IL FARO DEI SOGNI

India

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 28/6/2019, 21:59     Top   Dislike
Avatar

FOUNDER

Group:
Administrator
Posts:
108,904
Reputation:
+1,695

Status:


Cultura: filosofia. Dal VI all’VIII secolo

Nel clima culturale del sec. VI a. C. sorsero in India due altri sistemi filosofico-religiosi: il giainismo e il buddhismo. Cinque secoli dopo (sec. I a. C.) il buddhismo fu profondamente rinnovato dalla dottrina del Grande Veicolo: al principio individualistico del raggiungimento del nirvāṇa da parte del singolo con il suo proprio sforzo, viene sostituito quello della carità, che spinge a uscire dal proprio individualismo per aiutare i non illuminati a giungere al nirvāṇa grazie a parole e azioni adatte ai loro bisogni. Eroe del sistema è il Bodhisattva, l'illuminato che ormai giunto alle soglie del nirvāṇa, ritorna per rendere partecipi i non-illuminati. La nuova dottrina trovò la sua elaborazione metafisica nella scuola Mādhyamika, fondata da Nāgārjuna (sec. II d. C.) che, con una logica ben argomentata, sostiene che nulla si può affermare nel mondo empirico; i concetti sono tutti contraddittori; le cose non hanno una natura propria essendo l'una dall'altra condizionate; l'essere individuale è solo apparenza; il mondo è mera rappresentazione dell'uomo; al fondo di tutte le cose esiste solo il vuoto. Da questo monismo metafisico discende la teoria delle due verità: la verità superiore della realtà e la verità convenzionale delle apparenze. Quando l'uomo acquisisce la certezza che tutte le cose si riducono all'unico principio del vuoto, assoluto e relativo, realtà spirituale e realtà fenomenica s'identificano. Al concetto monistico del vuoto contrappone un'interpretazione idealistica della realtà la scuola dello Yogacara fondata da Maitreya (forse sec. IV d. C.), che ebbe come suoi illustri rappresentanti i due fratelli Asanga e Vasubandhu (inizio sec. V d. C.): realtà assoluta è la coscienza conoscente (vijñāna) e gli oggetti esistono solo in relazione a essa. Prendendo consapevolezza di questa verità l'uomo diventa capace di un pensiero, che è “atto del pensiero puro” e in quel momento realtà fenomenica e dolore diventano nirvāṇa. Grande anche il contributo portato da questa scuola alla logica: è possibile la distinzione fra conoscenza discorsiva e conoscenza sensibile, fra inferenza e percezione. Primo atto del conoscere, precedente allo stesso linguaggio, è la percezione del particolare nella sua individualità; nel secondo, all'intuizione subentrano l'immagine discorsiva e la parola; a questa appartengono le costruzioni mentali, mentre le sensazioni sono dati immediati della coscienza. L'oggetto è dapprima percepito dai sensi in sé, poi viene conosciuto dall'intelletto secondo le forme degli universali e delle parole. Alla tradizione vedica e all'idealismo si opposero fin dall'antichità i materialisti (mastika, negatori). In campo gnoseologico essi affermarono che solo la percezione sensoriale dà la conoscenza della verità; negarono il valore dell'inferenza, della relazione di causa ed effetto; affermarono la spontaneità e accidentalità degli eventi escludendo qualsiasi loro causalità in un essere soprannaturale. Tutti gli oggetti provengono da quattro elementi primari ed eterni: terra, acqua, aria, fuoco; di questi è formata la stessa coscienza. In campo morale i negatori più estremisti non ammettevano nemmeno l'esistenza del bene e del male: stolto è volersi liberare dal dolore, che è nella natura del mondo, e privarsi del piacere, che dà sapore alla vita; questa invece va vissuta con coraggio. Le teorie materialistiche furono rielaborate e meglio adattate all'ambiente culturale indiano dalla scuola atomistica (vaiśeṣika) e dalla logica nyāya. Fondata da Kaṇāda (forse sec. I d. C.), la scuola affermava che la realtà è divisibile in sei categorie: sostanza, qualità, attività, generalità, particolarità, inerenza. Delle sostanze (aria, acqua, terra, fuoco, etere, tempo, spazio, anima, intelletto), le prime quattro si compongono di atomi, eterni e indivisibili. Alla loro organizzazione presiede un dio (Iśvara), che però non ne è il creatore. La scuola ammetteva anche l'anima come sostanza eterna e immateriale, invisibile, ma percepibile attraverso gli atti conoscitivi e volitivi, il desiderio, il piacere, ecc. La scuola nyāya (retto ragionamento), sorta a opera di Akṣapāda (forse sec. II d. C.), accettava la metafisica vaiśeṣika (non però l'esistenza di un dio ordinatore), ma volgeva la sua maggiore attenzione ai problemi gnoseologici, elaborando una terminologia tecnica di notevole precisione. Problema fondamentale del nyāya è la distinzione fra conoscenza vera e falsa: a una conoscenza vera portano la percezione, l'inferenza, la comparazione e la testimonianza; falsa è invece la conoscenza prodotta dalla memoria, dal dubbio, dall'errore e dall'ipotesi. Fautrice di una critica al soggettivismo buddhista e di un ritorno al pensiero ortodosso dei Veda fu la scuola mīmāṃsā, apparsa forse fra il sec. II a. C. e il sec. II d. C. e più tardi approfondita da Kumarila (sec. VIII d. C.) e Prabhākara (sec. VII-VIII d. C.): la realtà del mondo empirico è formata da atomi e si percepisce con i sensi; l'universo è eterno e ha la vita in sé senza dover ammettere un dio creatore. Le conoscenze sono valide in forza dei motivi intrinseci a esse stesse, quindi il ragionamento serve solo a eliminare il dubbio e a provare la falsità di una conoscenza errata.

