IL FARO DEI SOGNI

Argentina

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Fra i poeti spiccano Oliverio Girondo, ricco di metafore ardite; e con lui (e Borges) Leopoldo Marechal, notevole anche come narratore, R. E. Molinari, E. González Lanuza, R. Ledesma, F. L. Bernárdez, C. Mastronardi, L. Franco, C. Nalé Roxlo, Nicolás Olivari, V. Barbieri, J. L. Ortiz. A questa prima generazione d'avanguardia sono seguite, intorno al 1940 e al 1960, una seconda e una terza, i cui rappresentanti più significativi sono Alberto Girri, M. E. Etchebarne, E. Molina, E. Bayley, E. Jonquières, R. González Tuñón, J. R. Wilcock, Maria E. Walsh, César Fernández Moreno, D. Devoto, O. Rossler, A. Pellegrini, J. J. Hernández, A. Pizarnik e altri ancora. Anche la prosa è fiorita rigogliosa, soprattutto nei generi della narrativa e della saggistica, con Ezequiel Martínez Estrada, autore della fondamentale Radiografía de la Pampa (1933), Eduardo Mallea, M. Mújica Lainez, Adolfo Bioy Casares e la moglie Silvina Ocampo, Julio Cortázar, uno dei più personali narratori latino-americani moderni, Ernesto Sábato, Marco Denevi, Beatriz Guido, Haroldo Conti, Rodolfo Walsh, P. Orgambide, H. A. Murena, narratore e saggista di primo piano, J. J. Hernández, già ricordato fra i poeti, Gloria Alcorta, Antonio di Benedetto. Successivamente, mentre la narrativa continua a offrire opere di rilievo con Néstor Sánchez, Manuel Puig, conosciuto anche in Europa per romanzi di successo, Juan José Saer, col romanzo La vuelta completa, Abelardo Castillo, Jorge Onetti, Mirko Buchin e numerosi altri, la saggistica risente delle limitazioni imposte dal governo militare a una libera circolazione di idee. Agli inizi degli anni Novanta, le conseguenze devastanti del convulso ventennio precedente si rivelano, ovviamente, anche nella vita culturale. I grandi “vecchi” della letteratura sono ormai scomparsi – Borges, anzitutto, nel volontario esilio di Ginevra – e con essi molti protagonisti delle generazioni più giovani (su tutti Alberto Girri e Bioy Casares). Altri, della generazione di “mezzo”, non sono più tornati dall'esilio in Europa o negli Stati Uniti, con i casi-limite di Héctor Bianciotti, diventato a Parigi scrittore “francese”, e dell'amaro umorista Copi, morto francese. Pochi dei vecchi sono attivi in questi anni: Ernesto Sábato, che dopo un lungo silenzio (la sua introduzione a Nunca más, sconvolgente rapporto della commissione d'inchiesta sui delitti compiuti dalle dittature militari, non è “letteratura” ma “storia” vera e sanguinante) pubblica nel 1998 Antes del fin, una sorta di autobiografia; i sempre validi poeti E. Molina e Olga Orozco. Della generazione di mezzo, brillante protagonista dopo gli anni Settanta, operano in questi anni, oltre a Roberto Juarroz (sempre più ermetico in Undécima poesía vertical), che scompare però nel 1995, poeti di forte personalità, quali Juan Gelman e Francisco Madariaga; nonché narratori importanti (in patria o fuori), come Abel Posse, Horacio Vázquez Rial, il già citato Saer, Jorge Andrade, David Viñas, Osvaldo Soriano, che scompare nel 1997, Néstor Sánchez, Jorge Asís, Ricardo Piglia, J. J. Hernández, J. C. Onetti, scomparso nel 1994, il già citato Denevi, il fertile Abelardo Castillo, Mario Szichman, Mario Satz, Federico Peltzer, L. Futoransky; e inoltre critici e saggisti importanti (Enrique Pezzoni, Massuh, Rabanal, ecc.) e drammaturghi (O. Dragún). Questa