IL FARO DEI SOGNI

A che punto è la guerra in Siria?

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view post Posted on 18/1/2019, 17:15     Top   Dislike
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Ad Astana nasce l’asse tra Siria, Russia, Iran e Turchia

Il 15 luglio 2016 un altro evento internazionale è destinato ad avere importanti ripercussioni anche sulla guerra in Siria: quella sera infatti, in Turchia un gruppo di militari prova a rovesciare il presidente Erdogan con un colpo di Stato. Il golpe non riesce e viene stroncato nella notte dalle forze rimaste fedeli all’ex sindaco di Istanbul, ma dall’occidente in quelle ore non arrivano verso Ankara dimostrazioni di solidarietà al governo turco. La prima chiamata che riceverà Erdogan, sarà invece quella di Vladimir Putin.

Da questo momento in poi, l’atteggiamento della Turchia nei confronti sia della Russia e sia all’interno del conflitto in Siria sarà radicalmente diverso. Erdogan sospetta un tradimento dell’occidente, che potrebbe aver dato il benestare al tentato golpe. Ma non solo: il presidente turco prende la palla al balzo e vede nella Russia un interlocutore in cui poter esprimere l’insofferenza per la nascente maxi regione curda in Siria e per l’appoggio americano dato alle forze Sdf.

Dopo essere arrivati ai ferri corti per via del sopra citato abbattimento dell’aereo militare nel novembre 2015, Russia e Turchia tornano ad avere rapporti più distesi e la Siria è il primo vero grande elemento di contatto tra Mosca ed Ankara. Erdogan, dopo aver contribuito a destabilizzare il Paese permettendo nel 2012 l’afflusso massiccio di jihadisti dal suo confine, adesso diventa un attore in grado da poter fare come mediatore all’interno della guerra.

Tutto ciò verrà messo nero su bianco ad Astana il 20 dicembre 2016: nella capitale kazaka, i governi di Siria, Russia, Turchia ed Iran, Paese che sul campo ha posto centinaia di soldati e volontari, si incontrano per la prima volta cercando di iniziare un percorso volto a riportare stabilità nel Paese in conflitto.

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view post Posted on 21/1/2019, 17:16     Top   Dislike
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L’intervento turco in Siria

Ad Astana di fatto viene ufficialmente ribadito ciò che da mesi sta accadendo sul campo: la Turchia, in cambio del suo ruolo di mediatore con diverse sigle islamiste da lei stessa finanziate, ha il silente via libera per intervenire militarmente in Siria in funzione anti curda.

Il 16 agosto 2016 le forze dell’Sdf conquistano Manbij, cittadina a maggioranza araba a nord di Aleppo occupata da tre anni dall’Isis: dopo questo fatto, appare palese ad Ankara il tentativo dei curdi di unificare il cantone di Afrin con gli altri conquistati dal 2014 in poi, con l’intento di creare una maxi regione amministrata dai curdi ai confini con la Turchia. Per scongiurare tutto ciò, il 24 agosto Erdogan dà il via libera all’operazione “Scudo nell’Eufrate“, con la quale i soldati turchi penetrano in territorio siriano affiancando alcune sigle finanziate da Ankara.

Questa operazione porta all’occupazione di zone ancora in mano all’Isis a nord di Aleppo, distanziando di fatto definitivamente le due distinte regioni in mano ai filo curdi. L’intervento denominato Scudo nell’Eufrate termina soltanto nel marzo del 2017, non senza difficoltà. La Turchia tornerà a mettere gli scarponi in territorio siriano nel gennaio 2018, con l’operazione “Ramoscello d’ulivo”, con la quale conquista il cantone curdo di Afrin. Anche in questo caso, i turchi vengono aiutati da sigle anti Assad da loro stessi finanziate.

