IL FARO DEI SOGNI

Sudafrica

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Generalità

Stato dell'Africa australe, di cui occupa l'intera porzione meridionale, comprende, all'interno dei suoi confini, il Lesotho. Vasto, ricco di risorse preziose, con ambienti eccezionalmente ospitali, il Sudafrica ha attratto gli europei sin dal sec. XVII, quando cioè l'Europa cominciò a conoscere il disagio suscitato dalle prime pressioni demografiche. Essi trovarono una terra ideale da sfruttare e vi si insediarono, radicandovisi, nonostante la presenza di ben organizzate popolazioni africane, rispetto alle quali essi si comportarono con la presunzione della loro superiorità culturale e della legittimità delle proprie azioni. L'opera di colonizzazione e di sfruttamento, particolarmente dei boeri, di origine olandese, e dei loro discendenti, gli afrikaners, mossi dagli ideali produttivistici e di arricchimento, propri dell'etica europea (motivazioni ampiamente politiche ebbero invece i sopraggiunti inglesi, che riuscirono ad annettere il Paese alla Gran Bretagna ma non a sottrarre ai boeri le leve del potere economico), ha trasformato nel giro di appena due secoli l'intera geografia del Sudafrica. Sono sorte splendide città, sono state create piantagioni, aperte miniere ricchissime, avviate attività industriali. Tutto ciò è avvenuto secondo una politica che ha rigidamente escluso le masse africane da ogni partecipazione ai benefici derivati dalle nuove forme di economia; esse sono anzi state strumentalizzate proprio per realizzare quelle imprese che hanno fatto la ricchezza del Paese. La conquista del potere in Mozambico e in Angola da parte di movimenti progressisti (1975) ha per la prima volta creato problemi al regime politico del Sudafrica basato sullo “sviluppo separato delle comunità razziali”, ossia sull'apartheid, il principio di rigida separazione razziale in virtù del quale i bianchi, discendenti dai colonizzatori, benché in forte minoranza numerica, detenevano ogni potere. Dopo una fase (durata fino al 1987-88) in cui il governo sudafricano tentava di fronteggiare tali difficoltà rafforzando la propria presenza militare negli Stati confinanti, sottoponendo il Paese a uno sforzo particolarmente oneroso e aggravando la già pesante condizione di isolamento nel quadro internazionale, a partire dal 1989, con l'avvento di nuove personalità politiche, si verificava un deciso mutamento nei rapporti sia interni sia esterni. Le leggi razziste venivano progressivamente attenuate e si avviava un processo di riconciliazione che (pur non privo di incertezze e contraddizioni da parte sia dei gruppi dirigenti bianchi, sia dei movimenti presenti in seno alla popolazione di colore, a sua volta molto diversificata sotto il profilo etnico e culturale) ha aperto nuovi orizzonti di civile convivenza e di sviluppo portando, infine, al formale abbattimento dell'apartheid: punto di arrivo della lunga lotta per il superamento della segregazione razziale e, al tempo stesso, punto di partenza per raggiungere una reale integrazione razziale, economica e regionale. Agli inizi del XXI secolo il Sudafrica è il Paese più avanzato del continente, ha consolidato il suo ruolo di potenza regionale e di economia trainante. Il grande problema interno è costituito però dal dilagare dell'AIDS e dalla forte disoccupazione, che riguarda circa un quarto della popolazione. Sono stati svolti grandi lavori infrastrutturali in occasione dei campionati mondiali di calcio del 2010.




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LO STATO


Dalla Federazione delle ex Repubbliche Boere nacque, nel 1910, l'Unione Sudafricana, dominio autonomo della Corona britannica, pienamente indipendente dal 1931.

Nel 1961, in seguito alla condanna internazionale dell'apartheid, e alla conseguente uscita del Paese dal Commonwealth, fu proclamata la Repubblica.

Nell'ottobre del 1993, il Parlamento ha approvato la nascita di un Consiglio esecutivo transitorio, al quale partecipavano tutti i partiti
politici (inclusi i rappresentanti dei neri).

È stata questa una svolta importante dopo 350 anni di dominio assoluto dei bianchi che poi ha aperto la strada all'approvazione di una Costituzione provvisoria prima (novembre 1993) e della nuova Costituzione, poi (1997) che garantisce la convivenza multirazziale attraverso la piena tutela dei gruppi di minoranza.

Il presidente della Repubblica è eletto dall'Assemblea nazionale ed esercita il potere esecutivo.


