| Letteratura latino-americana
L'America precolombiana ebbe tre epicentri culturali: il Messico (civiltà nahuatl), l'America Centrale (civiltà maya) e il Perú (civiltà quechua o incaica). Più primitive e marginali altre culture: quelle dei Cuna del Panamá, dei Chocó, Kágaba e Chami della Colombia, dei Guarauno del Venezuela, degli Araucani del Cile, dei Guaraní rioplatensi e di varie tribù del Brasile (Manao, Caduveo, Nheengatu, Uanana, Zaparo). Tutte ebbero (e in parte conservano) complesse mitologie e pertanto poemi religiosi, cosmogonie, inni, leggende e racconti; ma solo le più evolute li elaborarono in opere coscientemente artistiche arrivando anche alla lirica personale, come le elegie del re-poeta Netzahualcóyotl, il delicato canzoniere Otomí e i finissimi yaraví peruviani. Eruditi moderni, come Garibay, González Casanova e Soustelle per il Messico, Recinos e Barrera Vázquez per i Maya, Lara, Basadre e Arguedas per il Perú, hanno riportato in luce una ricca e varia letteratura: poemi epico-religiosi, leggende narrative, favole gnomiche e satiriche, poemetti sentimentali e persino resti di composizioni drammatiche, come il Rabinal Achí dei Maya. § La conquista europea decapitò letteralmente le culture dell'indio americano, distruggendone le forme superiori: non si salvò neppure l'arte di leggere e di scrivere i geroglifici aztechi. Non riuscì, fortunatamente, a distruggere tutte le espressioni letterarie delle civiltà vinte, né tanto meno lo spirito indigeno e il ricordo delle tradizioni native vivo presso gli Indios e i meticci; per cui, quasi subito dopo la conquista, missionari europei cominciarono a raccogliere dalla voce stessa dei vinti orazioni, poemi, narrazioni, leggende e notizie d'ogni genere, di cui nutrirono i loro preziosi scritti. I nomi di B. de las Casas, l'ardente difensore degli Indios, di B. Sahagún, etnologo avanti lettera, e di Francisco Ximénez (che trascrisse e tradusse, nel 1722, il Popol Vuh dei Maya) sono i più noti, ma non certo gli unici. Nello stesso secolo della conquista, dalle scuole subito istituite dai vincitori (Città di Messico ebbe la prima università del Nuovo Mondo fondata nel 1551 e Lima la seconda, fondata nel 1553) uscivano anche meticci e Indios puri che, sebbene formati nella cultura europea, avevano chiara coscienza della propria “americanità”. Tale è il caso di Fernando de Alva Ixtlilxóchitl, che scrisse la sua cronaca in lingua nahuatl, e di Hernando Alvarado Tezozómoc, nel Messico; nel Perú, di Felipe Guamán Poma de Ayala, fervido esaltatore del passato incaico e soprattutto di Garcilaso de la Vega el Inca. Per la cultura el Inca è un europeo del Rinascimento, un umanista cristiano; ma l'argomento del suo capolavoro (i Commentari reali degli Inca) e, quel che più importa, lo spirito che lo rende unico ed esemplare, fanno di lui il primo grande scrittore latino-americano. Su un piano artisticamente meno elevato, ma praticamente più efficace, la Chiesa contribuì al meticciato culturale non solo impiegando artigiani indigeni nella costruzione dei suoi edifici, nella pittura e nelle arti decorative (per cui il barocco latino-americano acquistò caratteri suoi inconfondibili), ma anche con la formazione del clero locale, che nei sec. XVIII e XIX si metterà più volte alla testa delle rivendicazioni indipendentiste, e con l'uso, sia pure a scopo edificante e didattico, di rappresentazioni, danze