segue

 
Web  Top
view post Posted on 1/7/2019, 21:46     Top   Dislike
Avatar

FOUNDER

Group:
Administrator
Posts:
108,904
Reputation:
+1,695

Status:


Cultura: filosofia. Dal IX al XX secolo

Fra il sec. IX e l'XI la rivelazione dei Veda fu sostituita da quella degli Āgama e le nuove scuole, dal nome del dio Śiva, che era al centro di questa rivoluzione culturale, si chiamarono śivaite. Fra di esse importante fu quella formatasi attorno ad Abhinavagupta (sec. XI): la realtà è un'entità unica, assoluta e ineffabile; anche l'essenza dell'uomo non è descrivibile e per di più avvolta in una non-conoscenza innata e permeata di karman; ma Śiva interviene a rendere conoscibile all'uomo l'Assoluto. Il mondo ha la sua causa in Dio, che però è coevo al mondo e quanto in questo accade è manifestazione dell'evolversi della coscienza divina ed espressione della sua volontà. Nel problema della conoscenza, gli śivaiti sostenevano che non vi può essere separazione della coscienza sensibile da quella discorsiva; lo stesso individuale, per il fatto di essere percepito, è già immagine discorsiva, anzi è lo stesso universo che venendo a contatto con lo spazio e il tempo perde la sua eternità e ubiquità. Ancor prima però che l'oggetto sia percepito come universale o particolare, è dentro di noi come tensione al conoscere e principio di volizione. L'io individuale è libero e la molteplicità è frutto della libertà attraverso la quale l'io si esprime. L'anima individuale, oscurata dal karman, si libera all'atto di riconoscere la sua natura divina, la sua beatitudine e libertà sotto le false spoglie del dolore. Legato alla mistica e allo gnosticismo del brahmanesimo, si sviluppò già da epoca antica il sistema Vedanta"vedanta", che ha a fondamento il pensiero di Bādarāyṇa (sec. III d. C.) e trova in Šaṇkara (788-820) la sua sistemazione definitiva: da una parte è il brahman o ātman, assoluto, indefinibile; dall'altra il mondo empirico sospeso tra essere e non-essere. Per il karman che lo circonda l'uomo soffre e per liberarsi dal suo dolore deve aver chiara coscienza che il mondo non può identificarsi né con l'essere né con il non essere. Altra scuola Vedanta è quella fondata da Rāmānuja (ca. 1017-ca. 1137): partendo dalle premesse di Šaṇkara, egli concluse che la molteplicità del mondo empirico è una qualità eterna e reale del brahman, assoluto metafisico, che egli identifica con dio; questi dalla sua infinità trae l'essenza con la quale crea il mondo. Al monismo Vedanta reagirono Bhaskara (sec. IX-X) e Madhva (1199-1274 o 1276) spezzandolo in una concezione dualistica. La vivacità delle scuole Vedanta è dimostrata dal fatto che esse resistettero alla conquista musulmana (sec. XI-XIV) e continuarono a vivificare il pensiero indiano: proprio nel periodo della dominazione inglese (sec. XVIII-XIX) furono esse a dare origine a una forte corrente di rinascita della religione e della filosofia induiste e sono ancora esse a rappresentare oggi il filone più vivo della filosofia indiana. Nel sec. XIX si ebbero vari tentativi di riforma: Rammohan Roy (1774-1833), che nel 1828 raccolse attorno a sé una comunità religiosa (Brāhma Samāj) per la lotta al politeismo e all'idolatria e che abolì fra i suoi seguaci le caste; la Società teosofica, che esportò nel mondo i principi più elevati della religione e della filosofia indù. A questo pensiero più volte millenario chiesero ancora ispirazione i grandi personaggi della nuova India (Gandhi, Aurobindo Ghosh, Tagore, Rādhākrishnan) e vivace è tuttora nelle università indiane la ricerca del pensiero filosofico dell'India e della sua storia.

