IL FARO DEI SOGNI

L'ESSENZA DELLA MASSONERIA IALIANA: IL NATURALISMO - PARTE II

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Vediamo qui accennato quello che pare un dato irrinunciabile del simbolismo e della prassi massonica: il culto fallico. Come vedremo, non si tratta soltanto di simboli e allegorie: si tratta di un ordine di idee che può generare grossolane oscenità. Ci accingiamo perciò ad illustrare brevemente questo tratto del simbolismo massonico e ad accennare a qualcuna delle dichiarazioni e delle conseguenze più nefaste; può servire, infatti, a delineare, meglio che mille discorsi, la mentalità e la moralità massoniche. Le due Colonne sono il simbolo della Vita: «L'equilibrio umano ha bisogno di due piedi, i mondi gravitano su due forze, la generazione esige due sessi. Tale è il significato dell'Arcano di Salomone, figurato dalle due colonne del tempio» 211. «Alle due Colonne sono strettamente legate le parole sacre dei due primi Gradi massonici» 212. Questa corrispondenza tra le Colonne del Tempio, le due lettere e le parole in esse scritte, è significativa. Gorel Porciatti cita quindi 213 come «buona e copiosa fonte» l'opera di Arturo Reghini (1878-1946), «uno dei pochissimi lavori italiani attinenti alla Massoneria che meriti l'attenzione dello studioso».



Il Reghini, infatti, nella sua opera Le parole sacre e di passo dei primi tre Gradi e il massimo mistero massonico: studio critico e iniziatico 214, ci dà un elenco meticoloso dei vari significati delle parole Bohaz e Jackin. Per chi non sapesse il greco, Reghini mette la nota: «Le cteïs c'est la maison du fallus», dice Eliphas Levi 215. Questo francese, fin troppo chiaro ci viene ulteriormente spiegato nel volume Le basi spirituali della Massoneria Universale, riferendosi sempre al simbolismo ideografico e alla corrispondenza fallica: «Vita, in egizio "Ankh", in ebraico "Eve" - La Madre dei Viventi (cioè di coloro che vivono e non di coloro che sono vissuti e morti!) è lo stesso di Maria, in ebraico Myriam; e che Venere, non la Dea dell'Amore, ma la [...] forma o utero femminile, soprannominata "Mirionima" ("dai diecimila nomi") sono le stesse cose. È la triplice affermazione di uno stesso passivo su cui deve agire il maschile "Jod" cabalistico per [...]. Qui faccio punto [...] e taccio, perché, colonne del tempio massonicoeffettivamente, l'intuizione esatta della Verità occultata maldestramente sotto un tenue velo potrebbe portare all'applicazione pratica [...]. E non so che cosa possa poi nascere: si potrebbe svegliare nel Fratello lettore un benevolo Nume (e questo è Bene), ma si potrebbe svegliare anche un bruto (e questo è il Male). E io non voglio fare il Male, ma solo il Bene [...]. Credimi, l'ho fatto per la tua salute, non quella dell'anima - di cui hanno il monopolio i preti - ma per tenermi terra terra, di quella del corpo» 216. Non è facile comprendere il perché della ristampa anastatica fatta nel 1968 dalla Casa Editrice massonica Atanòr, del libro stampato nel 1926 da P. Piobb intitolato Venere la magica dea della carne, un'opera «di così grande importanza» perché «sintesi completa della religione di Venere» (pag. 1). In mezzo a tanta colluvie di pubblicazioni pornografiche, oggi così sfacciatamente abbondante, era proprio il caso di ripubblicare quest'opera? A quale scopo? Che non sia quello di dare una giustificazione di un presunto diritto al fatto di questa immoralità dilagante? Ci torna, tanto malinconicamente, alla memoria, la lettera di Vindice a Nubius, scritta da Castellammare il 9 agosto 1838, nella quale svolge la teoria dell'Alta Vendita Carbonara romana: «Il cattolicesimo, meno ancora della monarchia, non teme la punta d'uno stile; ma queste due basi dell'ordine sociale possono cadere sotto il peso della corruzione. Non stanchiamoci dunque mai di corrompere. Tertulliano diceva con ragione che il sangue dei martiri era seme di cristiani. Ora, è deciso nei nostri consigli che noi non vogliamo più cristiani: dunque, non facciamo dei martiri; ma popolarizziamo il vizio nelle moltitudini. Che lo respirino coi cinque sensi, che lo bevano, che se ne saturino; e questa terra, dove l'Aretino ha seminato, è sempre disposta a ricevere osceni e lubrici insegnamenti. Fate dei cuori viziosi e non avrete più cattolici. Allontanate il prete dal lavoro, dall'altare e dalla virtù: cercate destramente di occupare altrove i suoi pensieri e il suo tempo. Rendetelo ozioso, ghiottone e patriota; egli diventerà ambizioso, intrigante e perverso [...]. Noi abbiamo intrapresa la corruzione in grande; la corruzione del popolo per mezzo del clero, e del clero per mezzo nostro, la corruzione che deve condurci al seppellimento della Chiesa. Uno dei nostri amici, giorni sono, rideva filosoficamente dei nostri progetti e diceva: "Per abbattere il cattolicesimo bisogna prima sopprimere la donna”. Questa frase è vera in un senso, ma poiché non possiamo sopprimere la donna, corrompiamola insieme alla Chiesa [...]. Lo scopo è assai bello per tentare uomini come noi; non discostiamocene per correr dietro a qualche miserabile soddisfazione di vendetta personale. Il miglior pugnale per assassinare la Chiesa e colpirla nel cuore, è la corruzione. Dunque all'opera sino al termine»! 217.


