IL FARO DEI SOGNI

Stati Uniti d'America

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view post Posted on 28/11/2019, 18:02     Top   Dislike
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Territorio: geografia umana. Dai primi insediamenti coloniali all'indipendenza

L'edificazione degli USA come unità politica e come entità geografica con una propria ben definita organizzazione spaziale è avvenuta secondo un processo di progressiva conquista del territorio e di una presa di coscienza, da parte degli europei trapiantati, di vivere autonomamente in un Paese nuovo. Il nucleo originario è sulle sponde atlantiche, nelle ben riparate baie formate dai fiumi che scendono dagli Appalachi, rimasti per molto tempo come un'invalicabile barriera per i colonizzatori. Intorno a quelle prime basi di conquista e di popolamento si è avuta una progressiva coagulazione umana che ha costituito e continua a costituire, nel corso degli anni, la piattaforma, l'elemento di base di tutta l'organizzazione territoriale statunitense, benché l'opposta sponda pacifica rappresenti oggi, con le sue aperture verso il Pacifico e l'Estremo Oriente, un'alternativa al più semplice e immediato schema territoriale originario. Le prime basi del popolamento recano i nomi delle città e dei Paesi d'origine e ciò non solo per nostalgia, ma anche per certe identità ravvisabili nel paesaggio di nuova conquista con quello della madrepatria. Ancor oggi le zone di più antico insediamento ripresentano aspetti umani che richiamano la mentalità e lo spirito dei pionieri anglosassoni: le dimore, l'organizzazione dei piccoli centri intorno alla chiesa protestante, le città, il paesaggio agrario, i volti degli abitanti. Il New England (Nuova Inghilterra) è in tal senso la regione più conservatrice del pionierismo anglosassone. Nel sec. XVIII le prime tredici colonie conobbero una fase di grande sviluppo grazie anche ai rapporti commerciali che mantennero con la madrepatria: le navi partivano cariche di tabacco, cotone, pellicce e ritornavano con i prodotti industriali. I commerci formarono ben presto una borghesia ricca e intraprendente; tuttavia i rapporti con l'Inghilterra diventarono in seguito molto difficili, anche per l'esosa politica inglese che esigeva pesanti tributi fiscali. D'altra parte i gruppi trapiantati mostravano di sapersi organizzare economicamente e socialmente da soli, in tutta indipendenza. Retti da spirito religioso puritano, liberali, ma posti in eguali condizioni sociali, aperti a ogni iniziativa individuale e al tempo stesso portati alla coesione sociale data la situazione in cui si trovavano in quelle terre, i coloni ebbero presto la forza di lottare per l'indipendenza, anche se non tutti si trovavano d'accordo su ciò. Molti “lealisti” furono costretti a emigrare e preferirono andare nelle vicine colonie canadesi contribuendo così all'anglicizzazione dell'ex dominio francese. Nel 1776, con la dichiarazione d'indipendenza, nacque l'Unione formata dalle 13 colonie iniziali, che progressivamente aumentarono di numero con la spinta della colonizzazione verso Ovest. Tuttavia l'Unione non formava un insieme omogeneo: anche se i coloni erano in gran parte inglesi, essi si trovarono ad agire in ambienti e condizioni diversi. Il Nord, con i suoi porti, la sua vivacità commerciale, lo spirito intraprendente dei suoi abitanti, il suo ambiente adatto all'agricoltura polivalente dato il clima temperato, si differenziò ben presto dal Sud, dove le condizioni ambientali erano più adatte all'agricoltura di piantagione, rivolta soprattutto alla coltura del tabacco e del cotone, cui attendevano schiere di schiavi neri.



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Territorio: geografia umana. L'immigrazione