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Territorio: geografia umana

La popolazione del Sudafrica è formata per il 79,8% da africani bantu, per l'8,7% da bianchi, per l'8,9% da coloureds e per il 2,6% da asiatici. Gli africani, in sensibile aumento rispetto ad altri gruppi etnici, appartengono a due grandi famiglie etnico-linguistiche: i Khoisan (boscimani, ottentotti, bergdamara) e i bantu. I primi sono gli eredi degli originari abitatori del Paese, cacciatori e raccoglitori nomadi, i quali sono stati progressivamente respinti verso le zone desertiche del Kalahari dapprima dai bantu, sopravvenuti in diverse ondate da N e da NE, quindi dai bianchi, la cui colonizzazione del Sudafrica ebbe inizio dalla baia della Tavola, dove fu fondata nel 1652 Città del Capo, e la cui conquista territoriale volse soprattutto verso N e verso E. I bantu sono a loro volta divisi in numerosi gruppi etnici, di cui i maggiori sono i nguli, i sotho e i tswana. Tra tutti gli zulu restano giustamente famosi per essere riusciti a organizzare nel sec. XIX un regno potente che non solo si impose su gran parte dell'Africa sudorientale, ma che combatté coraggiosamente contro i bianchi. I bianchi sono per la maggior parte i discendenti dei primi colonizzatori e immigrati dai Paesi Bassi (afrikaners) e inglesi, quindi di tedeschi e altri immigrati da vari Paesi europei. L'incremento della popolazione bianca, oggi quasi interamente dovuta alla naturale dinamica demografica, fu nel sec. XIX e nei primi decenni del sec. XX largamente determinato dall'immigrazione: nell'antica provincia del Transvaal nel periodo 1890-1911 il numero degli europei, qui attratti soprattutto dalla scoperta dei ricchi giacimenti di oro e diamanti, passò da 119.000 a 421.000 ab. Ormai l'immigrazione è cessata e il più elevato tasso d'incremento naturale dei bantu determina un progressivo aumento della popolazione africana rispetto a quella bianca. Un certo peso ha la percentuale dei coloureds, che sono stanziati soprattutto nella provincia del Capo Occidentale; costituiscono un gruppo razzialmente dei più eterogenei, nati per lo più da antichi incroci tra bianchi e schiave ottentotte; tra i meticci vengono compresi anche i cosiddetti malesi del Capo, discendenti da schiavi introdotti nel secolo scorso da svariate regioni asiatiche, ma che costituiscono un gruppo ben definito per religione, essendo tutti musulmani. I meticci vanno aumentando sensibilmente sia per incremento naturale sia per l'apporto continuo di altri elementi nati da nuovi matrimoni misti: erano ca. 770.000 nel 1936, superavano nel 1990 i 3 milioni. Anche gli asiatici sono relativamente numerosi: a parte piccoli gruppi di cinesi si tratta di discendenti degli indiani fatti affluire nel KwaZulu-Natal (dove sono tuttora concentrati) per essere adibiti ai lavori di piantagione della canna da zucchero. Quando nel 1913 ne fu vietata l'immigrazione, per evitare l'ulteriore aggravarsi del problema razziale, assommavano a ca. 143.000, sestuplicati in meno di ottant'anni. La dinamica demografica del Sudafrica è vivace; il tasso di mortalità è uno dei più bassi del mondo per quel che concerne la popolazione bianca, ma alquanto ridotto anche per gli africani e i coloureds. La popolazione presenta una densità media piuttosto bassa (43 ab./km²) e una distribuzione assai irregolare: è concentrata nelle regioni orientali che offrono più vantaggiose possibilità agricole e industriali, specie lungo le coste del KwaZulu-Natal, la provincia agricola più ricca. In passato, in questa zona gli africani si concentravano soprattutto nelle numerose riserve della regione; le riserve (dette Bantustans), che erano frammentate ai margini delle terre occupate dai bianchi (ovviamente le migliori), accoglievano ca. metà della popolazione africana, rispettando i legami etnici; i vari gruppi vi svolgevano le tradizionali attività agricole e di allevamento e abitavano in villaggi di capanne di forma circolare, sviluppate intorno al recinto per il bestiame, il kraal. Delle nove province attuali in cui è suddiviso il Paese, quella maggiormente abitata è il KwaZulu-Natal, seguita dal Gauteng e dal Capo Orientale; il Capo Settentrionale, invece, nonostante sia la provincia con la superficie territoriale più estesa, ha una popolazione che si aggira appena intorno a 1 milione di unità. Valori compresi tra gli oltre cinque milioni del Limpopo e i 2,9 milioni dello Stato libero si registrano, invece, nelle altre cinque province del Paese. Anche la composizione etnica della popolazione varia da provincia a provincia: i bianchi, per esempio, rappresentano il 30% degli abitanti del Gauteng e il 25% di quelli del Capo Occidentale, mentre costituiscono soltanto un'esigua minoranza nel Limpopo, in quella del Capo Orientale e nel KwaZulu-Natal. In quest'ultima provincia, pur predomimando gli zulu, sono d'altra parte concentrati quasi tutti i discendenti di quegli indiani qui richiamati nell'Ottocento dal lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero. La popolazione urbana è percentualmente tra le più elevate dell'Africa: nel 2012 era ormai il 62,4%. Anche dopo l'abolizione del regime di apartheid e con oltre la metà della popolazione del Paese residente in città, comunque, sono prevalentemente i bianchi, gli asiatici e e i coloureds a risiedere nei centri urbani; i neri, quando non vivono nei villaggi rurali, lavorando nelle piantagioni, restano confinati nei quartieri-ghetto alle periferie delle città (si pensi al caso di Soweto, nei pressi di Johannesburg, più volte teatro di aspre manifestazioni di protesta). Città del Capo è sicuramente una delle città più ricche di tutto il continente. La sua posizione di porto di rifornimento sulle vie delle Indie le attribuì subito un ruolo prezioso, mantenuto anche successivamente; la presenza di varie industrie e di un apparato produttivo di prim'ordine, insieme alla sua importanza politica e culturale, ne hanno arricchito le funzioni. Una serie di opere urbanistiche di rilievo (tra queste la realizzazione di una rete autostradale cittadina) intraprese nel secondo dopoguerra ne hanno cambiato profondamente il tessuto urbano; il suo agglomerato supera infatti i 3 milioni di ab. Johannesburg, invece, è la capitale economica del Paese, sviluppatasi proprio in seguito alla scoperta di un giacimento aurifero e alla conseguente realizzazione delle infrastrutture per il suo sfruttamento. Capitale degli affari, sede di attività terziarie di livello elevato, sorge aòl centro di un'area intensamente urbanizzata, tanto da formare, insieme ai centri siderutgici di Vereeniging e Vanderbjil Park, a tutta una serie di città satellite e a Pretoria, la conurbazione nota come PWV (ovvero Pretoria-Witwatersrand-Vereeniging). Tanto a Città del Capo quanto a Johannesburg sono evidenti le tracce della politica di apartheid sulla struttura urbanistica: le zone residenziali, situate al centro della città e vicine alle sedi amministrative o a Johannesburg agli uffici delle compagnie minerarie), sono abitate dalla minoranza bianca; nei quartieri posti ai margini, invece, sono relegati i ghetti neri (townships), quartieri dormitorio occupati per lo più dagli operai che lavorano nelle industrie. Pretoria è la capitale amministrativa del paese, e quindi centro del terziario pubblico. Capoluogo di quella che era la ricca provincia del Transvaal, suddivisa tra le province del Limpopo, Gauteng, Mpumalanga e in parte del Nord-Ovest, ha un ruolo politico e culturale di primaria importanza. Durban e Port Elizabeth svolgono, invece, un ruolo fondamentale nei traffici portuali: si tratta, nel primo caso, del maggiore porto del Paese (e uno dei meglio attrezzati di tutto il mondo), quello cui fa capo il trasporto delle materie prime e attraverso cui passano gran parte delle merci dirette sia all'interno del Paese sia all'estero; nel secondo, di quello che, nel rispondere alle esigenze economiche del suo entroterra, ha visto svilupparsi soprattutto i traffici di frutta, lana e pelli. Bloemfontein, infine, moderno centro industriale e commerciale, è la capitale giudiziaria del Paese.