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corruzione



È quanto, con meno retorica, asseriva Leone XIII nell'Enciclica Humanum genus, del 20 aprile 1884: «Esagerando le forze e l'eccellenza della natura, e collocando in lei il principio e la norma unica della giustizia, (i massoni) non sanno più concepire che, a frenare i moti e moderarne gli appetiti, ci vogliono sforzi continui e somma costanza. E questa è la ragione, per cui vediamo offerte pubblicamente alle passioni tante attrattive: giornali e periodici senza freno e senza pudore; rappresentazioni teatrali oltre ogni dire disoneste; arti coltivate secondo i principî di uno sfacciato verismo; con raffinate invenzioni promosso il molle e delicato vivere; insomma, cercate avidamente tutte le lusinghe capaci di sedurre e addormentare la virtù. E a conferma di ciò che abbiamo detto può servire un fatto più strano a dirsi, che a credersi. Imperocché gli uomini scaltriti e accorti non trovando anime più docilmente servili di quelle già dome e fiaccate dalla tirannide delle passioni, vi fu nella sètta massonica chi disse aperto e propose, doversi con ogni arte ed accorgimento tirare le moltitudini a satollarsi di licenza: così le si avrebbero poi docile strumento ad ogni più audace disegno» 218.



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framassoni



Ritornando sull'argomento, lo stesso Papa nella Lettera al Popolo Italiano «Custodi di quella fede», dell'8 dicembre 1892, scriveva: «Senza esagerare la potenza massonica attribuendo all'azione diretta e immediata di lei tutti i mali che nell'ordine religiosocerimonia massonica presentemente ci travagliano [...] vi si sente il suo spirito; quello spirito [...] nemico implacabile di Cristo e della sua Chiesa [...]. Dalle rovine religiose alle sociali brevissima è la via. Non più sollevato alle speranze e agli amori celesti il cuore dell'uomo, capace e bisognoso dell'infinito, gittasi con ardore insaziabile sui beni della terra; ed ecco necessariamente, inevitabilmente una lotta perpetua di passioni avide di godere, di arricchire, di salire, e quindi una larga ed inesausta sorgente di rancori, di scissure, di corruttele, di delitti. Nella nostra Italia morali e sociali disordini non mancavano certo anche prima delle presenti vicende; ma che doloroso spettacolo non ci porge essa ai dì nostri!


Nelle famiglie è assai menomato quell'amoroso rispetto che forma le domestiche armonie: l'autorità paterna è troppo sovente sconosciuta e dai figli e dai genitori; i dissidi sono frequenti, i divorzi non rari. Nelle città crescono ogni giorno le discordie civili, le ire astiose tra i vari ordini della cittadinanza, lo sfrenamento delle generazioni novelle che cresciute all'aura di malintesa libertà non rispettano più nulla né in alto né in basso, gli incitamenti al vizio, i delitti precoci, i pubblici scandali [...]. L'ordine sociale infine è generalmente scalzato nelle sue fondamenta. Libri e giornali, scuole e cattedre, circoli e teatri, monumenti e discorsi politici, fotografie e arti belle, tutto cospira a pervertire le menti e corrompere i cuori. Intanto i popoli oppressi e ammiseriti fremono; le sètte anarchiche si agitano; le classi operaie levano il capo e vanno a ingrossare le file del socialismo, del comunismo, dell'anarchia; i caratteri si fiaccano, e tante anime non sapendo più né degnamente patire, né virilmente redimersi dai patimenti, abbandonano da sé stesse, con il suicidio, codardamente la vita» 219. E Leone XIII continua: «Cerca (la Massoneria) di lacerare l'unità cattolica, seminando nel clero stesso zizzania, suscitando contese, fomentando discordie, aizzando gli animi all'insubordinazione, alla rivolta» 220.




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Sempre ricordando il saggio avvertimento del detto Papa di non attribuire «all'azione diretta e immediata» della Massoneria tutti i mali che oggi ci travagliano, non potremmo forse chiamare «profetici» i documenti pontifici citati e dire che i fatti segnalati allora, oggi assai più gravi perché più facilmente divulgati, avvengono o con essa o non senza di essa? Ricordiamo il già citato Padre Berteloot «Quale la filosofia, tale la morale: ordinariamente vanno insieme» 221. Ma torniamo, purtroppo, all'argomento che stavamo trattando. L'insistenza con cui gli organi della generazione danno vita, nel complesso simbolismo massonico, a sensi e significati figurati e ad espressioni falliche, è dottrina antica e nuova, sempre la stessa.



