| Cultura: letteratura
Centro d'irradiazione della più ricca e suggestiva, forse, fra tutte le culture precolombiane, il Perú divenne dopo il 1543 il più colto e prospero vicereame dell'America ispanica. Emarginando sulle Ande e nella selva milioni di indios, nei nuovi centri urbani creati specialmente lungo la costa (a cominciare da Lima) trionfarono la lingua e la cultura, le istituzioni e i costumi spagnoli. Viceré aristocratici e spesso raffinati (o poeti, come Esquilache) vollero nella capitale l'Università (1551), molte scuole e collegi, tipografie (il primo stampatore fu l'italiano Antonio Ricardo; oltre 4000 furono le opere pubblicate in età coloniale), teatri pubblici (dal 1559 in poi), gazzette di notizie (dalla prima metà del sec. XVII), concorsi poetici, accademie, ecc. Moltissimi, quindi, gli scrittori ecclesiastici e laici, a cominciare dai cronisti e storici della Conquista (Pedro Cieza de León, A. de Zárate, Sarmiento de Gamboa, Jerez, ecc.); e persino troppi i poeti, ammiratori non solo dei massimi spagnoli, da Cervantes a Lope de Vega e a Calderón, ma anche di Ovidio e Dante, Ariosto e Tasso. A tanto fervore di produzione contribuirono i religiosi (specie per la storia e gli studi sulle lingue indigene) e meticci o indios puri come Juan Santa Cruz Pachacuti, Titu Cusi Yupanqui e il singolare Felipe Guamán Poma de Ayala (m. dopo il 1613), primo esaltatore della civiltà incaica. Il primo grande scrittore peruviano fu Garcilaso de la Vega detto el Inca, autore dei Comentarios Reales de los Incas e di La Florida, storia romanzata della conquista. Nel Seicento non vi fu un solo genere in auge nella madrepatria che non avesse immediato e largo successo in Perú: dalla lirica barocca (soprattutto con Juan de Espinosa Medrano, poeta in castigliano e in quechua e grande ammiratore di Góngora) alla satira quevedesca (Juan del Valle Caviedes, ca. 1652-ca. 1697); dal teatro (Pedro de Peralta Barnuevo; Espinosa, Ana Morillo, Valle Caviedes, ecc.) al poema eroico e religioso (Pedro de Oña, autore de El Arauco domado, vissuto in Perú anche se cileno; Diego de Hojeda autore di La Christíada) al racconto (Miscelánea Austral, di Diego Dávalos, 1602) al sainete satirico-popolare (F. del Castillo, J. de Monforte), ecc. Nel Settecento penetrò il pensiero illuministico, culminante nella figura di Pablo de Olavide, famoso anche in Spagna, e nel singolare Lazarillo de ciegos caminantes (1775 o 1776), nonché in una nuova fioritura del teatro e della poesia satirica e popolare, al tempo del viceré Amat e della celebre attrice Micaela Villegas, detta la Perricholi. Agli inizi del sec. XIX, un delicato poeta d'amore, il meticcio Mariano Melgar (1791-1815), fucilato dagli spagnoli a ventiquattro anni, aprì la via, con i suoi preromantici Yaravíes, alla rinascita della lirica indigenista. Poco dopo, l'indipendenza politica e gli influssi romantici aprirono nuovi orizzonti alla poesia, alla storia, alla pubblicistica e al teatro del Paese. Il Perú non ebbe grandi poeti romantici: Manuel N. Corpancho (1830-1863), José A. Márquez (1831-1903), Clemente Althaus, Luis B. Cisneros (1837-1904) e Carlos A. Salaverry (1830-1891), che fu il più originale (Diamantes y perlas, 1869; Albores y destellos, 1871, e il poema filosofico Misterios de la tumba, 1883), furono lirici mediocri. Ebbe invece scrittori satirici di rilievo sia nella poesia sia nel teatro, come Felipe Pardo y Aliaga e Manuel Ascensio Segura; oltre ad altri di secondo piano, tra cui Manuel A. Fuentes (1820-1889), detto el Murciélago (il Pipistrello) dal giornale satirico da lui diretto, e Pedro Paz Soldán Unanúo (1839-1895), poligrafo infaticabile, e, soprattutto, un grande prosatore, Ricardo Palma, le cui Tradiciones peruanas (1872-1919), ampia serie di scene storico-ironiche sul Perú coloniale, restano un testo esemplare e godibilissimo, di inconfondibile cifra stilistica. Anche la narrativa in senso stretto fu coltivata con buoni esiti: Aves sin nido (1889) di Clorinda Matto de Turner fu uno dei primi romanzi realistici e indigenisti pubblicati in America. Saggisti e polemisti pugnaci furono infine Bartolomé Herrera (1808-1864) e Francisco Vigil (1792-1875). Verso la fine del secolo apparve una figura