IL FARO DEI SOGNI

Messico

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view post Posted on 22/7/2019, 19:01     Top   Dislike
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Territorio: morfologia



Il Messico ha il suo cuore geografico nelle terre dell'altopiano vulcanico (Altopiano Centrale o, secondo l'antica denominazione azteca, Anáhuac) in cui avviene la saldatura tra le due catene – la Sierra Madre Orientale e la Sierra Madre Occidentale – che, dirette da N a S, formano l'ossatura fondamentale del Paese. È una regione dominata dai superbi coni vulcanici del Popocatépetl (5465 m), il più elevato dell'America centro-meridionale, dell'Iztaccíhuatl (5230 m), del più marginale Citlaltépetl (5610 m) e altri ancora, tra loro divisi da depressioni e bacini più o meno chiusi situati a ca. 2000-2500 m d'altitudine.

A N di questa regione centrale le alteterre messicane assumono forme più distese e aperte, saldandosi con i tavolati del Texas. Esse sono orlate dalle pieghe della Sierra Madre Occidentale e della Sierra Madre Orientale, che continuano anch'esse, strutturalmente, gli allineamenti delle Montagne Rocciose (Rocky Mountains).

La continuità tra il territorio messicano e quello statunitense si ritrova anche nella penisola della Baja California , che rappresenta la prosecuzione delle Catene Costiere (Coast Ranges), così come il Golfo di California (Golfo de California) costituisce un'area depressionaria interposta tra la penisola e l'altopiano.

Sullo stesso allineamento della Baja California si trova la Sierra Madre del Sur, che recinge l'altopiano messicano sul lato meridionale. Le due grandi catene che bordano l'altopiano risalgono all'era cenozoica; esse si sovrappongono agli strati mesozoici, che affiorano tuttavia in molte zone montagnose e su una larga parte dell'altopiano, dove sono anche estesi gli espandimenti vulcanici.

Per contro la Sierra Madre del Sur e la bordatura meridionale del Pacifico sono formate da rocce paleozoiche. Sul lato orientale, lo Yucatán è una superficie sedimentaria con terreni cenozoici e neozoici.

Questi ultimi coprono anche le pianure costiere che, sui due lati del Paese, si stendono ai piedi delle Sierre.

Nel complesso sono però più vaste quelle sul versante orientale, che si raccordano con i bassi fondali del Golfo del Messico e formano un tutt'uno con le superfici sedimentarie dello Yucatán. Il territorio messicano è, quindi, complessivamente articolato e frammentato, benché il rilievo non assuma mai grandi asprezze. Sull'altopiano prevalgono in genere le superfici orizzontali, con rilievi residuali nella sezione settentrionale e apparati vulcanici in quella centrale.

Tuttavia le catene che lo orlano, e che raggiungono e talora superano i 3000-3500 m, rappresentano ostacoli alle comunicazioni tra la costa e l'interno. A esse si deve inoltre il carattere endoreico dell'altopiano in tutta la sua sezione settentrionale, caratterizzata dalla presenza di bacini depressionari (bolsones).

Nella sezione centrale si hanno invece dirette aperture tra l'interno e la costa occidentale, rappresentate dalle ampie vallate del Río Grande de Santiago e del Balsas. La parte meridionale del Paese è nel complesso più movimentata, con bacini depressionari e rilievi mai veramente aspri, che verso E si spengono nei tavolati dello Yucatán.

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Territorio: idrografia



Il fiume maggiore è il Río Bravo, che per lungo tratto fa da confine tra Messico e USA sfociando nel Golfo del Messico dopo oltre 3000 km di corso. Esso attinge una parte delle sue acque dall'altopiano messicano attraverso il Río Conchos, ma a S di questo bacino l'idrografia dell'altopiano è priva di sbocchi e le acque dei fiumi che scendono dai versanti interni delle Sierre finiscono sul fondo dei bolsones formando lagunas salate o superfici incrostate di sale.

I fiumi che drenano i fianchi esterni delle catene hanno per contro corsi brevi e veloci; al loro trasporto alluvionale si deve la formazione delle pianure costiere, come quella del Sonora e del Sinaloa sul lato occidentale, del Tabasco e del Veracruz su quello orientale. Dall'Altopiano Centrale, dove la morfologia vulcanica ha creato numerosi laghi (tra cui quelli di Chapala e di Cuitzeo), scendono alle coste del Pacifico i già ricordati Río Grande de Santiago e Río Balsas.

Hanno corsi spesso impetuosi e in taluni punti un letto profondamente incassato (con formazione di gole e cañones), il loro regime è però più regolare dei fiumi del Messico settentrionale, che risentono dell'andamento a due stagioni del clima e hanno perciò forti piene estive. Ancor più regolare tende a essere il regime dei corsi d'acqua più meridionali, come il Tehuantepec, che sfocia nel golfo omonimo (oceano Pacifico), e il Papaloapán (Golfo del Messico). La morfologia generalmente accidentata dei corsi d'acqua messicani ne ha impedito l'utilizzazione come vie di comunicazione, ma ne ha favorito lo sfruttamento a scopi energetici e irrigui, con la creazione di bacini artificiali. Un'idrografia particolare presenta lo Yucatán, dove si ha un pronunciato sistema carsico dovuto alla natura calcarea dei suoli.

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Territorio: clima



Il clima varia anzitutto da N a S, e ciò in misura sensibile dato il notevole sviluppo latitudinale del Paese; varia poi in un modo anche più forte in funzione dell'altitudine.

Rispetto a questa si distinguono diverse fasce, proprie anche a gran parte dell'America Centrale e Meridionale. La prima è quella delle tierras calientes, le terre calde comprese tra il livello del mare e i 600-700 m; nel Messico si tratta però di aree quasi tutte situate vicino al mare, di cui pertanto avvertono gli influssi: le temperature annue sono piuttosto stabili e la media a Veracruz (Golfo del Messico) è sui 25 ºC.


La seconda fascia è quella delle tierras templadas, le terre temperate poste tra i 600-700 m e i 1600 m: le temperature sono mitigate, risentono già delle differenze stagionali, sebbene ci siano notevoli differenze passando dal S al N del Paese (Chihuahua, situata a quasi 1500 m, ha una media annua di 20 ºC, una estiva di 26 ºC). Condizioni ancora migliori si ritrovano ai bassi livelli della successiva fascia superiore, quella delle tierras frías, le terre fredde che si spingono fino a 2800 m, altitudine peraltro già notevole e che ha effetti sulle temperature e sulle sue escursioni.


A Città del Messico, la cui altitudine si aggira sui 2300 m, le medie sono di 9 ºC in gennaio, di 23 ºC in luglio. Più oltre, si passa gradatamente verso le tierras heladas, le terre gelate, per la verità limitate, in Messico, alle cime dei più alti vulcani.


Per quanto riguarda il meccanismo climatico, esso è regolato dagli influssi degli alisei di NE, dalle masse d'aria d'origine continentale provenienti dal N e dalle masse d'aria tropicale di SE. All'aliseo di NE si deve l'azione prevalente; debole nei mesi invernali, esso si rafforza e assume il carattere di un monsone nei mesi estivi, durante i quali si concentrano le precipitazioni.


Nei mesi invernali per contro predominano, specie in tutta la parte settentrionale e centrale, le masse d'aria continentali, che determinano tempo stabile e siccitoso, caratterizzato però sovente da venti freddi, i nortes, che abbassano considerevolmente la temperatura e danneggiano persino le colture.


Le masse d'aria tropicali di SE lambiscono lo Yucatán e la costa orientale e spirano per lo più nei mesi invernali. Nel Sud e nello Yucatán la stagione piovosa è molto prolungata e le precipitazioni sono abbondanti (oltre 2000 mm annui; 3000 mm sui rilievi del Chiapas che dominano lo Yucatán); le piogge decrescono passando verso N e verso l'interno.


L'aliseo provoca forti differenze tra la costa orientale e quella occidentale; a Veracruz, sulla traiettoria dei venti, cadono 1600 mm di pioggia all'anno, mentre sulla costa del Sinaloa non si raggiungono i 1000 mm.


Inoltre sulla distribuzione delle piogge hanno una notevole incidenza i fattori orografici e così tutto l'altopiano a N dell'Anáhuac è poco piovoso, perché riparato dalle Sierre. Nella zona che gravita sul Río Bravo si hanno intorno a 400 mm di piogge annui, che cadono nel giro di 2-3 mesi.


Si ha un clima cioè semiarido; semiarida è anche la Baja California, che si trova defilata rispetto alla traiettoria delle masse d'aria umide. Nel complesso il Messico presenta una tropicalità temperata nelle zone centrali dell'altopiano, piovosa e umida nel Sud, tendenzialmente arida nel Nord.