Padre Giuseppe Oreglia di Santo Stefano s.j. (1823-1895) pubblicava, nel 1874, il rituale massonico del 30° Grado, edito segretissimamente a Napoli, nel 1869 222. A proposito delle parole sacre del 1° e del 2° Grado, dice nella nota a pag. 15 che «per curiosità dei nostri lettori, non vogliamo privarli di una nostra osservazione fatta da noi (Domenico Angherà) nell'isola di Malta in tempo del nostro tredicenne esilio. Assistendo noi ai lavori massonici che si celebravano in quell'isola, e vedendo le iniziali "B" e "J" delle parole sacre dei due primi Gradi simbolici cioè "Booz" e "Jackin", leggendo per azzardo all'uso arabo le due dette parole, cioè leggendole al rovescio da destra a sinistra, si ebbero le parole "Zoob" e "Nikai". Presso i maltesi, che parlano un linguaggio arabo corrotto, sono queste due parole quelle per cui si esprimono [...], cioè due parole turpi. E il signor Angherà pensa che quello sia il vero senso cerimonia massonicadelle due parole sacre massoniche. Ma non lo rivela che nel Rituale del 30° Grado, dove ogni velo, e anche quello del pudore, “deve cadere”» 223. Proprio come dice il Ceschina, sopra citato nel 1959 (vedi Tav. nº 1): «Più in basso una spessa tenda nasconde i misteri della generazione, che solo i Kadosch possono scoprire» 224. I Kadosch, cioè i «puri» (in ebraico), che stanno al 30° Grado della gerarchia massonica, loro soli, i prodigiosi cavalieri purissimi, senza macchia e senza paura, possono darci il significato di quella croce segnata nel punto focale dello stretto perizoma che, in ogni caso, suggerisce sempre torbide relazioni tra i misteri religiosi e gli stimoli del sesso 225. Quello che, con discreto riserbo, accennava Padre Oreglia di Santo Stefano s.j. ci viene esplicitamente detto da Roberto Ascarelli, ebreo e quindi competente nella lingua ebraica, Presidente della Gran Loggia d'Italia di Rito Simbolico Italiano, in un volume di suoi Scritti e discorsi pubblicato nel 1971: «Il mondo, per il suo futuro, e cioè nella sua eternità, ha bisogno di procreare. Lo "Iod" ebraico, che corrisponde grosso modo alla "J" di "Jachin", è il simbolo del sesso maschile; il "Bed", che corrisponde grosso modo alla "B" di "Booz", corrisponde al simbolo femminile, perché "Bed" significa "casa", da cui l'idea di ricettacolo, caverna, utero. Se vogliamo ancora una curiosa conferma magica di questa interpretazione e teniamo presenti unicamente le consonanti, ben sapendo che in ebraico non si scrivono le vocali, e scriviamo "Jachin" con un "caph" ("c" dura) e un "nun", e leggiamo a rovescio, troviamo che il "nun" e il "caph" sono il segno scritto del coito e della copula, mentre scrivendo il "Bed" (b) e il "Zain" (z) e li leggiamo a rovescio, abbiamo il segno scritto dell'organo fecondatore, il fallo» 226.


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Dato il significato così pregnante che assumono gli organi della generazione nel sistema massonico, non sarà inutile ricordare quanto abbiamo accennato più sopra, e cioè che il Convento di Losanna, nel 1875, volle sostituire al nome di Dio l'espressione «Principio Creatore». Albert Pike, «storico ed esegeta del Rito Scozzese Antico e Accettato, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del 33° Grado per la Giurisdizione Sud degli Stati Uniti d'America, che i clericali di tutto il mondo ritennero di diminuire chiamandolo “il Papa della Massoneria”, mentre egli della Massoneria, fu, in verità, uno dei più benemeriti ed eletti Fratelli» 227, emanò, da Charleston, il 20 marzo 1876, un Decreto che il Bacci chiamava «il manifesto fatale» 228, nel quale, tra l'altro afferma: «L'espressione “Principio Creatore” non è affatto una frase nuova: essa non è che un'antica parola rediviva.


I numerosi e formidabili avversari della Massoneria diranno, e ne avranno il diritto, che il nostro principio creatore è identico al principio generatore degli indiani e degli egizi, e che potrebbe venir convenientemente simboleggiato, come anticamente era, col Linga, col Phallus, e col Priapo. Patha-Torè, dice Matter nella sua "Storia dello Gnosticismo", non è che un'altra modificazione del Phta. Sotto questa forma è "principio creatore", o meglio, "principio generatore". Questo Phta, questo Dio Phallico, tenendo il priapo in una mano, e brandendo con l'altra il flagello, era effettivamente il "Padre delle origini", ilmedaglia massonica Principio Creatore degli antichi egizi» 229. Padre Oreglia di Santo Stefano, su La Civiltà Cattolica, commentava: «Mi spiace dover dire che il Pike, da schietto americano, ci dà qui francamente la vera spiegazione del Dio creatore e dell'Architetto dell'Universo massonico, quale esso è inteso in tutti i rituali della Massoneria Scozzese e in tutti i simboli delle Logge. E ciò è tanto vero che il [...] deputato e avvocato Mussi [...], nella sua qualità di membro attivo del Gran Consiglio della Massoneria romana di Via della Valle, stampò in un suo almanacco massonico di Milano appunto questa stessa spiegazione fallica del Principio creatore, dicendo che questa è la vera idea che i massoni italiani si fanno di Dio e della creazione. Nel che concorda [...] con l'Arciprete Angherà» 230.