Questi, fatti affluire dall'Africa per la prima volta nel 1619, si accrebbero successivamente in modo assai rilevante, sia per le ulteriori massicce immissioni nel Paese sia per il loro alto tasso di natalità (nel 1790 rappresentavano ben il 20% della complessiva popolazione statunitense, in seguito si sono più o meno attestati sul 10-12%): essi costituiscono il principale elemento eterogeneo nell'ambito della popolazione degli USA e l'irrisolto problema della loro effettiva integrazione nella vita del Paese continua a essere di capitale rilievo per gli Stati Uniti. Quanto agli amerindi, che in numero di ca. 1 milione abitavano il Paese all'arrivo degli Europei, essi furono a poco a poco sterminati sia per le stragi spietate sia per l'alcolismo e le malattie contratte dai bianchi, tanto da essere ridotti a ca. 250.000 alla fine dell'Ottocento; successivamente però le migliorate condizioni igieniche e la pace (pagata però con la creazione delle riserve, in genere nelle aree più sfavorite del Centro-Ovest e dell'Ovest, come l'Arizona, l'Oklahoma, il New Mexico) portarono a un aumento della compagine indiana. Il processo di ampliamento del Paese fu stimolato, si potrebbe dire reso necessario, dalle grandi ondate immigratorie, ivi sospinte dal dinamismo economico e sociale che percorreva e percorre gli USA: dal 1820 al 1991 hanno raggiunto stabilmente il Paese oltre 58 milioni di immigrati, tra cui ca. 7 milioni di tedeschi, 5 milioni di italiani, 10 milioni tra abitanti della Gran Bretagna e dell'Irlanda, 4 milioni provenienti dal Canada e oltre 3 milioni dalla Russia. A partire dalla metà del XIX secolo, all'immigrazione essenzialmente inglese e irlandese si aggiunse infatti quella proveniente da altri Paesi europei. Le prime grandi ondate di immigrati d'origine non britannica furono composte specialmente da tedeschi e scandinavi, attratti soprattutto dalle regioni forestali più settentrionali. Rapidamente la popolazione aumentò. Nel 1790 vi erano in tutto il territorio 3,9 milioni di ab.; nel 1850 erano già 23,2 milioni. E proprio a partire dal 1850 il ritmo immigratorio raggiunse valori via via crescenti. Dal 1850 al 1860 gli immigrati furono 2,6 milioni; tra il 1860 e il 1880 ca. 5,2 milioni; tra il 1880 e il 1900 ben 9 milioni. Verso la fine del sec. XIX cominciò l'afflusso dei gruppi slavi e soprattutto degli italiani. Il ritmo subì una nuova accelerazione. Tra il 1900 e il 1910 raggiunsero gli USA 8,8 milioni di immigrati e nei soli quattro anni tra il 1910 e il 1914 oltre 5 milioni. Poi con la guerra in Europa si ebbe un calo fortissimo, benché l'afflusso fosse sempre consistente; finché, con le leggi del 1921, del 1924 e del 1928, l'immigrazione prese a essere controllata con la regola delle aliquote, stabilite sulla base delle nazionalità già presenti nel Paese; ciò favorì gli immigrati britannici, che formavano allora la maggior parte della popolazione, mentre fu praticamente chiusa l'immigrazione agli asiatici, ai cinesi soprattutto, che in numero notevole cominciavano a stabilirsi nell'Ovest. Le varie nazionalità si fissavano preferibilmente nelle aree che offrivano occasioni di lavoro più simili a quelle della madrepatria. La grande massa degli immigrati, sprovvisti di preparazione, di qualifiche, come molti italiani, finiva nei ghetti delle grandi città atlantiche, che erano ricettacolo un po' di tutti coloro che arrivavano nelle nuove terre alla ventura; in seguito a ciò si ebbe la forte crescita dell'urbanesimo in questa parte degli USA, già organizzata industrialmente e proprio per ciò in grado di ospitare masse umane sempre nuove. Era così definitivamente tramontata l'epoca dei coloni anglosassoni che conquistavano con fatica, quasi sempre ben ripagata, il loro posto, in ciò favoriti dall'Homestead Act, in base al quale ognuno diventava padrone del terreno dissodato e messo a coltura. Gli immigrati che si ammassavano nelle grandi città, cioè in un contesto sociale e umano estremamente diverso, erano ormai di stampo nuovo e cercavano forse fortune più facili. Si determinarono o si acuirono perciò tensioni tra nazionalità che erano il riflesso di mentalità diverse e che ebbero come conseguenza quella di aggregare le varie comunità, soprattutto nei grandi centri urbani, dove si crearono quartieri distinti, abitati da gruppi omogenei, più o meno integrati nella vita sociale e nell'economia globale del Paese. Alcuni Stati del Nord (Connecticut, Delaware, Maryland, Massachusetts ecc.) sono stati relativamente immuni dalla mescolanza etnica propria delle metropoli della regione atlantica centrale (New York, Pennsylvania ecc.), che sono il vero sfondo di quel melting pot, quel “crogiuolo” così caratteristico del tessuto umano statunitense. Anche il Sud (South Carolina, Georgia, Alabama, Mississippi ecc.) ha conservato una certa purezza etnica, con le famiglie della vecchia aristocrazia coloniale e le masse di neri le quali però a poco a poco, anche per sfuggire alla miseria e alla politica segregazionista, abbandonarono in gran numero le campagne depauperate cercando il proprio posto nelle grandi città del Centro-Est, capaci di assorbire un po' tutti, seppure al prezzo di quelle discriminazioni sociali che sono all'origine dei grandi ghetti urbani dei centri maggiori. L'Ovest, dal Texas alla California, è anch'esso multietnico: i richiami di questa regione sono stati infatti assai vari, a eccezione di alcune zone, come la Valle della California, che con il suo clima mediterraneo si prospettò come luogo adatto per i coloni italiani specializzati nella viticoltura e nell'orticoltura. Il Nord-Ovest (Washington, Idaho, Oregon ecc.) ha attratto soprattutto slavi, scandinavi e tedeschi. Successivamente l'importanza di questi richiami, data la grande mobilità sociale degli USA, si è ridotta e le specifiche aree etniche hanno seguito la tendenza a sparire per riformarsi nelle città, però molto degradate là dove le etnie rappresentano le classi sociali inferiori ed emarginate. L'immigrazione del resto si è, dalla metà del Novecento, relativamente ridotta, anche se la seconda metà del secolo scorso, specie subito dopo la seconda guerra mondiale, ha portato un flusso notevole (tra il 1950 e il 1970 ca. 6,4 milioni), per lo più proveniente dall'Europa e dal Canada, Paese che serviva di base agli emigranti europei per raggiungere in un secondo tempo gli Stati Uniti. Nei primi anni del sec. XXI il saldo migratorio è stato positivo grazie all'afflusso di latino-americani e asiatici. In particolare l'immigrazione legale, che conta circa 1 milione di nuovi ingressi l'anno, proviene per parti quasi uguali dall'America Latina (principalmente Messico e Caraibi) e dall'Asia mentre quella clandestina pressoché esclusivamente dall'America Latina e riguarda in primo luogo gli Stati meridionali del Paese (California, Texas, New Mexico ecc). Gli Stati Uniti sono inoltre tra le maggiori destinazioni per i rifugiati e richiedenti asilo politico; costituiscono inoltre il più importante tra i Paesi donatori dell'UNHCR. Il Paese ha accolto, nel periodo tra il 1996 e il 2005, una cifra che si aggira intorno ai 500.000-1.000.000 individui tra rifugiati, giunti da Bosnia Erzegovina –specie nel periodo 1998-2002 –, Somalia, Liberia, Cina, Ucraina (dal 1999), e richiedenti asilo, arrivati per lo più da Messico, Haiti, Colombia e Cina.



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Territorio: geografia umana. Evoluzione demografica e distribuzione della popolazione

L'incremento demografico naturale fu un fattore decisivo per la crescita della popolazione statunitense fin dalle origini e l'alta natalità un elemento favorevole per l'imporsi stabile e definitivo della colonizzazione; successivamente fu la prosperità che contribuì a mantenere alto il tasso di natalità: negli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento era ancora del 25‰ e solo successivamente si è avuta una sensibile diminuzione, con valori di poco superiori a quelli dei Paesi avanzati di buona vitalità; la mortalità d'altra parte è molto bassa , benché essa vari da regione a regione e da gruppo sociale a gruppo sociale (tra gli afroamericani per esempio è molto elevata), riflesso dei grandi squilibri economico-sociali degli Stati Uniti. Mediamente, nel corso degli anni Sessanta, la crescita annua è risultata dell'1,2%, è scesa poi tra il 1993 e il 2001 intorno allo 0,5%, per assestarsi sullo 0,9% nel periodo 2005-2010 in virtù dell'alta natalità della popolazione di recente immigrazione e dell'apporto migratorio stesso. La popolazione, che nel 1950 era di 150 milioni di unità, è arrivata nel 2000 più di 281 milioni di ab., e le stime effettuate nel 2013 parlano di oltre 316 milioni di persone. Il 77,9% degli statunitensi è bianco e il 13,1% nero, gli asiatici rappresentano il 5,1%. A questi si aggiungono gli amerindi (1,2%), in gran parte confinati in riserve, ai margini delle realtà sociali. Infine gli appartenenti ad altri gruppi etnici sono il 2,7%. La legislazione federale favorisce l'integrazione delle componenti minoritarie ed è tesa a evitare la discriminazione sul lavoro e in altri contesti. Tuttavia, le condizioni di vita disagiate di alcune minoranze segnalano uno squilibrio nella situazione socio-economica e nella distribuzione del benessere: la popolazione nera risulta essere quella più povera, con un livello d'istruzione più basso e minori possibilità di crescita nella scala sociale, così come quella di più recente immigrazione.