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Territorio: geografia umana. Generalità

I primi abitatori dell'odierno Messico, intorno al primo millennio a. C., furono probabilmente gli Olmechi, seguiti da Xilanchi, Otomí, Mixtechi e Zapotechi che si allearono poi nel vano tentativo di respingere gli Aztechi, Huaxtecos e Totonachi che riuscirono in parte a resistere alle successive invasioni fino all'arrivo dei conquistadores che li decimarono. Più a sud i Maya-Quiché, arrivati intorno al VII secolo a. C. nello Yucatán e al confine con il Guatemala, dopo un lungo periodo di splendore seguito da un violento e repentino declino si fondevano nell'VIII secolo con i potenti Toltechi, che avevano occupato l'Anáhuac; i due popoli furono sconfitti e soggiogati in seguito dai Chichimechi. Appartenenti al gruppo etno-linguistico dei Nauha, gli Aztechi giunsero invece dalle regioni nordoccidentali, la mitica Aztlán (“terra dell'airone”), a partire dal XI secolo, imponendosi sui popoli precedentemente insediati nell'altopiano. L'Anáhuac è rimasto, come in passato, la parte più popolosa del Paese. Profonde trasformazioni si sono avute tra il 1518 e il 1521 con la conquista spagnola e ciò in funzione delle diverse forme di sfruttamento. Tra queste si impose subito l'allevamento del bestiame, in rapporto al quale sorsero le prime grandi haciendas su terre vastissime assegnate agli encomenderos, i latifondisti spagnoli. Ancor più determinante fu lo sfruttamento minerario che arricchì il Paese in modo prodigioso, facendo nascere nuove e belle città, come Taxco, Guanajuato, Zacatecas ecc. Già alla fine del Seicento esistevano nel Messico 35 vivaci città, cui facevano capo haciendas, ranchos (piccole proprietà) e villaggi, più numerosi questi ultimi nelle tradizionali aree di popolamento indio, prevalenti i primi nelle zone di colonizzazione. Si ebbe nel contempo un processo di meticciamento sempre più profondo ed esteso, benché si conservassero ampie zone, specie nel Nord, di intatta popolazione india. Parallelamente alla prosperità economica si verificò un significativo incremento demografico soprattutto tra la popolazione bianca e meticcia, mentre gli indios si riducevano, decimati dalle epidemie e dal duro sfruttamento economico. Per tutto il XIX sec. la popolazione messicana non registrò forti aumenti, e ciò a causa delle cattive condizioni in cui viveva il peón, il contadino, assoggettato al regime coloniale. L'indipendenza migliorò la situazione, ma l'oligarchia terriera rinforzò gradatamente il proprio regime, specie all'epoca di Porfirio Díaz. Le campagne non fruttavano abbastanza per le masse dei peones soggetti agli interessi degli haciendados. La guerra civile del 1910-17 fu lo sbocco di una situazione insostenibile, cui fece seguito la riforma fondiaria, e l'istituzione degli ejidos, le comunità rurali che diventavano padrone degli appezzamenti e nell'ambito delle quali ogni contadino aveva la sua parte di terra in usufrutto. Cominciò da allora la vita del Messico moderno e si ebbero i primi forti incrementi demografici; la guerra civile aveva provocato tuttavia forti perdite e ci vollero alcuni decenni perché la popolazione raggiungesse la cifra del 1910, quando vennero registrati 15 milioni di abitanti. L'incremento più tumultuoso si ebbe a partire dagli anni Quaranta, quando la mortalità subì sensibili riduzioni, mentre la natalità conservava i valori tradizionali, elevatissimi, pari al 40-45‰. Nel 1940 la popolazione era di 19 milioni e nel 1960 già di 38 milioni, mentre al censimento del 1990 risultavano oltre 81,2 milioni di abitanti, saliti a oltre 103 milioni nel 2005. La popolazione è costituita per il 64% da meticci, per il 18% da amerindi, diffusisi specialmente nel Nord e nel Sud, mentre i creoli, messicani di origine spagnola, e gli altri bianchi, molti dei quali nordamericani immigrati di recente, sono il 15%; di scarsa entità gli altri gruppi, tra cui cinesi, malesi ecc. Lungo le coste meridionali si trovano minoranze neroafricane e di zambos, derivati dall'incrocio tra indios e neroafricani. La densità di popolazione (la media è di 60 ab./km²) varia da zona a zona. Nell'Anáhuac, nella parte che fa capo alla capitale, si hanno le densità più elevate, ben superiori a 500 ab./km²; nel resto della fascia centrale si registrano ovunque più di 150-200 ab./km2. Questi valori diminuiscono notevolmente nel Nord e nella Baja California, dove si hanno densità di 24 ab./km². La distribuzione risente delle possibilità agricole, ma l'elevata popolazione dell'Anáhuac dipende dallo sviluppato urbanesimo della regione, mentre la bassa densità del Sud è dovuta alla ritardata valorizzazione delle terre: fatto che si riscontra anche in numerose plaghe del Nord ed è all'origine del fenomeno della migrazione stagionale dei braceros, manodopera che raggiunge gli Stati Uniti dove viene impiegata nei lavori agricoli stagionali. Accanto a queste forme di migrazioni per così dire “ufficiali”, esiste un forte movimento di emigrazione clandestina verso gli Stati Uniti, che esercitano, con il loro sviluppo industriale e l'elevato tenore di vita, una forte attrazione specie sui giovani delle regioni più povere. Il Paese ospita circa 11 milioni di messicani mentre il numero complessivo di cittadini di origine messicana supera i 20 milioni. Nella seconda metà degli anni Novanta l'aumento dei controlli e la severità delle forze anti-immigrazione statunitensi ha portato a un incremento della mortalità tra coloro che tentavano di attraversare illegalmente la frontiera. Il saldo migratorio è negativo (-3,84‰ secondo le stime del 2008), nonostante il Messico abbia accolto in questi anni migliaia di immigrati provenienti dal Centro e Sud America, in particolar modo da Guatemala, El Salvador e Colombia. Secondo i dati dell'UNHCR tra 1996 e il 2002 i rifugiati guatemaltechi in Messico erano oltre 150.000, in netto calo negli anni successivi, e alcune migliaia i salvadoregni. Inoltre, 1100 indigeni guatemaltechi insediati nelle regioni rurali meridionali sono diventati cittadini nel 2005. La popolazione messicana, che sino al 1940 era in maggior parte considerata rurale (il 65% del totale viveva cioè in centri con meno di 2500 abitanti), all'inizio del Duemila è urbanizzata in una percentuale elevata (76%). La popolazione rurale vive nei pueblos, in villaggi che hanno funzioni centrali nell'ambito dei territori agricoli disseminati di nuclei di peones (rancherías o ranchos composti di non più di 50-100 famiglie) e di haciendas. L'istituzione degli ejidos non ha mutato sostanzialmente la struttura insediativa preesistente, che è un fenomeno di tipo spontaneo, legato alla trama dei centri gerarchici. Il contadino vive principalmente in povere capanne di argilla impastata, che solo nei centri principali sono sostituite da case di tipo moderno. Poche sono ormai le zone dove gli indios vivono nelle loro condizioni originarie, chiusi cioè agli scambi commerciali e culturali moderni: è qui che si trovano ancora le vecchie abitazioni di legno e paglia, o le dimore temporanee dei pastori. Le comunità indigene sono suddivise in ca. 60 gruppi etnici, insediati in migliaia di piccole località, dalle regioni del nord al confine con il Guatemala, anche se la maggior parte degli indios è stanziato a sud, negli Stati del Chiapas, Yucatán, Oaxaca, Quintana Roo, Guerrero, Michoacán. La Ley Indigena (o Legge di Cocopa) del 2001 garantisce i diritti fondamentali e riconosce la cultura degli indios, concedendo loro autonomia amministrativa nelle regioni che abitano. Nel 2003 è stata istituita la Commissione nazionale per lo sviluppo dei popoli indigeni (l'ex Istituto Nacional Indigenista), voluta dal governo federale al fine di sviluppare e attuare progetti per la valorizzazione e la crescita delle culture locali, nell'ottica di uno sviluppo sostenibile, come stabilito dal secondo articolo della Carta costituzionale, che definisce il Messico un Paese multietnico. Tuttavia, la qualità della vita degli indios è ancora molto bassa: secondo le organizzazioni internazionali il 90% della popolazione indigena vive in situazioni di povertà, l'indice di mortalità infantile è doppio rispetto alla media nazionale e si segnalano difficoltà di accesso alle strutture sanitarie e carenze nel settore educativo, specie a proposito dell'istruzione bilingue prevista dalla legge. Il rispetto delle aree abitate dalle comunità indigene non è di fatto garantito e in passato si è proceduto al trasferimento forzato di interi gruppi. L'aspetto maggiormente significativo riguardo all'andamento degli indicatori demografici della popolazione messicana è il decremento verificatosi nel tasso di accrescimento annuo (1,7% nel 1993-98, sceso ulteriormente all'1,4% nel 2000-2005, contro il valore degli anni Settanta, pari al 3%). Tale andamento è spiegabile con il declino del tasso di fertilità (da 6 a 2,2 bambini per donna) e al miglioramento delle cure sanitarie, che hanno abbassato il tasso di mortalità infantile. Per effetto della maggiore disponibilità di vaccini e della diffusione della rete di assistenza si sono virtualmente eliminati i pericoli derivanti da malattie come la tubercolosi e la poliomielite, anche se permangono preoccupanti i dati relativi alla espansione della malaria, della dengue e dell'AIDS (benché la percentuale di adulti che hanno contratto il virus sia rimasto costante dall'inizio del nuovo millennio). Quella messicana è una popolazione giovane se si considera che circa un terzo degli abitanti ha meno di 15 anni e che la malnutrizione continua a costituire un serio problema, nonostante sia più evidente nelle remote aree rurali, in particolare negli Stati di Guerrero, Chiapas e Oaxaca. La situazione è ulteriormente aggravata dall'alta incidenza del lavoro minorile: secondo i dati dell'UNICEF, infatti, esso coinvolge circa 3,5 milioni di bambini dai 12 ai 17 anni; non solo, ma la percentuale delle morti violente (omicidio, suicidio, incidenti automobilistici) tra le cause dei decessi degli adolescenti messicani testimonia l'inadeguatezza delle politiche per l'infanzia.