generazione dotata e sfortunata (perché più censurata e perseguitata dalle dittature militari) è comprensibilmente amara: un suo portavoce, Soriano, ha detto che la sola Argentina viva è ormai quella della memoria. Ma resta come esempio morale e guida dei giovani che hanno ripreso a operare nelle pur penose difficoltà politiche ed economiche della rinata, fragile democrazia. Sempre negli ultimi anni del sec. XX, compatibilmente con le circostanze non favorevoli, la vita letteraria si va normalizzando: si pubblica molto, anche riviste di poesia (Ultimo reino, Diario de poesía). Non mancano poeti nuovi e nuovissimi, anche se nessuno di essi sembra eccezionale (prevale una sorta di prosaismo retorico). Le loro tendenze variano ampiamente, dalla polemica militante (un gruppo abbastanza nutrito di poetesse femministe) alla frivolezza neobarocca, così come sono disparate e disordinate le influenze esterne che si vanno via via rivelando, in risposta a un comune desiderio di “aggiornamento”. Emergono nomi nuovi, come quelli di Néstor Perlongher, Daniel Freidemberg, Jorge R. Aulicino, Martín Prieto, Daniel García Helder, Ricardo H. Herrera, Emeterio Cerro, Arturo Carrera, Diana Bellesi, Víctor Redondo, María Julia de Ruschi, Mario Morales, che in più casi coltivano anche la critica, la saggistica e la narrativa. Ricordiamo anche Juan Carlos Martini (autore di La construcción del héroe, 1989, opera che sottolinea alcuni dei lati oscuri della nuova realtà argentina), Enrique Medina (El secreto, 1989, in cui vengono narrate esperienze di emarginazione collegate a una sessualità problematica) e Hector Tizón (El hombre que llegó a un pueblo, 1991, ritratto psicologico degli abitanti dei piccoli centri dell'Argentina rurale). Molto intensa è anche l'attività di traduzione, rinnovandosi la tradizione di Buenos Aires come efficiente introduttrice di autori allofoni nella cultura latino-americana. A dispetto della forte crisi economica, l'Argentina del nuovo millennio è presente in maniera decisa nei romanzi e nei versi (e nelle nuove forme di comunicazione che la letteratura ha accolto, come il web), così come continuano a venire indagati la dittatura, l'esilio, i desaparecidos. Tra gli autori più interessanti del panorama letterario, emersi tra la fine del XX e gli inizi del XXI secolo, possono essere citati Alicia Partnoy (n. 1955), la cui esperienza della prigionia politica segna in profondità i temi e lo stile dei suoi scritti (You Can’t Drown the Fire: Latin American Women Writing in Exile, 1988, di cui è curatrice, e la raccolta di versi La venganza de la manzana, 1992); Rodrigo Fresán (n. 1963), giornalista, saggista e autore, fra gli altri, dei romanzi Historia argentina (1991, bestseller), Esperanto (1995) e La velocidad de las cosas (1998); Guillermo Martínez (n. 1962), fattosi notare con Infierno Grande (1989, raccolta di racconti), e confermatosi con Crímenes imperceptibles (2003, La serie di Oxford), da cui è stato tratto un thriller cinematografico, e La muerte lenta de Luciana B. (2007); Federico Andahazi (n. 1963; El anatomista, 1996); il poeta, saggista ed editore della progetto Eloísa Cartonera Washington Cucurto (n. 1973, pseudonimo di Santiago Vega); Marcelo Birmajer (n. 1966), romanziere (L’anima al diavolo, 1995; Tres mosqueteros, 2001), autore di racconti (Storie di uomini sposati, 1995) e sceneggiatore (L’abbraccio perduto, 2004).

