IL FARO DEI SOGNI

Giappone

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Cultura: letteratura. Il periodo Kamakura

Con il periodo Kamakura (1185-1333), dal nome della città sede del primo governo militare o shogunato, la storiografia di corte perse prestigio a favore di quella shogunale. Traccia la storia del Paese dal 1180 al 1266 l'Azuma Kagami (Specchi delle province orientali). In narrativa si ebbe lo sviluppo del gunki monogatari (racconto di guerra), di tono epico, ispirato alle recenti lotte tra le grandi famiglie feudali. Famosi: l'Hōgen Monogatari (Storia dell'era Hōgen), l'Heiji Monogatari (Storia dell'era Heiji), l'Heike Monogatari (Storia degli Heike) e il Genpei Seisuiki (Prosperità e decadenza dei Taira e dei Minamoto). Più tardo il Taiheiki (Cronaca della grande pace), che narra la caduta dello shogunato di Kamakura e l'instaurazione di quello degli Ashikaga. Del genere zuihitsu (note sparse) sono celebri due opere: l'Hōjōki (Ricordi della mia capanna) di Chōmei Kamo no (1154-1216) e lo Tsurezuregusa (Varietà dei momenti d'ozio) di Hōshi Kenkō (1283-1350). Un bel diario di viaggio è l'Izayoi Nikki (Diario della sedicesima notte) della monaca Abutsu-ni (1209-1283). Altro lungo diario è il Meigetsuki (Note scritte al chiaro di luna) di Teika Fujiwara (1162-1241), uno dei compilatori dello Shinkokinshū e altre antologie ufficiali, ma soprattutto famoso per una fortunata scelta di tanka dei sec. VI-XIII, lo Hyakunin Isshu (Cento poesie di cento poeti).



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Cultura: letteratura. I periodi Muromachi e Momoyama



Durante i periodi Muromachi e Momoyama (1392-1603), dall'instaurazione dello shogunato degli Ashikaga dopo lunghe lotte (in cui si inserisce il breve periodo del Nanboku-chō, 1333-92), si ripristinò Kyōto come capitale effettiva.

Una nuova forma poetica, il renga (poesia a catena), era nata dall'artificio dei tornei poetici e dei giochi di composizione di moda a corte. Celebre autore di renga fu Sōgi Iio(1421-1502), che nell'Azuma Mondō ne dettava i principi di composizione.

Suo discepolo fu Botanka Shōhaku (1443-1527). Più tardi la parte iniziale del renga si staccò in una minuscola poesia di tre versi di contenuto per lo più umoristico, detta haiku e largamente coltivata nei secoli successivi. Ma la grande realizzazione del periodo fu il teatro nō.

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Cultura: letteratura. Il periodo Edo o dei Tokugawa

Nel periodo Edo o dei Tokugawa (1603-1868), in cui il governo shogunale passò ai Tokugawa e la sua sede a Edo (odierna Tōkyō), l'incremento delle industrie e dei commerci determinò l'ascesa di un ceto urbano e mercantile, per le cui esigenze sorse una narrativa di destinazione popolare, interamente in kana e di contenuto avventuroso o favolistico o aneddotico. Noto cultore del genere fu Ryōi Asai (1621-1691). Su una traduzione olandese fu condotta una versione in giapponese delle favole di Esopo, l'Isoppu Monogatari. Si erano già instaurati, infatti, i primi contatti con gli europei ed era iniziata anche l'introduzione del cristianesimo, poi osteggiato e perseguitato. Queste vicende non influenzarono molto la letteratura, ma ispirarono opere narrative come il Kirishitan Taiji Monogatari (Storia dello sterminio dei cristiani). Grande successo ebbe un nuovo tipo di romanzo, l'ukiyo-zōshi (libri del mondo fluttuante), ispirato alla vita di tutti i giorni nelle grandi città. Principale autore del genere fu Saikaku Ihara (1642-1693), le cui numerose opere – tra cui Kōshoku ichidai otoko (1682; Vita di un libertino), Kōshoku ichidai onna (1686; Vita di una mondana), Nippon eitaigura (1688; Il magazzino eterno del Giappone) – rivelano una grande inventiva e una straordinaria capacità di creare nuovi modelli che mescolano elementi romantici con un realismo scettico e privo di sentimentalismi. La via iniziata da Saikaku fu portata avanti, seppure con risultati meno brillanti, da Kiseki Ejima (1667-1736) e Ippū Nishizawa (1665-1731). A partire dalla seconda metà del Settecento si affermarono altri generi di narrativa in prosa: i kibyōshi (copertina gialla), umoristici e spesso satirici, e gli sharebon (libri alla moda), ambientati nei quartieri di piacere delle grandi città e in particolare nello Yushiwara di Edo. Dedicati alle relazioni fra clienti e prostitute, alla complicata etichetta e al sistema di valori che le regolava, essi contano fra gli scrittori più rappresentativi Nanpo Ota (1749-1823) e Kyōden Santō (1761-1816). Proibiti nel 1790 per ragioni di pubblica morale, gli sharebon cedettero il passo ai ninjōbon (libri di sentimenti) che, pur trattando in sostanza gli stessi argomenti e gli stessi ambienti, accentuavano l'elemento dell'amore romantico. Fra gli autori di maggior rilievo si ricorda Shunsui Tamenaga (1789-1843). Un altro genere di grande importanza fu costituito dai cosiddetti yomihon (libri da leggere), racconti storici e avventurosi, spesso ispirati alla letteratura popolare cinese, che riservavano particolare attenzione all'intreccio e allo stile, imponendosi un maggior impegno letterario e artistico. Interprete insuperato di questo tipo di racconto fu Akinari Ueda (1734-1809): le sue raccolte, Ugetsu monogatari (Racconti di pioggia e di luna) e Harusame monogatari (Racconti delle piogge di primavera), restano fra gli esempi più interessanti di racconti storici, spesso dominati dall'elemento fantastico e soprannaturale. Dopo di lui, Bakin Takizawa (1767-1848) diede ulteriore sviluppo al genere, accentuando in modo vistoso da una parte l'elemento avventuroso e i colpi di scena, dall'altra la componente didattica ispirata alla morale confuciana e al buddhismo. La poesia haikai assurse a dignità artistica con Bashō Matsuo (1643-1694), evolvendosi in un genere lirico di carattere fortemente impressionistico. Di haikai intercalati a prosa furono composti i diari di viaggio del poeta, fra i quali resta più famoso lo Oku no hosomichi (La stretta via verso il nord). Ripreso successivamente da Buson Yosa (o Taniguchi) (1716-1783) e Issa Kobayashi (1763-1827), lo haikai (denominato haiku in epoca moderna) resta uno dei generi poetici più originali della letteratura giapponese. Il teatro si sviluppò a sua volta, dando vita a due generi “popolari”: il kabuki, interpretato da attori, e il jōruri (oggi bunraku), teatro dei burattini. Il maggior autore di testi fu Monzaemon Chikamatsu (1653-1724), cui si devono drammi storici di grande spettacolarità e drammi sociali ispirati ai conflitti inevitabili fra le imposizioni di una società fortemente gerarchica e conservatrice e le esigenze di libertà individuale. Tra gli altri autori di teatro ricordiamo Kaion Ki no (1663-1742) e Izumo Takeda (1691-1756). Quest'ultimo, in collaborazione con Senryū Namiki e altri, fu autore di Kana-dehon chūshin-gura (Un manuale sillabico ovvero il magazzino di vassalli fedeli), la famosa storia della vendetta dei quarantasette samurai, che ancor oggi resta uno dei testi fondamentali del teatro di epoca Tokugawa. Tra gli ultimi grandi autori di drammi kabuki, si ricordano Nanboku Tsuruya (1755-1829), famoso per le sue macabre storie di fantasmi, e Mokuami Kawatake (1816-1893). Un settore a sé costituì la letteratura erudita. Il movimento dei kangakusha (cultori di studi cinesi), affermatosi nel sec. XVII, auspicava un rilancio della cultura cinese e del pensiero neoconfuciano, ispirato al filosofo razionalista cinese Zhu Xi. Esponente di maggior rilievo fu Hakuseki Arai (1657-1725). L'esaltazione della cultura cinese portò come conseguenza la reazione dei kokugakusha (cultori di studi nazionali), che si dedicarono all'interpretazione, al rinnovamento, alla divulgazione del patrimonio della tradizione indigena. Tra i maggiori rappresentanti: Mabuchi Kamo no (1697-1769) e Norinaga Motoori (1730-1801).