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Cultura: generalità

Nei primi anni del Duemila il Paese sta ancora cercando la propria strada; mentre le strade pulsano con la stessa determinazione e ottimismo che infiammarono la lotta per la lilberazione, la realtà appare dura e complessa. Le maggiori piaghe che tormentano il Paese sono la violenza, la disoccupazione e l'AIDS, e la popolazione ormai è divisa non più per il colore della pelle ma per classe sociale. I sudafricani amano molto lo sport; le discipline più popolari sono il calcio (il Sudafrica ospiterà i campionati del mondo nel 2010), il rugby e il cricket. Le manifestazioni organizzate nel Paese sono numerose e legate ai diversi gruppi etnici. In febbraio e in aprile, per esempio, si tiene il Kavadi Festival a Durban, importante festa indù in occasione della quale i devoti si infilzano la carne con degli spiedi in segno di devozione. Underberg ospita, in aprile, lo Splashy Fen Music Festival, con musica pop, rock e jazz. Nel mese di luglio, a Grahamstown, ha luogo il National Arts Festival, vetrina di tutte le manifestazioni artistiche sudafricane. In Sudafrica non si può parlare di una cucina tipica. Anche i coloni che vi sono giunti hanno portato sapori e ingredienti diversi: una farina di mais che è ingrediente base per gli africani, le salsicce speziate (boerewors) o la carne secca (biltong) degli afrikaners, il curry degli indiani. La birra è la bevanda nazionale, mentre molto noti e famosi stanno diventando i vini qui prodotti. Nel 2008 erano cinque i siti culturali designati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO: le aree di Sterkfontein, Swartkrans e Kromdraai dove sono stati trovati resti fossili di ominidi (1999, 2005); Robben Island (1999), base militare e prigione tra il XVII e il XX secolo; l'uKhahlamba/Drakensberg Park (2000), sito misto sia naturale sia culturale, che ospita antiche pitture rupestri del popolo san; l'area di Mapungubwe (2003), caratterizzata dai resti dell'antico regno omonimo; il paesaggio e la regione del Richtersveld, dove trascorrono la loro vita pastorale e seminomade i gruppi nama.




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Cultura: letteratura. Generalità

Il Sudafrica presenta un fenomeno di pluralismo linguistico e culturale che ha dato luogo a diverse letterature parallele. La politica è stata determinante nella scelta della lingua letteraria: la letteratura in afrikaans (risalente all'olandese e parlata dai boeri) deriva dal nazionalismo boero, quella in inglese è centrata sul problema razziale, mentre la politica dello sviluppo separato ha causato la morte di una promettente letteratura bantu.