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Cultura: arte

L'Argentina non presenta nelle culture autoctone forme artistiche di grande rilievo. La scultura su legno o pietra è poco diffusa e l'arte fittile è assai modesta, a eccezione di quella dei diaghiti dell'Argentina di NW, che si distinsero anche nel campo della metallurgia, della glittica e della ceramica modellata, dipinta o incisa, che presso gli altri gruppi è solo un prodotto di alto artigianato. Degne di rilievo le pittografie su roccia, che rappresentano scene di guerra (Argentina di NW, sierre centrali), orme di animali (area di Cuyo) o impronte di mani in negativo (Patagonia). A promuovere le prime costruzioni di carattere coloniale furono gli ordini religiosi. Oltre alle missioni nell'interno del Paese (la più importante fu quella di San Ignacio Miní, un modello di organizzazione urbanistica, le cui rovine si trovano nella zona di frontiera con il Paraguay) i gesuiti si costruirono chiese e conventi di stile barocco in ogni città. A Buenos Aires fu attivo il maggior architetto della Compagnia, il padre Andrés Blanqui (chiese del Pilar, 1732; de La Merced, di Las Catalinas), autore anche della cattedrale di Córdoba, della chiesa di Alta Gracia e della estancia gesuitica di Jesús María. Il capolavoro dell'architettura coloniale argentina è la chiesa della Compagnia di Gesù a Córdoba, opera dei padri Cardonosa e Lemer, con un notevole tetto “a carena” in legno. Nell'Ottocento si venne spontaneamente elaborando un tipo di casa privata, sia in città sia in campagna, a mura bianche, con il solo pianterreno o a un piano rialzato, con serie di patios e gallerie coperte, chiusa da una cancellata in ferro battuto. Verso la metà del secolo il gusto europeo, soprattutto grazie agli italiani immigrati, portò all'aggiunta di elementi decorativi di tipo neoclassico, pur conservandone la tradizionale sobrietà. A questo stile spontaneo si oppose una corrente intellettuale promossa dai ricchi professionisti che viaggiavano in Europa e si facevano costruire la casa sul progetto di architetti francesi. Nella pittura ha predominato invece in maniera assoluta l'influenza dell'arte europea, conosciuta direttamente dagli artisti che si recavano a studiare a Parigi e in Italia. La maggior personalità di questo periodo fu Prilidiano Pueyrredón (1823-1870), autore di ritratti, paesaggi e scene di genere. All'inizio del Novecento furono costruiti quasi tutti gli edifici pubblici del Paese. A Buenos Aires ha lavorato V. Meano, architetto italiano, autore del palazzo del Congresso e del teatro Colón. Intorno agli anni Venti si verificò un revival di architettura coloniale con Martín Noel (padiglione argentino all'esposizione di Siviglia), mentre l'architettura d'avanguardia si affermò più tardi con l'architetto Virasoro e i fratelli Prebich. L'architettura contemporanea è informata a criteri puramente utilitaristici. Fra i pittori si distinsero Alfredo Guttero ed Emilio Pettoruti, quest'ultimo formatosi in Italia con i futuristi, e tornato in Argentina nel 1924 fu maestro di tutta una generazione. Di un tipo di pittura fauve è stato invece esponente Miguel C. Victorica (1884-1955); seguace di Rodin è stato Rogelio Yrurtia (1879-1950), autore di numerosi monumenti nelle piazze di Buenos Aires. Fra gli altri nomi eccellenti della scultura otto-novecentesca sono Lucio Correa Morales (1852-1923), Antonio Pujia, Lola Mora (1866-1936). Dopo la seconda guerra mondiale una delle personalità più significative è quella di Julio Le Parc che, sviluppando le premesse già contenute nel Manifiesto Blanco (1946) di Lucio Fontana (artista di origine argentina), ha dato vita a Parigi, negli anni Sessanta, al movimento per l'arte concreta (Arturo fu la rivista di riferimento in Argentina). Nel 1946 nasceva anche il movimento Madí, cui si lega l'attività di Gyula Kosice e altri; influenti pittori del Novecento argentino sono stati anche Raúl Soldi (1905-1994), Benito Quinquela Martín (1890-1977), Antonio Berni (1905-1981), con le sue opere dalla forte carica sociale, Guillermo Kuitca, Carlos Alonso (n. 1929). In anni successivi la pittura è rappresentata dagli artisti del gruppo “Nuova Figurazione” e dai seguaci dell'astrattismo geometrico (Eduardo McEntyre), tra i quali alcuni (come Manuel Espinosa) si sono orientati alle esperienze della op art. L'arte di fine secolo ha definitivamente consacrato le creazioni di León Ferrari (1920-2013), Leone d'Oro alla Biennale d'arte di Venezia nel 2007, Remo Bianchedi (n. 1950), formatosi in Europa, e Aníbal Cedrón (n. 1948). Tra le “scoperte” più recenti, si segnalano Andrea Broggi e Bea Diez, nati entrambi nel 1966, Jorge Alio, Alejandro Marmo, che utilizza ferro e oggetti in disuso, Florencia Wagner, e degli scultori Rubén Grau (n. 1959) e Gloria Argelés (n. 1940).