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Territorio: geografia umana. Distribuzione della popolazione

La densità media della popolazione sull'intero territorio degli USA è di 33,73 ab./km². Ma la distribuzione effettiva è molto ineguale e ciò in rapporto a fattori assai diversi, non solo, come già si è descritto, per effetto di condizioni ambientali più o meno favorevoli. L'organizzazione umana è fondata sulle città, centri primari della struttura territoriale degli USA, dove, a differenza di quanto per esempio si è in genere verificato in Europa, l'urbanesimo non è tanto un fenomeno derivato dalla ripartizione geografica della popolazione, sovrimpostosi a una rete di mercati preesistenti, quanto una forma primaria, anzi le città sono state spesso il punto di partenza della colonizzazione rurale o, almeno, hanno rappresentato delle tappe intermedie tra l'immigrazione e il passaggio all'economia agricola. In altre parole, è sulla città che si struttura la rete, regionale e globale, degli insediamenti. Gli USA sono nati in effetti all'epoca dell'industrialismo capitalista e il costituirsi della trama insediativa ha seguito processi spontanei (poco o nulla hanno influito le divisioni statali interne, anche se gli Stati sono geograficamente qualificabili per certe peculiarità), secondo impulsi dati dalle opportunità economiche promosse dai centri urbani. I primi di questi, con un ruolo subito fondamentale in rapporto a tutta la successiva conquista, sono stati i porti atlantici, divenuti non solo le basi del commercio con l'Europa, promotore di tutte le iniziative capitalistiche più fortunate, ma anche approdo degli immigrati e basi di partenza per le successive conquiste. I fattori geografici hanno privilegiato soprattutto New York, Boston, Filadelfia, Baltimora e in generale tutta la grande regione atlantica centrorientale, aperta non solo ai traffici oceanici ma ben collegata – anche da vie navigabili come l'Hudson – alle regioni interne, dove la presenza di carbone e di minerali ferrosi ha favorito lo sviluppo delle industrie. La crescita della regione atlantica è stata vertiginosa e rappresenta uno degli episodi di maggior popolamento della storia mondiale. Il coagulamento umano in quest'area, cui si connette anche quella, pure molto popolosa, tra gli Appalachi e i Grandi Laghi, è stato incessante, benché all'inizio del Duemila il fenomeno di concentrazione vada spegnendosi a vantaggio di altre aree, in particolare quelle affacciate sul Golfo e sul Pacifico. La distribuzione complessiva della popolazione continua a vedere un fortissimo addensamento sulla fascia atlantica, in particolare nell'area della cosiddetta megalopoli, la grande conurbazione fra Washington e Boston. Da tempo, tuttavia, una sorta di contrappeso demografico si è venuto formando lungo la costa pacifica, mentre anche gli stati meridionali (in particolare il Texas e la Georgia) hanno visto aumentare la propria popolazione in maniera più che proporzionale alle medie degli Stati Uniti. Di conseguenza, il baricentro demografico degli Stati Uniti continua a spostarsi anno dopo anno verso Ovest. Il processo è, in ogni caso, piuttosto lento, e i valori di densità maggiori rimangono di gran lunga quelli relativi agli Stati orientali: anche se proprio la California è ormai lo Stato più popoloso in assoluto, la sua densità rimane molto più modesta di quella di quasi tutti i piccoli Stati orientali dove la popolazione può superare i 400 ab./km². Nell'insieme, gli Stati Uniti continuano a essere relativamente poco popolati, e mentre la capacità delle città tradizionali di assorbire ulteriore popolazione si va esaurendo, si registrano fenomeni sempre più vasti di suburbanizzazione, che non riguardano più solo le grandi città, ma anche quelle medie e piccole, e che si manifestano attraverso l'abbandono dei centri cittadini e anche delle fasce suburbane più prossime ai centri stessi, per aree più distanti in cui l'insediamento assume assetti molto più sparsi di quanto già non fossero in passato nei suburbs tradizionali delle città statunitensi; queste nuove aree di insediamento, inoltre, tendono a riorganizzarsi attorno a centri di servizio non strettamente urbani, e a non dipendere più dalle città se non per pochi servizi essenziali.



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Territorio: geografia umana. L'urbanesimo negli stati centro-atlantici

Tuttavia nella regione che va dalla baia di Massachusetts a quella di Chesapeake, vale a dire dal New England meridionale al Maryland, si ha una concentrazione di città unica al mondo, cinque delle quali contavano oltre un milione di ab. già nel 1850. Prima fra tutte le città della “megalopoli” atlantica è New York, favorevolmente situata sul magnifico estuario dell'Hudson, a metà strada tra il Nord e il Sud della regione, ben collegata con l'interno. È una gigantesca concentrazione umana di oltre 8 milioni di ab. (ma l'area metropolitana, la cosiddetta SMSA, standard metropolitan statistical area, nel 2005 raggiungeva quasi i 20 milioni ed era la seconda del Nordamerica), simbolo incontrovertibile dell'intera civiltà statunitense e del suo straordinario cosmopolitismo, definita “cuore e cervello della nazione”; è importantissimo centro portuale, aeroportuale, industriale (settore manifatturiero), fulcro finanziario mondiale, sede naturalmente di musei prestigiosi, di istituti artistici e culturali di interesse internazionale. A S di New York sono: Newark, nello Stato del New Jersey, città che può anzi venire considerata come un gigantesco sobborgo industriale di New York; Filadelfia, polo urbano della Pennsylvania, la città quacchera fondata da W. Penn, illustre centro storico (qui si tennero i congressi che portarono all'indipendenza degli Stati Uniti) che fu a lungo la grande rivale di New York, attivissima nelle più svariate industrie, ospitando tra l'altro la più potente raffineria di petrolio della costa atlantica degli USA, e quarto agglomerato urbano del Paese; Baltimora, nel Maryland, anch'essa con industrie altamente diversificate e un importante porto; infine la stessa Washington, città tra le più belle e ariose degli USA, situata nel Distretto Federale (DC=District of Columbia), un quadrato di terra di 178 km² originariamente diviso tra gli stati del Maryland e della Virginia, che il presidente G. Washington scelse appositamente per ospitare il centro politico e amministrativo del Paese e che da “semplice” capitale (in genere negli USA, a differenza delle tradizioni europee, le capitali non corrispondono ai maggiori centri dei rispettivi Stati, essendo il ruolo politico ben distinto da quello economico) è diventata metropoli con funzioni molteplici. A N di New York, principale fulcro del popolamento è Boston, con funzioni analoghe a quelle delle altre grandi città atlantiche, cioè portuali e commerciali in genere, industriali, finanziarie, oltre che essere illustre centro culturale (Boston è tra l'altro sede del prestigioso Massachusetts Institute of Technology, mentre nella vicina Cambridge è situata la gloriosa Università di Harvard, la più antica degli USA) attivato dai discendenti della vecchia America puritana del New England. Qui si raccolgono le attività fondamentali della nazione, culturali, industriali, commerciali, e una popolazione che è all'avanguardia per quanto riguarda condizioni di vita, grado di cultura, livello di consumi, anche se non mancano, più o meno celate dentro il grandioso tessuto, le condizioni di povertà.