e “invenzioni” legate alle tradizioni indigene. Il teatro in lingua indigena ed europea fiorì per tutta l'epoca coloniale (la prima rappresentazione di cui si abbia notizia risale addirittura al 1526, ed ebbe luogo a Città di Messico) come elemento consueto di feste religiose (Corpus Domini soprattutto) e profane; gli ordini religiosi, particolarmente i gesuiti, lo usarono abitualmente nelle loro missioni, seminari e collegi. Così si spiega come l'America coloniale abbia potuto dare alla Spagna un drammaturgo quale Juan Ruiz de Alarcón e come nel sec. XVIII sia stato ritrovato in un villaggio andino, per iniziativa di un parroco, il dramma Ollantay, di indubbia sostanza indigena anche se con influenze formali della drammaturgia ispanica. Ma il fenomeno forse più interessante è l'affermarsi di una coscienza americana presso scrittori creoli. Già nel 1596 nasce nel Cile il primo poema epico americano: El arauco domado (L'araucano domato), di Pedro de Oña; e nel sec. XVII possono considerarsi meticci alcuni poeti e scrittori di rilievo quali Juana Inés de la Cruz, Francisco Pineda Bascuñán, Diego de Hojeda, Hernando Domínguez Camargo, Juan de Espinosa Medrano, il satirico Juan del Valle Caviedes, il poligrafo Carlos Sigüenza y Góngora, la mistica Madre Castillo e altri ancora. Nel sec. XVIII, l'Europa apporta nuove idee e nuovi generi letterari (il saggio critico e storico, la poesia arcadica, il trattato scientifico, qualche tentativo di narrativa di viaggio e di costumi, il sainete o farsa con sottofondi satirici, la pubblicistica), ma la coscienza americana affiora nei testi più originali, colorendosi di progressismo illuminista. I gesuiti, prima e dopo la loro espulsione (1767), operano nella poesia e nel saggio storico con singolare modernità (R. Landívar, F. Clavijero, E. Molina); enciclopedisti accesi, come P. de Olavide, E. Santa Cruz Espejo, F. Miranda, F. J. Caldas, A. Nariño, S. Mier e altri ancora, cominciano a diffondere le idee che porteranno all'indipendenza; strani libri di viaggio, come il Lazarillo de ciegos caminantes (Guida dei viandanti ciechi) di A. Carrió de la Vandera, iniziano finalmente una vera scoperta dell'America da parte degli Americani; si moltiplicano i teatri e in essi i sainetes criollos, gremiti di tipi e costumi locali; gli stessi poeti neoclassici e arcaici, apparentemente disimpegnati, non perdono di vista la loro America: i lirici dell'Escola mineira, prima manifestazione di una letteratura brasiliana, e il preromantico peruviano M. Melgar cospirano addirittura per l'indipendenza. Proprio alla vigilia di questa nasce, infine, il romanzo ispano-americano con El periquillo sarniento (Pappagallino rognoso, 1816) del messicano Fernández de Lizardi. Col distacco politico dalla rispettiva madrepatria europea, nascono anche le varie letterature nazionali (vedi Messico, Argentina, Perú, Brasile, ecc.), sempre comunque aperte verso l'Europa, i cui successivi movimenti letterari (romanticismo, realismo, naturalismo, simbolismo e avanguardie) puntualmente accolgono e rielaborano. Se le capitali culturali ibero-americane erano state fino a tutto il sec. XVIII Madrid e Lisbona, dal sec. XIX lo sono Londra, New York e soprattutto Parigi. Ma, a parte le tecniche adottate, la sostanza delle migliori opere resta americana. Così il romanticismo reca con sé l'esaltazione della natura americana, dalle Ande