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Cultura: musica

La colonizzazione spagnola ha distrutto quasi completamente la civiltà musicale che la precedeva e ha così condizionato sia la formazione di una tradizione popolare locale, sia il sorgere di una tradizione colta. I missionari gesuiti furono i primi a insegnare la musica agli indigeni verso la fine del sec. XVI, ma non si può parlare di musicisti argentini prima dell'indipendenza nazionale. Nella prima metà del sec. XIX emersero tuttavia soltanto musicisti dilettanti, come A. Alcorta (1805-1862) e J. P. Esnaola (1808-1878), ai quali seguì, con maggiore rilievo, A. Williams (1862-1952). Fondatore e direttore del Conservatorio di Buenos Aires, Williams si dedicò infatti professionalmente a una feconda attività compositiva e, sebbene legato alla tradizione europea per studi fatti a Parigi, non mancò di tentare uno stile che tenesse conto di elementi nazionali. Alla musica europea si rifanno sostanzialmente anche i compositori contemporanei, tra cui si segnalano J. M. Castro (1892-1964) e il fratello J. J. Castro (1895-1968), J. C. Paz (1901-1972) e A. E. Ginastera (1916-1983), oltre a Felipe Boero (1884-1958), Celia Torra, Gilardo Gilardi. Tra i direttori d'orchestra, oltre allo stesso J. J. Castro, si ricordano Mariano Drago, Washington Castro (1909-2004), Daniel Barenboim (n. 1942). La presenza in Argentina di un teatro di rinomanza mondiale quale il Colón di Buenos Aires ha incrementato la produzione operistica locale, che però fino a J. J. Castro non si è liberata da una passiva adesione ai modelli italiani. Le più giovani generazioni, precedute dal Paz che aderì alla dodecafonia, hanno assunto a modello l'avanguardia. Tra i più noti musicisti argentini in tale posizione sono C. R. Alsina (n. 1941), pianista e compositore, poi trasferitosi in Europa ed E. Fracassi.