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Territorio: geografia umana. L'urbanesimo negli stati della zona dei Grandi Laghi

Alla regione centroatlantica si allaccia quella, già ricordata, dei Grandi Laghi, dove si raccolgono poderose città industriali, tra cui: Pittsburgh, altra metropoli della Pennsylvania, centro storico dell'industria siderurgica americana; Cleveland, nell'Ohio, anch'essa con colossali impianti siderurgici; Detroit, nel Michigan, capitale mondiale dell'automobile, che è punto focale di una vasta regione culla storica dell'industria meccanica, nonostante il declino che sembra aver colpito la città dai primi anni del sec. XXI ; infine e soprattutto, sul lago Michigan, la gigantesca Chicago, nell'Illinois, le cui fortune si devono alle sue funzioni di raccordo tra le Grandi Pianure e l'Est, sede di industrie poderose legate soprattutto all'agricoltura e all'allevamento delle regioni interne ma anche metallurgiche, meccaniche, tessili ecc. D'aspetto simile a quello di New York, insieme alla quale rappresenta una delle più tipiche espressioni dell'urbanesimo americano, e con cui è il massimo centro finanziario del Paese, Chicago ospita, tra l'altro, uno dei più vasti e attivi aeroporti commerciali del mondo. Lo sviluppo delle città dei Grandi Laghi è stato favorito dalle vie di comunicazione, ben collegate con l'oceano Atlantico, oltre che dal fatto di situarsi al centro di produttive aree agricole.



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Territorio: geografia umana. L'urbanesimo negli stati del Sud

Ben popolato è anche il Piedmont degli Appalachi, con città industriali che fungono da centri focali di aree agricole occupate da piantagioni (tabacco, cotone), come Charlotte nel North Carolina, Richmond nella Virginia e soprattutto Atlanta, capitale della Georgia, con una gamma ormai assai vasta di attività manifatturiere e dotata di un attivo aeroporto, considerato il più trafficato al mondo. Nell'estremo Sud-Est del Paese la Florida vanta celebri località turistiche, a cominciare dalla lussuosa Miami, stazione balneare e climatica, soprattutto invernale. Anche nella valle del Mississippi, arteria sempre vitale degli USA, si hanno grossi centri urbani come Minneapolis nel Minnesota, Saint Louis nel Missouri e Memphis nel Tennessee. Altamente industrializzati, essi hanno altresì funzioni importantissime di raccordo tra l'Est e l'Ovest, oltre che tra il Nord e il Sud, delle Grandi Pianure; ciò vale specialmente per Saint Louis, importante porto fluviale sul Mississippi, nodo ferroviario del Paese e antica base di penetrazione verso il West, favorita dalla sua posizione alla confluenza del Missouri con il Mississippi. Tutta l'area centromeridionale delle Grandi Pianure ha il naturale sbocco a New Orleans, porto di fondazione francese presso la foce del Mississippi, cresciuto enormemente fino a diventare uno dei maggiori degli USA, benché il periodo d'oro per la città sia stato quello della grande navigazione fluviale. La sponda affacciata al Golfo del Messico è in fase di grande espansione, specie sul litorale texano collegato alle zone più interne petrolifere e agricole, dominate dalle nuove metropoli di Dallas e Houston, città vitalissima, ultramoderna capitale statunitense per l'industria petrolchimica, nonché quinto porto del Paese collegato mediante un canale lungo ca. 60 km alla baia di Galveston. Houston ha notevolmente aumentato la sua popolazione negli ultimi anni; ma tutta l'area texana prospiciente il Golfo registra crescite di popolazione tra le più elevate degli USA.



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Territorio: geografia umana. L'urbanesimo negli stati dell'Ovest

Con il meridiano dei 100º, che segna il passaggio a condizioni di semiaridità, si può dire inizi l'Ovest, ancora scarsamente popolato, con poche città isolate, punti focali di territori ampi ma la cui trama di rapporti economici è in genere assai inferiore a quella dei centri dell'Est, benché siano in pieno potenziamento industriale. È il caso soprattutto di tre città, capitali e massimi centri rispettivamente degli stati del Colorado, dell'Utah e dell'Arizona: Denver, situata ai piedi delle Montagne Rocciose, sviluppatasi come base di rifornimento per le vicine località minerarie, tuttora grande nodo di comunicazioni e intensissimo centro commerciale, favorito dalla posizione pedemontana, di fronte alle Pianure Centrali, con varie industrie legate principalmente ai settori agricoli, zootecnici ed estrattivi; Salt Lake City, fondata dai mormoni come centro agricolo, ma oggi sede massimamente di attività industriali e minerarie; Phoenix, vivacissima per commerci, traffici e, grazie all'ottimo clima, turismo, ma la cui economia dipende in sempre crescente misura dalle svariate industrie leggere, in particolare elettroniche, aeree e aerospaziali, caratterizzate da elevate tecnologie. Tuttavia le nuove e più promettenti aree di popolamento dell'intero Paese sono quelle affacciate al Pacifico. È qui che sta nascendo l'alternativa alla megalopoli atlantica, anche se le condizioni ambientali e geografiche sono diverse. La California è stata ed è ancora la terra promessa (tanto che si usa dire che il futuro degli USA comincia qui): il suo incremento demografico, che è superiore a quello nazionale, è incessante. Il petrolio è stato uno dei fattori delle fortune di questo Stato; ma vi hanno giocato anche altre cause, come l'espansione verso il Pacifico degli interessi statunitensi, il clima mite e la condizione favorevole alla nascita di industrie leggere, tecnologicamente avanzate, meno legate alle fonti minerarie, in specie carbonifere. San Francisco (la cui area metropolitana include tra l'altro l'importante centro di Oakland) è stata la prima grande città sorta sulla sponda del Pacifico e ha legato indissolubilmente il suo nome a tutta l'epopea della conquista del West, in particolare della “corsa all'oro”; il suo grande sviluppo è iniziato a partire dalla seconda metà del secolo scorso, dopo il collegamento ferroviario transcontinentale, ma San Francisco dovette ricominciare quasi una nuova vita dopo il disastroso terremoto del 1906, che la distrusse pressoché interamente. In espansione recentissima e vertiginosa, tanto da poter essere definita come la grande rivale di New York, è invece Los Angeles (la sua area metropolitana comprende numerosi centri come Long Beach, Pasadena, Glendale ecc.), ingigantitasi con il dilagare della motorizzazione. Vastissima, estesa su un raggio di oltre 50 km, eminentemente “orizzontale” – in ciò del tutto opposta a New York, “verticale” e centripeta entro la baia dell'Hudson – è urbanisticamente unica al mondo, fittamente occupata da autostrade, snodi e raccordi viari di ogni sorta, quasi una città in movimento continuo; la metropoli ha naturalmente una poderosa attività commerciale (il porto è in continua ascesa e l'aeroporto è il più attivo scalo commerciale del continente e tra i maggiori al mondo), con complessi grandiosi soprattutto nel settore aeronautico e aerospaziale, per il quale Los Angeles primeggia nel Paese, oltre a essere, grazie al sobborgo di Hollywood, la capitale del cinema. La metropoli, colpita nel 1994 da un disastroso terremoto, ha, in modo diretto o indiretto, influito sullo sviluppo economico e demografico di una vasta area della California meridionale, che include altri grossi centri come San Diego, Anaheim, San Bernardino. Ultima area statunitense di notevole popolamento è il Nord-Ovest, specie nella zona che gravita su Seattle-Tacoma nello stato di Washington, grosso centro industriale, sede tra l'altro della Boeing, la più grande industria aeronautica del mondo, nonché attivissimo porto sull'oceano Pacifico.



