| Territorio: geografia umana. Generalità
I primi abitatori dell'odierno Messico, intorno al primo millennio a. C., furono probabilmente gli Olmechi, seguiti da Xilanchi, Otomí, Mixtechi e Zapotechi che si allearono poi nel vano tentativo di respingere gli Aztechi, Huaxtecos e Totonachi che riuscirono in parte a resistere alle successive invasioni fino all'arrivo dei conquistadores che li decimarono. Più a sud i Maya-Quiché, arrivati intorno al VII secolo a. C. nello Yucatán e al confine con il Guatemala, dopo un lungo periodo di splendore seguito da un violento e repentino declino si fondevano nell'VIII secolo con i potenti Toltechi, che avevano occupato l'Anáhuac; i due popoli furono sconfitti e soggiogati in seguito dai Chichimechi. Appartenenti al gruppo etno-linguistico dei Nauha, gli Aztechi giunsero invece dalle regioni nordoccidentali, la mitica Aztlán (“terra dell'airone”), a partire dal XI secolo, imponendosi sui popoli precedentemente insediati nell'altopiano. L'Anáhuac è rimasto, come in passato, la parte più popolosa del Paese. Profonde trasformazioni si sono avute tra il 1518 e il 1521 con la conquista spagnola e ciò in funzione delle diverse forme di sfruttamento. Tra queste si impose subito l'allevamento del bestiame, in rapporto al quale sorsero le prime grandi haciendas su terre vastissime assegnate agli encomenderos, i latifondisti spagnoli. Ancor più determinante fu lo sfruttamento minerario che arricchì il Paese in modo prodigioso, facendo nascere nuove e belle città, come Taxco, Guanajuato, Zacatecas ecc. Già alla fine del Seicento esistevano nel Messico 35 vivaci città, cui facevano capo haciendas, ranchos (piccole proprietà) e villaggi, più numerosi questi ultimi nelle tradizionali aree di popolamento indio, prevalenti i primi nelle zone di colonizzazione. Si ebbe nel contempo un processo di meticciamento sempre più profondo ed esteso, benché si conservassero ampie zone, specie nel Nord, di intatta popolazione india. Parallelamente alla prosperità economica si verificò un significativo incremento demografico soprattutto tra la popolazione bianca e meticcia, mentre gli indios si riducevano, decimati dalle epidemie e dal duro sfruttamento economico. Per tutto il XIX sec. la popolazione messicana non registrò forti aumenti, e ciò a causa delle cattive condizioni in cui viveva il peón, il contadino, assoggettato al regime coloniale. L'indipendenza migliorò la situazione, ma l'oligarchia terriera rinforzò gradatamente il proprio regime, specie all'epoca di Porfirio Díaz. Le campagne non fruttavano abbastanza per le masse dei peones soggetti agli interessi degli haciendados. La guerra civile del 1910-17 fu lo sbocco di una situazione insostenibile, cui fece seguito la riforma fondiaria, e l'istituzione degli ejidos, le comunità rurali che diventavano padrone degli appezzamenti e nell'ambito delle quali ogni contadino aveva la sua parte di terra in usufrutto. Cominciò da allora la vita del Messico moderno e si ebbero i primi forti incrementi demografici; la guerra civile aveva provocato tuttavia forti perdite e ci vollero alcuni decenni perché la popolazione raggiungesse la cifra del 1910, quando vennero registrati 15 milioni di abitanti. L'incremento più tumultuoso si ebbe a partire dagli anni Quaranta, quando la mortalità subì sensibili riduzioni, mentre la natalità conservava i valori tradizionali, elevatissimi, pari al 40-45‰. Nel 1940 la popolazione era di 19 milioni e nel 1960 già di 38 milioni, mentre al censimento del 1990 risultavano oltre 81,2 milioni di abitanti, saliti a oltre 103 milioni nel 2005. La popolazione è costituita per il 64% da meticci, per il 18% da amerindi, diffusisi specialmente nel Nord e nel Sud, mentre i creoli, messicani di origine spagnola, e gli altri bianchi, molti dei quali nordamericani immigrati di recente, sono il 15%; di scarsa entità gli altri gruppi, tra cui cinesi, malesi ecc. Lungo le coste meridionali si trovano minoranze neroafricane e di zambos, derivati dall'incrocio tra indios e neroafricani. La densità di popolazione (la media è di 60 ab./km²) varia da zona a zona. Nell'Anáhuac, nella parte che fa capo alla capitale, si hanno le densità più elevate, ben superiori a 500 ab./km²; nel resto della fascia centrale si registrano ovunque più di 150-200 ab./km2. Questi valori diminuiscono notevolmente nel Nord e nella Baja California, dove si hanno densità di 24 ab./km². La distribuzione risente delle possibilità agricole, ma l'elevata popolazione dell'Anáhuac dipende dallo sviluppato urbanesimo della regione, mentre la bassa densità del Sud è dovuta alla ritardata valorizzazione delle terre: fatto che si riscontra anche in numerose plaghe del Nord ed è all'origine del fenomeno della migrazione stagionale dei braceros, manodopera che raggiunge gli Stati Uniti dove viene impiegata nei lavori agricoli stagionali. Accanto a queste forme di migrazioni per così dire “ufficiali”, esiste un forte movimento di emigrazione clandestina verso gli Stati Uniti, che esercitano, con il loro sviluppo industriale e