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Il quale Arciprete, a sua volta, non aveva dubbi in materia: «Il Grande Architetto dell'Universo significa la fecondità della natura: ed è un vocabolo convenzionale per significare il Dio-Universo. "Universus versus unum". Quasi si avesse voluto significare un centro di gravità universale. Tutto nel mondo si produce per effetto dell'arcana e misteriosa potenza della generazione» 231. Il vecchio Padre Oreglia di Santo Stefano aveva ragione che il fallo fosse il «vero principio creatore per la Massoneria» e avesse un posto d'onore nei riti delle Logge non è più un mistero. Nel già citato volume stampato fuori commercio, a Firenze, nel 1945, leggiamo: «Appunto all'Equinozio di primavera [...] i Rosacroce celebrano le loro agapi rituali, immolando l'agnello, ricordando la formula: "Ecco l'agnello di Dio", cioè l'immacolata Natura che "toglie i peccati del mondo". La Rosa, il più delicato e più gentile degli emblemi massonici, fiore profumato di primavera, significa grazia, venustà, giovinezza [...]. La Rosa fu anche l'emblema della donna; siccome la Croce simboleggiava anche la virtù generatrice del Sole, l'accoppiamento dei due simboli, la Croce e la Rosa, esprime in forma onesta e gentile, con discreta ed arcana figurazione, l'incessante riprodursi degli esseri [...]. La Rosa sopra la Croce è anche il modo più semplice di scrivere il geroglifico "segreto dell'immortalità della vita nell'Universo", cioè l'ultima e più recondita ed arcana conoscenza dei più alti misteri» 232. Vediamo ora il rituale: «Tutti i Fratelli (del Grado 18°, Prìncipi di Rosacroce) circondano la Pramantha. Lo strumento ankh - croce del nilo - chiave della vitaconsiste in una Croce di legno, a bracci disuguali, di dieci o quindici centimetri di spessore, e venti o venticinque centimetri di lunghezza, tagliata grossolanamente, e aventi l'apparenza di rami di un vecchio albero. Al centro della Croce è un foro cilindrico coperto da un coperchio a forma di Rosa. La Pramantha propriamente detta dovrebbe essere un cilindro di legno dolce di otto o dieci centimetri di lunghezza adattantesi al foro della Croce, cilindro che, col solo strofinamento, dovrebbe infiammarsi. Il Saggissimo toglie la Rosa Mistica, introduce la Pramantha nella Croce e dice: "I\N\R\I\". Il Saggissimo ritira la Pramantha accesa che tiene in mano» 233. Il commento lo lasciamo al Gorel Porciatti, per il quale questo rito darebbe una «sensazione tipicamente religiosa» provocata da qualcosa di misterioso quanto il segreto della sua origine, di misterioso e di potente quanto il simbolo della Croce, di quella Croce che «sin dal nascere della vita umana assunse una significazione di sconcertante potenza» 234. Preferiamo soffermarci, invece, sul significato, davvero «sconcertante», che la Massoneria crede di poter attribuire alla Croce. Seguiremo sempre il Gorel Porciatti, al quale non si può rimproverare di diffondersi poco, «il Simbolo, nel riferimento astronomico, si richiama alla grande Croce Zodiacale il cui asse equinoziale corrisponde al momento in cui il Sole copre dei suoi raggi la costellazione della Vergine - astronomicamente "entra in Vergine" - dopo di che cede, per poi risorgere a nuova vita nel successivo Solstizio. Da questo ravvicinamento, strettamente connesso alla già accennata "chiave del Nilo", il cui limo è prodigio di nuova vita, si ha ragione di credere sia nato il concetto della Croce Fallica, che, quale simbolo di principio fecondante, era dai sacerdoti di Osiride esposto alle feste di Dio, per offrirlo alla venerazione del popolo» 235.


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Anche la Croce dunque, e purtroppo, è un elemento importantissimo del culto fallico, al quale i massoni si dedicano senza risparmi di simboli e di parole. Vediamone partitamente i vari significati. «Tale Croce era costituita da un triplice fallo e si richiamava così ai tre elementi: Terra, Aria, Fuoco, uniti nell'elemento primitivo, l'Acqua, che era considerato quale origine delle cose» 236. E ancora: «Il concetto fondamentale di rappresentazione della Vita, attribuito alla Croce, si trova ovunque decisamenterosæ crucis - rosacroce affermato, non soltanto nella sua materialità, ma pure nella sua forma trascendentale. Il tratto orizzontale, che richiama il senso di giacere, il principio passivo, è concordemente assegnato, nella metà di destra o in quella di sinistra, all'Acqua, al Caos generante, onde assume decisamente il carattere di Principio Femminile; il tratto verticale esprimerà, per contro, con la sua direzione ascendente, il concetto di virilità, di potere, assumendo così il carattere di Principio Maschile: l'uno di Capacità (produttiva), l'altro il Volere (creativo)» 237. Per meglio spiegare la Rosacroce, il Gorel Porciatti aggiunge: «La Croce egizia, la Croce ansata [...] indirettamente, si richiama a quella di questo Grado, attraverso ad un ravvicinamento simbolico con il Loto, sacro simbolo orientale, di cui la Rosa è la delicata paretra Occidentale. La corolla circolare del Loto si schiude su di uno stelo verticale che attraversa, "fora" il piano orizzontale delle Acque. Nel suo assieme costituisce il geroglifico della Croce ansata (un'asta verticale cui si posa una orizzontale al cui centro è un cerchietto) che, nell'ermetismo egizio significa "chiave della Vita", spiegando così, con un facile simbolismo vegetale, lo "Ad Rosam per Crucem", cioè il pervenire all'Essenza per mezzo della Croce» 238. Non meno stupefacente è il significato che viene attribuito alle lettere I.N.R.I. Il significato di esse, alle estremità dei bracci, «dovrebbe essere "Jesus Nazarenus Rex Judaeorum". La scuola filosofica invece la fà corrispondere alle quattro iniziali delle quattro parole ebraiche il cui significato intrinseco si riferisce ai quattro elementi; dalle iniziali trae il bellissimo aforisma: "Igne Natura Renovatur Integra"» 239. I significati che si sono voluti attribuire alle quattro lettere (dato che «varie ragioni» consigliano «di essere estremamente prudenti nell'attribuire ai Vangeli un certo valore storico», come molto spicciativamente (e senza cognizione di causa) dice il Gorel Porciatti 240, sono svariati e quindi hanno dato vita a numerosi altri aforismi che egli ripartisce «in tre grandi categorie: mistico-gesuistico-cattolica, ermetico-alchimistica, filosofica» 241.



