| Cultura: letteratura. Gli anni a cavallo del nuovo millennio
Alla fine degli anni Novanta del XX secolo il panorama letterario si apriva, da un lato, all'insegna del successo di una nuova traduzione in giapponese moderno del classico Genji Monogatari (Romanzo di Genji), molto apprezzata dal pubblico, dall'altro recependo i fermenti sociali del momento e soprattutto alcuni episodi di cronaca nera di cui erano stati protagonisti adolescenti, episodi tanto più sconvolgenti agli occhi dell'opinione pubblica in quanto esplosi con incredibile violenza e brutalità all'interno di un Paese che ancora vanta un basso tasso di criminalità urbana. La violenza è la protagonista di Eiji (1999), romanzo di Kiyoshi Shigematsu (n. 1963), storia di un quattordicenne, Eiji per l'appunto, testimone indifferente di una serie di reati, chiuso in un mondo di coetanei retto da regole e ritmi propri, che li separano dalla società adulta. La violenza è la protagonista anche in Indibijuaru Purojekushon (1997) di Kazushige Abe (n. 1968), scrittore fra i principali rappresentanti della cultura giovanile e vincitore nel 2005 del prestigioso Premio Akutagawa con Gurando finare (2004). Con i suoi romanzi ambientati per lo più nel popolare quartiere di Shibuya, fra musica rock, sale cinematografiche e videogames, Kazushige si conferma degno erede di autori quali Haruki Murakami e Ryū Murakami. Indirettamente ispirato all'assassinio commesso a Kōbe da un quattordicenne, teso a sottolineare le disuguaglianze sociali esasperate dalla società consumistica, è Gōrudo Rasshu (1998; Oro rapace) di Miri Yu (n. 1969), scrittrice già apprezzata per altri suoi racconti come Furuhausu (1996) e Kazoku Shinema (1997; Scene di famiglia) nel quale, con un linguaggio conciso e senza retorica, affrontava i temi dello sfaldamento della famiglia. Miri Yu, figlia di coreani residenti in Giappone, è portavoce nei suoi racconti di una “perifericità” rispetto alla cultura ufficiale e di una pervicace resistenza contro ogni forma di omologazione, la stessa che si ritrova nelle pagine di molti romanzi di scrittori di origine coreana, che costituiscono uno degli aspetti di maggior significato, ancorché fra i meno conosciuti, della letteratura di lingua giapponese contemporanea. Si tratta di una letteratura ricca, polemica, talvolta sentimentale, ma che getta una luce inquietante su una delle maggiori sfide che la società giapponese, ancora chiusa nell'illusione di una omogeneità “razziale”, in realtà inesistente, si trova ad affrontare. Miri Yu ha successivamente pubblicato anche Inochi (2000; Vita), un'autobiografia da cui è stato tratto l'omonimo film. I romanzi di Hoesung Lee (n. 1935) e quelli di Sogiru Yan (n. 1936), di cui ricordiamo in particolare Chi to hone (1998; Sangue e ossa), rappresentano un importante contributo in questa direzione. Controcorrente rispetto a una certa tendenza degli anni Novanta, che aveva proposto una lingua letteraria sempre più vicina al colloquiale, disseminata di slang e di parole inglesi o anglogiapponesi, Keiichirō Hirano (n. 1975) sceglie per il suo Nisshoku (1998; Eclisse di sole) - che peraltro si apre con una citazione di Lattanzio e parla di un monaco cristiano nella Francia del sec. XV percorsa da ondate di dottrine “eretiche” - una scrittura rigorosa, intellettualistica, arricchita da un lessico sino-giapponese che sembra scoraggiare ogni possibilità di lettura distratta o frettolosa. Il caso di Hirano, anche autore di Ichigetsu monogatari (1999) e Kao no nai rataitachi (2006), non è l'unico esempio e si allinea alla necessità, avvertita anche da altri scrittori, di salvaguardare la propria fisionomia intellettuale contro la standardizzazione imperante che tende ad appiattire ogni differenza culturale, ma anche di porre un freno al ritmo di comunicazione troppo veloce, sintetico e diretto che il nuovo linguaggio dei computer sembra aver promosso. Un accenno merita il graduale, ma costante successo ottenuto dai libri di Atsuko Suga (1929-1998). Studiosa di letteratura italiana, sensibile traduttrice di autori come Italo Calvino, Antonio Tabucchi e Natalia Ginzburg, Suga è stata inoltre autrice di una serie di saggi pubblicati negli anni della maturità, tutti dedicati alla sua esperienza di vita italiana, ai ricordi dell'infanzia, alle amicizie di un tempo, alle città dove ha vissuto e di cui è riuscita a ricreare l'atmosfera con un linguaggio evocativo e limpido, acclamato dalla critica: Mirano kiri no fūkei (1990; Milano, paesaggi di nebbia), Korushia shoten no nakamatachi (1992; Gli amici della Corsia de' Servi), Venetsia no yado (1993; Dimore a Venezia), Yurusunaru no kutsu (1996; Le scarpe della Yourcenar). Impostasi sulla scena internazionale sul finire del secolo con una letteratura che ha preso le distanze da certo rigore stilistico e dai contenuti ideologici, è Banana Yoshimoto (n. 1964), come Atsuko Suga legata in maniera particolare all'Italia, e apprezzata soprattutto per il suo linguaggio semplice e per i temi in cui si riescono a identificare le giovani generazioni di ogni latitudine (la letteratura Shojo). Tra i suoi lavori si ricordano Kitchen (1988), fortunato romanzo d'esordio, Il corpo sa tutto e Il coperchio del mare (2007). Analoga alla Yoshimoto nel registro di scrittura adottato è Machi Tawara (n. 1962). Degna di nota è anche l'opera scritta a quattro mani da Hitonari Tsuji (n. 1959) e Kaori Ekuni (n. 1964), dal titolo Reisei to jonetsu no aida (1999; Between composure and passion), che si inserisce nello stesso filone letterario, centrale è infatti il tema delle dinamiche di genere. Nel genere poliziesco, che si discosta dai romanzi ispirati agli episodi di cronaca nera citati in precedenza, fra le personalità più interessanti vi sono certamente Natsuo Kirino (n. 1951), pluripremiata in patria per i suoi romanzi, tra cui Le quattro casalinghe di Tokyo, e Yori Fujiwara. Si ricordano ancora i giovani Eimi Yamada (n. 1959) e Rieko Matsuura (n. 1958).
segue
|