comprensione, e questo ci proclama chiaramente le verità della religione naturale, ovvero l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima[201]; questo lo differenzia dalla visione deista di Voltaire, che riteneva che l'esistenza dell'Essere Supremo fosse verità di ragione e non di fede. Rousseau ribadisce poi quello che aveva sostenuto nel Contratto sociale, che le religioni positive (purché siano oneste, veritiere e tolleranti) sono molto importanti come garanzia del rispetto delle leggi all'interno di uno Stato:[14] «Considero tutte le religioni particolari come altrettante salutari istituzioni che in ogni paese prescrivono un modo uniforme di onorare Dio con un culto pubblico. [...] Credo che siano tutte buone quando Dio vi è servito adeguatamente.»[202]

La visione della religione di Rousseau, che si caratterizza per una propensione per il Deismo, è critica sia rispetto all'atteggiamento sensista e materialista tipico dei philosophes dell'ambiente illuminista, in alcuni casi semplicemente atei e sempre critici verso le religioni positive,[176] sia rispetto alle chiese tradizionali, di cui attacca l'attitudine intollerante e presuntuosa.[14][176]

Rousseau si oppone inoltre a una visione pessimista della condizione umana, come emerge anche Lettera a Voltaire in occasione del disastro di Lisbona, in cui si sforza di vedere il bene nel disegno della natura, rivolgendosi anche a chi non crede nelle sue stesse convinzioni:

«Sapere che il cadavere di un uomo nutra vermi, lupi o piante non è, ne convengo, un modo per risarcirlo della sua morte: ma se nel sistema dell’universo è necessario, per la conservazione del genere umano, che vi sia un passaggio di sostanza tra uomini, animali e vegetali, allora il singolo male di un individuo contribuisce al bene generale: muoio, vengo mangiato dai vermi, ma i miei fratelli, i miei figli vivranno come ho vissuto io e faccio, per ordine della natura, ciò che fecero Codro, Curzio, Leonida, i Deci, i Fileni e mille altri per una piccola parte degli uomini (...) Ne convengo in tutto e per tutto, e tuttavia credo in Dio con la stessa forza con cui credo in qualunque altra verità, perché credere o non credere sono le cose al mondo che meno dipendono dalla mia volontà. Lo stato del dubbio è una condizione troppo violenta per la mia anima. Quando la mia ragione è indecisa, la mia fede non può restare a lungo in sospeso e decide senza di essa. Allora, mille motivi mi spingono di preferenza sul versante dove vi è maggior consolazione e aggiungono il peso della speranza all’equilibrio della ragione.[203]»

Commentando Candido di Voltaire, Rousseau nelle Confessioni rappresenta Voltaire come il personaggio del manicheo Martin, che crede che Dio esista e sia malvagio (malteismo), pur essendo un uomo che ha avuto fortuna nella vita. Rousseau - nell'ottica del romanzo - sembra quasi schierarsi dalla parte dell'ottimismo panglossiano (si veda anche la precedente e vivace corrispondenza sul terremoto di Lisbona del 1755)[204]:

«Il suo preteso Dio è soltanto un essere che fa del male e prende gusto solo a nuocere. L'assurdità di questa dottrina salta agli occhi, ma soprattutto è rivoltante in un uomo colmato di ogni bene che, dalla rocca della sua buona sorte, cerca di indurre alla disperazione tutti i suoi simili con l'immagine penosa e crudele di tutte le calamità da cui egli è immune. Poiché sono più autorizzato di lui a contare e pesare i mali della vita umana, ne feci un esame equilibrato e gli provai come di tutti questi mali non ve sia uno solo imputabile alla Provvidenza o che non abbia la sua matrice nell'abuso compiuto dall'uomo delle sue facoltà anziché nella natura stessa.»
(da Le confessioni)



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Gli scritti tardi

Con l'Émile si esaurì la produzione strettamente filosofica di Jean-Jacques Rousseau; tuttavia i suoi scritti degli ultimi anni – soprattutto Giulia o la nuova Eloisa, Le confessioni, Le fantasticherie del passeggiatore solitario e Rousseau giudice di Jean-Jacques – rimangono notevoli testimonianze del suo pensiero.[14]
Rousseau nel giardino dell'Ermitage in un'illustrazione delle Confessioni.