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Cultura: letteratura. Il periodo Meiji e l’influenza dell’Occidente

Nel periodo moderno e contemporaneo, dalla restaurazione Meiji (1868) a oggi, la letteratura si è rinnovata sotto l'influenza dell'Occidente. L'esigenza di un nuovo tipo di romanzo, ispirato alla realtà contemporanea e attento alla psicologia dei personaggi fu espressa soprattutto da Shōyō Tsubouchi (1859-1934) nel suo saggio Shōsetsu shinzui (L'essenza del romanzo).

Nel contempo si organizzava un vero e proprio movimento volto a rinnovare il linguaggio, rinunciando alle forme letterarie ispirate ai testi classici, a favore di quelle colloquiali. Tra i primi scrittori di rilievo della nuova letteratura di fine secolo, si ricorda Shimei Futabatei (1864-1909), autore di Ukigumo (Nuvole fluttuanti), Kyōka Izumi (1873-1939) e la scrittrice Ichiyō Higuchi (1872-1896). La corrente del “naturalismo”, sviluppatasi a inizio secolo, ebbe a sua volta un ruolo della massima importanza sia nell'evoluzione di un tipo di narrativa che osservasse la realtà con un atteggiamento obbiettivo e “scientifico”, sia nello sviluppo di una lingua letteraria il più possibile aderente a quella parlata.

La svolta del Novecento vede affermarsi alcuni fra i maggiori scrittori: Ogai Mori (1862-1922), che meglio di ogni altro impersona la figura dell'intellettuale illuminato, poeta, traduttore, saggista e autore di romanzi e di drammi teatrali; Sōseki Natsume (1867-1916), una delle voci più originali, attento alla realtà del nuovo Giappone e alle sue contraddizioni, ma la cui analisi delle esigenze di affermazione dell'individuo si conclude spesso con una pessimistica valutazione della solitudine a cui l'uomo moderno è inevitabilmente condannato. E ancora Kafū Nagai (1879-1959), la cui nostalgia, velata di estetismo, per situazioni e atmosfere del passato non esclude l'interesse per la realtà sociale che si veniva sviluppando. Nel campo della poesia, si tenta con successo di rinnovare gli schemi dei generi tradizionali.

Rinnovatori del tanka furono la poetessa Akiko Yosano (1878-1942) e Takuboku Ishikawa (1885-1912); dello haikai (ora ridefinito haiku), Skiki Masaoka (1867-1902). Altri, come Hakushū Kitahara (1885-1942) o Sakutarō Hagiwara (1886-1942), tentarono forme nuove, staccate dalla tradizione e vicine ai modelli occidentali. Tōson Shimazaki (1872-1943) fu a sua volta poeta prima di approdare con successo alla narrativa di ispirazione naturalistica.

L'influenza del naturalismo, nell'interpretazione offerta dagli scrittori giapponesi, ebbe una parte dominante nell'elaborazione di un tipo di romanzo particolare, definito watakushi shōsetsu (romanzo dell'io) e caratterizzato dalla componente autobiografica e intimistica, che avrebbe dominato a lungo la scena letteraria. Di questo genere è autore celebrato Naoya Shiga (1883-1971).

L'interesse per i movimenti di avanguardia europei portò, verso gli anni Venti del Novecento, a sperimentare nuove forme di romanzo. Dalla cosiddetta Scuola delle nuove sensazioni, Shinkankakuha, sarebbe emerso Yasunari Kawabata (1899-1972), premio Nobel per la letteratura nel 1968. Nello stesso periodo, Junichirō Tanizaki (1886-1965), un altro dei maestri del Novecento, perfezionava il suo discorso su un romanzo ben strutturato, ricco di immaginazione e di colore, non privo di interesse per elementi romantici o decadenti.