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Territorio: geografia umana. L'urbanesimo

Lo sviluppato urbanesimo del Messico, legato nei secoli della colonizzazione spagnola all'impulso delle attività minerarie, è stato determinato, in epoca recente, dalla pressione demografica nelle campagne e dal parallelo processo di industrializzazione. Nella seconda metà del XX sec. gran parte delle città hanno subito forti aumenti; eccezionale è stato però quello di Città del Messico, che con i suoi 19 milioni di ab. (l'agglomerato urbano) ospita da sola quasi un quinto della popolazione messicana e risulta essere il centro più popoloso del continente, seguita da São Paulo, New York, Los Angeles e Buenos Aires. Sorta sulle rovine dell'antica Tenochtitlán, la capitale messicana ha la tipica struttura coloniale spagnola a pianta quadrata, così com'era stato voluto da Cortés. Il centro è la piazza della Costituzione, lo Zócalo, che si ritrova nelle altre città sorte in epoca coloniale, anch'esse arricchite con nobili edifici, chiese e palazzi che sorgono in posizione centrale. Città del Messico, in quanto capitale, accoglie tutti i servizi dello Stato: polo culturale, finanziario, religioso; essa è anche un centro industriale e ha dato vita intorno a sé a una vastissima conurbazione, che ormai supera i confini del Distretto Federale. Ma l'azione propulsiva della capitale si estende a tutto l'Altopiano Centrale, ricco di grossi nuclei urbani. Nell'orbita della capitale rientrano infatti Puebla (o Heroica Puebla de Zaragoza), centro amministrativo, mercato di prodotti del suo fertile territorio, sede di industrie meccaniche, alimentari, tessili e delle ceramiche, nonché, soprattutto, città d'arte; Toluca (o Toluca de Lerdo), tra le più elevate città del Paese, a 2640 m di altitudine, Cuernavaca, Pachuca e le più lontane Querétaro e Morelia. Una decisa autonomia nei confronti di Città del Messico ha invece Guadalajara, seconda città del Paese per numero di ab., situata nel bacino del Río Grande de Santiago. Di origine coloniale, divenuta ben presto centro assai attivo, Guadalajara si trova in una fertile regione agricola, favorita anche dalle grandi ricchezze del sottosuolo; ha sviluppato un cospicuo apparato industriale, in cui prevalgono i settori tessile, meccanico, delle ceramiche e del cuoio. Altre città importanti nell'altopiano a N di Città di Messico sono León, Aguascalientes e San Luis Potosí, popolosi centri commerciali o minerari, con industrie. San Luis Potosí è uno dei maggiori centri ferroviari del Paese, in diretto collegamento con il Nord, dove primeggia Monterrey, città di origine mineraria e divenuta, assieme ai centri vicini, il secondo polo industriale del Messico, sede in particolare di una forte industria siderurgica resa economicamente vivace dalla sua vicinanza agli Stati Uniti. Sulla linea ferroviaria che collega San Luis Potosí a Ciudad Juárez, sul confine statunitense, sorgono altre due città importanti, Torréon e Chihuahua. Ciudad Juárez, così come più a W Mexicali e Tijuana nella Baja California, a E Nuevo Laredo, sono nuclei il cui sviluppo è determinato soprattutto dall'essere poste sul confine, al di là del quale sorgono importanti città (San Diego, El Paso, Laredo ecc.), sicché quotidianamente una parte notevole della popolazione dei centri messicani si reca a lavorare nelle città gemelle statunitensi. Tra gli sbocchi portuali dell'interno, sulla costa pacifica il più importante è Mazatlán, mentre Acapulco (Acapulco de Juárez) è soprattutto noto come stazione balneare e turistica. Sulla costa orientale il porto maggiore è Veracruz, collegato direttamente all'Altopiano Centrale e a Città del Messico, con un vasto dintorno agricolo; importante sbocco costiero e centro petrolifero è anche Tampico, più a N lo sviluppo urbano del Sud è piuttosto limitato e la densità abitativa di queste regioni non oltrepassa i 50 ab./km². Una delle località principali è Oaxaca de Juárez, snodo storico e culturale nella valle del Río Verde, mentre nello Yucatán è la popolosa Mérida, bella e antica città (fu fondata sul luogo di un'importante sito maya) con una fiorente attività di piantagione, specie di agavi, ma anche uno dei più frequentati luoghi turistici del Messico perché base di partenza per la visita alle vestigia della civiltà maya; inoltre, negli ultimi anni, nei pressi della città va sviluppandosi una discreta rete di industrie, favorite anche dall'abbondanza di petrolio estratto nello Yucatán.


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Territorio: ambiente



Nel Sud de Paese (Yucatán e rilievi che dominano l'istmo di Tehuantepec e il Golfo del Messico) si hanno le foreste tropicali che ospitano tutte le specie dell'ambiente caribico, dai mogani ai cedri, alternate a foreste secondarie, arbustive, tra cui si trova la pianta del chicle, la sapotiglia o sapodilla. Esse occupano complessivamente il 33,7% del territorio nazionale, inclusi, tra l'altro, i boschi di pini, con metà delle specie esistenti al mondo, querce ecc., abitate dalle comunità rurali, per lo più di indigeni.

La deforestazione, spesso di frodo, e la pratica di appiccare incendi per rendere fertili le terre da destinare all'agricoltura e al pascolo, causano la perdita di circa 600.000 ettari di macchia ogni anno.

Nelle zone dove più marcato è il clima a due stagioni la vegetazione è savanica con specie xerofile: particolarmente numerose sono qui le piante grasse, come le agavi, le yucche, tipiche del paesaggio messicano, oltre a piante cespugliose come il mezquite, l'ocotillo ecc. La ricchezza che caratterizza la biodiversità presente nel Paese è straordinaria: il Messico ospita il 10% delle piante e dei vertebrati esistenti al mondo, molti dei quali endemici, su una superficie che corrisponde appena all'1% di quella del pianeta. Le foreste tropicali dello Yucatán fino al Chiapas, sono abitate da coati, scimmie urlatrici, formichieri, pecari, procioni, tapiri, giaguari, ocelot, margay, puma; tra gli uccelli, il rarissimo quetzal, varie specie di are, pappagalli, tucani e, nelle foreste di mangrovie costiere, ibis, fenicotteri, pellicani, jabirù; tra i rettili, coccodrilli, in particolare caimani, iguana, serpenti e tartarughe marine. Negli altopiani si trovano cani selvatici, coyote e nelle pianure settentrionali mandrie di bovini e cavalli un tempo allo stato brado.

La barriera corallina, lungo il litorale caraibico, così come al largo della costa del Pacifico ospita una grande varietà di pesci e mammiferi marini, tra cui alcuni grandi cetacei come la balena grigia, l'otaria californiana e l'elefante marino. Il sistema di acque interne è oggetto di monitoraggio da parte delle autorità in relazione al progressivo esaurimento delle falde che ha causato in alcune grandi città al confine con gli Stati Uniti – e in particolare nella capitale – lo sprofondamento dei terreni. Altre questioni ambientali di interesse nazionale riguardano l'inquinamento atmosferico, che interessa le zone industriali e i maggiori centri del Paese, e il trattamento rifiuti solidi.