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Cultura: letteratura in afrikaans

La letteratura afrikaans iniziò nella prima metà del sec. XIX, dapprima con sporadici scritti di secondaria importanza, fra cui però si distinse la più antica opera teatrale: Il nuovo ordine dei cavalieri di Ch. E. Boniface. Dal 1875 si sviluppò, nella provincia del Capo, il movimento “Genootskap van Regte Afrikaners” (Associazione degli Afrikaners purosangue), che considerava l'afrikaans lingua nazionale e letteraria. A capo del movimento era il pastore S. J. du Toit (1847-1911), polemista, linguista e romanziere, che iniziò la traduzione della Bibbia. La guerra anglo-boera ispirò una poesia patriottica, che esaltava le sofferenze e l'eroismo della razza. Questi temi caratterizzarono la produzione di buon livello artistico del “Tweede Beweging” (secondo movimento per l'afrikaans), in cui si distinsero i poeti-pionieri C. L. Leipoldt (1880-1947), J. F. Celliers (1865-1940) e Totius (pseudonimo di D. J. du Toit, 1877-1953), cantori della lotta di liberazione dal giogo inglese. Frattanto, il poeta E. Marais (1871-1936) annunciava la generazione degli anni Venti, attenta ai nuovi problemi politici, economici e religiosi, che trovò nella poesia non-conformista di Toon van den Heever (1894-1956) la sua espressione più alta. La prosa, confinata in un realismo idealizzato, esprimeva l'elemento rurale, patriarcale, con gli scrittori C. M. van de Heever (1902-1957), D. F. Malherbe (1881-1969) che fu anche buon poeta, C. J. Langenhoven (1873-1932), J. van Bruggen (1881-1957), e i commediografi J. W. Grosskopf (1885-1948) e H. A. Fagan (1899-1963). Il movimento degli anni Trenta (“Beweging van Derting”) portò la poesia afrikaans alla sua maturità. Fu dominante la potente personalità di N. P. van Wyk Louw (1906-1970) con un'opera multiforme che raggiunse il suo apice con le poesie di Tristia e il dramma epico Raka (1941). Riallacciandosi a due precursori, lo stilista Sangiro (pseudonimo di A. A. Pienaar, 1894-1979) e il poeta A. G. Wisser (1876-1929), la generazione degli anni Trenta aggiunse, con U. Krige (1910-1987), Elisabeth Eybers (1915-2007) e I. D. du Plessis (1900-1981), una nuova prospettiva alla poesia afrikaans, superando regionalismo e nazionalismo in una visione universale. La forte coscienza sociale e l'acuto senso dell'attualità, tipici di Uys Krige, si riscontrano anche nella generazione degli anni Quaranta (S. J. Pretorius, 1917-1995, e soprattutto D. J. Opperman, 1914-1985). Negli anni Cinquanta apparvero nuovi scrittori con i quali l'interesse andò via via dilatandosi dal particolarismo a temi più universali. Si preparava così la strada agli autori degli anni Sessanta e Settanta, quali F. A. Venter (1916-1997). In queste più giovani generazioni la solidarietà con la tribù boera tende a dissolversi, per lasciare il campo al silenzio o alla critica più o meno esplicita. Fra gli scrittori più impegnati nell'opposizione all'ideologia dell'apartheid si segnalano il romanziere A. Brink (n. 1935) e il poeta B. Breytenbach (n. 1939), rimasto in carcere dal 1975 al 1982. Anche in teatro si affermano tendenze analoghe, con una problematica che (specie nelle opere di Krige) supera i limiti della pura documentazione storica. Dagli anni Settanta si assiste alla disolidarizzazione di molti scrittori dalla politica dell'apartheid. La letteratura critica una comunità soffocante perché chiusa in se stessa, caricandosi talvolta di disperata violenza. I poeti della giovane generazione, come W. Knobel, H. Rall, Fanie Oliver, preferiscono i ritmi sincopati, i simboli universali, e delineano, nei loro versi aggressivi e amari, la speranza di una liberazione dalla vergogna dell'apartheid. Fra gli autori teatrali segnaliamo P. D. Uys, J. Senekal, H. Grové. Fra i prosatori si distinguono D. Erlank, M. E. R. Kwartet, D. Jacobs, T. Du Toit e P. J. Schoeman. Negli anni Ottanta la letteratura appare sempre più contestataria, da Karel Schoeman a John Miles, o allegorica con Elsa Joubert. L'angoscia per una realtà che s'apre solo sulla lotta o sulla fuga traspare nelle novelle di A. Strachan e nelle opere in prosa e in versi di E. van Heerden. I romanzi simbolici di E. le Roux, quelli di A. Brink, Elsa Joubert e Chris Barnard si situano in una prospettiva militante e talvolta apocalittica.




