| Storia: Da Muammar Gheddafi alla primavera araba
Nel 1977, con una sorta di revisione costituzionale, Gheddafi ufficializzò il suo sistema di governo costituendo la Jamāhīrīya (Repubblica delle masse) araba libica socialista popolare su forme e organi di democrazia diretta. I primi anni della Jamāhīrīya furono caratterizzati da ulteriori riforme di tipo socialista delle strutture economiche, prima fra tutte l'abolizione del diritto alla proprietà privata. Durante tutti gli anni Ottanta Gheddafi sviluppò una politica estera tesa a imporre la sua leadership nella regione. In particolare egli accentuò le mire espansionistiche nel Ciad e acuì le frizioni con gli USA pretendendo di estendere la sovranità libica a tutte le acque del golfo della Sirte. Ciò provocò una dura reazione statunitense che culminò nel 1986 con il bombardamento di Tripoli cui lo stesso Gheddafi sfuggì miracolosamente. La scomposta reazione della Libia, che lanciò due missili, non andati a bersaglio, contro l'isola italiana di Lampedusa, non ebbe conseguenze per la ferma posizione dell'Italia indisponibile a seguire il leader libico in una internazionalizzazione del conflitto che lo opponeva agli USA. Le modificazioni dello scenario internazionale in seguito allo sviluppo della distensione USA-URSS portarono la Libia a rivedere la sua politica estera introducendo elementi di moderazione che favorirono, nel 1989, la ripresa dei rapporti con l'Egitto e l'adesione all'Unione del Maghreb Arabo, una posizione confermata nel 1991 con la neutralità durante la guerra del Golfo. Alla fine di quell'anno, però, alcune presunte implicazioni nel terrorismo internazionale riportavano la Libia nell'occhio del ciclone. In particolare, due suoi agenti venivano accusati dell'attentato di Lockerbie (Gran Bretagna), dove il 21 dicembre 1988 l'esplosione di un Boeing aveva causato 270 vittime. Le pressioni di USA e Gran Bretagna per ottenerne l'estradizione non ebbero esito e ciò determinò un nuovo isolamento internazionale culminato con l'embargo decretato dall'ONU nell'aprile del 1992. Il reiterato rifiuto all'estradizione dei due agenti provocò, alla fine del 1993, un inasprimento delle sanzioni e il blocco dei fondi esteri libici con l'esclusione di quelli derivanti dalla vendita del petrolio. Sul piano interno il leader libico riuscì comunque a confermare la sua popolarità, appannata dopo la dimostrazione di forza statunitense del 1986, anche se nel Paese si evidenziavano vari segnali di disaffezione. In particolare, Gheddafi fece leva sul sentimento religioso tanto da giungere, agli inizi del 1994, all'applicazione del calendario lunare musulmano e della shariʽah (legge islamica) sia in campo penale che civile. Nell'estate del 1994 la Libia migliorò i suoi rapporti con il Ciad al quale restituì la fascia di Aozou, annessa unilateralmente nel 1973, ma non tralasciò di saggiare la reattività statunitense violando l'embargo aereo per favorire il tradizionale pellegrinaggio di fedeli alla Mecca (1995) o perchè Gheddafi potesse recarsi al vertice della Lega Araba (1996). Anche l'atteggiamento negativo nei confronti del processo di pace israelo-palestinese nel 1995 rientrava in quest'ottica con l'espulsione, poi rientrata, di migliaia di immigrati palestinesi, così pure il riconoscimento del governo somalo formato dalla fazione di Aidid ostile agli USA. Sempre nel 1995 l'ulteriore inasprimento dei rapporti con il mondo occidentale fu confermato dalle reciproche espulsioni di rappresentanti diplomatici con la Gran Bretagna. Da sempre considerato uno dei protettori e degli istigatori del terrorismo fondamentalista, il regime di Gheddafi dovette, però, fare i conti esso stesso con questo fenomeno che iniziava a manifestarsi nel 1996 con la comparsa di un Gruppo islamico combattente (FIG). Il pericolo che anche in Libia potesse svilupparsi una dinamica simile a quella in corso in Algeria, portò Gheddafi a entrare in contraddizione con il regime integralista al potere in Sudan espellendo migliaia di immigrati di quel Paese e a operare una spietata repressione nei confronti di fondamentalisti libici. Il pericolo integralista, quindi, determinò un'accentuazione dell'isolamento della Libia, interrotto solamente nel 1996 dall'iniziativa del Vaticano con la richiesta di rimuovere l'embargo avanzata da papa Giovanni Paolo II; tale iniziativa ebbe un seguito nel 1997, con l'apertura di formali relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Libia. Nel maggio 