Gli anni Venti, ricchissimi in campo letterario, vedono anche l'affermarsi – sia pure per un breve momento – di una letteratura di sinistra attenta al richiamo di un impegno politico, esemplificata dalle opere di Takiji Kobayashi (1903-1933). La parentesi della guerra del Pacifico e la sconfitta del 1945 portarono importanti rivolgimenti.

Il periodo dell'immediato dopoguerra fu segnato da una fioritura straordinaria di autori e opere di ogni genere. Tra i nomi di maggior spicco, Osamu Dazai (1909-1948), esponente di una generazione sconfitta e disillusa, portato al narcisismo e alla dissipazione come i personaggi dei suoi romanzi più famosi: Shayō (Il sole si spegne) e Ningen shikkaku (Non più umano).

Più tardi emerge la figura contraddittoria di Yukio Mishima (1925-1970), in qualche modo ancorata al passato e a una tradizione di valori che appariva sempre più anacronistica e confusa negli anni della ripresa e del nuovo benessere.

Suo coetaneo e ugualmente critico del sistema, anche se mosso da opposti ideali, è Kōbō Abe (1924-1993), mentre i romanzi di Kenzaburō Ōe (n. 1935), premio Nobel 1994, spesso aspri e provocatori, analizzano senza illusioni i problemi della società contemporanea. Fra le scrittrici, emergono Fumiko Enchi (1905-1986) e Sawako Ariyoshi (1931-1984).

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Cultura: letteratura. Gli anni a cavallo del nuovo millennio

Alla fine degli anni Novanta del XX secolo il panorama letterario si apriva, da un lato, all'insegna del successo di una nuova traduzione in giapponese moderno del classico Genji Monogatari (Romanzo di Genji), molto apprezzata dal pubblico, dall'altro recependo i fermenti sociali del momento e soprattutto alcuni episodi di cronaca nera di cui erano stati protagonisti adolescenti, episodi tanto più sconvolgenti agli occhi dell'opinione pubblica in quanto esplosi con incredibile violenza e brutalità all'interno di un Paese che ancora vanta un basso tasso di criminalità urbana. La violenza è la protagonista di Eiji (1999), romanzo di Kiyoshi Shigematsu (n. 1963), storia di un quattordicenne, Eiji per l'appunto, testimone indifferente di una serie di reati, chiuso in un mondo di coetanei retto da regole e ritmi propri, che li separano dalla società adulta. La violenza è la protagonista anche in Indibijuaru Purojekushon (1997) di Kazushige Abe (n. 1968), scrittore fra i principali rappresentanti della cultura giovanile e vincitore nel 2005 del prestigioso Premio Akutagawa con Gurando finare (2004). Con i suoi romanzi ambientati per lo più nel popolare quartiere di Shibuya, fra musica rock, sale cinematografiche e videogames, Kazushige si conferma degno erede di autori quali Haruki Murakami e Ryū Murakami. Indirettamente ispirato all'assassinio commesso a Kōbe da un quattordicenne, teso a sottolineare le disuguaglianze sociali esasperate dalla società consumistica, è Gōrudo Rasshu (1998; Oro rapace) di Miri Yu (n. 1969), scrittrice già apprezzata per altri suoi racconti come Furuhausu (1996) e Kazoku Shinema (1997; Scene di famiglia) nel quale, con un linguaggio conciso e senza retorica, affrontava i temi dello sfaldamento della famiglia. Miri Yu, figlia di coreani residenti in Giappone, è portavoce nei suoi racconti di una “perifericità” rispetto alla cultura ufficiale e di una pervicace resistenza contro ogni forma di omologazione, la stessa che si ritrova nelle pagine di molti romanzi di scrittori di origine coreana, che costituiscono uno degli aspetti di maggior significato, ancorché fra i meno conosciuti, della letteratura di lingua giapponese contemporanea. Si tratta di una letteratura ricca, polemica, talvolta sentimentale, ma che getta una luce inquietante su una delle maggiori sfide che la società giapponese, ancora chiusa nell'illusione di una omogeneità “razziale”, in realtà inesistente, si trova ad affrontare. Miri Yu ha successivamente pubblicato anche Inochi (2000; Vita), un'autobiografia da cui è stato tratto l'omonimo film. I romanzi di Hoesung Lee (n. 1935) e quelli di Sogiru Yan (n. 1936), di cui ricordiamo in particolare Chi to hone (1998; Sangue e ossa), rappresentano un importante contributo in questa direzione. Controcorrente rispetto a una certa tendenza degli anni Novanta, che aveva proposto una lingua letteraria sempre più vicina al colloquiale, disseminata di slang e di parole inglesi o anglogiapponesi, Keiichirō Hirano (n. 1975) sceglie per il suo Nisshoku (1998; Eclisse di sole) - che peraltro si apre con una citazione di Lattanzio e parla di un monaco cristiano nella Francia del sec. XV percorsa da ondate di dottrine “eretiche” - una scrittura rigorosa, intellettualistica, arricchita da un lessico sino-giapponese che sembra scoraggiare ogni possibilità di lettura distratta o frettolosa. Il caso di Hirano, anche autore di Ichigetsu monogatari (1999) e Kao no nai rataitachi (2006), non è l'unico esempio e si allinea alla necessità, avvertita anche da altri scrittori, di salvaguardare la propria fisionomia intellettuale contro la standardizzazione imperante che tende ad appiattire ogni differenza culturale, ma anche di porre un freno al ritmo di comunicazione troppo veloce, sintetico e diretto che il nuovo linguaggio dei computer sembra aver promosso. Un accenno merita il graduale, ma costante successo ottenuto dai libri di Atsuko Suga (1929-1998). Studiosa di letteratura italiana, sensibile traduttrice di autori come Italo Calvino, Antonio Tabucchi e Natalia Ginzburg, Suga è stata inoltre autrice di una serie di saggi pubblicati negli anni della maturità, tutti dedicati alla sua esperienza di vita italiana, ai ricordi dell'infanzia, alle amicizie di un tempo, alle città dove ha vissuto e di cui è riuscita a ricreare l'atmosfera con un linguaggio evocativo e limpido, acclamato dalla critica: Mirano kiri no fūkei (1990; Milano, paesaggi di nebbia), Korushia shoten no nakamatachi (1992; Gli amici della Corsia de' Servi), Venetsia no yado (1993; Dimore a Venezia), Yurusunaru no kutsu (1996; Le scarpe della Yourcenar). Impostasi sulla scena internazionale sul finire del secolo con una letteratura che ha preso le distanze da certo rigore stilistico e dai contenuti ideologici, è Banana Yoshimoto (n. 1964), come Atsuko Suga legata in maniera particolare all'Italia, e apprezzata soprattutto per il suo linguaggio semplice e per i temi in cui si riescono a identificare le giovani generazioni di ogni latitudine (la letteratura Shojo). Tra i suoi lavori si ricordano Kitchen (1988), fortunato romanzo d'esordio, Il corpo sa tutto e Il coperchio del mare (2007). Analoga alla Yoshimoto nel registro di scrittura adottato è Machi Tawara (n. 1962). Degna di nota è anche l'opera scritta a quattro mani da Hitonari Tsuji (n. 1959) e Kaori Ekuni (n. 1964), dal titolo Reisei to jonetsu no aida (1999; Between composure and passion), che si inserisce nello stesso filone letterario, centrale è infatti il tema delle dinamiche di genere. Nel genere poliziesco, che si discosta dai romanzi ispirati agli episodi di cronaca nera citati in precedenza, fra le personalità più interessanti vi sono certamente Natsuo Kirino (n. 1951), pluripremiata in patria per i suoi romanzi, tra cui Le quattro casalinghe di Tokyo, e Yori Fujiwara. Si ricordano ancora i giovani Eimi Yamada (n. 1959) e Rieko Matsuura (n. 1958).