l'elevato tenore di vita, una forte attrazione specie sui giovani delle regioni più povere. Il Paese ospita circa 11 milioni di messicani mentre il numero complessivo di cittadini di origine messicana supera i 20 milioni. Nella seconda metà degli anni Novanta l'aumento dei controlli e la severità delle forze anti-immigrazione statunitensi ha portato a un incremento della mortalità tra coloro che tentavano di attraversare illegalmente la frontiera. Il saldo migratorio è negativo (-3,84‰ secondo le stime del 2008), nonostante il Messico abbia accolto in questi anni migliaia di immigrati provenienti dal Centro e Sud America, in particolar modo da Guatemala, El Salvador e Colombia. Secondo i dati dell'UNHCR tra 1996 e il 2002 i rifugiati guatemaltechi in Messico erano oltre 150.000, in netto calo negli anni successivi, e alcune migliaia i salvadoregni. Inoltre, 1100 indigeni guatemaltechi insediati nelle regioni rurali meridionali sono diventati cittadini nel 2005. La popolazione messicana, che sino al 1940 era in maggior parte considerata rurale (il 65% del totale viveva cioè in centri con meno di 2500 abitanti), all'inizio del Duemila è urbanizzata in una percentuale elevata (76%). La popolazione rurale vive nei pueblos, in villaggi che hanno funzioni centrali nell'ambito dei territori agricoli disseminati di nuclei di peones (rancherías o ranchos composti di non più di 50-100 famiglie) e di haciendas. L'istituzione degli ejidos non ha mutato sostanzialmente la struttura insediativa preesistente, che è un fenomeno di tipo spontaneo, legato alla trama dei centri gerarchici. Il contadino vive principalmente in povere capanne di argilla impastata, che solo nei centri principali sono sostituite da case di tipo moderno. Poche sono ormai le zone dove gli indios vivono nelle loro condizioni originarie, chiusi cioè agli scambi commerciali e culturali moderni: è qui che si trovano ancora le vecchie abitazioni di legno e paglia, o le dimore temporanee dei pastori. Le comunità indigene sono suddivise in ca. 60 gruppi etnici, insediati in migliaia di piccole località, dalle regioni del nord al confine con il Guatemala, anche se la maggior parte degli indios è stanziato a sud, negli Stati del Chiapas, Yucatán, Oaxaca, Quintana Roo, Guerrero, Michoacán. La Ley Indigena (o Legge di Cocopa) del 2001 garantisce i diritti fondamentali e riconosce la cultura degli indios, concedendo loro autonomia amministrativa nelle regioni che abitano. Nel 2003 è stata istituita la Commissione nazionale per lo sviluppo dei popoli indigeni (l'ex Istituto Nacional Indigenista), voluta dal governo federale al fine di sviluppare e attuare progetti per la valorizzazione e la crescita delle culture locali, nell'ottica di uno sviluppo sostenibile, come stabilito dal secondo articolo della Carta costituzionale, che definisce il Messico un Paese multietnico. Tuttavia, la qualità della vita degli indios è ancora molto bassa: secondo le organizzazioni internazionali il 90% della popolazione indigena vive in situazioni di povertà, l'indice di mortalità infantile è doppio rispetto alla media nazionale e si segnalano difficoltà di accesso alle strutture sanitarie e carenze nel settore educativo, specie a proposito dell'istruzione bilingue prevista dalla legge. Il rispetto delle aree abitate dalle comunità indigene non è di fatto garantito e in passato si è proceduto al trasferimento forzato di interi gruppi. L'aspetto maggiormente significativo riguardo all'andamento degli indicatori demografici della popolazione messicana è il decremento verificatosi nel tasso di accrescimento annuo (1,7% nel 1993-98, sceso ulteriormente all'1,4% nel 2000-2005, contro il valore degli anni Settanta, pari al 3%). Tale andamento è spiegabile con il declino del tasso di fertilità (da 6 a 2,2 bambini per donna) e al miglioramento delle cure sanitarie, che hanno abbassato il tasso di mortalità infantile. Per effetto della maggiore disponibilità di vaccini e della diffusione della rete di assistenza si sono virtualmente eliminati i pericoli derivanti da malattie come la tubercolosi e la poliomielite, anche se permangono preoccupanti i dati relativi alla espansione della malaria, della dengue e dell'AIDS (benché la percentuale di adulti che hanno contratto il virus sia rimasto costante dall'inizio del nuovo millennio). Quella messicana è una popolazione giovane se si considera che circa un terzo degli abitanti ha meno di 15 anni e che la malnutrizione continua a costituire un serio problema, nonostante sia più evidente nelle remote aree rurali, in particolare negli Stati di Guerrero, Chiapas e Oaxaca. La situazione è ulteriormente aggravata dall'alta incidenza del lavoro minorile: secondo i dati dell'UNICEF, infatti, esso coinvolge circa 3,5 milioni di bambini dai 12 ai 17 anni; non solo, ma la percentuale delle morti violente (omicidio, suicidio, incidenti automobilistici) tra le cause dei decessi degli adolescenti messicani testimonia l'inadeguatezza delle politiche per l'infanzia.
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