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Cultura: letteratura in inglese

La letteratura in inglese iniziò nel sec. XIX con Th. Pringle (1789-1834), poeta impegnato che si batté contro la schiavitù. Ebbe tuttavia una visione ancora “coloniale” del Sudafrica, condivisa da poeti come W. Scully (1855-1943) e A. S. Cripps (1869-1952). Di maggior valore sono i versi di F. Carey Slater (1876-1958), che, descrivendo i tratti più tipici della sua terra, fu all'origine di quella letteratura peculiarmente sudafricana che ha trovato un'espressione di rilievo nelle liriche delicate e nella vigorosa satira di R. Campbell (1901-1957), nei versi di R. N. Currey (1907-2001), F. T. Prince (1912-2003), A. Delius (1916-1989), Ch. Eglington (1918-1972), Guy Butler (1918-2001) e, fra i più moderni, Adèle Naudé (1910-1981), Ruth Miller (1919-1969), David Wright (1920-1994), S. C. Clouts (1926-1982), Perseus Adams (n. 1933). Ai suoi inizi, la narrativa aveva trattato romanticamente la grande avventura nazionale: il Grande Trek, la dura vita dei pionieri, le lotte con gli indigeni. Ma già la descrizione realistica di una società patriarcale e contadina era apparsa nel celebre romanzo di O. Schreiner (1855-1920), The Story of an African Farm (1883; Storia di una fattoria africana), e nei romanzi e novelle di Ethelreda Lewis (1875-1946), Pauline Smith (1884-1959), H. C. Bosman (1905-1951). Nel primo dopoguerra, Sarah Geltrude Millin (1892-1968) introdusse nella letteratura il tema dei rapporti razziali, con il romanzo God’s Step-children (1924; I figli abbandonati da Dio), che, nel secondo dopoguerra, fu tema dominante del celebre romanzo Cry the Beloved Country (1948; Piangi terra amata) dello scrittore liberale A. Paton (1903-1992). Quest'opera è all'origine di una letteratura di protesta contro l'apartheid, più umanitaria che politica, che alterna la collera o la pietà a un'obiettiva rappresentazione realistica. Molti di questi scrittori furono costretti all'esilio, o non ebbero la possibilità di pubblicare in patria le loro opere. Fra i più notevoli J. Cope (1913-1991), oltre alla grande narratrice N. Gordimer (n. 1923), il cui romanzo The Conservationist ottenne, nel 1974, il premio Brooker degli editori britannici. Un'appassionata opposizione alla politica dell'apartheid, insieme a un'analisi dei difficili rapporti interrazziali, hanno rappresentato una costante nella produzione della Gordimer, che dopo aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura nel 1991 ha pubblicato una raccolta di racconti (Jump, 1991; Il salto) e un nuovo romanzo (None to Accompany Me, 1994; Nessuno al mio fianco). Altra voce levatasi a favore della liberazione del popolo nero è quella di J. M. Coetzee (n. 1940), di origine afrikaans, che ha però scelto l'inglese per scrivere, oltre a saggi di critica letteraria, romanzi di ottimo livello, come Age of Iron (1990), nel quale la malattia del protagonista diventa metafora della condizione del Paese, o Master of Petersburg (1994), incentrato sulla dialettica del potere. Il racconto delle tragiche conseguenze subite da chi aveva scelto di opporsi attivamente al regime ha dato vita a una vera e propria letteratura femminile “dal carcere”, di cui è esemplificativa l'antologia di scritti di donne sudafricane A Snake with Ice Water: Prison Writings by South African Women (1992). Ma vi sono anche romanzieri favorevoli all'apartheid, come S. Cloete (1897-1976), altri che non prendono posizione, come D. Rooke (1914-2009), o che si fanno paladini dei boscimani, come L. van der Post (1906-1996). Questa letteratura, in cui la prosa prende il sopravvento sulla poesia, è in fondo senza radici, orientata verso Londra e New York. Il simbolo che ricorre più spesso è quello dell'esiliato, del viandante, che attraversa strani Paesi e strani popoli. Di fronte al mondo africano, primitivo, sconcertante, incomprensibile, si aprono due alternative: la riaffermazione dei valori della patria d'origine, o la riscoperta della natura come pura innocenza, sensualità primordiale, realtà anteriore all'uomo. La letteratura degli anni Settanta è fortemente condizionata dal contesto politico. Prevale però la poesia, che tratta sovente temi tradizionali (P. Horn, B. Levinson, Chris Mann), o critica parodisticamente il sistema (Chris Hope), ma esprime anche un senso di rivolta e di estraneità (W. Jensma, M. Nicol). In campo poetico si segnalano inoltre D. Livingstone, D. Wright, A. Perseus, Geraldine Aron, S. Bryer, J. Davids, R. Dederick, D. Farrel, P. Haring, P. Strauss, M. Swift, L. J. Marois, M. Damian, H. Wigget, R. Beeton. Fra i più significativi autori teatrali citiamo F. Dike. È una letteratura di protesta, che rivela un'angoscia profonda e un conflitto interiore determinato dalla situazione socio-politica. Un ruolo importante nella promozione di tale letteratura spetta a due notevoli riviste: Classic e Staffrider, a importanti case editrici e alle università. Anche in campo teatrale si nota la sfida allo statu quo e l'ansia di rinnovamento. In genere, gli autori si ispirano all'opera, unica per valore e risonanza, di A. Fugard. Fra i più noti si distinguono P. Dirk-Uys, P. Slabolepszy, B. Simon.