Le prime aree protette furono istituite nella seconda metà del XIX secolo; nel 1917 nacque il primo parco nazionale, quello del Desierto de los Leones mentre altri 40 parchi furono creati negli anni Trenta del Novecento. I parchi nazionali sono 68, cui si aggiungono riserve della biosfera, aree di protezione della flora e della fauna e numerose aree di protezione delle risorse naturali (13,7%).

Tra i numerosi siti messicani scelti dall'UNESCO, inoltre, quattro sono quelle a carattere floro-faunistico: la Riserva della Biosfera di Sian Ka'an (1987), situata sulla costa caraibica dello Yucatán, che comprende la fascia marina, la barriera corallina e le foreste tropicali della regione con un'ampia varietà di ecosistemi; il Santuario delle balene del Vizcaíno (1993), che è invece collocato nella parte centrale della Baja California ed è ritenuto di grande valore per lo studio dei processi oceanografici e dove svernano e si riproducono le balene e altri mammiferi marini; le Isole e aree protette del Golfo de California (2005, 2007), nel Messico nordorientale; la Riserva della Biosfera della Farfalla Monarca (2008) che comprende un'area montuosa forestale 100 km a nord-ovest di Città del Messico dove svernano milioni, forse un miliardo, di farfalle che lasciano questa località in primavera verso il Nordamerica e le regioni orientali del Canada per farvi ritorno in autunno.

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Economia: generalità



Il Messico occupa una posizione di spicco tra i Paesi in via di sviluppo (in genere si colloca per importanza economica al secondo posto tra gli Stati dell'America Latina, preceduto solo dal Brasile), ma risente ancora di squilibri sociali e territoriali molto marcati nonostante lo Stato sia intervenuto con molteplici iniziative allo scopo di porre rimedio alle più pesanti sperequazioni e di eliminare le maggiori sacche di arretratezza.

Le trasformazioni più radicali dell'economia messicana ebbero inizio con la rivoluzione; essa si pose come obiettivo prioritario l'eliminazione delle oligarchie terriere, da sempre dominanti il Paese; con gli anni Trenta del Novecento, sotto la presidenza di Lázaro Cárdenas, il processo di riforma fondiaria fu accelerato con la suddivisione di milioni di ettari in piccoli appezzamenti, che vennero istituiti in comunità contadine di proprietà statale, gli ejidos.

Fu sempre Cárdenas a statalizzare nel 1938, nell'ambito di una sistematica nazionalizzazione delle principali attività economiche messicane, l'intero settore petrolifero (gestito dal PEMEX, Petróleos Mexicanos), mentre già nel 1937 era stata trasferita allo Stato la proprietà delle principali linee ferroviarie.

Nel dopoguerra la politica governativa mirò alla prosecuzione di tale processo, cercando però di conciliare le mai sopite istanze socialiste con quelle “tecnocratiche”, al fine di incentivare una più elevata produttività e stabili sviluppi economici, esigenze d'altronde imposte dalla fortissima crescita demografica del Paese. Venne così dato impulso al settore energetico e all'industria di base in genere, potenziando le dotazioni infrastrutturali (strade, porti, opere d'irrigazione ecc.), e nel contempo fu favorita dallo Stato, anche attraverso un opportuno protezionismo, la creazione di nuove imprese, il che consentì l'affermarsi delle industrie produttrici di beni di consumo e la conseguente attenuazione della dipendenza dall'estero.

Il ritmo di crescita della produzione fu, specialmente fra il 1965 e il 1973 (periodo di massima crescita), tra i più elevati dell'America Latina. Lo Stato, cui competeva ormai oltre il 40% dei complessivi investimenti, assunse un ruolo sempre più determinante nella trasformazione delle strutture economiche.

Fra le iniziative statali più decisive attuate dal governo rivestirono un'importanza strategica la nazionalizzazione delle banche private, attuata nel 1982 e la legge della “messicanizzazione” (1973), con la quale si vietò al capitale straniero di possedere partecipazioni maggioritarie nelle società messicane, sottoponendo in tal modo a controllo statale anche il settore privato dell'economia. Tuttavia, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta il Messico accusò in modo sempre più macroscopico le ripercussioni della gravissima crisi economica internazionale.

I maggiori segnali d'allarme furono un altissimo tasso d'inflazione e un elevato livello di disoccupazione e sottoccupazione, accompagnati da un crescente squilibrio nella bilancia commerciale e in quella dei pagamenti; paradossalmente questo negativo andamento economico si accentuò proprio negli anni in cui la scoperta di colossali giacimenti petroliferi, sopratutto quelli localizzati negli Stati di Tabasco e di Chiapas e nei fondali sottomarini della Bahía de Campeche, avrebbe dovuto arrecare un sicuro benessere al Paese.

Lanciatosi sulla strada della forzata industrializzazione, della valorizzazione mineraria e allo stesso tempo di un lodevole ma oneroso programma di interventi sociali, specie a favore delle masse contadine tradizionalmente arretrate, il Messico si trovò in enormi difficoltà finanziarie; fu così costretto a un sempre maggior indebitamento con l'estero per far fronte agli impegni assunti e agli interventi programmati, causa di colossali importazioni non solo di macchinari e attrezzature industriali, ma anche di beni di consumo (tra cui molto consistenti quelli alimentari) per far fronte alla crescente domanda interna.

La forte dipendenza dagli Stati Uniti fu un'altra causa dell'instabilità economica del Messico: le multinazionali e le società miste statunitensi finirono col controllare i settori più importanti dell'industria manifatturiera messicana (in particolare quello chimico, meccanico e alimentare).

Fu nel corso del mandato di Carlos Salinas (1988-94), con l'adozione di una prospettiva neoliberale, che la modernizzazione del sistema economico messicano ebbe luogo. Strumento di questa politica fu la progressiva riduzione della presenza dello Stato nella gestione del sistema economico per garantire una maggiore possibilità d'azione ai privati, nonché la deregolamentazione di settori fondamentali (trasporti, comunicazioni, finanze).

Nella maggior parte dei settori industriali venne concessa agli investitori stranieri la possibilità di acquisire la proprietà delle imprese, mentre in quelli in cui essa era precedentemente proibita si consentì una partecipazione pari al 49%.

Tra il 1987 e il 1994, il numero delle imprese statali si ridusse di 3/5 (da 617 passarono a 215): lo Stato preservò il suo monopolio sulle università, ma anche sulle industrie petrolifere, sulle ferrovie e sulle imprese di produzione dell'energia elettrica.

Tuttavia, anche questi settori, pur se parzialmente, subirono un processo di ristrutturazione che significò, per esempio, la cessione agli imprenditori stranieri di quote rilevanti delle industrie petrolchimiche o la partecipazione dei privati, fin dal 1990, al finanziamento e alla costruzione di impianti di energia elettrica.

Il generale processo di liberalizzazione coinvolse anche il settore bancario, soprattutto a partire dal 1993, anno in cui il governo dispose la privatizzazione di 18 banche commerciali, provvedimento al quale fece seguito, l'anno successivo, la decisione di favorire l'ingresso delle banche straniere e la trasformazione della Banca centrale messicana in un istituto dotato di propria autonomia e indipendenza rispetto agli organi economici governativi.

In questo periodo il governo sostenne sempre la moneta nazionale, stabilizzandola su di un valore nominale elevato, in maniera tale da incentivare gli investitori esteri, attratti dalla stabilità del tasso di cambio.

Parallelamente, si moltiplicarono gli sforzi per ridurre l'inflazione, irrigidendo la politica monetaria e fiscale. Per qualche tempo questa strategia ebbe esiti positivi: il tasso di inflazione scese dal 159% del 1987 fino all'8% del 1993, per poi risalire al 16,6% nel 1999; il deficit delle partite correnti fu sostenuto dall'afflusso di capitali. Tuttavia il deficit commerciale, a causa dell'aumento indiscriminato delle importazioni sostenute dalla domanda della classe medio-alta e dalla politica del tasso di cambio elevato, raggiunse livelli molto alti.