La Giulia, un romanzo epistolare, è caratteristico soprattutto del "sentimentalismo" che animava Rousseau e che era destinato a contribuire ad aprire la strada al Romanticismo tedesco e francese. I temi, tra cui il contrasto dell'individuo con la società, la bontà della natura umana, l'importanza del dominio delle passioni, sono tutti tipicamente rousseauiani.[14][205]

Le Confessioni sono un'opera autobiografica fortemente introspettiva, in cui Rousseau ricostruisce la sua vita in modo a tratti impietoso verso sé stesso e a tratti invece quasi apologetico,[14] ma sempre nel tentativo di dare un'immagine complessivamente coerente della sua personalità e delle sue vicende.[206] Adottando un'ottica quasi psicanalitica, alcuni commentatori hanno visto in tale ricostruzione una serie di episodi in cui si ripete il motivo della "perdita dell'innocenza", della transizione di Rousseau dalla condizione di naturalità a quella di corruzione in un percorso parallelo a quello dell'umanità nel suo complesso.[207]

Nelle Fantasticherie Rousseau ripercorre, ancora in una prospettiva autobiografica, quelle che gli sembrano essere le cose buone che ha fatto nella sua vita – con particolare riferimento a come i suoi lavori hanno contribuito a migliorare l'umanità e a come, per contro, sono stati male interpretati.[14] Il testo si incentra su reminiscenze che, comunque, non vanno considerate solo come rievocazioni (o rimpianti) del passato, ma anche come significative riflessioni sul presente.[208]

Rousseau giudice di Jean-Jacques è un'opera composta in forma dialogica, in cui Rousseau commenta i suoi testi da una prospettiva "esterna", come se non li avesse scritti lui: da questo commento traspare, in primo luogo, la frustrazione del Rousseau incompreso, male interpretato e di fatto sempre più vicino alla paranoia e alle manie di persecuzione; in secondo luogo, l'affermazione dell'unitarietà e della coerenza complessiva della sua opera. La questione della coerenza dei testi di Rousseau è ancora oggetto di vivaci dibattiti, dal momento che, per esempio, lo statalismo radicale del Contratto sociale è apparentemente in contraddizione con l'individualismo e con l'esaltazione dell'indipendenza naturale che informa la maggior parte delle altre opere.[14][209]
Influenza e critica

Il pensiero di Jean-Jacques Rousseau esercitò influenze notevoli su gran parte della filosofia successiva[15] oltre che sugli eventi storici che seguirono la sua morte.[14]

L'influenza più immediata a livello filosofico, riconosciuta quasi universalmente, fu quella che Rousseau ebbe sull'etica di Immanuel Kant.[14][15] L'etica rousseauiana infatti, pur avendo le sue radici nella convinzione che tutte le passioni elementari dell'uomo sono, di per sé, buone, raggiunge la sua compiutezza nell'affermazione che la virtù si ottiene davvero solo affrancandosi dagli affetti e dominando razionalmente le proprie passioni; come scrisse il filosofo tedesco Ernst Cassirer, «l'etica di Russeau non è un'etica di sentimento, ma la forma più decisa della pura etica della legge che sia stata elaborata prima di Kant.»[194]. Peraltro anche nella stessa filosofia politica kantiana si trovano influenze di Rousseau: in particolare nel giusnaturalismo, nel contrattualismo kantiani e nell'utilizzo del concetto di volontà generale, che Kant però usa in maniera nuova ed originale adattandoli alla realtà politica della Prussia del suo tempo.