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Cultura: letteratura autoctona (zulu, xhosa, bantu)

Prima del contatto col mondo occidentale esisteva una letteratura orale. Quella zulu, espressione di una comunità guerriera, esaltò l'eroismo in canti epici antichissimi, che raggiunsero l'apogeo nella prima metà dell'Ottocento, contemporaneamente alle gesta del condottiero Chaka. Questi canti encomiastici, o izibongo, di cui il grande poeta Magolwane fu il creatore, divennero, dopo la fine della potenza zulu, canti di nostalgia per le glorie passate e perdurano ancora oggi. Il poeta Mazisi Kunene (1930-2006) ne ha fatto una raccolta e traduzione inglese (Zulu Poems, 1970). Nella prima metà del sec. XX le tre principali lingue parlate nel Sudafrica ebbero una grande fioritura letteraria, che raggiunse l'apice negli anni Trenta, e decadde quindi in seguito alla legge sull'educazione bantu (1955), che soppresse le scuole missionarie. Furono infatti i missionari a trascrivere in lettere latine tali lingue e a formare delle élites colte che fecero capo a tre centri spirituali, corrispondenti a missioni dotate di case editrici. La letteratura xhosa si sviluppò presso la missione scozzese di Lovedale e fu illustrata, fra l'altro, dai romanzieri G. B. Sinxo (1902-1962) e A. C. Jordan (n. 1906), dal poeta, romanziere e drammaturgo J. J. R. Jolobe (1902-1976) e dal poeta e romanziere S. E. K. Mqhayi (1875-1945). La letteratura zulu fiorì presso la missione cattolica di Mariannhill e contò fra i suoi maggiori esponenti i poeti B. W. Vilakazi (1906-1947) e H. J. E. Dhlomo (1905-1956) e il romanziere C. L. S. Nyembezi (1919-2001). Questi scrittori operarono una sintesi fra i valori e gli stili della propria civiltà e quelli della cultura europea. Se la prima generazione accettò in blocco la superiorità occidentale, già alcuni scrittori espressero, in inglese, la protesta per un'emancipazione troppo a lungo attesa e invano, come S. T. Plaatje (1877-1932), autore del romanzo Mhudi (1930), D. D. T. Javabu, H. J. E. Dhlomo, la novellista B. M. Malefo, W. Msomi e R. Mazisi Kunene. La rivolta sfociò quindi nella lotta politica, orientata verso la non-violenza in A. Luthuli (1898-1967), premio Nobel per la pace 1961, per il volume Let My People Go (1953; Libertà per il mio popolo), o verso un'amara testimonianza, spesso autobiografica, come nel notissimo romanziere P. Abrahams e in Alex La Guma (1925-1985), Richard Rive (1931-1989), W. B. Modisane (1923-1986), Alfred Hutchinson (1924-1972), E. Mphahlele e L. Nkosi (n. 1936), autori che, in genere, hanno dovuto scegliere l'esilio. Se, sino alla fine dell'apartheid, la letteratura in lingue bantu è costretta dalla legislazione razzista a vegetare in uno scialbo conformismo, la letteratura nero-africana in inglese si rivela invece viva e valida e rispecchia uno stato d'animo d'angoscia e di tensione violenta che l'apparenta a quella dei afroamericani. Questa esigenza trova espressione soprattutto in poesia, preferita in quanto strumento più universale e più adeguato a eludere i rigori della censura: rifacendosi a precursori come D. Brutus (n. 1924), A. Nortje (1943-1970), J. Matthews (n. 1929) e O. Mtshali (n. 1936), i più giovani eredi rimasti in patria affidano ai loro versi un disperato messaggio di rabbia e di rivolta. Il teatro è diventato, a partire dal 1976, un aspetto della resistenza culturale e un contributo alla lotta politica. Si propone di testimoniare, accusare, mobilitare e si indirizza a un proletariato nero, urbano, sradicato dall'antica civiltà tribale. I suoi migliori rappresentanti sono C. V. Mutwa, Nthuli Shezi, G. Kente, H. Dube e B. L. Leshoai. Uno dei rappresentanti della letteratura contemporanea sudafricana più interessanti è Z. Mada (n. 1948), il cui testo Ways of Dying (1995) segna il suo passaggio da poeta a romanziere; la sua opera recente The Whale Caller (2005) ci offre uno sguardo scettico sul dilagante ottimismo del nuovo Sudafrica.




