IL FARO DEI SOGNI

America centrale

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view post Posted on 25/1/2020, 18:36     Top   Dislike
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Cinema

Fenomeno da baraccone, spettacolo da un nichelino nei cosiddetti nickelodeons, il cinema è subito concepito negli Stati Uniti come un prodotto da commerciare piuttosto che come un nuovo mezzo d'espressione o di indagine. Gli esordi del Novecento sono infatti caratterizzati meno dalla personalità dei cineasti-pionieri (dominante quella di Griffith) che dalle lotte tra le prime società per la produzione, la distribuzione e l'esercizio, le tre branche in cui si sarebbe presto articolata la complessa e sempre più remunerativa attività. Più tardi le battaglie a colpi di divi (star system) mirano all'accrescimento degli incassi (box office) e conducono alla supremazione non soltanto continentale. Cosicché la situazione cinematografica degli altri Paesi dell'America viene lungamente condizionata dalla fama di Hollywood, dalla sua lezione e dalla sua presenza sul mercato. Si tratta di un influsso per molti aspetti paralizzante e che sposta a tempi e occasioni relativamente recenti l'uscita dal silenzio o dall'ombra (comunque dallo stato d'inferiorità o di soggezione) delle altre cinematografie del continente. Tipico il caso del Canada dove, benché esistesse fin dagli anni Quaranta un National Film Board (Consiglio Nazionale del Cinema), di “nazionale” non furono create che una struttura documentaristica e una scuola di animazione, grazie a due scozzesi: J. Grierson, che pose le basi della prima, e Norman McLaren, che diede slancio alla seconda; entrambe però con caratteri di didattica culturale o di avanguardia intellettuale. Solo negli anni Sessanta sono emersi giovani registi canadesi (francofoni) di film a soggetto, aggregandosi di diritto alle “nuove ondate” allora nascenti nel mondo. Ma già nel decennio successivo il cinema canadese si è visto sempre più umiliato nella sua componente francofona, la più vitale, dalla soverchiante “americanizzazione” della parte anglofona, da sempre inerte sul piano culturale e artistico. Tra le cinematografie latino-americane, invece, la messicana, la brasiliana e l'argentina hanno una storia remota e vantano periodi di più o meno contrastata indipendenza. Nel corso della II guerra mondiale, per esempio, il Messico ha addirittura usufruito della particolare situazione che vedeva impegnati gli Stati Uniti nello sforzo bellico, tanto da sostituirsi per breve tempo a Hollywood nel proporre un modello di cinema spettacolare per l'America Latina. Il cinema del Brasile poi ha tirato le fila di una tradizione autoctona, palesatasi nel passato a intermittenze (e spesso non senza drammaticità), con l'esplosione di una nuova ondata negli anni Sessanta, guidata dal generoso Glauber Rocha, mentre il cinema dell'Argentina, nonostante le sue figure di rilievo e i molti agganci alla storia nazionale, è forse quello che più ha ereditato da Hollywood la continuità di una produzione neutra e commerciale, affidando all'ermetismo elegante, o addirittura alla clandestinità provocatoria, i suoi tentativi anticonformistici più validi. Vitale esempio per i cineasti dell'America Latina, quasi ovunque in movimento negli anni Sessanta, è venuto da Cuba che, nazionalizzata la propria cinematografia, ha proposto in breve tempo una produzione di spicco qualitativo, purtroppo scaduta negli anni Settanta, quando la necessità della propaganda ha favorito un cinema non immune da moduli avventurosi e retorici. Impulsi profondi sono stati provocati poi in ciascun Paese (anche in quelli di nessun