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Cultura: arte. Fino al periodo Asuka

Documento delle prime manifestazioni artistiche in Giappone sono i manufatti fittili realizzati dai portatori del Neolitico in un'epoca di avanzato sviluppo (III-II millennio a. C.). Nella sua fase più evoluta la ceramica Jōmon fu sostituita dalla ceramica dipinta fatta al tornio del periodo Yayoi (sec. IV-III a. C.-III d. C.). Questa cultura, caratterizzata da influenze della Cina meridionale e della Corea, segnò l'introduzione dell'agricoltura e l'inizio dell'età dei metalli con una produzione di oggetti a carattere cultuale. L'attività megalitica svolta in questo periodo con la costruzione di dolmen e di menhir introduce al periodo Kofun, o delle “tombe antiche”, che va dai sec. III-IV al sec. VI d. C., con persistenze che toccano la fine del sec. VII e l'inizio del sec. VIII, cioè già in epoca Nara. Attorno a queste antiche sepolture a tumulo (di cui alcune a forma di vasta toppa, come la tomba dell'imperatore Nintoku a Ōsaka) – se ne contano ca. 50.000 – figuravano gli haniwa, cilindri di argilla recanti nella parte superiore immagini umane (anche animali oppure oggetti in miniatura) eseguite con elementari stilizzazioni e ispirate a modelli della società del tempo (danzatori, falconieri, guerrieri e cavalieri). Rapporti tra la Cina Han e il Giappone Yayoi e Kofun sono documentati dal ritrovamento nelle tombe (di cui alcune di epoca tarda presentano decorazioni pittoriche murali a violenti colori) di specchi in bronzo di fattura cinese (con decorazione a motivi geometrici del tipo “TLV”), considerati oggetto di culto e venerati in Giappone nei templi shintō, la cui architettura deriva dall'originaria forma del granaio rustico della civiltà Yayoi, come appare nell'antico santuario shintō di Ise (sec. VII). A questo modello è ispirata la forma di tutti gli altri templi dello shintoismo nei quattro stili fondamentali (shimmei-zukuri, taisha-zukuri, sumiyoshi-zukuri e kasuga-zukuri) tratti da elementi ricorrenti dei primi templi di Ise, di Izumo e di Nara, più tardi tuttavia sensibili a modifiche e aggiornamenti stilistici per l'assimilazione di elementi dell'architettura buddhista.


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Cultura: arte. Il periodo Asuka


La diffusione della cultura cinese in Giappone si attuò nel periodo Asuka (552-645), soprattutto tramite il buddhismo, e l'apporto di questa civiltà figurativa dell'Asia sostanziò subito dei suoi moduli iconografici la scultura buddhista giapponese con una serie di capolavori (gruppo in bronzo dorato della Triade di Sākyamuni, Nara, Hōryū-ji, Kondō; i Quattro Re Guardiani, Shitennō, in legno policromo e dorato, Nara, Hōryū-ji, Kondō; le immagini lignee di Miroku Bosatsu, Kyōto, Kōryu-ji; Nara, Chūgū-ji).

Un posto a sé stilisticamente occupa l'imponente statua di Kudara-Kannon, il cui nome (Kudara) rivela la matrice coreana (Nara, Hōryū-ji). Anche la pittura Asuka raggiunse un altissimo livello, sia pure documentato nelle uniche prove del frammento ricamato di tappezzeria Tenjukoku (Nara, Chūgū-ji) e delle pitture che decorano il piccolo tempio-reliquiario Tamamushi-no-zushi (Nara, Hōryū-ji, Kondō).

Quasi nulla è rimasto dell'architettura Asuka, informata ai nuovi criteri architettonici introdotti dalla Cina, ma basta il complesso dell'Hōryū-ji, nei pressi di Nara, che costituisce la più antica architettura in legno, per intendere il concetto informatore che presiedeva ai principi di queste costruzioni e le infinite possibilità di soluzioni strutturali e di raggiungimenti estetici consentiti dall'uso e dallo sfruttamento del legno nelle più imprevedibili applicazioni.