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inri_massonico



Chi avesse vaghezza di conoscerli tutti, non ha che da consultare il testo appena citato. Noi ci limitiamo ad accennare a perle come queste: «Ignatii Nationum Regumque Inimici», ossia «gli ignaziani (i gesuiti) sono i nemici delle nazioni e dei re»; oppure: «Igne Nitrum Roris Inventur», ovvero «con il fuoco si trova il nitro (l'azoto)»! Già Alessandro Luzio , del resto, aveva notato che «i minori gregari [...] si gingillano con i simboli interpretati per loro "ad usum Delphini"». E cita, in nota: «Un esempio per tutti, datoci dal Preuss (cap. III). In alcune Logge di rito scozzese, al grado di Rosacroce si lavora con dinanzi un bel crocifisso e tanto d'INRI sovrapposto. Credete che si debba intender per tutti "Jesus Nazarenus Rex Judaeorum"? Sarebbe un'ingenuità il supporlo. Il "Jesus Nazarenus Rex Judaeorum" serve unicamente per i goccioloni che avessero scrupoli religioso-cristiani; ma per i più scaltriti c'è l’imbarazzo della scelta tra le interpretazioni eterodosse, putacaso queste: "Igne Natura renovatur integra" (naturalistica); "Igne nitrum roris invenitur" (alchimistica); "Iustum necare reges impios" (tirannicida); o un'altra interpretazione basata sulle iniziali di parole ebraiche, denotanti i quattro elementi» 242.


Ma il culto fallico massonico non si limita alle irriverenze, per non dire di più, compiute sulla Croce. I massoni si dedicano ad un vero e proprio culto del fallo, fatto di cose concrete e non di simboli, fino ad ispirare ad esso una vera e propria morale e conformare a questa i proprî comportamenti. Nel giuramento di 1° Grado, quello di Apprendista, è detto, fra l'altro: «Prometto e giuro di non attentare all'onore delle famiglie dei miei Fratelli» 243. E per le... altre?



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Ecco un commento della Rivista della Massoneria Italiana: «La Massoneria, per vivere, per prosperare e per essere utile a sé e all'umanità per cui lavora, deve sopprimere il prete, insegnare la sana morale, senza disgiungerla dal soddisfacimento dei bisogni della natura, e libera affatto d'ogni ipocrisia larvata, proseguire guardinga ma sicura, il suo corso conquistatore. Potrà esser certa di aver vinto il prete, il giorno in cui sarà padrone della donna, e questo giorno, purtroppo è assai lontano. La donna è del la donna e il preteprete e col prete, perché questi la compiange, la perdona, e ne liquida i peccati a un tanto il braccio quando gli si presenta al confessionale. Il prete perdona le scappatelle delle fanciulle; il prete perdona le infedeltà delle maritate; il prete consola le vedove; e in santa emulazione col frate, ha una parola e un'opera per le attempate e le dimenticate! Noi invece, mentre desideriamo le mogli degli altri, mentre tendiamo reti alle sorelle e alle figlie degli altri, vorremmo che le nostre mogli, figlie e sorelle, portassero un cartellino sulla fronte, ove fosse scritto: "Guai a chi le tocca". Finché non daremo alle donne tutta la libertà e tutta l'istruzione possibile, finché non accorderemo loro perdono e tolleranza - giacché sono fatte come noi, ossa delle nostre ossa, e carne della nostra carne - le avremo sempre ossequienti e devote al prete, che in questo solo ha saputo seguire l'esempio di Cristo, il quale volle perdonare alla donna adultera» 244. Non proseguiamo con questo brano di prosa edificante, quando la Massoneria parlava chiaramente, dicendo pane al pane e vino al vino, perché il testo citato offre di per sé lo spunto e qualche breve commento. C'è da notare innanzi tutto con quale disprezzo la Massoneria tratta «il prete», il quale dovrebbe essere addirittura «soppresso»; ma questo è il solito tono e non fà meraviglia. Più notevole è l'acume con cui viene descritto l'atteggiamento del prete durante la confessione: perdono e buffetti a tutte, alle fanciulle un po' troppo vivaci, alle adultere, alle vedove e alle zitelle. Ecco perché «la donna è del prete e col prete»! Cosa fanno frattanto i nostri buoni massoni? Si limitano a desiderare le donne, anzi «le mogli degli altri», a tendere reti «alle sorelle e alle figlie degli altri»; tuttavia, con bella mentalità sultanesca, vorrebbero che le proprie mogli, figlie e sorelle «portassero un cartellino sulla fronte ove fosse scritto: "Guai a chi le tocca"»! Si impone dunque la conclusione ai massoni, così addestrati alla loro logica: bisogna staccare le donne dai preti (forse per poter più facilmente tendere loro reti). E quale il toccasana? Accordare «tutta la libertà e tutta l'istruzione possibile» alle donne (degli altri, si intende!), «perdono e tolleranza» e altre affermazioni dello stesso calibro. Così, una volta inteso l'ordine di idee in cui si muovono i massoni in questa materia, non fanno più meraviglia certi fatti. Ferdinando Ghersi (1798-1866) che «può essere ritenuto il primo Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio d'Italia in Torino dal 10 agosto 1864» 245, come risulta da una lettera di Ludovico Frapolli del 7 luglio 1871, «vecchio nonagenario viveva con una giovane donna del popolo avente dei figli» 246.