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Territorio: geografia umana. Le aree scarsamente urbanizzate

Al di fuori di queste aree dominate dalle grandi città e che costituiscono l'armatura della geografia statunitense, si hanno zone per lo più rurali, la cui densità di popolazione dipende dal tipo di agricoltura che vi si pratica. Nel Nord-Est e intorno ai Grandi Laghi essa è di tipo intensivo e la densità di popolazione è elevata, sebbene qui, come in tutto il territorio rurale degli USA, l'unità di insediamento sia la farm isolata, con la casa d'abitazione, le stalle, i silos e gli altri edifici annessi. Il tessuto territoriale è imperniato sulle divisioni in townships (quadrati di 9,6 km di lato, ripartizioni standard che risalgono all'Ottocento), cui si adeguano strade e centri abitati. Cittadine e villaggi hanno funzioni amministrative e commerciali; spesso sono capoluoghi di contea e su di essi gravitano le farms. Queste si fanno più ampie e rade nelle regioni centrali sfruttate dalla cerealicoltura, che hanno i vertici dell'organizzazione territoriale locale nei centri posti lungo le ferrovie e in genere le vie di comunicazione, in relazione al carattere commerciale dell'attività agricola. Nel Sud, dove dominano le piantagioni, il popolamento rurale è pure incentrato sulle farms e su centri che spesso conservano aspetti del passato, con le nobili case delle famiglie dell'aristocrazia bianca e le piccole misere dimore degli afroamericani. Nelle praterie, dove predomina l'allevamento estensivo, la base dell'insediamento rurale è il ranch, grande fattoria che sorge vicino ai pozzi, al centro di ampi territori di pascolo. Sulle Montagne Rocciose caratteristiche sono le piccole cittadine sorte come centri minerari (alcune, fondate all'epoca della febbre dell'oro, sono state abbandonate e si presentano come città fantasma, ghost towns) o, in periodi successivi, come località turistiche, climatiche o di cura. Nelle regioni del Pacifico vi sono grandi e piccoli centri raccolti nelle aree più produttive, come nella Valle della California, la cui agricoltura intensiva ha promosso però soprattutto la nascita di fattorie isolate. Nel Sud-Ovest rimangono ancora le tracce del passato spagnolo, con le vecchie missioni cattoliche che sono state sovente gli elementi promotori di centri anche urbani. Il Nord-Ovest infine è, come la regione dei Grandi Laghi, un'area di agricoltura intensiva, ricca di farms. Un cenno infine va fatto alle numerose piccole città della “provincia”, centrate sulla Main Street, spesso di vecchio impianto, la cui origine è denunciata dal nome (molte volte un nome mitologico, altre quello della città inglese o italiana o slava dei primi immigrati che la fondarono); la struttura delle vie è regolare, le case dignitose, ognuna con il proprio giardino. Ogni centro è dotato dell'immancabile shopping center davanti al quale si stendono vaste aree di parcheggio per le automobili che vi giungono attraverso strade vivacizzate dalla pubblicità e dalle stazioni di servizio. Nel complesso però la popolazione che vive nelle farms e nei piccoli centri è limitata, rappresentando solo il 19,2% del totale degli Stati Uniti. La maggior parte è considerata popolazione urbana, insediata cioè in centri con oltre 2500 ab. o in aeree (townships) altamente popolate anche se non occupate da agglomerati urbani. Il numero delle grandi città è elevato; occorre però distinguere le città vere e proprie (corporated cities) dalle aree metropolitane (standard metropolitan statistical areas). La metropoli americana è già stata definita nelle sue strutture: ampia, estesa, essa è costituita da sterminati quartieri di abitazione, per lo più formati di case unifamiliari, dotati di shopping center, che orbitano intorno alla City o, meglio, al Central Business District, area sacra all'affarismo finanziario ed economico, dominata dai grattacieli. New York e Chicago sono l'espressione più spontanea ed esaltata della metropoli statunitense, sviluppatesi entrambe nel loro gigantismo verticale e orizzontale a partire dal sec. XIX, con la gara per l'accaparramento dello spazio edificabile che si riduceva con il gonfiarsi della popolazione. Entrambe hanno mantenuto, in distinti quartieri, le diverse nazionalità: gli italiani, gli ebrei, la vecchia aristocrazia anglosassone, i neri, i portoricani ecc. Con il passare degli anni veri e propri ghetti hanno continuato a espandersi nelle zone centrali, via via abbandonate dalla popolazione più benestante, che cerca nelle periferie, anche lontane, ambienti più ospitali di quanto non siano i quartieri degradati delle cities, divenuti squallidi e irrespirabili asili delle genti più diseredate. New York è l'esempio più vistoso di questa evoluzione della città americana: basti pensare al famoso quartiere afroamericano di Harlem, che pure è situato nel borough di Manhattan, il “cuore” economico e culturale della metropoli. Dagli anni Novanta del Novecento e poi con maggior vigore all'inizio del XXI sec., attraverso colossali progetti di riqualificazione urbana, si è assistito a un ritorno della componente benestante della popolazione nei quartieri storici, tramite la valorizzazione degli edifici originari in disuso. Harlem e l'East Village, per esempio, hanno subito una rinascita inaspettata e impensabile nei decenni precedenti: questi centri esibiscono nuove zone residenziali e commerciali, con ristoranti, negozi alla moda ecc. Il rischio, tuttavia, è che gli abitanti più poveri di questi quartieri, che ne compongono l'elemento storico, siano costretti ad abbandonarlo a causa dell'aumento dei prezzi degli immobili.