passato cinematografico e di perdurante analfabetismo) dalle condizioni ambientali e sociali e dalla necessità e urgenza di un cinema di denuncia, che concedesse il posto d'onore ai problemi di sopravvivenza delle popolazioni indigene, magari parlandone il linguaggio: come è accaduto in Bolivia con i film di J. Sanjines, in Perú, in Cile, in Venezuela e altrove. Ma quelle che erano le grandi speranze suscitate dal cinema del subcontinente latino-americano negli anni Sessanta sono state in larga misura disperse dalla serie di golpe militari che, dopo aver colpito a morte il cinema nóvo brasiliano nel 1964 e ancor più nel 1967 col passaggio dalla dictablanda alla dictadura, hanno troncato nel 1971 lo sviluppo del cinema boliviano e, nel 1973, di quelli argentino e cileno. Eccezioni fatte per Cuba e per il Messico, dove il cinema è stato nazionalizzato nel 1971, e parzialmente per Perú e Venezuela, la repressione si è abbattuta anche sui cineasti. Dal Brasile sono giunte in Italia commedie come Ogni nudità sarà proibita (1973) o Donna Flor e i suoi due mariti (1976) che possono dare un'idea dei mutamenti avvenuti. Se da un lato si è già accennato alla parziale involuzione del cinema cubano, d'altro canto in Messico le importanti novità organizzative e politiche, come la nascita del Frente Nacional de Cinematografistas, non hanno ancora portato a quella rivoluzione di linguaggio e di stile che la carica ideologica sembrerebbe presupporre. Un certo rinnovamento si è verificato negli anni Settanta, invece, proprio nel cinema statunitense, cioè nel cuore del sistema (anche linguistico) dominante. Dopo la profonda e, all'apparenza, irrimediabile crisi di Hollywood a metà degli anni Sessanta, si è proceduto a un riassetto industriale e a un ridimensionamento economico che hanno stimolato una notevole fioritura di nuovi e per lo più giovani cineasti in puntuale coincidenza con le esigenze del pubblico giovanile e il crollo di molti tabù garantiti dall'autocensura puritana. Questa ripresa, abilmente manovrata dai nuovi finanziatori che hanno inglobato i talenti inediti nell'implacabile meccanismo delle superproduzioni, ha provocato in un certo senso un ritorno alle origini, salvo che al colossal storico di tipo romano è subentrato quello catastrofico (Lo squalo) o quello fantascientifico (Guerre stellari, Incontri ravvicinati del terzo tipo). Ma se lo spostamento del centro di gravità da Hollywood a New York ha favorito, con M. Brooks e Woody Allen, una scuola comica ebraica, se il relativo processo di liberalizzazione interna ha giovato ad autori come Cassavetes o Altman, sugli altri Paesi del continente, come anche in Europa e particolarmente in Italia, la forza di espansione di Hollywood ha riconquistato i livelli antichi. Nel corso degli anni Ottanta, infatti, il cinema hollywoodiano è tornato a imporsi con decisione, tanto a livello nazionale che a livello internazionale. Una serie di prodotti spettacolari e rassicuranti, molto spesso dal budget astronomico, pieni di trucchi ed effetti speciali, si è imposta per le sue caratteristiche su ogni mercato. La coppia Spielberg-Lucas, registi e produttori delle loro opere, e in modo più rozzo S. Stallone con le serie di Rocky e Rambo, sono stati i principali fenomeni plurimiliardari negli Stati Uniti. Nello stesso tempo, si è scatenata una grande battaglia tra le case di produzione per la corsa ai guadagni e alla leadership del settore. Si è trattato di un mercato a forte accelerazione, che accanto ad alcune impreviste rinascite (come la Walt Disney attraverso la Touchstone) ha provocato spesso qualche vittima illustre (la Columbia, comprata sul finire degli