Questa situazione provocò un inasprimento delle ineguaglianze sociali, tradizionalmente molto marcate, sulle quali incise anche la spregiudicatezza con cui vennero applicati i principi della politica economica liberista, in un Paese privo di garanzie sociali. I primi segnali della crisi vennero interpretati dal governo come espressione di un fenomeno temporaneo; per questo motivo, il governo stesso rimase fermo nel tutelare la stabilità del peso per riguadagnare la fiducia degli investitori. Non appena divenne evidente che non vi erano altre alternative, lo Stato dovette procedere a una svalutazione pari al 15%, che scatenò una tempesta monetaria su tutti i mercati mondiali provocando l'intervento degli Stati Uniti.

Per iniziativa di questi ultimi, venne predisposto un piano di aiuti straordinari equivalenti a 50 miliardi di dollari (marzo 1995), anche per porre fine alla spirale perversa i cui effetti erano già stati avvertiti nei mercati dell'America Latina e che rischiava di estendersi anche al Canada e agli Stati Uniti stessi, partner del Messico nel NAFTA. Gli aiuti però non evitarono al Messico l'imposizione di un nuovo piano di austerità, che diede avvio a una nuova fase di sviluppo e a una diminuzione dell'inflazione (2000-2001).

La creazione di una zona di libero scambio con questi due Paesi, se da una lato contribuì a disegnare per il Messico condizioni favorevoli su diversi fronti (dalla tutela delle popolazioni autoctone alla liberalizzazione dei servizi alla salvaguardia dell'ambiente) dall'altro incrementò la disomogeneità interstatale, a partire dai livelli di retribuzione, acuendo la debolezza del Messico che continua a essere bacino per la richiesta di manodopera statunitense.

Le potenzialità di sviluppo del Messico sono tuttavia emerse nei primi anni del nuovo millennio, caratterizzati da un tasso di crescita costante e da un'inflazione contenuta.

Sullo sfondo, il Messico registra un livello di disoccupazione che ufficialmente si presenta modesto, anche se di fatto nel Paese sono moltissime le persone dedite a occupazioni che esulano dalle professioni ufficiali, sintomo della presenza di una diffusa economia informale.

Nonostante le potenzialità di crescita, il Paese soffre per l'assenza di riforme, che appaiono nevralgiche in diversi settori, come quello finanziario (il sistema presente nel Messico è uno dei più sviluppati del Sudamerica, ma le sue dimensioni risultano di fatto ridotte, così come ridotto appare il sistema bancario, caratterizzato da una percentuale di crediti erogati e di attività commerciali che non superano un terzo del PIL) e quello energetico.

Secondo i dati registrati nel 2008, il PIL del Messico era pari 1.088.128 ml $ USA, con un PIL pro capite di 10.235 $ USA.

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Storia: dal Trattato di Cordoba alla guerra con gli Stati Uniti

Itúrbide patteggiò pure con il nuovo viceré, Juan de O'Donojou, appena giunto dalla Spagna per sostituire il predecessore Juan Ruiz de Apodaca: dalle loro trattative scaturì, il 24 agosto, il Trattato di Cordoba, che incorporava in larga misura il Plan de Iguala, ribadiva l'indipendenza del Paese e disponeva che questo sarebbe stato un regno la cui corona avrebbe dovuto essere assegnata a un Borbone. Il 27 settembre 1821 Itúrbide fece ritorno a Città del Messico e il giorno dopo istituì un Consiglio di reggenza, al quale associò O'Donojou. Ma non tenne fede alla parola data: il 19 maggio 1822 si fece nominare imperatore da un'addomesticata Assemblea costituente e assunse il nome di Agustín I. Fu un impero di corta durata. Alla fine del 1822, e più ancora l'anno successivo, militari e gruppi di civili si levarono in armi. In particolare, si fece luce un generale: Antonio López de Santa Anna. Nel febbraio del 1823 López de Santa Anna stipulò con gli altri insorti l'alleanza detta di Casa Mata e in maggio costrinse Agustín I ad abdicare e a partire per l'esilio. In novembre una nuova Assemblea costituente proclamò la Repubblica, affidandone il timone al triumvirato composto da Félix Fernández (Guadalupe Victoria), Nicolás Bravo e Celestino Negrete. Itúrbide tentò la rivincita: nel 1824 sbarcò presso Tamaulipas, ma fu catturato; condannato a morte, venne fucilato il 19 giugno. È da ricordare che mentre governava da imperatore, aveva assorbito le province centro-americane (Guatemala, Honduras, El Salvador, Costa Rica e Nicaragua), che avevano precedentemente proclamato la propria indipendenza dal Messico, ma queste si dichiararono indipendenti non appena Itúrbide fu deposto. A Città del Messico l'Assemblea costituente varò la nuova Carta costituzionale nell'ottobre 1824: il Messico diventava una Repubblica federale, con diciannove Stati provvisti di autonomia interna; il potere legislativo spettava a un Congresso bicamerale; la religione cattolica restava l'unica riconosciuta dallo Stato; si aboliva ogni residuo dell'Inquisizione. Le elezioni, svoltesi alla fine dell'anno, condussero alla presidenza Félix Fernández e alla vicepresidenza Nicolás Bravo. La lotta politica si concentrò sul dissidio tra liberali e conservatori. Tuttavia, dietro le quinte, agivano altri due protagonisti: Stati Uniti e Gran Bretagna. Washington parteggiava per i liberali (chiamati yorkinos perché aderivano alla Loggia massonica di rito York, appoggiata dal governo statunitense); Londra sosteneva invece i conservatori (chiamati escoceses perché aderivano alla Loggia massonica di rito scozzese, appoggiata dal governo britannico). L'ago della bilancia si spostò in favore degli Stati Uniti, grazie all'abilità del diplomatico Joel R. Poinsett. Così, fino al 1834 si alternarono presidenti molto amici di Washington, che tra l'altro permisero a coloni statunitensi di sistemarsi in vari territori del Nord, soprattutto nel Texas. La realtà mutò quando, appunto nel 1834, le redini del Paese furono assunte dal generale López de Santa Anna. Caudillo legato agli interessi dei proprietari terrieri del Messico centrale e meridionale, López de Santa Anna abolì il sistema federale e accentrò i poteri nelle mani del presidente della Repubblica. In tal modo i singoli Stati messicani vennero a perdere l'autonomia interna. I Texani di origine statunitense non accettarono quella Costituzione: pertanto si rivoltarono e il 2 marzo 1836 proclamarono la loro Repubblica indipendente. López de Santa Anna li attaccò. Il 6 marzo, dopo uno stretto assedio, espugnò il fortino di Alamo; ma il 21 aprile fu sconfitto sulle rive del San Jacinto. Almeno provvisoriamente, dovette riconoscere la secessione del Texas. Il quadro cambiò ancora nel marzo 1845, allorché il Texas venne annesso agli Stati Uniti. Il Messico dichiarò guerra. Le ostilità durarono circa due anni e si conclusero con la sconfitta messicana.


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Storia: dal 1848 all'ascesa di Porfirio Díaz

Una sconfitta durissima, perché il Trattato di Guadalupe-Hidalgo, firmato il 2 febbraio 1848, non soltanto confermò il distacco del Texas, ma strappò al Messico l'Arizona, il Nevada, lo Utah, il Nuovo Messico e parte del Colorado e della California, regioni che, dalla seconda metà del sec. XVI, erano gradualmente cadute sotto la giurisdizione del Messico spagnolo. López de Santa Anna si vide costretto ad abbandonare il campo. Riuscito poi a farsi nominare “dittatore perpetuo”, fu attaccato dai liberali, alla cui testa figuravano personalità quali Juan Àlvarez, Melchor Ocampo, Ignacio Comonfort, Benito Pablo Juárez; il 1º marzo 1854 essi fissarono i principi del loro movimento – denominato Reforma – nel Piano di Ayutla e, organizzatisi militarmente, costrinsero il dittatore ad arrendersi (14 agosto 1855). Per il Messico ebbe inizio un processo di rinnovamento. Insediatisi al governo, gli uomini della Reforma cominciarono ad attuare il loro programma, dotando il Paese, il 5 febbraio 1857, di una Costituzione liberale. L'opera legislativa ebbe per oggetto soprattutto i rapporti con la Chiesa. Principali provvedimenti furono: la legge del 25 novembre 1855 per la soppressione dei tribunali ecclesiastici e militari; la legge del 25 giugno 1856 per lo svincolo dei beni di manomorta; la legge del 12 luglio 1859 per la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici; la legge del 23 luglio 1859 per l'introduzione del matrimonio civile; la legge del 4 dicembre 1860 per la libertà dei culti. Queste misure suscitarono la reazione dei conservatori e della Chiesa. Con un golpe mandato a effetto, i nemici della Reforma conquistarono Città del Messico e costrinsero alla fuga i liberali. Costoro riuscirono ad arroccarsi a Querétaro, installandovi un governo “costituzionale” presieduto dall'indio Juárez. All'inizio del 1861 i riformisti poterono rientrare nella capitale; ma a quel punto si verificò un intervento internazionale. Juárez godeva del sostegno statunitense, i conservatori e la Chiesa erano appoggiati dalla Gran Bretagna, dalla Spagna e dalla Francia di Napoleone III. Poiché gli Stati Uniti si trovavano impegnati nella loro guerra di Secessione, le potenze europee (a un certo punto, comunque, la Francia rimase sola) decisero di agire. Napoleone III architettò la creazione di un Impero messicano a lui devoto e ne offrì la corona all'arciduca Massimiliano d'Asburgo, fratello dell'imperatore Francesco Giuseppe. Nel 1862 inviò un corpo di spedizione. Juárez dovette rifugiarsi ai confini con il Texas. Massimiliano, protetto dalle baionette francesi, prese possesso del trono nel giugno 1864. La resistenza di Juárez, però, lo sconfisse. Restaurata la Repubblica, Juárez ripristinò la Costituzione del 1857 e proseguì sulla via delle riforme. La sua scomparsa (1872) determinò un vuoto, che di lì a poco sarebbe stato occupato da un altro “uomo forte”. Nel frattempo, però, tornarono alla ribalta le vecchie dispute di fazione, che indebolirono i liberali a vantaggio dei conservatori. Per di più, la legge sullo svincolo della manomorta si era rivelata controproducente, in quanto aveva rafforzato i già potenti latifondisti, mediante la possibilità, per essi, di acquistare altre proprietà terriere. Fu perciò facile per il loro candidato, il generale Porfirio Díaz, ascendere alla presidenza della Repubblica nel 1876.