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Cultura: teatro

La storia del teatro argentino è in massima parte la storia del teatro a Buenos Aires. Cominciò relativamente tardi, praticamente dopo il raggiungimento dell'indipendenza (prima si ebbero soltanto recite nelle università o nelle missioni indigene) con la fondazione della Sociedad del Buen Gusto del Teatro (1817) che presentò per un pubblico eterogeneo testi drammatici europei o loro imitazioni di autori indigeni. L'itinerario era il solito: tragedie neoclassiche, poi drammi romantici, quindi commedie borghesi. Verso la fine del secolo con l'afflusso di numerosissimi immigrati dall'Europa, si cominciarono a invitare, anche e soprattutto a loro beneficio, compagnie francesi, italiane e spagnole, inaugurando così una tradizione tuttora ben viva. Ma intanto era sorta una drammaturgia più propriamente argentina: arrivava dalla Pampa e presentava un eroe di tipo nuovo, il gaucho. L'iniziatore fu un ex clown di circo, José Juan Podestá, che nel 1884 adattò per le scene il romanzo di Eduardo Gutiérrez Juan Moreira, dramma pieno di sangue e di baccano e punto di partenza di un genere nuovo, i cui modelli spagnoli erano il sainete e poi il genere chico, destinato a influire anche sul teatro colto. Accanto a questi sainetes gauchéscos si svilupparono altri due generi, il sainete urbano, che presentava i conflitti sociali all'interno delle maggiori città invase da un gran numero di immigrati europei, e il sainete criollo, che mostrava in termini grotteschi tipi e personaggi della variopinta popolazione di Buenos Aires e, in subordine, degli altri centri più importanti. Insieme, queste tre forme teatrali dominarono la scena argentina per tutto il primo trentennio del sec. XX. Dal 1930 sorsero alcuni gruppi indipendenti – primo fra i quali il Teatro del Pueblo diretto da Leónidas Barletta – animati dal duplice intento di rinnovare la scena dell'Argentina con l'introduzione del regista, dei capolavori del teatro europeo contemporaneo e delle più recenti tecniche d'allestimento, e allo stesso tempo di stimolare una nuova drammaturgia, sperimentale nelle forme e politicamente impegnata nei contenuti (il cui maggiore rappresentante fu R. Arlt), che si rivolgeva soprattutto a un pubblico popolare. Su questa linea si continuò a lavorare anche dopo la seconda guerra mondiale, con un repertorio nazionale attento alle questioni politiche e sociali di attualità, ma svolto in linguaggi teatrali non piattamente realistici. Commedie come El puente (1949; Il ponte) di C. Goroztiza o Historias para ser contadas (1957; Storie da raccontare) di O. Dragún imposero autori nuovi e indicarono nuovi modelli. Sulla loro scia lavorarono, ancora con gli stessi intenti, i giovani drammaturghi venuti alla ribalta negli anni Sessanta (R. Cossa, R. Halac, R. Talesnik, G. Rozenmacher), costretti a muoversi in un contesto reso spesso difficile dalle dittature militari e dalla loro feroce censura (dittature che avevano costretto all'emigrazione, specie in Francia, talenti come V. García, J. Lavelli, J. Savary, A. Arias e Copi). Nel 1981, due anni prima della restaurazione della democrazia, fu fondato un Teatro Abierto per reagire al ristagno drammaturgico verificatosi nel decennio precedente con la rappresentazione di novità di autori inediti (venti atti unici nel corso della prima stagione). I nomi sin qui fatti appartengono soprattutto all'area del teatro sperimentale, la più interessante ma non certo l'unica. Agiscono infatti a Buenos Aires un teatro nazionale (il Cervantes), uno municipale (il San Martín) e varie sale più o meno commerciali, dove il repertorio, argentino e straniero, è certamente meno ardito e i nuovi autori acquistano diritto di cittadinanza solo dopo essersi affermati altrove. È nella capitale comunque che si concentra il teatro professionale argentino: altrove esistono quasi esclusivamente compagnie filodrammatiche e gruppi sperimentali, alcuni anche di un certo rilievo. I nomi relativamente nuovi della drammaturgia argentina sono quelli di Ricardo Monti (Maratón), Jorge Goldenberg (Cartas a Moreno), Roberto Perinelli (Miembro del jurado, Desdichado deleite del destino), Daniel Veronese (La Noche devora a sus Hijos, 1999), coautore anche della sceneggiatura del film Cómo pasan las horas (2005). Tra le donne emergono in particolare, Alicia Muñoz, Patricia Zangaro (n. 1958; A propósito de la duda, 2000; Las razones del bosque, 2002), Andrea Garrote (n. 1972; La Modestia, 1999; La estupidez, 2003), Mariana Trajtenberg (Mar de Margaritas, 2001).