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Cultura: letteratura in indiano

La letteratura della comunità indiana esprime, attraverso le liriche di F. Asvat, P. Essop, P. S. Joshi, A. N. Suveh Singh e il teatro di R. Govender, la difficoltà di vivere in un Paese multirazziale.
Cultura: arte

Della produzione indigena contemporanea è da segnalare la decorazione murale con ocre a opera degli nguni e dei gruppi sotho, che usano ricoprire le pareti di capanne e cortili con disegni svariatissimi. I sotho, come i vicini venda, sono noti anche per la loro bella ceramica, decorata con motivi incisi e dipinti. La colonizzazione olandese ha dato un'impronta specifica all'urbanistica e all'architettura delle città, sorte nei sec. XVII e XVIII come luoghi di rifornimento per le navi della Compagnia olandese dell'India Orientale. I primi nuclei urbani si svilupparono intorno ai forti e ai presidi militari olandesi dal sec. XVII al XIX (Città del Capo), inglesi nel sec. XIX (Port Elizabeth, Johannesburg, Pretoria). Il primo forte fu quello del Capo di Buona Speranza, costruito nel 1652 dall'olandeseJ. van Riebeeck; a pianta stellare, l'edificio, benché rimaneggiato, mantiene il suo aspetto di fortezza rinascimentale. Intorno a esso sorse un primo nucleo urbano, De Kaap (poi Città del Capo), che conserva ancora la sua struttura primitiva, a carattere spiccatamente olandese, e alcuni edifici settecenteschi, come il Municipio; caratteristiche le case con tetti a ripidi spioventi e semplici facciate sormontate da frontoni decorati da rilievi, frequenti anche in altri centri vicini. Con la colonizzazione inglese (dal 1806) e l'ulteriore sviluppo dell'espansione olandese, si fondarono nuove città e si ingrandirono i centri più antichi, dotandoli di architetture di tipo europeo. Il neoclassico, il neogotico, il neorinascimentale e il georgiano furono gli stili più diffusi. A Pretoria, fondata nel Transvaal nel 1855, sorsero in stile rinascimentale il palazzo del Consiglio provinciale e la Cattedrale anglicana; in stile neoclassico l'Union Building, ora Palazzo del Governo (1910-13), opera di H. Baker. Architetti come Naude, Helmut, Eaton e altri hanno contribuito a dare alla città la sua odierna fisionomia, con ampie zone verdi, centri residenziali e un centro a carattere amministrativo, che raggruppa gli edifici pubblici e gli edifici universitari. A Johannesburg sono neoclassici il Municipio, la Free Mason's Lodge e la vecchia università. Criteri costruttivi nuovi contraddistinguono gli edifici della stazione, della biblioteca, della Johannesburg Art Gallery, della South African Airways Company e dei nuovi padiglioni dell'università fondata nel 1922. Tra il 1925 e il 1940 si è sviluppata l'architettura razionale ad opera di R. Martienssen, W. G. McIntosh, N. L. Hanson e altri. Dopo la seconda guerra mondiale c'è stata una netta influenza dell'architettura americana. Per la tipologia del terziario si è adottato il modello americano con particolare riferimento ai lavori dello studio Skidmore Owings ) Merrill. Questa apertura verso un modernismo più eclettico è stato poi ripreso da D. Cowin e H. Le Roith. Nel campo delle arti figurative, il Sudafrica è rimasto sostanzialmente estraneo alle più vivaci correnti europee e americane. Dopo pittori quali H. Naudé e P. Wenning, paesaggisti legati alla tradizione ottocentesca, notevole influsso ha esercitato l'espressionismo di I. Stern e M. Laubser. Fra gli artisti contemporanei, solo J. H. Pierneef e D. Portway si sono dimostrati sensibili alle correnti europee d'avanguardia, mentre molti altri preferiscono rifarsi alla tradizione locale o ai motivi delle culture indigene. Analoghe tendenze si riflettono nella scultura, rimasta a lungo di mediocre livello e il cui maggiore esponente contemporaneo, M. Kottler, si ispira all'arte africana.




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Cultura: musica

Il panorama della musica nel Sudafrica appare estremamente articolato. Si possono individuare quattro filoni principali: la musica colta e di consumo di tipo euro-americano, che ha i suoi centri nelle principali città del Paese; la musica popolare dei gruppi inglesi; quella dei gruppi olandesi (boeri) e infine la musica nera tradizionale e recente. La musica di tradizione euro-americana dispone di buone scuole, ospitate, ai livelli superiori, nelle università di Città del Capo, Grahamstown, Port Elizabeth, Stellenbosch, Bloemfontein, Johannesburg, Potchefstroom, Pretoria. Ottimi complessi orchestrali agiscono a Città del Capo (che dispone anche di un teatro d'opera), Durban e Johannesburg. Nel complesso tuttavia, né sul piano esecutivo, né su quello compositivo il Paese ha prodotto personalità di spicco internazionale. Del repertorio popolare dei coloni bianchi, più che l'inglese che ha mostrato scarse qualità di adattamento e trasformazione in relazione alla nuova situazione, si segnala quello degli afrikaners, legato ai temi della colonizzazione e della guerra anglo-boera. La musica nera presenta caratteri simili a quelli dell'area sudorientale del continente africano: come caratteri distintivi emergono l'alta importanza sociale dedicata al tamburo, la tendenza a un uso elaborato della struttura polifonica (a discapito della ricerca di ritmi complessi), la messa in evidenza dei rapporti tra capo e coro in diverse varietà di stile responsoriale, la valorizzazione di schemi tonali nell'invenzione melodica, la larga pratica corale. Inoltre il Sudafrica è l'area geografica africana nella quale più attivi sono il processo di conservazione e di elaborazione creativa del folclore musicale autoctono e di ricerca di nuovi modi espressivi, che pur nell'elaborazione colta rispettino i dati musicali originali.