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Cultura: generalità

Gli USA formano una delle più estese unità politiche del globo, ma soprattutto dal punto di vista della potenza economica e dello sviluppo industriale hanno una posizione egemonica. La popolazione statunitense non è numericamente molto elevata (è superata largamente da quella della Cina e dell'India) ma essa gode in generale di condizioni di vita privilegiate – sia che si misurino in reddito pro capite o in consumi energetici o alimentari – al confronto delle quali le condizioni di certi Paesi del cosiddetto Terzo Mondo risultano di una distanza abissale. La realizzazione di una tale unità politica è il risultato violento e spettacolare del trapianto umano e dell'idea capitalistica europei nelle terre migliori dell'America Settentrionale, ricche di spazi e di risorse; si può dire perciò che gli USA rappresentino il “ringiovanimento” dell'Europa e della sua economia industriale, essenzialmente liberistica, sorta sulle sponde atlantiche del Vecchio Continente. Essi si sono tuttavia gradualmente staccati dall'Europa dando origine a forme di organizzazione umana originali, per quanto non ancora “coagulate” in una vera e propria cultura, ma sempre sollecitate dalla libera conquista (realizzata mediante un processo di arricchimento svoltosi con modalità persino esasperate) di territori geograficamente favorevoli, nonché attivate dai nuovi rapporti planetari resi possibili al tempo stesso dall'enorme progresso industriale e tecnologico raggiunto dal Paese e dalla sua fruttuosa posizione tra Europa ed Estremo Oriente. Con la crescita degli USA, in effetti, tutta la geografia mondiale è mutata e nuovi equilibri si sono venuti stabilendo nelle diverse regioni della Terra. In quanto grande potenza, gli USA condizionano la vita e l'economia di una larga parte del mondo, suscitando persino processi di acculturazione che si misurano nell'emulazione di ideologie, di schemi mentali e di modelli di comportamento tipicamente statunitensi. Con l'intrecciarsi di etnie, religioni e tradizioni gli Stati Uniti rappresentano un modello di società multiculturale che, nonostante le sfide ancora da affrontare, ha saputo ispirare senso di unità nazionale e spirito di integrazione. Economicamente gli Stati Uniti fondano non poca parte della propria attuale potenza sull'espansione della loro organizzazione politica ed economica, cosicché si può parlare di un nuovo imperialismo, che si è imposto in forme diverse da quello delle vecchie potenze europee, ma è stato reso penetrante attraverso l'azione economica di sfruttamento che tuttora si svolge sotto il mantello protettivo dell'apparato politico e militare.



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Cultura: patrimoni dell’umanità UNESCO

I siti culturali dichiarati patrimonio UNESCO negli Stati Uniti sono il Parco Nazionale Mesa Verde (1978); Independence Hall (1979); sito storico di Cahokia Mounds (1982); Fortezza e sito storico nazionale di San Juan di Portorico (1983); Statua della Libertà (1984); Parco Nazionale storico di Chaco (1987); Monticello e Università della Virginia a Charlottesville (1987); Pueblo Taos (1992); sito archeologico di Poverty Point (2014); missioni di San Antonio (2015).



Cultura: tradizioni. Il Natale e le altre feste

Approdo di abitanti di molte nazioni, gli Stati Uniti sono il Paese della patria d'elezione, di una terra capace di assimilare senza sosta genti di ogni provenienza, pur conservando anacronistiche discriminazioni razziali che coinvolgono proprio coloro che sono i depositari delle più antiche tradizioni del Paese, i nativi e i neri, il cui patrimonio è ricco di danze e di canti guerrieri, di blues e di spirituals, i primi legati al grande periodo della conquista, dell'espansione all'Ovest, i secondi al dramma della schiavitù negli Stati del Sud. Confinati gli ultimi discendenti dei nativi americani nelle riserve, mai del tutto interamente accettati i neri, le tradizioni popolari americane rispecchiano essenzialmente uno straripante gusto dell'immaginifico, del colossal, dell'amore per la fraternizzazione in uno slancio vitale che è diventato un modello d'imitazione dilagante. Natale è il grande rito della Confederazione americana. I primi colonizzatori, quaccheri e puritani, non lo celebravano con grandi festeggiamenti, ma la grossa immigrazione tedesca e l'affermarsi del cattolicesimo hanno fatto del Natale la giornata più festosa di tutto l'anno: meglio sarebbe dire che i festeggiamenti vanno dalla vigilia al capodanno. A Washington il presidente accende le luci di un grande albero di Natale dietro la Casa Bianca, al centro di un viale di abeti decorati a cura delle ambasciate di tutti i Paesi rappresentati nella capitale. In migliaia di giardini pubblici americani alberi di Natale giganteschi sfavillano di lampadine colorate. Nel New Mexico i riti indiani, spagnoli e americani per l'occasione si sovrappongono e il Natale diventa la festa delle luminarias. Con il cenone di capodanno si chiude il periodo natalizio. In California sono numerose le feste dei fiori, nel corso delle quali su carri inghirlandati passano gruppi di belle ragazze: tipico il torneo delle rose di Pasadena. A Filadelfia invece alle belle ragazze si sostituiscono le maschere, come in una chiassosa giornata di carnevale. Le parate negli Stati Uniti non sono certo rare; su tutte trionfa quella che viene organizzata ogni quattro anni, il 20 di gennaio. Il presidente, eletto nel novembre dell'anno precedente, si reca, in tale data, a prestare giuramento sulla Bibbia davanti al Campidoglio. E ancora con parate vengono festeggiate le ricorrenze della nascita dei grandi protagonisti della storia americana: nel Sud quella del generale Robert Lee (19 gennaio), nel Nord quella di Lincoln (13 febbraio). Il giorno della nascita del padre della patria, il generale Washington (22 febbraio), è festa per tutti gli Stati e vacanza in ogni scuola. Un'altra festa molto sentita in tutto il Paese è quella di San Valentino (14 febbraio), dedicata agli innamorati, in cui i giovani si scambiano le valentines, cartoline di circostanza a carattere affettuoso (a volte anche scherzoso) e doni simbolici. Il carnevale è un altro motivo di festa. Famoso fra tutti è quello di New Orleans, organizzato dalle Krewes, associazioni che per tutto l'anno si occupano di studiare nuovi carri e organizzare in maniera sempre nuova i quarantanove cortei che si svolgono per la città alla luce di splendide fiaccolate. Non meno di richiamo sono le feste pasquali, specie quella di New Salem, in cui gli appartenenti alla setta dei “Fratelli Moravi” passano tutta la notte in preghiera presso la loro chiesa. Al sorgere del sole, il pastore, rimasto a scrutare il cielo dalla cima del campanile, grida che Cristo è risorto. La cerimonia è diventata anche tradizione dei protestanti. A Tucson, indiani yaqui cristianizzati organizzano una vera e propria rappresentazione sacra durante la settimana della Passione e il giorno di Pasqua è riservato al battesimo dei convertiti. Lo stesso avviene a Talpa, nel New Mexico, protagonisti questa volta gli indiani pueblos.