anni Ottanta dai giapponesi della Sony, la crisi della Metro Goldwyn Mayer). La calamita di Hollywood ha attratto anche parte della creatività dell'America ispanica: dalla rinata cinematografia argentina sono giunti e si sono affermati H. Babenco e Luis Puenzo. Una forte crisi economica, unita a quella politica e sociale, ha invece penalizzato le attività, fiorenti nei decenni precedenti, di scuole cinematografiche ricche di gloria, come la messicana, la cubana e la stessa brasiliana Negli anni Novanta soltanto pochi film dell'America ispanica sono riusciti a imporsi, come Il viaggio (1992) dell'argentino F. Solinas e Fragola e cioccolato (1993) dei cubani T. Gutiérrez Alea e Juan Carlos Tabío. Il cinema hollywoodiano ha così confermato la sua capacità di imporsi a livello internazionale (citiamo solo Jurassic Park di S. Spielberg, 1993, film che ha ottenuto il più alto incasso della storia del cinema con 1000 milioni di dollari). Il successo dei film statunitensi, dovuto anche alla capacità di innovazione del linguaggio cinematografico, ha portato, nella seconda metà degli anni Novanta, a una completa ristrutturazione di molti studios di Hollywood, completando quell'integrazione tra creatività e tecnologia iniziata sul finire del decennio precedente. O. Stone, Quentin Tarantino, J. ed E. Coen, J. Cameron hanno creato un nuovo stile contemporaneo dove la tecnologia più avanzata si è legata all'anarchia delle immagini. Il cinema americano degli anni Novanta resta pertanto dominato dalla produzione statunitense che ha confermato l'assoluto controllo e predominio dei circuiti internazionali, soffocando tutte le cinematografie locali, sia pure in misure diverse a seconda della nazione. Per contro, la necessità di offrire a un mercato cinematografico di dimensioni globali prodotti sempre più colossali e popolari provoca un fenomeno di gigantismo produttivo, dovuto da un lato all'utilizzo massiccio di effetti speciali, che hanno fatto lievitare il costo medio di una pellicola, dall'altro allo strapotere delle star. Per evitare il rischio di implosione, Hollywood vara così nuove strategie, non solo di tipo cultuale – prosegue, infatti, in maniera sempre più massiccia, la migrazione non solo di autori di lingua anglosassone, ma anche registi di formazione europea (gli olandesi Jan De Bont e P. Verhoeven, i tedeschi Wolfgang Petersen e R. Emmerich, il francese J.-J. Annaud, l'italiano Bernardo Bertolucci), latinoamericani (il messicano R. Rodriguez e Alfonso Arau), neozelandesi (Lee Tamahori) e perfino orientali (dal taiwanese A. Lee alla nuova onda dell'action movie di Hong Kong, con J. Woo, Tsui Hark e Jacki Chan) - ma soprattutto atte a diminuire i costi produttivi. Accanto alla ricerca di nuovi e più economici set - che avvantaggiano Canada, Australia, dove viene varata la fortunata trilogia di The Matrix (1999-2002), e in parte la tecnologicamente rinnovata Cinecittà - si assiste alla nascita di nuove compagnie produttive, come la multimediale Dreamworks, che spazia dal cinema, ai videogiochi, alla musica, e soprattutto l'indipendente Miramax, che abbina una politica di produzione, incentrata su film a basso costo, all'importazione di film europei economici (l'inglese Il mio piede sinistro, 1989; l'italiano La vita è bella, 1997) trasformati, con abile politica di marketing, in successi mondiali. Ultimi emblemi del nuovo concetto "minimo costo-massimo rendimento" è, soprattutto, il rivoluzionario The Blair Witch Project (1999), film amatoriale costato 25.000 dollari e trasformato, utilizzando come unica forma di pubblicità la rete mondiale di Internet, in un successo da 100 milioni di dollari.