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Di Giuseppe Garibaldi (1807-1882), «primo Libero Muratore d'Italia» 247, Sovrano Gran Commendatore e Gran Maestro del Grand'Oriente di Palermo 248, su questo argomento non diciamo nulla perché... di Garibaldimovimento di liberazione della donna non si può parlar male! Chi avesse voglia di erudirsi, in materia, non ha che da leggere l’opera di Giacomo Emilio Curatulo (1864-1948) intitolata Garibaldi e le donne 249. In una memoria stampata su Pietro Cilembrini e la Reale Accademia Valdarnese del Poggio, letta in Montevarchi l'8 settembre 1889, leggiamo che questo sventurato (1817-1889), a diciassette anni «già vestiva l'abito talare [...] contro la propria vocazione, preferendo egli darsi alla medicina; ma il padre l'obbligò a farsi prete, forse a ciò indotto dai pochi mezzi e dalla facilità con la quale nella carriera ecclesiastica si raggiungeva a quel tempo un comodo stato» (pagg. 17-18). «Amò viaggiare fino a che glielo permisero le sue piccole rendite [...]. Viaggiò sempre vestito da secolare, avendo un sacro orrore per la veste talare e per il tricorno» (pag. 43). Con Decreto del 24 maggio 1849, dopo la restaurazione, entrò in carica il Ministero Baldasseroni di cui faceva parte il senatore Leonida Landucci per l'Interno. Trascriviamo quindi, testualmente, quanto dice la memoria: «Il Landucci affettava un certo sentimento di benevolenza verso il nostro Pietro e, sotto la maschera del gentiluomo, lo invitava spesso alla sua villa sopra il Leccio. Il Cilembrini, quantunque conoscesse i veri sentimenti del senator Landucci verso di lui, pure vi andava, perché [...]. Perdonatemi voi specialmente, o signore gentili, se vi dico per intero il perché. Egli amava la conversazione delle donne belle; e dal ministro sembra che ve ne fossero a dovizia, compresa la moglie che era bellissima» (pag. 27). Ora, è documentato che il Cilembrini ebbe il diploma massonico di Maestro nella Loggia Amicizia di Livorno nel 1866, e poi, il 30 aprile 1867, veniva affiliato alla M. L. Capitolare Nuovo Campidoglio di Firenze. Non è da meno la Rivista della Massoneria Italiana, nella quale può leggersi una commemorazione di Giovanni Pantaleo (1832-1879), ex frate minore, «suocero del Gran Maestro Guido Laj» 250, e cappellano maggiore di Garibaldi. Dopo un'entusiastica tirata sulle doti del Nostro, nel tracciare con tono roboante qualche linea della sua vita, così si esprime: «A Lione, il nostro Pantaleo conobbe la sua Camilla della quale poco dopo (nel 1870) fece la sua compagna, e si completò uomo»! 251.



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Non è chiaro se tale completamento fosse necessario per fra Pantaleo, il quale non poteva considerarsi del tutto uomo prima di incontrare la Camilla e se siano indispensabili certe conoscenze per chiunque voglia chiamarsi uomo. Tuttavia, le espressioni rivelano una chiara mentalità. Un altro esempio: abbiamo qui, dinanzi a noi, un gruppo di ventitre lettere autografe di Andrea Costa (1851-1910), Fratello attivo della Loggia Rienzi e dell'Areopago di Roma 252, tra i fondatori del Partito Socialista. Sono lunghe lettere, dirette al Sen. Giacomo Ferri, dall'agosto 1906 all'agosto 1908, di carattere familiare, riguardanti litigi e la separazione dalla moglie Angelina a causa di un'amante che il Costa aveva a Bologna e non voleva piantare.