Edificato agli inizi del sec. VII, entro la cinta del suo chiostro rettangolare (hōrō) con portico a copertura sporgente, sorgono, in perfetta simmetria su una linea perpendicolare all'asse N-S, la pagoda a cinque piani decrescenti (tō) e la “Sala d'oro” (padiglione a pianta rettangolare detto Kondō); sul fondo, rispetto alla porta centrale (chūmon), si trova un edificio per la lettura dei testi sacri (Kōdō), affiancato ai lati da due costruzioni minori, rispettivamente “Sala delle scritture” (Kyōzō) e “Sala della campana” (Shōrō). Distrutto in un incendio intorno al 670, il tempio fu poi ricostruito all'inizio del sec. VIII con alcune varianti e aggiunte (il piccolo padiglione ottagonale o “Sala dei sogni”, Yumedono), nonché abbellimenti (pitture murali nel Kondō, collegabili stilisticamente alle pitture tombali cinesi) realizzati a cavallo delle due ere Hakuhō (646-710) e Tempyō (710-94) del periodo Nara, in cui si definiscono nell'ambito dell'architettura cinese gli esiti della tradizione architettonica fissata nelle premesse del periodo Asuka.

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Cultura: arte. Il periodo Nara

Lo svolgimento dell'arte giapponese nei sec. VII e VIII coincide e si attua nel periodo Nara, soprattutto a partire dal 702, in cui maggiore e più conscia è l'aderenza alle istituzioni e al patrimonio culturale della civiltà cinese. A partire dal primo decennio del sec. VIII la presenza della cultura cinese in Giappone, come altrove nell'Asia estremo-orientale, si realizzò con un vero e proprio innesto sulle tradizioni locali già contaminate dall'origine di caratteri formativi sino-coreani. La nuova capitale fu fondata nel 710 a Heijō-Kyō (l'odierna Nara), dopo le precedenti sedi di Naniwa (Ōsaka) e di Fujiwara, ispirandosi per l'urbanistica e per l'architettura al modello della città cinese di Ch'ang-an, capitale delle dinastie Han e T'ang. L'uso tradizionale del solo legno nelle costruzioni se da un lato rese più difficile la traduzione in questo materiale dell'architettura T'ang da un altro riuscì quanto mai proficuo per la libertà di soluzioni e spesso con risultati di autentica originalità. Tra i grandi templi con piante a schemi diversi sorti nel periodo Nara sono da ricordare lo Yakushi-ji, il Tōdai-ji, dotato del caratteristico padiglione (shōsōin), specie di deposito del tesoro derivato nella forma dall'antico granaio shintō; il Kōfuku-ji, il Taimadera, il Tōshōdai-ji e lo Eizan-ji. Di questi e di altri templi rimangono, dell'epoca, isolate costruzioni, come pagode (che qui assumono valore equivalente a quello dello stūpa) e Sale (padiglioni) nella varietà di funzioni a esse assegnate. Sull'impulso di questo fervore costruttivo fiorirono le arti e l'artigianato per l'apporto di artisti e maestranze degli stessi monasteri. Come l'architettura, anche la scultura e la pittura si ispirarono alle fonti cinesi dell'arte T'ang e si realizzarono soprattutto nell'ambito religioso del buddhismo. A sostanziare la scarna documentazione della pittura Nara, limitata nella sua espressione maggiore a ciò che rimane delle pitture che decoravano il Kondō dell'Hōryū-ji, vengono ad aggiungersi ora le pitture murali della tomba di Takamatzu-zuke nel villaggio di Asuka, scoperta nel 1972, la cui datazione oscilla tra la fine del sec. VII e l'inizio del sec. VIII. Queste pitture rappresentano due gruppi contrapposti di “dame” e “valletti”, mentre nelle pareti laterali sono rappresentati animali fantastici legati alla simbologia cosmica cinese. Il realismo delle figure, i particolari delle acconciature e degli abbigliamenti, la ricchezza e la vivacità dei colori, la sicurezza del disegno, mostrano una conoscenza, uno stile e una tecnica senza precedenti nella pittura giapponese di quest'epoca, la cui matrice deve ricercarsi nella tradizione della pittura T'ang, arricchita di elementi centro-asiatici e interferente su uno stile composito sino-coreano. Queste pitture precedono di circa mezzo secolo le prime prove dell'arte degli emakimono: la prima pittura su rotolo appare solo nel 735 attraverso la copia giapponese del sutra cinese Ka ko-Genzai-Inga-Kyo (Causa ed effetto nel passato e nel presente), in cui le scene dipinte sono un'elaborazione della pittura cinese di paesaggi e figure dell'epoca T'ang. Il realismo del brano di pittura della tomba di Takamatzu-zuke è la sola nota di contatto con l vivace realismo offerto dalla scultura Nara, che segna, appunto, in questo senso, un'evoluzione stilistica rispetto alla produzione del precedente periodo Asuka. Oltre alle opere in bronzo del primo periodo Nara, che mostrano già una decisa interpretazione giapponese dello stile cinese T'ang profondamente assimilato (statue di Sho-Kannon e di Yakushi con gli accoliti Gakkō e Nikkō; Nara, Yakushi-ji), importanti sono quelle eseguite in lacca secca e in argilla nel secondo periodo (Tempyō). In argilla essiccata e dipinta sono le statue dei due Bodhisattva che compongono la Triade con Fukūkenjaku Kannon (in lacca secca dorata) nell'antico edificio (Hokkedō) che costituiva il primo Tōdai-ji a Nara, poi destinato a raccogliere opere di scultura, come le gigantesche statue di Kichijōten, di Benzaiten, dei Quattro Re Guardiani. I maggiori esempi di scultura in lacca secca dipinta (tecnica che permetteva di ottenere varietà di effetti e precisa descrizione di particolari) si trovano invece nel Kōfuku-ji di Nara (statue dei Guardiani Celesti e dei Discepoli di Śākyamuni). In lacca secca dipinta è pure un'importante opera di ritrattistica Nara (il Sacerdote Ganjin nel Tōshōdai-ji di Nara), il cui genere trova varietà di espressioni nella ricca produzione delle maschere lignee per la danza Gigaku (in gran numero sono conservate nei templi), dove il gusto per il caricaturale e il grottesco s'accompagna spesso con acute annotazioni psicologiche. La tecnica per le sculture in legno eseguite in un unico pezzo (ichiboku-bori) dà origine a un nuovo stile, che caratterizzerà in parte la successiva scultura Heian.