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Folclore

Motivi indigeni, tradizioni importate dall'Europa, un folclore nero, diverso da quello africano, e un complesso di tradizioni sorte nel periodo coloniale costituiscono il composito quadro folcloristico americano. § L'America Settentrionale conserva prima di tutto una serie ampia di manifestazioni connesse con il popolamento originario (Eschimesi, Amerindi, ecc.), oggi in gran parte trapassate sul piano dell'attrattiva turistica (celebre la danza dell'aquila dei Kiowa negli USA; frequentatissimo lo Stanley Park di Vancouver in Canada). In molti casi le tradizioni indigene coincidono con riprese di coscienza etnica da parte di gruppi amerindi in condizioni di emarginazione dalla grande società (per esempio, pastori e agricoltori navaho in Arizona; indiani hopi del New Mexico). Sensibile, nell'ambito del sottosviluppo di queste minoranze, la distinzione fra Indiani delle Praterie e Indiani dei pueblos. La maggior vitalità di questo folclore si manifesta durante i Pow-Wow, spettacoli di danze rituali e guerresche organizzati annualmente. Nel portato della colonizzazione si inseriscono due diversi filoni: quello europeo (inglese e francese) e quello africano. Del primo si conservano arredi e architetture nei villaggi (piccoli centri del Québec o “città morte” dell'Arizona), ricorrenze celebrative di fatti storici (sfilate in costumi militari, azioni delle famose Giubbe Rosse canadesi e della lotta contro gli Amerindi). Canti e danze persistono nel mito legato alla vita del cow-boy nei rodei (celebre quello tenuto annualmente al Madison Square Garden di New York). Pittoresche e vivaci sono le numerose manifestazioni che si rifanno alla tradizione dell'Old America, nelle quali rivive l'epopea della corsa all'oro (fiera del Gold Rush, la Powder River Cavalcade), la costruzione delle grandi ferrovie, la guerra di Secessione. A tutto ciò si aggiunge un folclore più recente, che si confonde ancora in gran parte con gli usi e i costumi della vita attuale e che si esprime, fra l'altro, nel Memorial Day, nel Fral Day, nell'Indipendence Day, nell'I am an American Day, o in tante feste di varie minoranze europee, come il Columbus Day (12 ottobre) celebrato dagli Italiani. Il folclore nero, la cui espressione più viva e intensa è quella del jazz, si rintraccia anche in usi (funerali) e leggende, riprese anche nel quadro di una contestazione politica e sociale. § Nell'America Meridionale si assiste a un ben definito sviluppo indipendente di tradizioni spagnole e portoghesi, spesso molto affini e integrantisi. A differenza del Nord si hanno però alcune precise differenziazioni per quanto concerne la consistenza del folclore indigeno, ben più accentuato e vivo. I conquistatori hanno inserito intimamente la tradizione cattolica nell'ambito di gruppi etnici che per la loro persistente primitività hanno dato luogo a culture e tradizioni di tipo nuovo (per esempio riti funebri messicani, cristiani e insieme pagani). Esistono aree circoscritte di folclore tipicamente locale, come quelle dei gruppi incaico e maya, con credenze animistiche e miti del tutto autonomi (per esempio Indios peruviani). Singolare, specie in Messico (dove complessa è la struttura della mexicanidad), appare la persistenza dell'uso di funghi allucinogeni. La tradizione nera sudamericana si esprime in forme del tutto proprie nell'area dei Caraibi (tradizioni afrocubane), dove si mescolano a sovrapposizioni soprattutto francesi; si ricordano qui specialmente i riti vodù. Assai noti sono poi i balli tipici sudamericani, i canti, l'uso di costumi di origine chiaramente spagnola, i caratteristici strumenti musicali che compongono il complesso quadro di una cultura meticcia. Vivacissimo è il folclore religioso, che dà luogo spesso a manifestazioni cattoliche intimamente connesse ad atteggiamenti magici primitivi. Celebre fra tutte le manifestazioni collettive è il carnevale di Rio, immensa e interminabile kermesse di danze e di musica della durata di più giorni; segue quindi un'ampia serie di feste religiose, tra cui importante è la Pasqua. Fra i miti più persistenti si ricorda quello dei gauchos delle pampas. Completano il quadro, sia pure sommario, le numerose manifestazioni più propriamente etnologiche che sopravvivono tra le numerose tribù amazzoniche tuttora in condizioni di vita primitive.



fonte www.sapere.it/enciclopedia/Am%C3%A8rica.html

 
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