Inoltre, Rousseau ebbe un ruolo di grande importanza nel preparare la via allo sviluppo del movimento romantico europeo:[14] particolarmente significativa fu, in questo, la sua opera Giulia o la nuova Eloisa, la tensione lirica della quale – alimentata da una descrizione minuziosa ed estremamente viva delle passioni e dei sentimenti più profondi dell'uomo nella loro dimensione naturale e immediata – si contrapponeva nettamente alla poesia rarefatta e formale caratteristica dell'Illuminismo.[210]

Rousseau esercitò importanti influenze anche per il suo pensiero strettamente politico, alimentando la Rivoluzione francese[13][211] e influenzando (benché in modo meno diretto) la filosofia politica di Georg Wilhelm Friedrich Hegel,[15] William Godwin[212] e Karl Marx.[14] In particolare il"giovane Marx", sostenitore del suffragio universale e della democrazia diretta di Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, fu molto influenzato dal Contratto sociale del ginevino. Significativa fu anche l'incidenza su Tolstoj, che in tarda età ebbe a scrivere: «Rousseau e il Vangelo hanno avuto un grande e benefico influsso sulla mia vita. Rousseau non invecchia.»[213]. Simone Weil, nel suo Manifesto per la soppressione dei partiti politici, fece propria la critica rousseauiana alla rappresentanza e sostenne un ideale di democrazia diretta ispirato alle tesi del Contratto sociale.[214] In tempi più recenti, è stata individuata un'influenza di Rousseau anche nella Teoria della giustizia di John Rawls.[15] Tra i molti filosofi e scrittori che si sono dedicati allo studio, al commento e alla critica di Rousseau si ricordano Émile Durkheim (Sul contratto sociale, 1918), François Mauriac (in Mes grands hommes, 1929), Ernst Cassirer (Il problema Gian Giacomo Rousseau, 1932), Noëlle Roger (Jean-Jacques ou le promeneur solitaire, 1933), Jean Cocteau (L'enigme de Jean-Jacques Rousseau, 1938), Maurice Blanchot (in Il libro a venire, 1959), Jacques Derrida (in Della grammatologia, 1967), Jean Starobinski (La trasparenza e l'ostacolo, 1975), Cvetan Todorov (Una fragile felicità. Saggio su Rousseau, 2001).[215]

Con i suoi argomenti contro il costume di nutrirsi di carne, Rousseau ha rappresentato un punto di riferimento importante anche per lo sviluppo dei movimenti animalisti e vegetariani (sebbene non sia chiaro se lui stesso fosse davvero vegetariano o se piuttosto, come in altri ambiti, i suoi principi fossero più solidi della sua condotta).[98][216]

Infine, Rousseau con il suo Émile esercitò un'influenza di primo piano anche nel campo della pedagogia:[217] la sua rivoluzione, di portata estremamente significativa, fu quella di mettere il bambino al centro dell'educazione (nel senso di assecondare le sue inclinazioni e i suoi bisogni, pur senza prostrarsi di fronte a tutti i suoi desideri) e di superare così l'idea di dover trattare ogni bambino come un piccolo uomo.[218] Le sue teorie, influenzate da quelle di Montaigne, Locke, Fénelon, Comenius, Rabelais,[217] segnarono una pietra miliare della storia della pedagogia, assunta come fondamentale punto di riferimento da autori come Pestalozzi, Fröbel, Makarenko, Dewey, Freinet.[218]

L'opera di Rousseau ha prodotto naturalmente molte critiche nel merito delle tesi da lui sostenute; la multiformità e la contraddittorietà (reale o apparente) di molti dei suoi passaggi e di alcuni dei suoi motivi fondamentali hanno poi generato interpretazioni divergenti: alcuni vedono Rousseau come un ispiratore delle moderne teorie liberali, dei principi fondamentali del comunitarismo, delle istituzioni repubblicane e dell'idea della democrazia partecipata;[15] sottolineando i tratti autoritari di certe parti del Contratto sociale, però, i detrattori di Rousseau, tra cui Bertrand Russell, non hanno mancato di accusarlo di un sostanziale autoritarismo, tracciando connessioni tra i suoi scritti e il Terrore rivoluzionario, il fascismo o il comunismo totalitario.[15]