d'eccezione, che aprì una nuova era: Manuel González Prada pubblicista, politico, poeta ed educatore di idee nuove e audaci (Páginas libres, 1894, raccoglie i suoi saggi più rappresentativi). Un rinnovamento poetico fu portato dal modernismo, grazie specialmente a José Santos Chocano e a José M. Eguren, ma anche a José Gálvez (1885-1957), Leónidas E. Yerovi (1881-1917), Abraham Valdelomar (1888-1919), maestro della generazione successiva con la sua rivista Colonida, ed Enrique Bustamante (1884-1936). Il modernismo ebbe una forte influenza anche su originali saggisti e narratori quali Enrique López Albújar (1872-1965) e Ventura García Calderón (1887-1959); e su storici e critici di valore quali Mariano F. Paz Soldán e José de la Riva Agüero. Un posto a sé occupa il politico e saggista José Carlos Mariátegui (1895-1930), animatore di varie iniziative culturali e autore dell'importante Siete ensayos de interpretación de la realidad peruana (1928). Numerosi e delle più varie tendenze sono i poeti del Novecento, tra cui emergono Alberto Guillén (1897-1935), il futurista Alberto Hidalgo (1897-1967), César Vallejo, unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori dell'America Latina. L'influenza di Vallejo sulla poesia ispanoamericana fu fortissima anche negli anni a venire. La generazione surrealista, qui capeggiata da Martín Adán, Carlos Germán Belli (n. 1927), Francisco Bendezú (n. 1928-2004), mediò da lui, rinnovandole sul piano stilistico, tematiche e inquietudini. Tra i rappresentanti della corrente surrealista meritano menzione anche César Moro (1903-1956), che scrisse sia in francese sia in castigliano, e Emilio Adolfo Westphalen (1911-2001), amante del “flusso di coscienza” dominato, però, da un severo stile formale. A questi sperimentalismi si legò, tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento, una feconda assimilazione di esperienze poetiche di matrice europea (Pound, Brecht, Eliot, Pessoa ecc.), con interessanti riscontri in César Calvo (1940-2000), Rodolfo Hinostroza (n. 1941), Antonio Cisneros (n. 1942), Julio Ortega (n. 1942), Jorge Eduardo Eielson (1924-2006), molto vicino alle liriche di Rilke e Rimbaud, Washington Delgado (1927-2003). Sul finire degli anni Settanta si delineano o operano attivamente movimenti (Hora Zero, Estaciones reunidas, Grupo Gleba ecc.), più o meno aggressivi, che da diversa prospettiva propongono sperimentazioni e nuovi moduli lirici, e sopravanza, come non di rado è avvenuto nei Paesi del continente sudamericano, una generazione poetica al femminile, con eccellenze nelle opere di María Emilia Cornejo, Mariela Dreyfus, Carmen Ollé, Blanca Varela. È però soprattutto in ambito narrativo che si sono meglio espresse le potenzialità della letteratura peruviana. Il numero degli autori, che si differenziano per tematiche e stile, è molto vasto. Contributi di un certo rilievo sono stati offerti da José Díez Canseco (1905-1949), Ciro Alegría e José María Arguedas, interpreti, questi ultimi, di una letteratura dal carattere indigenista, Manuel Scorza, Enrique Congrains Martín, Oswaldo Reinoso, che prediligono il mondo giovanile, Miguel Gutiérrez e Mario Bellatín y Laura Riesco. Un cenno, se non altro per il successo editoriale che ha rappresentato, lo merita Carlos Castaneda, antropologo e controverso autore di romanzi-saggi di stampo “new age” su ricerca del benessere e allargamento delle possibilità percettive della coscienza (fra i suoi best-seller A scuola dallo stregone, Una via yaqui alla conoscenza, L’isola del Tonal). Tra i nomi più rilevanti della prosa peruviana ci sono quelli di Julio Ramón Ribeyro (1929-1994), Alfredo Bryce Echenique, Mario Vargas Llosa, forse, tra gli scrittori ispano-americani, il più famoso e tradotto in tutto il mondo insieme a Isabelle Allende, e Harry Belevan (n. 1945). Da segnalare anche gli studiosi della cultura quechua (tra cui J. Basadre e Lara), che riportano pazientemente alla luce le superstiti tracce della letteratura incaica (nel Settecento era già stato rappresentato il drammaOllantay), e l'opera teorica di altri linguisti come Mario Montalbetti (n. 1953), noto peraltro anche per le sue raccolte poetiche.
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