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Cultura: cinema

Capitale del cinema latino-americano per numero di film e di sale, Buenos Aires ebbe negli anni Venti il pittore-pioniere che la dipinse in modo vivo sugli schermi: José A. Ferreira. Il successo del suo primo poemetto sonoro, Muñequitas porteñas (1931), favorì una produzione più ampia, che per reagire all'invasione hollywoodiana fece ricorso a un uso in verità scriteriato del colore locale, platealmente inteso come apologia del tango. Una ventata innovatrice recò Mario Soffici, che in Viento norte (1937) e in Prisioneros de la tierra (1939) aprì gli orizzonti della Pampa quale teatro di scontri sociali e battaglie d'indipendenza e di un primo epos nazionale. È la strada poi seguita da Lucas Demare (da La guerra gaucha, 1942, fino a La zafra, 1959), da Hugo del Carril (I desperados della giungla verde, 1953) e dal più intellettuale Manuel Antín (Don Segundo Sombra, 1969). Ma sono eccezioni nel cinema argentino di quegli anni, che solitamente si limita a confezioni letterarie più o meno evasive o a spettacoli di grana grossa. La tecnica, assicurata da numerosi studios e da attrezzati laboratori, è moderna, ma il rinnovamento tematico è impedito da una censura che è tra le più severe del continente. Negli anni Cinquanta si è affermata tuttavia la personalità tormentata di Leopoldo Torre Nilsson, descrittore del chiuso mondo borghese e della sua decadenza. Nel decennio successivo ha tentato di farsi luce, duramente contrastato, il "nuevo cine" di una generazione orientata verso la testimonianza documentaria e la denuncia sociale: Fernando Birri con Los inundados (1962), Lautaro Murua con Alias Gardelito, Gerardo Vallejo con El camino hacia la muerte del viejo Reales sono fra i rappresentanti più audaci di questo movimento di rivolta interna. Finché nel 1967, fuori del "sistema", è esplosa dal gruppo di "Cine-Liberación" un'opera rivoluzionaria di provocazione politica: il trittico-reportage di Fernando Ezequiel Solanas e Octavio Getino La hora de los hornos. In seguito la situazione politica e la rigida censura hanno avuto conseguenze notevolissime anche nell'ambito cinematografico; ma con la riconquistata democrazia il cinema argentino ha potuto riappropriarsi del meritato spazio internazionale. Grande risonanza all'estero hanno avuto, infatti, negli anni Ottanta e Novanta le opere di Luis Puenzo (La historia oficial, 1985, premio Oscar ; Old Gringo, 1989; La peste, 1992), di Hector Olivera (No habrá más penas ni olvido, 1984; La noche de los lapices, 1986), di Carlos Sorin (La pelicula del rey, 1986), di Héctor Babenco (Il bacio della donna ragno, 1985, basato su un romanzo di Manuel Puig) e, soprattutto, del già citato Solanas, tornato in patria con due opere che hanno come tema l'esilio, Tangos - El exilio de Gardel (1984, realizzato in Francia) e Sur (1988), cui hanno fatto seguito El viaje (1992) e La nube (1998). Una buona affermazione hanno avuto anche Mondo Grúa (1999) di Pablo Trapero e Garage Olimpo (1999) dell'italo-argentino Marco Bechis, dedicato allo scottante tema dei desaparecidos durante il regime del dittatore Videla. Del 1996 è Eva Perón, di J. C. Desanzo (n. 1938), risposta argentina al troppo hollywoodiano Evita interpretato da Madonna, mentre il già citato Trapero ha diretto ancora Familia Rodante (2004) e Leonera (2008). Trapero è fra i migliori rappresentanti del “nuevo cine argentino”, in compagnia di Mariano Llinas (n. 1975), fra i più interessanti registi dell'ultima generazione (Balnearios, 2002; Historias extraordinarias, 2008), Ciro Cappellari (n. 1959, regista di Sin querer, 1997, e di molti documentari cinematografici), Israel Adrián Caetano (n. 1969), Lucrecia Martel (n. 1966; La ciénaga, 2000; La niña santa, 2004; La mujer sin cabeza, 2008), Daniel Burman (n. 1973), vincitore con L’abbraccio perduto del Leone d'Argento a Berlino 2004 e fattosi apprezzare anche con il successivo Derecho de familia (2006). Un altro regista argentino che si è guadagnato fama internazionale è Juan José Campanella (n. 1959), che, dopo aver diretto Il figlio della sposa (nominato allʼOscar per il miglior film straniero nel 2002), nel 2010 riesce a portare in patria lʼambita statuetta con Il segreto dei suoi occhi.

fonte www.sapere.it/enciclopedia/Argentina+%28Stato%29.html

 
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