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view post Posted on 26/1/2019, 18:26     Top   Dislike
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La definitiva riconquista di Aleppo

L’estate del 2016 non è soltanto quella dei grandi cambiamenti diplomatici attorno al conflitto in Siria: in quei mesi roventi, non solo per il clima, Assad inizia la battaglia finale per chiudere i conti con gli islamisti ad Aleppo. Aiutato dalle forze russe, l’esercito siriano inizia a martellare con bombardamenti le postazioni dei rivali poste soprattutto nella parte orientale della città.

Avanzando lungo la cosiddetta “Castillo Road”, la tangenziale di Aleppo, le forze filo governative riescono a riconquistare numerosi quartieri e ad entrare in zone dove le bandiere siriane mancavano dal 2012. La svolta della battaglia di Aleppo si ha nel luglio 2016, quando l’esercito riesce a chiudere in un assedio i quartieri ancora in mano agli insorti. Di fatto, dopo quattro anni di stallo, i filo governativi riescono a trasformarsi da forza assediata a forza assediante. Da questo momento in poi, pur tra mille difficoltà, l’esercito siriano condurrà una graduale ma decisiva avanzata in tutte le zone di Aleppo.

La battaglia urbana avrà un prezzo altissimo per soldati e civili. Dopo l’offensiva del 2012 è la prima volta che si intravede un importante margine per la fine della guerra nella seconda città della Siria. L’avanzata governativa va avanti durante l’intera stagione autunnale e la svolta definitiva si ha con la divisione della sacca islamista di Aleppo in due tronconi. A fine novembre l’esercito siriano riesce a penetrare fino in fondo in diversi quartieri orientali. Il 12 dicembre cadono in mano lealista i distretti di Bustan Al-Qasr e di Sheikh Saeed, roccaforti dell’opposizione. Quest’ultima avanzata dà il colpo di grazia nel morale degli assediati: il 15 dicembre, grazie alla mediazione di Russia e Turchia, viene raggiunto un accordo per l’evacuazione degli ultimi islamisti presenti in città, trasportati con bus verdi ad Idlib. Il 22 dicembre l’evacuazione è completa e, in serata, Damasco annnuncia la fine della battaglia di Aleppo dopo quattro anni e mezzo di combattimenti.

La seconda città siriana alla vigilia di Natale si risveglia distrutta, quasi del tutto rasa al suolo ma, allo stesso tempo, senza più barriere e divisioni interne: la vita ad Aleppo, da quel momento in poi, inizia nuovamente a riprendersi.

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view post Posted on 1/2/2019, 17:57     Top   Dislike
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Il sospetto attacco chimico di Khan Shaykhun ed il raid Usa dell’aprile 2017

Ad inizio 2017 la situazione in Siria è radicalmente cambiata rispetto ai dodici mesi precedenti: Assad ha adesso tutte e tre le principali città in mano, con numerose conquiste territoriali fatte anche nell’area di Damasco e con la prospettiva di poter utilizzare le centinaia di uomini liberatisi dalla battaglia di Aleppo. Ma non solo: il vertice di Astana ed il cambio di passo della Turchia hanno in qualche modo puntellato l’impressione secondo cui la vittoria di Assad è solo questione di tempo.

Dagli Usa invece arrivano importanti novità: nel novembre 2016 l’imprenditore newyorkese Donald Trump batte la sfidante Hillary Clinton nelle presidenziali e il 20 gennaio il nuovo capo di Stato si insedia alla Casa Bianca. Inizialmente, la maggiore vicinanza con la Russia di Putin annunciata da Trump in campagna elettorale fa sperare anche in positive novità per la Siria. A Damasco inoltre, vedono nell’eventuale elezione di Hillary Clinton, sostenitrice della Fratellanza musulmana durante le primavere araba in qualità di Segretario di Stato, un ostacolo in più nei rapporti con Washington.

Ad aprile lo scenario è però destinato a cambiare: viene diffusa la notizia secondo cui nella cittadina di Khan Shaykhun, nella provincia di Idlib occupata dagli islamisti, le forze governative avrebbero attuato un bombardamento con armi chimiche. Anche in questo caso, come in quello di Jobar del 2013, si attribuisce alle forze di Assad la responsabilità dell’attacco prima ancora dell’avvio di indagini internazionali. Da Washington Donald Trump promette immediate conseguenze, affermando di non fare passi indietro.