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Cultura: arte. Il periodo Heian

L'arte del periodo Heian (794-1185) si svolge senza gli apporti della cultura cinese, favorendo così lo sviluppo degli stili indigeni secondo il gusto raffinato della società aristocratica quale si manifestò nel periodo in cui maggiore fu il potere assunto dalla casta dei Fujiwara, che dalla metà del sec. IX dominò la vita politica e culturale del Giappone. È in questo periodo che si realizza la pittura nazionale Yamato-e, il cui stile trova la massima espressione nelle illustrazioni dei racconti su rotolo (emakimono).

Altri sviluppi della pittura profana furono sollecitati dalle stesse caratteristiche dell'architettura delle case signorili (shinden-zukuri) che offriva nel sistema di suddivisione interna degli spazi superfici nuove per la decorazione, quali i divisori scorrevoli o mobili (byobu). Temi della pittura Heian, oltre a quello classico delle “quattro stagioni” dipinto su seta (kinu-e) e commentato da un componimento poetico (waka), erano le illustrazioni ispirate ai romanzi, ai fatti storici e alle biografie dipinte su carta (kami-e). Il Genji Monogatari (monogatari-e: pitture racconto), per esempio, ha fornito il tema a molti rotoli eseguiti già nel sec. XI e ricchi di invenzioni formali e compositive.

Una variante della tecnica tsukuri-e (disegno a inchiostro e colori) fu quella sumi-e, pittura a solo inchiostro (che tanto sviluppo ebbe nei periodi successivi), con la quale furono eseguiti i rotoli Chōiūgiga (Caricature degli animali), attribuiti al pittore noto con il nome di Toba Sōjō (1053-1140) e conservati nel tempio di Kozan (Kyōto).

Agli inizi del sec. IX risale l'istituzione dell'Edokoro, organo statale pertinente l'attività pittorica nell'ambito della corte imperiale, il cui ufficio e carattere si mantennero fino al sec. XIX.

Fecondi impulsi all'arte religiosa derivarono dalle fortune del buddhismo nello sviluppo di nuove tendenze e di nuovi sistemi di pensiero, implicando così il manifestarsi di nuove pratiche cultuali. In questo periodo fiorirono le sette esoteriche Tendai e Mikkyō, attraverso le quali fu operato, tra l'altro, l'allargamento del pantheon buddhistico per inserire nell'ambito delle sue manifestazioni anche quelle relative al culto delle divinità shintō, di cui un antico esempio nella rappresentazione scultorea è la statua lignea di Dea shintoista nel santuario Matsuo a Kyōto. Più tardi un nuovo arricchimento iconografico si manifestò nell'arte con il diffondersi in larghi strati popolari del culto del Buddha Amitābha (Amida) e di quello del Bodhisattva Avalokiteśvara (Kannon). Nella prima metà del sec. XI apparvero i Raigō, dipinti raffiguranti Amida con la sua corte divina che venivano mostrati ai morenti.

Uno dei maggiori esempi di Raigō è nelle pitture murali (Paradiso di Amida) della “Sala della Fenice” (Hōōdō) del Byōdōin di Uji (Kyōto), eseguite nel 1053, dove si coglie anche, nella trattazione delle immagini, la ricerca di definire una tipologia di volti giapponesi, ricerca che offre esiti interessanti nella pittura su rotolo di seta raffigurante il Parinirvana del Buddha (tempio di Kongōbu sul monte Koya), eseguita nel 1086.

L'architettura buddhista di questo periodo, il cui incremento sollecitò leggi urbanistiche a tutela della città, favorendo così la costruzione di grandiosi monasteri in montagna (le cui forme furono prese a modello da altri costruiti entro e subito fuori della capitale), si espresse in una varietà di stili, spesso determinati dall'adeguamento delle strutture alle caratteristiche dell'ambiente naturale, che comportarono l'introduzione di nuovi edifici.

Esempi dell'architettura Heian sono i templi Mikkyō Enryaku-ji (Hieisan) e il Kongōbu (Kōya-san); il Konjikidō del Chūson-ji, la “Sala della Fenice” del Byōdōin di Uji. Sviluppi ebbe anche l'architettura civile: le abitazioni dei nobili (shinden-zukuri) si ispirarono al modello degli edifici staccati (shinsenen) delle tre sezioni del complesso del palazzo imperiale (Daidairi).

Tra le varie scuole di scultura prevalsero in questo periodo due stili, uno legato alle immagini buddhistiche conservate nel Tōshōdai-ji e l'altro aderente alla visione esoterica Mikkyō (sculture nei templi di Tōji, Kyōto; di Kanshin nella prefettura di Ōsaka).

Carattere dominante nella scultura Heian è la ricercata bellezza delle immagini, alla quale però non corrisponde la trattazione dei corpi che rivelano sproporzioni nell'accentuazione di maestosità. Tra i capolavori si ricordano le due statue di Yakushi (Kyōto, Jingo-ji, Kondō; Nara, Shinyakushi-ji), la Kannon con undici teste (Nara, Hōkke-ji), la statua del Re Guardiano Tobatsu Bishamonten (Kyōto, Kyōōgokoku-ji), il ritratto del Sacerdote Roben, fondatore del Tōdai-ji (ove figura), le araldiche Fenici che ornano il santuario della Fenice nel Byōdōin (Uji), la possente statua di Amida Nyorai (nel medesimo santuario) scolpita da Jōchō (1053), la pittoresca immagine di Kichijoten (Kyōto, Jōruriji), così terrena nella sua delicata bellezza. Dagli elementi ornamentali che impreziosiscono la statuaria Heian, nell'ordine di schermi, baldacchini, mandorle, diademi, aureole, gioielli, stendardi si ha una precisa testimonianza dell'alto livello raggiunto dall'artigianato in quest'epoca, così attivo ed esperto nei vari campi per soddisfare la ricca clientela dei preti e dei nobili.