ire spontanea un'obiezione: «Ma queste cose succedono anche nelle... migliori famiglie cattoliche». Purtroppo è vero, ma non certamente in forza della morale cattolica! Però non ci si venga a dire: «Sta di fatto che in poche famiglie, come in quelle dei massoni, la moralità e la religiosità permeano ogni contatto e sono fonte quotidiana di insegnamento e istruzione» 253. Tutto sta ad intendersi come siano concepite la moralità e la religiosità, come abbiamo già visto. Difatti, nella Massoneria, lo stesso simbolismo fallico si ritrova in quello che può chiamarsi il suo stemma: la lettera «G» nel centro della Stella fiammeggiante a cinque punte. Per il Gorel Porciatti non sembra esservi alcun dubbio sulle relazioni tra il simbolismo fallico e la suddetta «G» (vedi sotto Tav. nº 3):




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«Nel Pentagramma, che figura soltanto al secondo poi al 3º Grado la cosa è diversa: nel secondo siamo nel regno della Natura che geometrizza tutto, quindi il solo significato della "G" è "Geometria", così come indica il nostro rituale; nel 3º Grado, i Misteri della Natura vengono approfonditi e viene raggiunta la certezza che in essa nulla si crea, ma che tutto si genera, e perciò [...] il significato della "G" è Generazione. Concludiamo perciò che in seno al Pentagramma la lettera "G" significa "Geometria" per i Compagni e "Generazione" per i Maestri che sanno come dalla morte venga la vita, come il seme che muore generi la pianta che nasce» 254. Ci sia permesso riportare sull'argomento, in una nostra traduzione, un giudizio di Mons. Ernest Jouin (1844-1932), «prelato stimato e di gran cuore» 255, che, nel 1912, aveva fondato la Revue Internationale des Sociétés Secretes, «la più seria» 256 tra quelle comparse in quel periodo. In un interessantissimo articolo su Lourdes e la Massoneria del tempo, Mons. Jouin dice: «La lettera "G" nel centro della Stella fiammeggiante a cinque punte, conferma col suo triplice significato i principî e lo scopo di questa società segreta, chiamata giustamente "Contre-Église" ("contro-chiesa") da uno dei suoi più ferventi adepti, F\ Limousin» 257.




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Trascriviamo il testo intero dell'articolo di M. C. Limousin «La Massoneria, Chiesa dell'eresia»: «La M\ è un'associazione, un'istituzione? [...] Non è così; è più di così. Solleviamo tutti i veli anche a rischio di provocare delle proteste. La M\ è una chiesa: la contro-chiesa, l'anticattolicismo, l'altra chiesa, la chiesa dell'eresia, del libero pensiero, poiché la Chiesa cattolica è considerata come la Chiesa tipo, la prima, quella del dogmatismo e dell'ortodossia» 258. Continua Mons. Jouin: «Questa "G" significa anzitutto "God", la divinità esclusa da questo mondo con la rottura d'ogni rapporto confessionale e d'ogni dipendenza tra Dio e l'uomo: è la soppressione dell'ordine soprannaturale con la necessaria conseguenza del rovesciamento dell'autorità. Dunque, la "G" irreligiosa della Massoneria porta fatalmente all'anarchia con tutte le sue rovine. Questa "G" massonica significa poi "Geometria": la scienza che sbocca nella divinizzazione pagana dell'uomo o nel "superuomo" della cultura tedesca. L'uomo non è più quel che Dio l'ha fatto con la Creazione e la Redenzione: si tratta della soppressione dello stato soprannaturale con la necessaria conseguenza dell'instabilità di un ordine sociale nel quale la lotta per la vita diventa egoisticamente l'unica regola delle azioni umane e il fermento di continue rivoluzioni, nascosto sotto il nome fallace di uguaglianza e di fratellanza: chi potrà contare le rovine accumulate, sotto questo punto di vista, dalla Massoneria in due secoli? Finalmente, questa "G" significa "Generazione", cioè i simboli e gli atti dei culti fallici dell'antichità, l'umanità scesa nel fango, nel regno inferiore della scimmia che reputa sua antenata; da qui la soppressione della vita soprannaturale» 259.




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Tuttavia, le notazioni sulla Stella fiammeggiante massonica non si esauriscono nella considerazione della grande importanza che assume nella simbologia e nell'accertato significato fallico che ha assunto la «G» che vi campeggia nel mezzo, perché va ancora notato come il simbolo della Stella fiammeggiante è ispirato, come gran parte della simbolica massonica, al corpo umano, come nel Ceschina già citato. Nel caso nostro, le cinque punte della Stella corrispondono alla testa e alle quattro estremità dell'uomo (vedi Tav. nº 4).




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La «divinizzazione pagana dell'uomo» (Mons. Jouin). Immagine estratta dall'opera di Oswald Wirth La Franc-maçonnerie rendue intellégible à ses adeptes («La Massoneria resa intelleginbile ai suoi adepti»).



Spiega il Gorel Porciatti: «La Stella Fiammeggiante che appare al Compagno vincitore delle attrattive terrene è la Stella del Genio Umano; ha cinque punte che corrispondono alla testa e alle quattro estremità dell'Uomo; è la Stella del Microcosmo che in Magia impersonifica il segno della Volontà Sovrana, cioè dell'irresistibile mezzo d'azione dell'iniziato. Per avere questo valore essa dev'essere tracciata in guisa da potervisi inscrivere una figura umana; deve cioè avere una punta in alto».