Il 7 aprile 2017 un raid compiuto con missili lanciati da alcune navi militari americane piazzate nel Mediterraneo colpisce la base militare di Al Shayrat, nella provincia di Homs. Secondo gli americani, il presunto raid chimico sarebbe partito proprio da questa base. Sembra l’inizio di una nuova grave escalation: già durante quella stessa giornata, però, gli Usa rilasciano dichiarazioni distensive in cui si intuisce come quel raid sarebbe rimasto, almeno in quel momento, un caso isolato. La base colpita dai missili Usa, dopo due giorni è già operativa. Per di più, dopo qualche settimana, si apprende che gli Usa, prima del raid, avrebbero informato il Cremlino.

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view post Posted on 3/2/2019, 17:45     Top   Dislike
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Il crollo dello Stato islamico in Siria



Superata la crisi dettata dal presunto attacco chimico di aprile, l’esercito siriano può riprendere le campagne per strappare i territori ai ribelli. Con Aleppo oramai totalmente riconquistata, i governativi puntano al deserto ancora occupato dallo Stato islamico.

La svolta si ha nel mese di giugno del 2017, quando l’esercito siriano conquista la città di Rusafa, l’antica Sergiopoli. Tale conquista, arrivata al culmine di una campagna che ha visto l’esercito riprendere tutta la parte orientale della provincia di Aleppo, apre di fatto la strada alle avanzate nel deserto.

Per tutta l’estate del 2017, i siriani assistono al crollo delle difese dello Stato islamico nella parte centrale del Paese: con Palmira ripresa già a marzo, Assad può rimettere le mani sui giacimenti di gas nell’est della provincia di Homs, nella cittadina di Sukhnah, spingendosi verso la parte rurale della provincia di Deir Ezzor. Sono queste zone dove la bandiera siriana mancava dal 2013. Sempre nell’estate del 2017, i filo governativi raggiungono e blindano anche gran parte dei confini con l’Iraq, eccezion fatta per la zona di Al Tanf la quale risulta ancora occupata dalle forze appoggiate dagli Usa. Nell’offensiva estiva che, di fatto, cancella più della metà del territorio conquistato dall’Isis tra il 2014 ed il 2015, determinante è stato anche il ruolo delle milizie sciite libanesi degli Hezbollah.
La parte antica di Palmira (LaPresse)




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view post Posted on 10/2/2019, 18:02     Top   Dislike
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Contemporaneamente, ad est dell’Eufrate, le milizie Sdf avanzano nelle province di Al Hasakah e Raqqa. Proprio la capitale del califfato è oggetto dell’operazione che, partita ad inizio 2017, porta nel luglio di questo stesso anno all’assedio da parte degli uomini delle milizie filo curde. La conquista di Raqqa avviene però soltanto nel mese di ottobre, con l’aviazione americana che si rivela decisiva per le forze sul campo, inesperte nella lotta urbana.

Con i governativi in grado di recuperare in tre mesi gran parte del deserto e con Raqqa caduta nelle mani delle Sdf, di fatto lo Stato islamico in Siria viene cancellato. Permangono ancora due sacche nella provincia di Deir Ezzor ed al confine con l’Iraq.


La città martire della Siria: Deir Ezzor

Una menzione particolare merita il capoluogo più orientale del paese: Deir Ezzor, città di più di centocinquantamila abitanti sull’Eufrate, assediata prima da al Nusra e poi, a partire dal 2013, dall’Isis. Per quattro lunghi anni, abitanti e soldati governativi presenti al suo interno convivono fianco a fianco per respingere quotidiani attacchi dei terroristi.

Prima dell’estate del 2017, il fronte dove sono attestati i governativi è distante più di 250 chilometri: la città vive come una piccola enclave pro Assad nel cuore di un deserto controllato dall’Isis. Guidati dal generale Issam Zahradine, i governativi riescono a difendere questa sacca e a permettere ai cittadini di non vivere sotto le insegne del califfato. Cibo, acqua, medicinali e munizioni vengono dal cielo.