Sugli esiti dei grandi raggiungimenti realizzati in quest'epoca il Giappone codifica i caratteri essenziali della propria civiltà, destinata a evolversi e lentamente trasformarsi per gestazione intima nel proprio ambito naturale e culturale.

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Cultura: arte. Il periodo Kamakura

Ancora motivi religiosi e trasformazioni politiche sono all'origine dei fatti artistici prodottisi durante il periodo Kamakura (1185-1333), durante il quale grande importanza ebbero sulla cultura la filosofia zen e il potere della casta militare. Sorsero templi zen nello stile cinese (kara-yo): Kennin-ji (1202, Kyōto), Kencho-ji (1253, Kamakura), “Sala delle Reliquie” (Shariden) dello Engaku-ji (1279, Kamakura). Nacque l'architettura dei samurai, di cui tuttavia non ci sono giunti esempi (elementi essenziali dell'abitazione del samurai erano i fusuma e i kiki-chigaido, porte scorrevoli, una stanza per i colloqui, nicchie per il kakemono e oggetti decorativi, una veranda o shoin). La vecchia aristocrazia ridusse la propria abitazione (shinden-zukuri) all'edificio principale (shinden). Fiorì in quest'epoca l'arte degli emakimono sui temi della storia dei templi (Shigisan-Engi-Emakimono, Kasuga-Gongen-Kenki-Emakimono), sulle feste annuali di corte (Nenju-Gyoji-Emakimono), su racconti di guerra (Heiji-Monogatari-Emakimono), sulle biografie illustrate (e-den) di importanti monaci (Ippen-Shonin-Eden), su altre vicende storiche (Banno-Dainagon-Ekotoba, Moko-Shura-Ekotoba). In pittura si sviluppò anche il genere del ritratto nel quale fu famoso Fujiwara Takanobu (ritratti di Minamoto-no-Yoritomo e di Fujiwara Mitsuyoshi) per l'acutezza dell'indagine psicologica. La medesima appare ancor più sottolineata nell'aggressivo realismo della scultura, in una serie di ritratti (Seshin e Mujaku nel Kōfuku-ji di Nara; il sacerdote Shunjo, Tōdai-ji, Nara; Uesugi Shigefusa, Meigetsuin, Nara) e di espressive immagini di divinità. Oltre a Unkei, i maggiori interpreti della scultura furono Tanchei, Kōkei e il figlio adottivo Kaikei, Kōshō, Jokei.



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Cultura: arte. Il periodo Muromachi

La tendenza della scultura ai modi stilistici del passato si accentuò maggiormente nel successivo periodo Muromachi (1333-1573), che ne segnò un po' la decadenza, mentre si affermava l'arte delle maschere nell'ambito del teatro nō per qualità tecniche e originalità di creazione. Espressione artistica dello spirito zen divenne nel sec. XV la pittura monocroma a inchiostro (suiboku-ga) praticata soprattutto nei monasteri di questa religione a opera dei preti-pittori (gasō). Con questa tecnica, nel tema del paesaggio, eccelsero Josetsu, Shūbun, Sesshū (che fu il maggiore di tutti), il suo allievo Sesson, Kei Shoki. A questi s'aggiungono Nōami, Geiami e Sōami, che ricercarono il carattere decorativo dei paesaggi sulla traccia delle pitture cinesi Sung. Ad altra corrente appartengono in quest'epoca gli iniziatori della scuola Kanō (Masanobu, Motonobu e Yukinobu) a servizio della corte Ashikaga, aperta a ogni forma d'arte. Nei caratteri della pittura Muromachi elementi della tradizione Yamato-e si fondono e rivivono nello stile della scuola Tosa. L'arrivo degli Occidentali nella prima metà del sec. XVI divenne in pittura argomento per temi namban (occidentali del Sud). La diffusione della cerimonia del tè (cha-no-yū) incrementò la produzione di teiere in metallo e di tutto il vasellame in ceramica a essa connessa. L'architettura shinden-zukuri ripiegò su dimensioni sempre più anguste determinando la diffusione dello stile shoin-zukuri.



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Cultura: arte. Il periodo Momoyama


Nuovi orientamenti ebbe l'architettura nel breve periodo Momoyama (1573-1614) con la costruzione di una serie di castelli fortificati che sollecitarono nuovi tipi di arredamento, improntati a un gusto sfarzoso. Dal 1543 al 1611 furono costruiti i castelli di Azuchi (che si avvalse per le decorazioni interne dell'opera di Eitoku Kanō), di Ōsaka, del Jurakudai di Kyōto, di Momoyama, seguiti, tra gli altri, da quelli di Matsumoto, di Nijo, di Hime-ji e di Nagoya.

Accanto all'arte dei castelli, che caratterizzò tutto questo periodo, si sviluppò quella dei giardini (con lago e rocce) e quella della cerimonia del tè, per la quale furono creati due nuovi edifici, il cha-seki (sala del tè) e il cha-shitsu (padiglione del tè) di estrema semplicità.

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Cultura: arte. Il periodo Edo

Orgogliosa del proprio passato al quale rimase fondamentalmente legata, la civiltà giapponese del periodo Edo , o dei Tokugawa (1615-1868), ne evocò con ambiziosa retorica celebrativa le forme e gli aspetti più tradizionali, dando di sé un'immagine cristallizzata, ricca di colori e di pittoresco, quale si rivelò all'incontro con l'Occidente nel sec. XIX.

Le chiusure culturali di questo periodo non impedirono però la lenta trasformazione del gusto delle nuove classi sociali e lo svilupparsi dell'arte popolare delle stampe secondo lo stile della pittura Ukiyo-e, che costituisce il più importante fatto artistico dell'epoca e uno tra i più interessanti contributi alle origini dell'arte moderna europea.

L'incontro con l'Occidente favorì nell'arte giapponese lo sviluppo di alcune tendenze europeizzanti già in atto alla fine del periodo Edo e la cui attività divenne più vitale nel periodo Meiji-Taisho.