alla pampa alle foreste amazzoniche, l'idealizzazione dell'indio (Cumandá, di J. L. Mera, Tabaré, di J. Zorrilla de San Martín, O Guarany, di J. de Alencár, ecc.), il popolarismo (culminante nella letteratura gauchesca rioplatense, che ha nel Martín Fierro un capolavoro assoluto), l'uso di voci indigene e vernacolari. Il realismo e il naturalismo, vivi soprattutto nella narrativa, introducono una problematica tipicamente locale (conflitti fra le diverse razze, miseria e ricchezza, sfruttamento di peones, di neri, di Indios, conseguenze dell'immigrazione, rivolte sociali e rivoluzioni politiche) e portano anche alla nascita del teatro moderno, col rioplatense Florencio Sánchez, e della saggistica, tuttora fiorente (F. D. Sarmiento, J. Montalvo, M. González Prada, E. M. Hostos, J. Sierra O'Reilly, J. E. Rodó, ecc.). Il simbolismo e le avanguardie stesse, pur avendo dato risultati prevalentemente lirici, con una fioritura imponente fino ai nostri giorni (da R. Darío a P. Neruda, da L. Lugones a G. Mistral, da C. Vallejo a V. Huidobro, da J. C. de Melo Neto a O. Paz, ecc.), non rappresentano certo una pura imitazione di mode straniere, bensì modi espressivi di una coscienza latino-americana ormai pienamente partecipe del travaglio del mondo contemporaneo. E ben se ne accorse, infatti, la cultura europeooccidentale, che nel trentennio Sessanta-Ottanta “scoperse” e accolse con entusiasmo molti nuovi narratori e poeti latino-americani, prima ignoti ai non specialisti o visti tutt'al più come frutti estemporanei di un continente esotico e quasi astorico. Nel 1945, il premio Nobel per la Letteratura concesso per la prima volta a uno scrittore sudamericano (la poetessa cilena Gabriela Mistral) poté sembrare ancora una rondine che non faceva primavera; ma altri tre Nobel che premiarono rispettivamente nel 1967, 1971 e 1982 il romanziere guatemalteco Miguel Ángel Asturias, il poeta cileno Pablo Neruda e il romanziere colombiano Gabriel García Márquez, furono altrettanti attestati di riconoscimento di una vasta e rigogliosa letteratura del tutto contemporanea che, oltre ai premiati, poteva annoverare molti altri scrittori validissimi (e persino, in qualche caso, maggiori di essi), come gli argentini J. L. Borges, J. Cortázar, E. Sábato, E. Mallea, A. Bioy Casares; i messicani A. Reyes, O. Paz, J. Rulfo, C. Fuentes, M. Azuela, M. L. Guzmán, C. Pellicer; i cubani J. Lezama Lima, A. Carpentier y Valmont, N. Guillén; i peruviani C. Vallejo, M. Vargas Llosa, J. M. Arguedas, C. Alegría, Westphalen; i cileni J. Donoso, N. Parra, G. Rojas, E. Lihn; gli ecuadoriani J. Icaza, Adoum, D. Aguilera Malta; i colombiani Á. Mutis, Caballero Calderón, R. Herazo; i venezolani A. Uslar Pietri, I. Gramcko, M. Otero Silva, Liscano, R. Gallegos, R. Blanco Fombona; l'uruguayano J. C. Onetti; il paraguayano A. Roa Bastos; i portoricani L. Palés Matos e R. Marqués, oltre alla folta pattuglia dei brasiliani: C. Drummond de Andrade, V. de Moraes, M. Bandeira, gli Andrade, J. Amado, E. Verissimo, J. Guimarães Rosa, M. Mendes, la C. Meireles, J. Lins do Rêgo, G. Ramos, J. Cabral de Melo Neto, la C. Lispector. Da un capo all'altro del continente, e specialmente nei fervidi centri culturali ed editoriali che erano Buenos Aires e Città di Messico, Bogotà e Rio de Janeiro, Caracas e Santiago del Cile, sorsero poeti e narratori di forte rilievo, movimenti d'avanguardia dai pittoreschi