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Cultura: tradizioni. Le grandi solennità civili e lo sport

Con le feste pagane e quelle religiose, molto celebrate sono anche le grandi solennità civili. Il 30 maggio, Memorial Day, si ricordano i morti e i caduti, mentre la prima domenica di giugno è dedicata allo Shut-in Day (la giornata dei "reclusi") con visite ai malati e sottoscrizioni per gli ospedali. L'America, con iniziative di ogni genere, filantropiche, patriottiche, consumistiche è la patria delle celebrazioni; basterà ricordare il 14 giugno come giornata della bandiera (Flag Day), per non parlare dell'Independence Day che viene festeggiato il 4 luglio con sfilate nelle strade, fuochi d'artificio, canti e musiche patriottiche. Ma numerose altre sono le celebrazioni che accomunano nei giorni di festa gli americani di ogni stato, come il Labor Day (giorno del lavoro), primo lunedì di settembre, o come il giorno della cittadinanza (17 settembre) in cui, con cerimonia solenne, si concede la cittadinanza americana agli stranieri (I am an American Day). L'America non poteva poi dimenticare il 12 ottobre, giorno in cui Colombo concluse il suo grande viaggio. Il Columbus Day è la grande festa dell'America, soprattutto degli italiani d'America. Altra ricorrenza particolarmente festeggiata è quella che avviene nei giorni dei Santi e dei Morti, Halloween, in cui i trapassati sembrano tornare sulla terra in una tragica mascherata: camuffati da scheletri, da spettri, da streghe, da diavoli, i ragazzi vanno di casa in casa di notte a chiedere offerte accompagnando le visite con la celebre frase “Treat or Trick?” (“dolcetto o scherzetto?”). La festa si conclude con carri allegorici, maschere, cortei di clown ecc. Il Treat or Trick ha assunto con il tempo un aspetto sempre più simbolico e anche filantropico. Posto a parte merita invece il Thanksgiving Day o giorno del ringraziamento (quarto giovedì di novembre), forse la festa più sentita dagli americani, che celebra un evento del 1621, quando i pionieri del Massachusetts ringraziarono Dio per il loro primo raccolto. Frequentemente, le ricorrenze sono accompagnate da canti e danze: agli appuntamenti storici si rispolvera la square dance, la più vecchia quadriglia del West e del vecchio Sud, si ballano di nuovo in cerchio i ring-games, di origine inglese, e soprattutto si cantano i vecchi motivi del cowboy. § L'amore degli americani per la competizione e per le riunioni si manifesta poi soprattutto nello sport, diffusissimo in tutti gli Stati e presente in molteplici discipline, fra le più praticate il baseball, anche se grande seguito hanno anche la boxe, il football americano, l'atletica, il nuoto e il basket. Tra gli sport all'aperto si passa dal semplice jogging, praticato anche nelle città da un folto numero di amatori, agli sport estremi come il bungee jumping o il rafting. Molto apprezzata, in particolare in Oregon, nello Utah meridionale, nell'Arizona, nel Montana e naturalmente in Texas, è l'equitazione con la classica monta western o con quella a pelo. Nati sul suolo americano, e poi esportati in tutto il mondo, sono anche gli sport con la “tavola”: surf, windsurf e, dalla fine degli anni Novanta, kitesurf. Lo skateboarding, inoltre, è uno dei pochi sport che è riuscito a diventare anche stile di vita tra i giovani, influenzando i luoghi d'incontro, l'abbigliamento e la musica. In versione invernale, la tavola viene usata per lo snowboard, praticato dagli anni Ottanta in alternativa allo sci. Sempre per gli amanti della neve, tra gli sport relativamente giovani, e ancora poco diffusi, si ritrova lo skijoring, ovvero la pratica che consiste nello sciare trainati da cavalli o cani. Anche la pesca è un'attività sportiva importante, quanto meno per la mitologia americana: viene praticata in diverse tipologie, dalla pesca d'altura in Florida alla pesca al salmone in Alaska.



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Cultura: tradizioni. Abitudini alimentari

La cucina americana è molto varia, grazie alle grandi diversità culturali della popolazione, ma allo stesso tempo, omologante, per l'incredibile numero di catene di fast food. Se un hamburger con patatine fritte e una bibita continua a essere il pasto più consumato dagli americani, ultimamente negli Stati Uniti sono state rivalutate le cucine regionali e la scelta di un consumo di cibo integrale e biologico, dettato principalmente dalla necessità di correggere uno stile di vita che ha portato a una capillare diffusione dell'obesità. Se a New York il crogiolo multiculturale unisce sapori molto diversi tra loro, nel New England e nel Middle Atlantic si fa largo consumo di pesce. La cucina degli Stati del Sud prevede, invece, la commistione di tradizioni africane, europee e dei nativi americani con la predilezione per il barbecue preparato con carni principalmente di maiale servite con salse speziate. Gli americani consumano in prevalenza cibi confezionati, passati al severo controllo della Food and Drug Administration e molto popolari sono le bancarelle di hot dog e kebab per i pasti veloci ed economici, oltre ai tipici lunch truck, i furgoni che servono cibo e bevande calde. La colazione americana è caratterizzata da abbondanti dosi di fiocchi d'avena o riso soffiato, uova e bacon, succo di frutta; il pasto di mezzogiorno di solito è più leggero, mentre il dinner serale resta il vero rivelatore della cucina statunitense, insieme al pranzo della domenica. Piatti tipici e principali sono: il clambake, tradizionale picnic, il planked meat (carne cotta al forno su una tavola oleata), le popolarissime, enormi bistecche, spesso contornate di patate al forno innaffiate di sciroppo e le crostate alla frutta. Diffusissima l'abitudine, per uno spuntino, del peanut butter and jelly sandwich, ovvero la fetta di pane bianco con burro d'arachidi e marmellata. Il grande signore della tavola, nei pranzi delle feste, è il tacchino farcito, seguito dal pollo alla king, cioè in umido con salsa di panna, funghi e cherry, e dal pollo fritto. Gli americani sono anche dei grandi consumatori di verdure e di cereali e adorano le pannocchie di mais arrostite o bollite e condite con burro e sciroppo. La cucina unisce dolce e piccante, come si apprezza nelle numerose salse, spesso impiegate per guarnire gli arrosti. Infine, torte e gelati entrano in abbondanza nell'alimentazione americana. Le bevande più diffuse sono il latte, la birra, prodotta nel Midwest, il tè freddo del Sud e le bibite gassate, tra cui i vari tipi di cola. Nonostante in California si coltivi la vite e si ottenga un prodotto di ottima qualità, il consumo di vino ai pasti è ancora limitato e si sta diffondendo più come aperitivo o dopocena. Molto ricercato è il vino proveniente da Italia e Francia. Il whisky resta il principe dei liquori.