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Cultura: arte. Il periodo Meiji-Taisho (1868-1926)

Con la fondazione nel 1876 della Scuola di Belle Arti con corsi di insegnamento delle tecniche della pittura a olio occidentale (vi insegnarono gli italiani E. Chiossone e A. Fontanesi; nella sezione della scultura insegnò V. Ragusa). Tale sezione fu poi creata nel 1896 nella Scuola di Belle Arti di Tōkyō, dove insegnò Seiki Kuroda, che aveva soggiornato in Francia. Accanto e in opposizione alle correnti occidentalizzanti, che nel corso della prima metà del sec. XX avevano via via assimilato le influenze del postimpressionismo, del fauvismo, dell'espressionismo, del cubismo, del surrealismo e dell'arte astratta, si rafforzò la corrente fedele agli stili della tradizione, la cui attività giunge fino ai giorni nostri, raccogliendo i migliori risultati però nel campo delle arti decorative, dove i caratteri autentici dell'arte giapponese trovano maggiori disponibilità di espressione.


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Cultura: arte. L’età contemporanea

Determinante appare l'azione svolta in questo dibattito dai movimenti d'avanguardia sviluppatisi in Giappone dopo il 1945. Un'importanza eccezionale assume nei caratteri della civiltà contemporanea giapponese il ruolo svolto dall'architettura (e quindi dell'urbanistica), la cui evoluzione, manifestatasi con l'incontro della civiltà occidentale che portò nell'arcipelago nuovi materiali costruttivi (acciaio e cemento armato) e le influenze di Wright, Le Corbusier, Gropius e Mies van der Rohe, giunge alle sorprendenti realizzazioni che si sono susseguite a partire dagli anni Cinquanta del XX secolo. Tra i maggiori artefici dell'immagine architettonica contemporanea del Giappone, che può essere assunta quale simbolo della sua spettacolare ascesa economica, figurano, a iniziare dai più vecchi, Tōgo Murano e A. Raymond, Junzō Sakakura, Kunio Maekawa, Kiyonori Kikutake, Kisho Noriaki Kurokawa e, soprattutto, Kenzō Tange, le cui opere risentono della bruciante esigenza di rottura con ogni sorta di esitazione dialettica con la storia, ma altresì rivelano, nell'entusiasmante creatività sempre originale, limiti e pericoli che sono propri della produzione sperimentale. Sotto la sua influenza nasce il Metabolism, cui prendono parte Kikutake, Kurokawa e Fumihiko Maki. Numerose le realizzazioni del gruppo nell'ambito dell'architettura istituzionale. Dopo l'Expo di Ōsaka (1970), che segna l'apice del movimento suddetto, la cultura architettonica giapponese mostra due orientamenti: i “professionisti”, fautori di un linguaggio architettonico funzionalista e altamente tecnologico, e i “concettualisti” rivolti alla ricerca estetica e simbolica dell'oggetto architettonico. Tra questi ultimi ricordiamo Arata Isozaki e Kazuo Shinohara. Dagli anni Ottanta del Novecento l'architettura giapponese ha raccolto l'interesse internazionale anche intorno all'opera di Tadao Andō, che, insieme a Isozaki e Shinohara, opera in contesti tra i più diversi in tutto il mondo. L'arte giapponese continua a svolgere un ruolo di primo piano nel panorama internazionale grazie alla sua tensione innovativa e alle soluzioni originali che hanno spesso anticipato esperienze congeneri negli ambienti occidentali. Gli anni Ottanta hanno visto la maturazione delle caratteristiche essenziali, quali la tendenza materica, la forte accentuazione concettuale e la manifestazione artistica intesa come “evento”, già messe in luce nella decade precedente da alcuni gruppi di segno avanguardistico sorti in Giappone con l'intento, fra l'altro, di distinguersi dallo spirito occidentale, traendo ispirazione dal pensiero asiatico. La diversa concezione del mondo e la peculiare filosofia della natura, che hanno sempre dato luogo a un sentimento diffuso di esteticità, nella pratica dell'arte della fine degli anni Ottanta hanno condotto a opere di grande originalità che si imperniano sostanzialmente sul rapporto che coinvolge l'uomo e l'ambiente circostante. In tale prospettiva all'artista viene negato un ruolo “creativo”, limitando la sua funzione a quella di mediatore fra elementi del mondo della natura e percezione del fruitore. L'accostarsi alla natura, considerata quale soggetto compartecipe della manifestazione artistica, ha visto l'intervento dell'artista muoversi nei due sensi dell'esperienza: verso il particolare e verso l'universale. L'attenzione si focalizza cioè su singoli aspetti, nell'ambito dei quali vengono privilegiati materiali quali pietra, legno, acqua, terra, ferro, plastica, ecc., che vengono isolati dall'ambiente circostante onde farne scaturire la bellezza intrinseca. Considerando l'assorbimento dell'artista in un ruolo di catalizzatore e l'impulso a un compimento di visione e di stile di vita, la critica giapponese preferisce riferirsi alla propria arte non come a una “forma d'arte”, ma piuttosto a un “evento”, scorgendo nella definizione “arte che non è arte” l'unica possibilità di circoscrivere in parole la portata essenziale del proprio contributo. Tra le figure più importanti del Novecento figurativo giapponese emergono Saburo Hasegawa (1906-1957), esponente di punta dell'astrattismo, Takeo Yamaguchi (1902-1983), Saito Yoshishige (1904-2001). Nell'arte che fa della sperimentazione tecnologica uno dei motivi fondanti si segnalano Yasumasa Morimura, che unisce la manipolazione fotografica a spunti tratti dalla contemporaneità o dalla tradizione, così come Tatsuo Miyajima. La tecnologia digitale è alla base anche delle opere di Mariko Mori. Masato Nakamura è prevalentemente performer, come i membri del commandN, gruppo artistico che utilizza gli spazi urbani di Tōkyō per le proprie opere-video. Lo sviluppo dell'arte contemporanea si lega per altro verso al proliferare di spazi espositivi, istituzioni, fondazioni e iniziative di respiro internazionale, sia sul fronte pubblico che privato: fra i molti la Tōkyō Opera City Art Gallery, il National Museum of Modern Art e il National Art Centre nella capitale, il Kyōto Art Centre, il Kōbe Art Village Centre.


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