nomi, libri e riviste che presto valicarono l'Atlantico: autentico “ritorno dei galeoni” alle antiche patrie europee, che a un certo punto, soprattutto negli anni Settanta, determinò quello che fu chiamato, non a torto, “il boom del romanzo latino-americano” e di riflesso, oltre a un sempre più vasto consenso dei lettori di ogni lingua, il moltiplicarsi di antologie, traduzioni e studi critici in misura mai registrata prima. Avviatosi a conclusione il boom del romanzo latino-americano nella cultura europea e occidentale, la letteratura americana di lingua spagnola ha visto attivi, accanto a figure il cui valore appare ormai indiscutibile (G. García Márquez, C. Fuentes, M. Vargas Llosa, J. Amado), numerosi altri interessanti autori, quali gli argentini Liliana Heer (La tercera mitad, 1989) e J. P. Feinmann (La astucia de la razón, 1991), la brasiliana Ana Miranda (Boca do inferno, 1990), il colombiano G. Espinosa (Sinfonía desde el Nuevo Mundo, 1990), la messicana Laura Esquivel (Como agua para el chocolate, 1989), la cilena I. Allende e l'ecuadoriano J. Ponce. Alla generazione del boom è così seguita quella del cosiddetto boom junior, con, insieme ad alcuni degli autori precedentemente citati, scrittori come Fernando del Paso (n. 1935), Gustavo Sáinz (n. 1940) in Messico, Severo Sarduy (n. 1937), Reynaldo Arenas (n. 1943) e Zoé Valdés (n. 1959) a Cuba, Alfredo Bryce Echenique (n. 1939) in Perú, Nestor Sánchez (n. 1935) e Osvaldo Soriano (1943-1997) in Argentina, Álvaro Mutis (n. 1923) in Colombia, Antonio Skármeta (n. 1940) in Cile. Questi autori difendono un certo concetto di realtà, non univoca né lineare, ma ambigua, misteriosa. E alla letteratura affidano il compito di rappresentarne la complessità, di sondarne la sostanza molteplice. Realisti puri o realisti magici, rinviano tutti allo stesso mito, quello dell'origine misteriosa e unitaria del vario e discorde mondo delle apparenze. Va registrata inoltre la forte influenza dei linguaggi cinematografici sul nuovo romanzo e il verificarsi di frequenti e reciproci travasi tra narrativa e cinema, con romanzi che si trasformano in svelte sceneggiature cinematografiche e modelli cinematografici che si convertono in utili schemi di struttura compositiva. Fiorente può definirsi la produzione della poesia, che oltre al riconoscimento rappresentato dal Nobel per la letteratura vinto da O. Paz nel 1990, ha visto aggiungersi all'opera di poeti già noti a livello internazionale il promettente risultato del lavoro di nuovi autori (tra cui si segnalano i brasiliani S. Antunes e L. Coronel, il costaricense L. Albán, il salvadoregno I. López Vallecillos, la guatemalteca C. Matute, il panamense E. Jaramillo Levi e i nicaraguensi F. de Asís Fernández e J. Chow), i quali non mettono più al centro della propria attenzione esclusivamente l'elemento politico o di denuncia sociale: l'attenuarsi di alcune delle tensioni che perturbavano il subcontinente sembra infatti aver reso possibili una diversificazione degli orientamenti e l'esplorazione di una più vasta gamma di tematiche. Tra i principali autori vanno ricordati anche: i cubani G. Cabrera Infante, S. Sarduy, H. Padilla e J. Kozer; gli argentini R. Juarroz, J. Gelman, M. Puig, H. Bianciotti (naturalizzato francese), J. C. Onetti (argentino di adozione), H. Vázquez Rial, Aguirre, Alonso, Arias, E. Gudino