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Storia: il regime di Porfirio Díaz

Il regime che egli instaurò e che durò fino al 1911 si caratterizzò in particolare per l'autoritarismo e favorì al massimo gli investimenti stranieri, al punto da ridurre il Messico, in pochi anni, a colonia privilegiata del capitale internazionale. Il “porfiriato” nascose, dietro la facciata dell'ordine e del progresso, un vero e proprio neocolonialismo. Adottò come filosofia il pensiero positivistico, ma solo per giustificare un regime di sfruttamento. Leva operativa del sistema fu il governo dei cosiddetti “scientifici” (científicos), cioè di quell'aristocrazia economica e finanziaria che Díaz chiamò accanto a sé, intorno al 1890, per gestire lo Stato. Alla guida del Paese egli pose José Ives Limantour, ministro delle Finanze. Nel suo arco operativo, il “porfiriato” assicurò il conseguimento di importanti risultati in termini di indici di produzione, ma concentrò la ricchezza nelle mani di pochi, lasciando nella povertà la grande maggioranza della popolazione. Ciò avvenne in due modi: attraverso le concessioni al capitale straniero e mediante l'accumulazione della proprietà terriera. Gruppi statunitensi controllavano i tre quarti delle miniere e più della metà dei pozzi petroliferi; inoltre possedevano piantagioni di zucchero, di caffè e di cotone e terre sterminate per pascoli e allevamenti. Interessi britannici erano investiti nel petrolio, nelle miniere, nelle piantagioni di cotone e di caffè, nei servizi pubblici. La produzione tessile era controllata dai Francesi. Gli Spagnoli avevano il monopolio del commercio al dettaglio e disponevano di aziende agricole. In questa situazione la vita dei contadini e del ceto urbano più umile si svolgeva drammatica. Grazie al suo apparato poliziesco, Díaz riuscì per anni a impedire che si organizzasse un'opposizione; ma nel 1900 cominciò ad apparire una forza “liberale”, che poco dopo, in seguito alle spinte di due fratelli di Oaxaca, Enrique e Ricardo Flores Magón, si protese verso il socialismo, esprimendosi dalle colonne del periodico Regeneración. Nel settembre 1905 i fratelli Flores Magón costituirono una Giunta organizzatrice del Partito liberale; l'anno successivo pubblicarono il programma di questo partito, con un manifesto alla nazione: chiedevano la non rielezione di Díaz e l'istituzione di un sistema democratico. Nel 1908, in un'intervista, Díaz dichiarò che alla scadenza del suo mandato, nel 1910, non si sarebbe più presentato alle elezioni. Le sue parole misero in moto gli oppositori. In particolare, a San Pedro Coahuila, vide la luce un opuscolo intitolato La successione presidenziale del 1910, del quale era autore il liberale Francisco Madero: vi si sosteneva che il Messico doveva liberarsi del “porfiriato”, per darsi un governo libero e popolare. La reazione del dittatore fu energica: ritirò la promessa e nel 1910 si ripresentò candidato. Madero si rifugiò a San Antonio, nel Texas, e in data 5 ottobre 1910, facendo figurare come località d'emissione la cittadina di San Luis Potosí, diffuse un Piano (rimasto noto per l'appunto come Piano di San Luis Potosí) che esortava il popolo messicano all'insurrezione armata. Nel giorno stabilito, 20 novembre, questa scoppiò. La guerriglia si accese un po' dovunque: nelle province settentrionali si imposero le figure di Pascual Orozco, Francisco (“Pancho”) Villa, Abraham González, Pablo González, Venustiano Carranza, Cándido Aguilar; nelle zone meridionali, Emiliano Zapata. Dopo una serie di scontri sanguinosi, il 21 maggio 1911 i rappresentanti governativi firmarono la resa a Ciudad Juárez. Il giorno 25 Díaz si dimise e partì per l'esilio (morì a Parigi nel 1915).



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Storia: da Francisco Madero a Lázaro Cárdenas

Madero entrò da trionfatore nella capitale. In ottobre si svolsero le elezioni: Madero e José María Pino Suárez furono elevati rispettivamente alla presidenza e alla vicepresidenza della Repubblica. Quella soluzione significò la vittoria del moderatismo e venne contestata dagli elementi più radicali della rivoluzione: Villa al Nord e Zapata al Sud continuarono la lotta armata. Zapata, in particolare, innalzò il vessillo delle rivendicazioni contadine, sintetizzandole il 28 novembre nel Piano di Ayala. Il nuovo conflitto favorì la ripresa dei conservatori: aiutato dall'ambasciatore statunitense Henry Lane Wilson, il capo di Stato Maggiore dell'esercito, generale Victoriano Huerta, tradì Madero, lo fece arrestare e nella notte del 22 febbraio 1913 lo mandò a morte insieme con Pino Suárez. Assunta la presidenza, Huerta restaurò un regime reazionario. Villa, Zapata e altri rivoluzionari, fra i quali il governatore dello Stato di Coahuila, Venustiano Carranza, e il generale Alvaro Obregón, riorganizzarono le loro forze, che chiamarono “costituzionaliste”, e mossero contro Huerta. Nel 1914, in aprile, marines statunitensi occuparono Veracruz, adducendo a pretesto alcuni incidenti che avevano coinvolto marinai della flotta USA ancorata al largo. L'intervento fu condannato da tutta l'America Latina e acuì i rancori già esistenti fra Messico e Stati Uniti. I “costituzionalisti” continuarono a battersi contro Huerta. Accerchiato da ogni lato, il 15 luglio 1914 il dittatore dovette dimettersi. Un mese dopo Carranza lo sostituì come presidente. Ma ancora una volta Villa e Zapata si rifiutarono di deporre le armi, accusando Carranza di tendenze controrivoluzionarie. Sul finire del 1915 Villa fu sconfitto dai soldati di Obregón, che si era schierato con Carranza. L'ardimentoso guerrigliero si diede allora ad azioni di disturbo lungo la frontiera con gli Stati Uniti, con frequenti sconfinamenti. Per eliminare tali incursioni un corpo di spedizione nordamericano, al comando del generale Pershing, penetrò nel Messico e inseguì Villa; ma non riuscì a catturarlo. La presenza militare statunitense durò fino al 1917; e quando l'ultimo reparto USA lasciò il suolo del Paese, ossia il 5 febbraio di quell'anno, Carranza promulgò la Costituzione della Repubblica rivoluzionaria. Il documento riconosceva i diritti dell'uomo e le libertà democratiche e garantiva la laicità dello Stato. Di speciale importanza l'articolo 27, che sanciva la proprietà nazionale delle ricchezze del sottosuolo e specificava le modalità della tanto attesa riforma agraria. Carranza fu eletto regolarmente presidente della Repubblica l'11 marzo 1917. Sembrò che il Paese avesse conquistato la pace e si fosse incamminato sulla via della normalità. I movimenti politici cominciarono ad assestarsi, i lavoratori si adunarono in liberi sindacati. Nel Sud, però, Zapata continuava a resistere: i soldati governativi ne ebbero ragione nell'aprile 1919, quando lo attirarono in un'imboscata a Chinameca e lo uccisero. Anche Carranza fu assassinato a tradimento il 21 maggio 1920. E il 23 luglio 1923 subì la stessa sorte “Pancho” Villa. Né si salvò dal piombo di sicari Alvaro Obregón, colpito a morte nel 1928 dopo avere esercitato la presidenza della Repubblica dal 1920 al 1924. Teso e caratterizzato da continui sussulti fu pure il mandato di Plutarco Elías Calles (1924-28), che dovette fronteggiare la rivolta dei cattolici conservatori (detti cristeros, cioè partigiani di Cristo). Calles modificò la Costituzione, portando il periodo della carica presidenziale da quattro a sei anni. Sostituito da Emilio Portes Gil, alla fine del 1928 Calles annunciò la nascita di un nuovo partito, il Partito Nazionale Rivoluzionario (PNR), destinato a essere lo strumento coordinatore del regime. In realtà la rivoluzione era stata frenata con l'ascesa al potere della borghesia e del ceto medio. Spettò al presidente Lázaro Cárdenas (1934-40) di imprimere nuovi impulsi progressisti, mediante l'accelerazione della riforma agraria e la nazionalizzazione dell'industria petrolifera (1938). Cárdenas perfezionò anche la struttura del partito al governo, cambiandogli il nome in quello di Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), per attestare la fine della Rivoluzione come impresa militare e il suo assestamento sul piano politico e sociale.