In effetti, la storia della critica rousseauiana è molto complessa e, come ha notato lo studioso Albert Schintz, «la bibliografia concernente il filosofo di Ginevra è almeno pari a quella riguardante Platone, Dante, Cervantes, Shakespeare, Goethe.»[219] Secondo l'analisi del filosofo Paolo Casini, poi, storicamente la produzione di un'analisi critica completa e obiettiva dell'opera di Rousseau è stata resa particolarmente difficoltosa dall'interferenza di continue questioni ideologiche che hanno reso difficile distinguere la "storia della fortuna" dalla "storia della critica".[219] Tra le opere che riuscirono a superare la semplice disputa ideologica in favore di una maggiore lucidità critica Casini ricorda, per il XIX secolo, quelle di Musset-Pathay, Streckeisen-Moltou, Saint-Marc Girardin, Brockherhoff, Beaudoin, Gehring, Morley e Höffding; sono considerati assai meno equilibrati, invece, i testi di Ducros e Faguet dei primi anni 1910.[220] Un'interpretazione storicamente molto importante fu quella proposta da Gustave Lanson nel testo L'unità del pensiero di Rousseau;[220] ad essa fecero seguito, avvalendosi di edizioni sempre più accurate delle fonti primarie rousseauiane, le analisi di Schintz (Jean-Jacques Rousseau – Essai d'interpretation nouvelle, 1929) e C.W. Hendel (Rousseau Moralist, 1932).[221] Anche il già citato Il problema Jean-Jacques Rousseau di Ernst Cassirer, pubblicato negli stessi anni, fu una pietra miliare della storia della critica rousseauiana.[221] Nel 1934 vennero pubblicati i saggi di Alfred Cobban, che leggeva Rousseau in senso liberale, e di P.L. Léon, il quale contribuì a riaprire il dibattito relativo alla filosofia politica di Rousseau, con particolare riferimento al Contratto sociale.[222] Nel secondo dopoguerra si avviò una corrente interpretativa improntata a un'analisi in chiave psicologica-psicanalitica o esistenzialista, che ebbe tra i suoi rappresentanti Bernard Groethuysen, Pierre Burgelin, Hermann Röhrs e il già nominato Jean Starobinski, con il suo famoso La trasparenza e l'ostacolo.[223] Sempre a questa corrente si possono ascrivere le analisi di Martin Rang e Ronald Grimsley.[223] Nel 1950, con l'importante saggio Jean-Jacques Rousseau et la science politique, Robert Derathé contribuì a chiarire l'inadeguatezza delle classificazioni di Rousseau in categorie come quelle di progressismo, conservatorismo, liberalismo o autoritarismo e mise invece l'accento sul contesto storico che influenzò il lavoro di Rousseau e sull'importanza delle caratteristiche della sua rielaborazione del giusnaturalismo.[223] Ciononostante, negli Stati Uniti, gli anni 1960 videro riaprirsi la questione relativa al presunto carattere totalitario della filosofia rousseauiana, implicitamente contrapposta al modello politico-economico statunitense, con il saggio Social Contract: An Interpretative Essay di L.G. Crocker.[224] Un'attenta ricostruzione del pensiero politico ed economico di Rousseau e un'analisi del suo ruolo nella Rivoluzione francese si trova nel saggio del 1960 La filosofia politica di Rousseau.[225] Una importante interpretazione marxista della filosofia politica di Rousseau fu offerta da Galvano Della Volpe che nel celebre "Rousseau e Marx"(1957) propose un Marx influenzato profondamente dalla filosofia politica roussoiana, incentrata sul concetto di volontà generale, che in "Per la critica della filosofia del diritto di Hegel" si oppose con una concezione democratica egualitaria, di estrazione roussoiana, alla visione conservatrice di Hegel. Un Marx anti-hegeliano è il risultato di questa importante opera che ha influenzato filosofi come Lucio Colletti e Umberto Cerroni. Significativa è invece la lettura da una prospettiva hegeliano-marxista che fu suggerita nel 1964 da Bronisław Baczko,[225]: è poi degna di nota anche l'analisi in chiave antropologica di Victor Goldschmidt, risalente al 1983.[226]

La ricerca e la critica su Rousseau, in tutti gli aspetti della sua filosofia e delle sue vicende biografiche, sono tuttora piuttosto vivaci.[226]



fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Jean-Jacques_Rousseau

 
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