Kieffer, E. R. Larreta; F. Madariaga, D. Moyano, Nuñez, A. Posse, N. Sánchez, D. Viñas; i messicani Arudjis, J. E. Pacheco, J. García Ponce, J. J. Arreola, G. Zaid, Sabines, Carballido, S. Elizondo, M. A. Montes de Oca, A. Azuela; i peruviani Bryce Echenique, J. R. Ribeyro, J. Sologuren, Reynoso, S. Cisneros; i venezolani G. Sucre, S. Garmendia, J. Balza, Medina, G. Meneses, Crespo; i cileni J. Edwards Bello, M. Arteche, I. Allende; i colombiani G. Espinosa, P. A. Mendoza, M. Mejía Vallejo, J. G. Cobo Borda; il guatemalteco A. Monterroso; i brasiliani A. e H. de Campos, A. Dourado, D. Trevisan, Moreira de Fonseca. Tra i poeti della generazione successiva si distinguono, in Cile, José María Memet, Carmen Berenguer, Federico Schops, Heddy Navarro, Juan Camerón, Teresa Calderón, nati tra gli anni Quaranta e Cinquanta. In Argentina godono di un certo prestigio Santiago Sylvester, Mario Romero, Angel Lleiva, Osvaldo Ballina, Eduardo d'Anna, Ricardo Herrera. In Uruguay spiccano le voci femminili, dalla ormai apprezzatissima Cristina Peri Rossi (n. 1941) ad Amanda Berenguer, Ida Vitale, Inés Silva Vila, Circe Maia, Marosa di Giorgio, Clara Silva e altre. Più variegato il panorama della lirica peruviana, le cui voci più giovani si caratterizzano per i toni personali e l'originalità del dettato. È questo il caso di Mario Montalbetti, José Morales Saravia, Eduardo Chirinós, Carmen Ollé. La poesia colombiana conta ancora sulla fervida vena creativa di Álvaro Mutis, cui si aggiunge quella di una nuova interessante promozione poetica rappresentata da Mario Rovero, Juan Gustavo Cobo Borda, Elkin Restrepo, Jaime García Maffla. A Cuba la poesia della seconda metà del Novecento è rappresentata da Miguel Barnet (n. 1940), Belkis Cuza Malé (n. 1942), Nancy Morejón (n. 1944), Luis Rogelio Nogueras (1946-1985), cui si aggiungono voci di espatriati come Roberto Cazorla, Pío Serrano, Felipe Lázaro. Nell'America Centrale spiccano le voci di Alfonso Quijada Urías e David Escobar Galindo (Salvador), di Beltrán Morales, Jorge Eduardo Aurellano e Gioconda Belli (Nicaragua). In Messico, O. Paz continua a esercitare il suo alto magistero poetico, mentre acquistano sempre maggior prestigio la lirica di Homero Aridjis e quella dei più giovani Carlos Montemayor, Marco Antonio Campos, José Joaquín Blanco. Quanto al teatro nomi di spicco sono soprattutto Gámbaro, O. Dragún, Cuzzani, R. Cossa, R. Halac, Somigliana (argentini), R. Usigli e C. Fuentes (messicani), E. Buenaventura (colombiano), J. Díaz (cileno), Rengifo (venezuelano), i chicanos (ispanofoni degli Stati Uniti) L. M. Valdez e Chávez. Sul fronte teatrale, le aree privilegiate restano comunque Argentina, Cile, Colombia, Cuba e Messico, ma i prodotti sono diseguali e variegati. Si va dall'attivissimo mondo teatrale cileno, che ancora risente della forte spinta propositiva impressa dai grandi gruppi d'avanguardia degli anni Settanta (Ictus, Teatro Imagen, Taller de Investigación Teatral) ai prodotti più personali e soggettivi, legati alla creatività del singolo (soprattutto Cossa e Badillo), proposti dalla drammaturgia argentina; dalla gestione collettiva e movimentista del piano di sviluppo teatrale tentata in Colombia (dal Teatro Experimental de Cali al Teatro La Candelaria) ai più regolari e solidi successi (in particolare quelli di Liera e di Tovar) maturati negli ambienti teatrali messicani.
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