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Cultura: spettacolo

I primi esempi di teatro professionale risalgono alla fine del sec. XVIII, ma fu soltanto un secolo dopo, in coincidenza con la scoperta dei giacimenti di diamanti e delle miniere d'oro, che si costruirono teatri permanenti. Vi recitavano compagnie straniere, soprattutto inglesi, e gruppi amatoriali locali, in inglese (con un repertorio di successi commerciali importati da Londra e da Broadway) e in afrikaans (con testi originali, in massima parte melodrammi strappalacrime). Nel 1947 fu istituita un'Organizzazione del Teatro nazionale: ne dipendono compagnie ormai professionali, che recitano nelle due lingue ufficiali, un teatro d'opera e alcune formazioni ballettistiche. Sono state costruite o adattate numerose sale, molte delle quali di ridotte dimensioni e con intenti sperimentali. Non si sa molto delle attività teatrali della popolazione nera se non per quanto concerne alcuni prodotti di carattere eminentemente folclorico che il governo incoraggia e anche esporta. Invece il teatro di protesta è stato, sino agli inizi degli anni Novanta, pesantemente condizionato dalla censura e da una normativa di rigida discriminazione etnica. Oltre alle compagnie clandestine di colore, si sono sottratti in parte a questi vincoli alcuni gruppi privati operanti nell'ambito di circoli culturali: l'attività più notevole è quella promossa da Athol Fugard (n. 1932), massimo drammaturgo nazionale assai noto anche all'estero. Un musical come King Kong (1969), per esempio, o un adattamento del Macbeth col titolo Umbatha (1971) si sono visti anche in Europa. Nel paese continua a essere molto popolare l'Eoan Opera Group, una compagnia tutta di neri che rappresenta anche opere liriche e organizza spettacoli di diverso genere. Nato nel 1976, il Market Theatre di Johannesburg ha ospitato negli anni numerose commedie anti-apartheid, così come molte prime di spettacoli di successo di Athol Fugard. La sua storia si interseca strettamente con la lotta culturale, sociale e politica per la libertà nel Paese.




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Cultura: cinema

Il cinema nacque a Johannesburg negli anni Dieci del Novecento col cinegiornale settimanale The African Mirror, e con la società African Film Productions di I. W. Schlesinger che monopolizzò a lungo la produzione di film bianchi per bianchi, di consumo esclusivamente interno: per lo più epopee storiche evocanti vittorie militari di boeri o di inglesi sugli zulu o altri popoli indigeni, integrate successivamente da commedie o film d'avventura. La mancata concorrenza della televisione e lo stimolo affaristico suggerirono anche una produzione per neri, quasi completamente abortita per il controllo della censura governativa. Fin dal 1952 era stato girato, dal britannico Z. Korda, il primo film con attori di colore, Cry the Beloved Country; e nel 1959, clandestinamente, Come Back Africa di L. Rogosin, testimonianza drammatica sull'apartheid e capofila dei film d'opposizione, cui vanno aggiunti il cortometraggio Bantù risvégliati! (1964) del cineasta sudafricano nero L. N'Gakane (autore nel 1966 di Jemina and Johnny, ambientato a Londra su tema antirazzista) e negli anni Settanta i mediometraggi La fine del dialogo e L’ultima tomba a Dimbaza (1976) di N. Mahomo, montati in esilio. Allo stesso decennio appartengono How Long (1976) dal musical di G. Kente (imprigionato durante le riprese), il primo film interamente prodotto e realizzato da neri; Siener in die suburbs (1972) di F. Swart su un veggente di Johannesburg; e ancora i due, scritti e interpretati da A. Fugard e diretti da Ross Devenish, Boesman e Lena (1972), vicenda d'amore e vigorosa denuncia dell'apartheid, e L’ospite, premiato al Festival di Locarno 1977. Per tutti gli anni Ottanta l'apartheid ha continuato a segnare la cinematografia sudafricana. Notevoli le opere di denuncia di N'Gakane (Nelson Mandela, 1985) e Oliver Schmitz (Mapantsula, 1987). Finalmente, con la fine dell'apartheid, il cinema sudafricano ha potuto esprimere soggetti e autori interessanti: nel 2005 il film Il suo nome è Tsotsi del regista sudafricano Gavin Hood ha vinto l'Oscar come migliore film straniero. Nel 2006, con Goodbye Bafana (Il colore della libertà), coproduzione tra Sudafrica, Belgio e Italia, il regista B. August racconta la storia della prigionia di Nelson Mandela attraverso le memorie del suo carceriere bianco.




fonte www.sapere.it/enciclopedia/Sudafrica.html

 
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