«Se rovesciata, essa assume un senso diametralmente opposto, non è più il Pentalfa, la Stella dei Magi, l'emblema della libertà acquisita allo spirito che domina la materia, ma diventa il simbolo dell'animalità degli istinti immondi; in essa, così rovesciata, si può inscrivere la testa di un Becco» (vedi Tav. nº 5). «Nei catechismi massonici del (2º) Grado, alla domanda rivolta al Compagno: "Sei tu tale"?, questi risponde: "Conosco la Stella Fiammeggiante". La risposta è un poema che racchiude la visione cui ha fatto cenno» 260.




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Il Becco di Mendes. Immagine estratta dall'opera di Oswald Wirth La Franc-maçonnerie rendue intellégible à ses adeptes («La Massoneria resa intelleginbile ai suoi adepti»)




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Un ultimo particolare, che vale la pena di notare, è quello relativo alla prescrizione delle «stellette» sul bavero delle divise militari italiane. Si ispirano esse alla simbologia massonica, come sostenevano i vecchi «clericali», oppure l'adozione delle stellette ha altri significati che nulla hanno a che vedere con la Massoneria? Le stellette militaristellette a cinque punte furono prescritte nel 1871, con una serie di provvedimenti diligentemente rievocati dalla rivista Storia illustrata. Per l'autore della citata pubblicazione, che rispondeva alla domanda se le stellette avessero relazione con lo «Stellone» e se questo è il «simbolo della nazione», non è ravvisabile alcun collegamento: «Circa l'origine, si ritiene che la scelta della "stella" non abbia un particolare significato [...]. Una donna formosa, con una stella in fronte o sulla corona portata sul capo, era comune nelle figurazioni dell'Italia nell'800. È naturale che quella stella, che, per essere generalmente vistosa suggerì il vocabolo "stellone", sia assurta a simbolo delle fortune d'Italia. Troviamo la "stella" anche nello stemma della Repubblica. Possiamo quindi riconoscere, in questo segno di uso ormai centenario, un "simbolo" della continuità della nazione» 261. Che le stellette dei nostri soldati non abbiano alcun «particolare significato», non ci pare, tuttavia, del tutto pacifico. Intanto, è bene notare che le varie prescrizioni delle stellette furono emesse quando era Ministro della Guerra il Generale Cesare Ricotti-Magnani (1822-1917). Padre Rosario Esposito conferma che il Ricotti-Magnani era massone. Aveva, infatti, soppresso i Cappellani Militari, la Messa festiva e «sostituì la croce di Savoia con la Stella massonica nelle uniformi dell'esercito» 262. Certamente, qualche dubbio può sorgere, per quanto non decisivo, se si pensa al significato che, già prima del 1871, aveva assunto la parola «stellone». Alfredo Panzini (1863-1939), nel suo Dizionario Moderno 263, alla voce «Stellone», dice: «Lo stellone d'Italia, cioè la meravigliosa fortuna che assistette l'Italia nella storia del suo Risorgimento. Si dice anche: "Speriamo nello stellone"!, ossia nella fortuna della Patria; e si suole dire quando non si trovano argomenti più validi a bene sperare. Risale alle figurazioni simboliche dell'Italia sormontata dalla stella di Venere».



Il deciso parere che le «stellette» siano un «regalo massonico», è chiaramente espresso dalla S\ Maria Rygier (1885-1953), della Loggia Le Droit Humain, nel suo volume La Franc-Maçonnerie Italienne devant la guerre et devant le Fascisme («La Massoneria italiana di fronte alla guerra e di fronte al fascismo»). Citiamo, in una nostra traduzione: «La Massoneria ha dato all'Italia il suo tesoro più prezioso: illoggia mista le droit humain Pentagramma sacro, e ha voluto che la Stella fiammeggiante fosse messa in mostra sull'uniforme dei soldati, indubbiamente perché la virtù magica del sangue, versato per la Patria, vitalizzasse l'augusto Pentacolo» 264. Perché, «in materia tanto grave», la sua «interpretazione personale potrebbe sembrare insufficiente», si riferisce «all'alta competenza massonica di F\ Giosuè Carducci», del quale cita alcuni versi della poesia Scoglio di Quarto: «In quel vespero/ del cinque maggio [...]/ E tu ridevi, Stella di Venere/ Stella d'Italia». E poi commenta: «I competenti di scienze esoteriche sanno benissimo che la Stella di Venere, detta anche "Stella di Lucifero", quando sorge al mattino, è, precisamente, la Stella delle Iniziazioni. È proprio quella che [...] brilla sulla fronte degli Adepti, nell'ora della suprema Illuminazione, della liberazione indicibile. È l'anima stessa dell'Italia che sembra racchiusa, da una congiura potente, in questa Stella, che i nostri pittori e scultori mettono sulla testa dei simulacri della Patria; che, in pieno regime fascista, è illuminata, nei giorni di festa, sulle facciate o le sommità degli edifici pubblici, più in alto che i fasci littori; ma che nessun civile, sia donna che ragazzo, ha il diritto di mettere sul suo vestito» 265. E ancora: «L'Italia, infatti, circonda di un rispetto tanto geloso, di una volontà di possesso tanto esclusiva, il sacro Pentagramma, che, quando, nel 1918, formò le legioni straniere con prigionieri cechi, polacchi o rumeni che domandavano di combattere sotto le sue bandiere, essa permise loro di scegliere quel corpo scelto che desideravano, ma rifiutò loro le stellette, che solo i suoi figli hanno il privilegio di bagnare col proprio sangue» 266.



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