1998 venne raggiunto un accordo tra Stati Uniti e Unione Europea, in base al quale erano sospese le sanzioni contro le aziende europee che intendevano commerciare con il Paese. Nel luglio successivo i rappresentanti di Libia e Italia firmarono un documento congiunto che pose fine al lungo contenzioso relativo all'occupazione coloniale italiana e all'espulsione di diverse migliaia di italiani dal Paese nel 1970. Il primo segnale della distensione fu il viaggio del ministro degli Esteri Lamberto Dini a Tripoli nell'aprile 1999. Nel maggio successivo la Libia consegnò all'ONU i presunti autori dell'attentato al Boeing della Pan Am nel cielo di Lockerbie, in Scozia. Vennero così immediatamente sospese le sanzioni internazionali imposte dall'ONU nel 1992 (anche se il presidente Clinton decise di mantenere l'embargo americano). Nel giugno successivo si riaprirono presso la sede delle Nazioni Unite a New York i contatti diplomatici tra Libia e USA, congelati dal 1979. Nel 2003 il Consiglio di sicurezza dell'ONU cancellò definitivamente le sanzioni imposte nel 1992, dopo che la Libia raggiunse un accordo con Gran Bretagna e Francia per il risarcimento ai parenti delle vittime degli attentati di Lockerbie e del deserto del Niger, quest'ultimo avvenuto ai danni di una compagnia francese nel 1989. Alla fine dello stesso anno, inoltre, la Libia si impegnò con Gran Bretagna e Stati Uniti a firmare il Trattato di non proliferazione delle armi di sterminio e a consentire le ispezioni dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica. A coronamento di questo percorso, nel giugno dell'anno successivo la Libia riallacciò definitivamente i rapporti diplomatici con gli Stati Uniti che in settembre revocarono l'embargo. Sulla scia del percorso di distensione intrapreso da Italia e Libia nell'agosto del 2008 i due Paesi hanno firmato un accordo di cooperazione che include anche il riconoscimento dei danni inflitti al Paese nordafricano durante il periodo coloniale. Nel febbraio del 2011, in seguito alle manifestazioni popolari dell'area mediorientale, le opposizioni al governo chiedevano un profondo cambiamento democratico. Nei giorni seguenti avvenivano violenti scontri, soprattutto nella parte est del Paese e veniva formato un consiglio politico di transizione nella città di Bengasi, caduta in mano ai rivoltosi. Le forze governative che controllavano la capitale e le zone centrali del Paese sferravano una controffensiva militare condannata dalla comunità internazionale. Le società petrolifere sospendevano quasi completamente la loro attività. In marzo, su proposta degli USA, della Francia e dell'Inghilterra, il consiglio di sicurezza dell'ONU emanava due risoluzioni (n° 1970 e 1973) che imponevano sanzioni, il cessate il fuoco e il divieto di tutti i voli in territorio libico (no fly zone). Veniva creata, così, una coalizione di forze militari, prima sotto il comando statunitense e poi sotto il comando della NATO, che interveniva a favore delle truppe antigovernative. A fine agosto, dopo aspri combattimenti, gli antigovernativi entravano a Tripoli e rovesciavano il regime, mentre Gheddafi riusciva a fuggire, fino a ottobre quando durante un conflitto a fuoco tra lealisti e truppe antigovernative, veniva ferito e, in seguito, giustiziato sul posto. A guidare il governo provvisorio veniva chiamato l'ex ministro della giustizia Mustafa Abd al-Jalil. L'Alleanza delle forze nuove (AFN), coalizione laica e liberale e vicina al premier al-Jalil, vinceva le elezioni legislative, conquistando 39 degli 80 seggi della nuova assemblea. Nel settembre 2012 il ritorno alla normalità veniva interrotto da un attacco terroristico alla sede diplomatica statunitense di Bengasi. Nell'estate del 2014 le milizie estremiste provenienti da Misurata conquistavano l'aeroporto di Tripoli nonostante l'intervento di forze aeree che avevano bombardato l'area. Queste ultime erano probabilmente composte da velivoli degli Emirati Arabi Uniti partiti da basi in territorio egiziano. L'intervento (ufficialmente smentito dall'Egitto e non confermato dagli EAU) configurava un confronto ormai più ampio dei confini dello stato libico, contrapponendo stati avversi ai gruppi fondamentalisti come Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, e sostenitori come il Qatar. I miliziani che hanno attaccato la capitale, reinsediavano il Congresso nazionale generale che eleggeva un nuovo primo ministro.
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