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Storia: egemonia e crisi del PRI



I presidenti che si alternarono dopo Cárdenas (M. Ávila Camacho, 1940-46; M. Alemán, 1946-52; A. Ruiz Cortínez, 1952-58; A. López Mateos, 1958-64) favorirono opere di sviluppo puntando sull'industrializzazione e sul concorso di investimenti stranieri. Il potere del PRI divenne invincibile, mentre le opposizioni di destra e di sinistra si videro relegate al margine della vita politica.

Questa cristallizzazione dell'eredità rivoluzionaria determinò nell'ottobre del 1968 una sollevazione giovanile a Città del Messico, che polizia ed esercito soffocarono nel sangue. Il PRI conservò tuttavia il suo monopolio politico.

Da questo partito sono usciti anche i presidenti L. Echeverría Alvarez (1970-76), che impresse un impulso innovatore alla vita del Messico, e J. López Portillo (1976-82), che dovette fronteggiare la grave crisi politica ed economica del Paese, dibattuto tra la necessità di interventi statali e lo sviluppo industriale in gran parte legato a capitali nordamericani.

Nel luglio 1982 fu eletto il presidente M. de la Madrid Hurtado che d'accordo con il Fondo Monetario Internazionale affrontò la grave situazione economica interna, causata anche dal debito estero, che nel 1985 sfiorò i 100 miliardi di dollari. Il piano di austerità varato nel 1983 ridusse il già basso tenore di vita della popolazione e aumentò le sperequazioni sociali.

Alle difficoltà economiche precedenti si aggiunsero il terremoto di Città del Messico nel settembre 1985 e il calo del prezzo del petrolio all'inizio del 1986. Nella seconda metà degli anni Ottanta si verificarono situazioni che modificarono in maniera significativa il quadro politico tradizionale: tra queste, la notevole flessione del consenso al partito di governo (PRI), comunque vincitore nelle elezioni del 1988, con l'affermazione del candidato dell'opposizione di sinistra Cuauhtémoc Cárdenas (figlio dell'ex presidente Lázaro), fondatore del Partito Rivoluzionario Democratico (PRD). Se il dibattito interno, stimolato dallo scontento provocato dai severi programmi economici d'austerità, veniva ravvivato da tale evoluzione, ancora maggiori novità portava però la svolta impressa allo stesso PRI e alle linee guida dell'azione governativa dal presidente Carlos Salinas de Gortari: secondo una tendenza implicitamente preannunciata dall'adesione al GATT (1986), venivano adottate misure di liberalizzazione e avviate numerosissime privatizzazioni.

Si profilavano possibilità per realizzare un'integrazione profonda con gli Stati Uniti, di cui, oltre al piano Brady per la soluzione del problema del debito, era accolta senza esitazioni l'idea della “zona nordamericana di libero scambio”. Al riavvicinamento diplomatico e politico, espressosi anche nell'accresciuto impegno contro il contrabbando di stupefacenti, si era infine aggiunto il ripristino delle relazioni diplomatiche (con l'introduzione di una modifica alla Costituzione approvata nel 1991) anche con il Vaticano, a lungo osteggiato dall'originario anticlericalismo del PRI. Confermato alla guida del Paese dalle elezioni politiche del 1991, il partito di Salinas realizzava l'accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e il Canada (NAFTA), entrato in vigore il 1° gennaio 1994. Lo stesso anno, nonostante lo scoppio delle rivolte contadine nella regione del Chiapas, determinate dalla precaria situazione economica e da una ormai improcrastinabile necessità di una riforma generale del sistema democratico, e una campagna elettorale funestata dall'assassinio del candidato ufficiale, Luis Donaldo Colosio, il PRI registrava un ulteriore successo con l'elezione a presidente della Repubblica di Ernesto Zedillo Ponce de León. Ma le continue tensioni politiche, accompagnate dalla diffusione di vaste aree di corruzione e di connivenza con la stessa criminalità organizzata del narcotraffico, determinavano una fuga di capitali che metteva in ginocchio la fragile economia messicana.

In questo difficile quadro riprendeva (1995) l'iniziativa dell'EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) che nel Chiapas, con una serie di rapide azioni, teneva in scacco l'esercito governativo, mentre Salinas de Gortari, il cui fratello veniva coinvolto in un clamoroso caso di omicidio politico, accusato da Zedillo di essere il responsabile della rovina economica del Messico, abbandonava (marzo 1995) il Paese. Il neopresidente adottava anche una linea morbida nei confronti dei rivoltosi zapatisti che iniziava a dare qualche frutto con l'apertura di un negoziato diretto (settembre 1995) e il rilascio di alcuni militanti dell'EZLN. Accanto all'organizzazione militare, i guerriglieri zapatisti davano vita a un organismo politico, il Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale (gennaio 1996), quasi a prefigurare un loro futuro inserimento nella lotta politica legale.

Alle elezioni legislative del luglio 1997, per la prima volta dal 1929, il PRI non riusciva a conquistare la maggioranza assoluta alla Camera dei deputati, ma otteneva appena il 38% dei suffragi, contro il 27% del PAN (Partito d'Azione Nazionale) e il 26% del PRD, guidato da Cuauhtémoc Cárdenas, che vinceva anche le contemporanee elezioni per designare il governatore del Distretto Federale, comprendente Città del Messico, in precedenza nominato dal presidente della Repubblica.

Ma, al di là di vicende comunque contingenti, il Messico metteva ancora in mostra le contraddizioni di un Paese troppo condizionato dalla violenza sociale e politica, così come dall'inestricabile groviglio di interessi tra vertici istituzionali e criminalità, soprattutto quella legata al traffico internazionale di stupefacenti. Una condizione, questa, in comune con altre realtà del mondo ispano-americano, ma in stridente contrasto con la volontà dei Messicani di riuscire a raggiungere l'orizzonte di una completa modernizzazione e di uno stabile sviluppo economico.

Un'ulteriore crisi economica tra il 1998 e il 1999, comunque, decretava la definitiva fine dell'egemonia politica del PRI che nelle elezioni politiche del luglio 2000 veniva sconfitto da una coalizione denominata Alleanza per il cambiamento, che comprendeva anche il PAN, il partito di centro destra, il cui leader Vincente Fox veniva eletto a capo dello Stato.

Tuttavia nelle elezioni del luglio 2003 il PRI otteneva nuovamente la maggioranza. Nel luglio 2006 si svolgevano le elezioni presidenziali, vinte da Felipe Calderon del Partito azione nazionale, di destra, con uno scarto di 0,57% sul suo avversario, Andres Obrador, che contestava l'esito del voto.

Nel 2008 si intensificavano gli scontri tra polizia e narcotrafficanti causando centinaia di vittime, mentre nel Chiapas continuavano le attività militari per contrastare le azioni dei ribelli zapatisti dell'EZLN. Le elezioni legislative del luglio del 2009 erano vinte dal Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI); intanto nel Paese diventava sempre più forte la tensione dovuta alla guerra tra gruppi criminali, soprattutto i cartelli legati al traffico della droga e le forze dell'ordine.

Soprattutto nella città di Ciudad Juàrez questi episodi di violenza causavano la fuga di molti civili e l'intervento del Dipartimento di stato degli Sati Uniti con aiuti e un maggiore controllo nelle aree di frontiera. Infatti, il flusso migratorio verso gli USA si manteneva elevato e provocava fenomeni di xenofobia negli stati meridionali statunitensi.