Con l’avanzata governativa nel deserto, Deir Ezzor vede avvicinarsi il momento della liberazione dall’assedio dell’Isis. L’evento tanto atteso si ha nel settembre 2017, quando le Tiger Force, unità d’élite dell’esercito di Damasco, incontrano le postazioni degli uomini di Zahradine. Deir Ezzor, dopo quattro anni, si riunisce con il resto del Paese: in nessun luogo, come in questa città, si può ben capire cosa voglia dire convivere fianco a fianco con i terroristi dell’Isis.

Oggi Deir Ezzor si avvia alla sua normalità: in città è tornata l’elettricità, il cibo e l’acqua arrivano via terra senza più particolari problemi e la vita è ripresa senza più gli echi della guerra. Nell’ottobre del 2017 però, dopo circa un mese la fine dell’assedio, il generale Zahradine muore saltando su una mina durante un giro di perlustrazione sulle rive dell’Eufrate. Sarà per sempre lui, senza ombra di dubbio, il simbolo della resistenza di questa città martire della Siria contro il califfato (Le battaglie che hanno portato alla liberazione di Deir Ezzor).

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view post Posted on 14/2/2019, 15:35     Top   Dislike
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Damasco viene messa in sicurezza

A maggio del 2018 Damasco viene messa in sicurezza: la capitale siriana, dopo quasi sei anni, è ora completamente libera da sacche islamiste eredi dell’operazione Vulcano del luglio 2012. Tra marzo ed aprile, l’esercito riprende il controllo della regione della Ghouta orientale e, in particolare, di Jobar e della città di Douma. Subito dopo, le forze di Assad assaltano e riconquistano il campo profughi palestinese di Yarmouk, ultima sacca islamista presente a sud Damasco. La capitale dunque è libera dalla guerra e non ha più fronti interni a cui badare: per Assad questo significa, in un colpo solo, maggiore sicurezza e maggiore autorità sotto il profilo politico.

Ma proprio durante l’evacuazione di Douma, con i terroristi portati nei territori occupati dagli islamisti filo turchi, un’altra notizia su un altro presunto attacco chimico prende il sopravvento. A distanza di un anno esatto dal raid americano ordinato da Trump, nella cittadina di Douma un attacco chimico avrebbe provocato più di cento vittime. Anche in questo caso non si attende l’esito delle indagini per appurare le responsabilità: Usa, Francia e Gran Bretagna puntano il dito contro Assad e il 14 aprile lanciano un raid contro alcune basi militari. Come dodici mesi prima, si tratta però di un’azione isolata: del resto, la Russia non avrebbe acconsentito un’operazione di vasta scala anti Assad.

La situazione di maggior tensione riguarda invece il riflesso del braccio di ferro tra Israele ed Iran: Tel Aviv non vuole mezzi e uomini di Teheran a ridosso del proprio confine e, per tal motivo, soltanto negli ultimi due mesi sono stati almeno quattro i raid dello Stato ebraico in territorio siriano contro obiettivi iraniani.

Assad, nel maggio 2018, controlla più del 60% del paese: rimangono fuori soltanto le province di Daraa a sud ed Idlib a nord mentre, nella parte orientale della Siria, persistono piccole sacche di resistenza dell’Isis lungo il deserto. Diversa la situazione invece per quanto concerne i territori in mano alle Sdf, sostenute dagli Usa, ed ai filo turchi a nord di Aleppo: l’impressione è che, per lo status di queste zone, dovrà servire un processo di natura maggiormente politica e diplomatica.

Complessivamente comunque, a partire dal 2018 la sicurezza nel paese e soprattutto nelle aree governative appare essere aumentata e, da più parti, si inizia a parlare anche di ricostruzione.

fonte http://www.occhidellaguerra.it/le-tappe-sa...a-guerra-siria/

 
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