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Cultura: letteratura. Dalle origini alla fine del sec. XVIII

La letteratura americana nasce colta e fin dall'epoca coloniale vi hanno notevole importanza le differenziazioni geografiche. Nelle colonie del New England è posta al servizio dell'ideologia puritana ed è caratterizzata da un gran numero di opere dottrinarie e di controversia religiosa. Più accattivanti sono i diari di personaggi come J. Winthrop (1588-1649), S. Sewall (1652-1730) o S. Kemble Knight (1666-1727), che offrono testimonianze sul mondo coloniale e sulla vita interiore dei pionieri; interessanti sono anche le opere cronachistiche e i resoconti come la History of Plymouth Plantation di W. Bradford (1590-1657), la History of New England from 1630 to 1649 di J. Winthrop o la General History of Virginia di J. Smith (1579-1631), quest'ultima sugli insediamenti nel Sud. Pressoché inesistenti sono le opere di intrattenimento, mentre notevole sviluppo ha la poesia – sia quella domestico-familiare di A. Bradstreet (ca. 1612-1672), sia quella ispirata al più acceso calvinismo di M. Wigglesworth (1631-1705), sia quella di E. Taylor (ca. 1644-1729), dove trovano posto temi religiosi e il cui precedente è costituito dalla coeva poesia “metafisica” inglese, in contrasto con lo stile semplice adottato dai puritani fin dal Bay Psalm Book (1640), la versione metrica dei salmi che è il primo libro pubblicato nelle colonie. Per oltre un secolo la cultura della Nuova Inghilterra (New England) rimase ancorata all'ortodossia puritana, come appare dall'opera di Cotton Mather (1663-1728) e dalla figura centrale del “grande risveglio” settecentesco, J. Edwards (1703-1758), che è come pervaso da una disperata volontà di riaffermazione del puritanesimo. Maggior apertura letteraria si nota nelle colonie del Sud, in uno scrittore come W. Byrd of Westover (1674-1744), animato da una fervida adesione alla vita e da uno stile raffinato, o nelle colonie centrali, come la Pennsylvania dei quaccheri. A Filadelfia si afferma l'altra figura centrale del Settecento, B. Franklin (1706-1790), che esprime i modi e gli ideali dell'illuminismo razionalista ed empirico e si fa portavoce dell'altra anima della nazione, non quella religiosa e messianica, simbolica e metafisica dei puritani, ma quella pratica, utilitaristica e mercantilistica. Franklin conduce direttamente, anche per il personale coinvolgimento, alla rivoluzione americana e alla nascita della nazione (1776); la tensione illuministica è incarnata in quegli anni da Th. Jefferson (1743-1826), ispiratore della “Dichiarazione d'Indipendenza”, mentre T. Paine (1777-1809) esprime l'istanza rivoluzionaria. Spetta all'immigrato francese Saint-John de Crèvecoeur (1735-1813), nelle sue Letters from an American Farmer, dar corpo al mito dell'America come Paese incorrotto e genuino, terra dell'avvenire fertile e ospitale. Gli inizi della letteratura nazionale non sono però contraddistinti, se non nei primissimi anni, da tale fiduciosa adesione al mito dell'America. Nei primi testi teatrali, come The Contrast di R. Tyler (1757-1826), essa è offerta come polo positivo di un confronto con l'Europa e nella poesia di J. Barlow (1753-1812) e di Ph. Freneau (1752-1832) non mancano accenti di esaltato nazionalismo. Ma in un poeta come J. Trumbull (1750-1831), appartenente al gruppo dei “bell'ingegni di Hartford”, predomina la vena satirica e se i primi esempi di romanzo, fra Sette e Ottocento, si ispirano al modello sentimentale dell'inglese S. Richardson, già il romanzo-fiume di H. H. Brackenridge (1748-1816), Modern Chivalry, modellato su H. Fielding, è una satira degli eccessi della democrazia. Quando si giunge al primo romanziere gotico (o “nero”) americano, Ch. B. Brown (1771-1810), la via è aperta per l'esplorazione di quei terrori dell'animo e della coscienza, del mondo ostile e della società vuota, che costituirà una genuina tradizione americana dall'Ottocento a oggi.



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Cultura: letteratura. La prima metà dell'Ottocento

All'inizio del secolo cominciano ad apparire le grandi figure di autori: un finescrittore come W. Irving (1783-1859) diventa il primo ambasciatore letterario del Nuovo Mondo e viene apprezzato in Europa per le qualità del suo stile; passando dalla storia burlesca di New York ai saggi e racconti dello Sketch Book egli segna il passaggio dal Settecento neoclassico ai primi fremiti del romanticismo, mentre il suo Rip Van Winkle, l'uomo sperduto nel bosco e risvegliatosi in un mondo sconosciuto, diviene uno degli archetipi della fantasia americana.J. F. Cooper (1789-1851) da un lato “naturalizza” in America il romanzo storico, sostituendo la guerra con gli indiani e la wilderness (la natura selvaggia) ai temi del passato storico europeo; d'altro canto egli affronta il tema del rapporto con i nativi, presentando l'archetipo dell'uomo dei boschi come “nobile di natura”, ma cogliendolo nel momento in cui su di lui si chiude la morsa della civiltà. Un altro grande autore del primo Ottocento, di formazione culturale sudista, E. A. Poe (1809-1849), nelle sue storie orripilanti esprime a un tempo lo sgomento di fronte al vuoto sociale e la chiusura in se stessi e i terrori dell'animo di fronte alla morte e al mistero, anche se le prove migliori le darà come scrittore dell'angoscia esistenziale. Di contro a un poeta come W. C. Bryant (1794-1878), che si ispira romanticamente alla natura come potere rigeneratore, Poe è teorico della poesia pura e dell'autonomia dell'arte, precorre simbolisti e decadenti, si affida alla musicalità del verso e alla suggestione della parola. Prototipo del poeta maledetto, egli è fra le prime vittime del vuoto culturale e dell'ostilità alla poesia; nella sua opposizione al mondo che lo circonda avrà seguaci per tutto l'Ottocento. Lo scrittore americano va sempre più ponendosi in posizione critica e dialettica rispetto ai valori e agli ideali del mito americano, anche se non ne mancano le affermazioni. Fenomeno centrale del primo Ottocento è il trascendentalismo, sia come dottrina filosofica sia come ispiratore di energie culturali e letterarie. Partendo dal presupposto idealista per cui la natura è tempio dello spirito, manifestazione visibile di una realtà trascendente, R. W. Emerson (1803-1882) elabora una sua filosofia dell'ottimistica accettazione del mondo, della fiducia in se stessi e della fondamentale bontà del creato, che esprime perfettamente l'impulso idealistico e creativo della nuova nazione.



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