Nel 2010 le violenze legate al narcotraffico assumevano caratteristiche da guerra civile con oltre 12.000 morti e con vaste regioni di fatto fuori dal controllo dello stato. Alle elezioni presidenziali del giugno del 2012 Enrique Peña Nieto del PRI veniva eletto capo dello Stato, sconfiggendo il candidato di sinistra Obrador.

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Cultura: generalità

Il Messico detiene uno fra i patrimoni storico-culturali più ricchi e compositi di tutta l'America. Teatro delle medesime dinamiche politiche, sociali e culturali toccate all'intero continente in conseguenza della colonizzazione europea, il Paese, forgiato dal proprio passato di tradizione india e contemporaneamente sempre più attratto dal way of life di matrice statunitense, ha a lungo svolto un ruolo di egemonia nei confronti del mondo latino-americano. La cultura popolare trova ampia e “colorata” manifestazione soprattutto nelle decine di feste che si svolgono lungo l'arco dell'anno: da quelle di origine religiosa o mistico-spirituale a quelle civili e patriottiche, cui si aggiungono le ricorrenze private e familiari, altrettanto ricche di folclore e articolati cerimoniali. L'arte e l'artigianato sono sempre stati fortemente legati alle tradizioni degli indios, tuttavia il XX secolo ha visto emergere personalità artistiche che, in parte distaccatesi da questi filoni, hanno trovato ampio riscontro anche fuori dai confini nazionali. Un cenno a parte merita l'architettura, in cui gli esiti raggiunti da Maya, Toltechi e Aztechi (i quali a loro volta ereditarono motivi già elaborati da civiltà precedenti) continuano a destare, nei secoli, la medesima meraviglia. In letteratura, il patrimonio di epoca precolombiana, ricchissimo e diversificato, è stato pesantemente compromesso, anche se restano testimonianze di una qualità letteraria e speculativa notevole, sia in prosa sia in poesia. La conquista portò con sé anche la tradizione letteraria ispanica e, soprattutto, grazie ai movimenti religiosi di evangelizzazione, vennero edificate le prime università che contribuirono allo sviluppo delle arti e della letteratura, oltre a riaffermare la preminenza del Messico sull'intero continente. La rivoluzione e l'indipendenza aprirono poi nuove pagine e nuove prospettive di confronto con le tendenze e gli artisti internazionali, sostenute anche da un fervore interno, alimentato da riviste letterarie e numerose iniziative di promozione. Anche a livello musicale il Messico si è caratterizzato per la presenza di percorsi paralleli, ma ugualmente floridi, fra le proprie diverse anime: la musica colta e la tradizione popolare, la musica dei nativi e gli apporti del mondo africano, spesso oggetto di momenti di incontro e fruttuosa commistione. Il cinema e il teatro, infine, costituiscono settori altrettanto vivi della cultura messicana, frequenti testimoni, se non precursori, delle vicende storiche, politiche e nazionali. Rilievo internazionale ha acquisito, negli ultimi decenni, anche la tradizione gastronomica messicana, diffusasi e apprezzata in tutto il mondo occidentale. Va detto che, come in ambito politico e commerciale, anche nella cultura la capitale gioca un fortissimo ruolo accentratore: sede di 11 università, di musei (fra i più importanti al mondo è quello di antropologia) e istituti culturali, la capitale estende la propria influenza su tutto il Paese e sull'intera area dell'istmo. Da questo punto di vista altri centri di un qualche rilievo sono Guadalajara e Puebla. Testimonianza della ricchezza culturale del Paese sono i numerosi siti dichiarati patrimonio dell'umanità dall'UNESCO tra cui: il Centro storico di Città del Messico e Xochimilco (1987); la zona storica di Oaxaca e area archeologica di Monte Albán (1987); il centro storico di Puebla (1987); la città preispanica e Parco Nazionale di Palenque (1987); la città preispanica di Teotihuacán (1987); la città storica di Guanajuato (1988); la città preispanica di Chichén Itzá (1988); il centro storico di Morelia (1991); la città preispanica di El Tajín (1992); il centro storico di Zacatecas (1993); le pitture rupestri della Sierra di San Francisco (1993); i monasteri del Popocatépetl (1994); la zona storico-monumentale di Querétaro (1996); la città precolombiana di Uxmal (1996); l'ospizio Cabañas di Guadalajara (1997); la zona archeologica di Paquimé, Casas Grandes (1998); i monumenti storici di Tlacotalpan (1998); l'area archeologica di Xochicalco (1999); la città storica fortificata di Campeche (1999); la città maya di Calakum (2002); le missioni francescane della Sierra Gorda di Querétaro (2003); la casa e studio di Louis Barragán (2004); il paesaggio d'agave e antiche installazioni industriali di Tequila (2006); il campus centrale della città universitaria dell'Università Nazionale Autonoma del Messico-UNAM (2007) e la città fortificata di San Miguel con il Santuario di Gesù di Nazareth ad Atotonilco (2008).


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view post Posted on 20/8/2019, 21:47     Top   Dislike
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Cultura: tradizioni

Paese antico, il Messico è ricco di tradizioni. La popolazione è fiera portatrice di quella mexicanidad che sta in parallelo alla hispanidad dei conquistadores, e ha un senso profondo dell'onore. Sovente alla nascita di un bimbo, celebrata con riti e feste, viene piantato un albero, alter ego del bambino, simbolo della sua vita. Fidanzamenti e matrimoni sono occasioni di banchetti; molto sentiti anche i riti funebri, a volte completamente cristiani, a volte pagani. Il maggior numero di feste è legato a ricorrenze religiose. Il Natale messicano inizia il 16 dicembre con la ricerca della prima delle nove posadas in cui verrà ospitata la Madonna che di sera in sera, fino alla vigilia, cambierà casa, mentre andrà aumentando il fervore della festa. Alle grandi feste religiose (Settimana Santa, Corpus Domini, San Giovanni, solennità dei defunti) si aggiungono numerose feste locali e pellegrinaggi. Le gare che concludono le feste (corse a piedi, lancio del giavellotto) sono diffusissime, come le danze popolari. Famosa fra tutte, la danza del volador, in cui quattro danzatori, legata una fune alle caviglie, si buttano da un palo alto 30 metri e compiendo ampi giri attorno al palo stesso atterrano con grande agilità. Con eguale fervore sono celebrate anche le feste patriottiche (15/16 settembre, festa dell'indipendenza; 20 novembre, anniversario dell'insurrezione diretta da Madero nel 1910; 5 maggio, prima vittoria contro i soldati di Napoleone III, 1862). L'abitazione tradizionale del messicano è la casa di adobe (mattone seccato al sole). L'abbigliamento è ricchissimo di colori. Famosi sono il rebozo (ampio scialle dai colori sgargianti) e il sombrero (ampio cappello di paglia). La blusa e i pantaloni bianchi sono di importazione spagnola. Ricco l'artigianato, specie della ceramica, con vasi, brocche, piatti dipinti a fresco. L'arte india ispira ancora grandissima parte della produzione, in particolare della terracotta, e lavorazione di tessuti, lacche, pittura su legno, cuoio, disegni su corteccia, dove si ritrova spesso il gusto azteco. La chitarra è l'accompagnamento più diffuso delle canzoni popolari. Dalla Spagna è venuta la passione per le corride, dall'America Settentrionale il gusto della charreada o rodeo messicano, esibizione di cavallerizzi e sfilata di splendide amazzoni. Nella cucina messicana trionfa la tortilla, schiacciata di farina di mais che può essere imbottita di carne, di formaggio, di salsa piccante; predominano i fagioli, il riso, il pollo e i pimenti. Bevande nazionali sono la tequila e il pulque, distillati del succo fermentato di due varietà di agave.

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view post Posted on 23/8/2019, 07:17     Top   Dislike
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Cultura: lingua



Sebbene un terzo ca. della popolazione del Messico sia costituito da indios puri, solo una minoranza parla lingue precolombiane (nahuatl, maya, mixteco, zapoteco, tarasco, otomí, totonaco, ecc.) e ormai tra questi sempre meno sono i monolingue, coloro cioè che non parlano spagnolo.

Di fatto, quindi, la lingua dei messicani è quella dei conquistatori europei.

Lo spagnolo parlato nel Messico presenta però caratteristiche peculiari: pronuncia piuttosto rapida e sincopata, con sopravvivenza di fonemi indigeni come la š; persistenza nel lessico comune di alcune centinaia di messicanismi, specie nelle zone rurali; adozione di neologismi anglo-americani.

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