segue

 
Web  Top
view post Posted on 6/7/2019, 22:48     Top   Dislike
Avatar

FOUNDER

Group:
Administrator
Posts:
108,904
Reputation:
+1,695

Status:


Cultura: il pensiero scientifico

Le più antiche documentazioni sulle osservazioni scientifiche, soprattutto su quegli aspetti della natura che gli indiani, naturalmente inclini alla ricerca astratta, collegarono al problema religioso, risalgono al mondo culturale vedico. Astronomia, matematica e medicina furono i settori delle scienze maggiormente oggetto di indagine e dove, a volte, furono anticipate, sotto molti aspetti, scoperte avvenute nel mondo occidentale in epoca molto posteriore. Nozioni di astronomia si trovano già nei Veda, i libri sacri; tuttavia l'interpretazione dei fenomeni celesti è strettamente legata alle credenze religiose ed è soltanto con i cinque libri dei Siddhānta (trattato che espone un completo sistema), la cui composizione risale ai primi secoli dell'era volgare, che l'astronomia indù assume precise caratteristiche e s'inquadra secondo gli schemi di una più concreta metodologia scientifica. In questo testo fondamentale, più volte in seguito ripreso e commentato da vari autori, si trovano sviluppati diversi argomenti che riguardano divisione del tempo, movimenti di rivoluzione degli astri, determinazione dei meridiani e dei punti cardinali, equinozi e solstizi, eclissi lunari e solari, movimenti dei pianeti. Al sec. VI d. C. risale una delle prime esposizioni in sintesi della materia trattata nei Siddhānta dovuta all'astronomo Āryabhaṭa; l'opera, che prese il nome di Āryabhaṭīya, è in versi e in essa sono particolarmente sviluppati calcoli astronomici nell'ambito di un sistema rigorosamente geocentrico. Gli studi astronomici indiani raggiunsero il loro punto culminante, dopo il quale non segnarono più alcun progresso, intorno al sec. XII. Le teorie elaborate in questo arco di tempo furono raccolte nel trattato Siddhāntaśiromaṇi (Il principio basilare o il diadema dei Siddhānta) dall'astronomo e matematico Bhaskara (o Bhāskarācārya); i punti cardini che ivi risultano chiaramente stabiliti sono: sfericità della Terra, posizione dei poli e dell'equatore, rotazione su proprie orbite del Sole, della Luna e dei cinque pianeti allora noti attorno alla Terra che è immobile nello spazio, distinzione tra giorno solare e giorno sidereo, suddivisione dell'anno solare in dodici mesi e sei stagioni, precessione degli equinozi e teoria degli epicicli. Le scienze matematiche nell'antica India furono coltivate soprattutto in funzione dei calcoli astronomici. Tuttavia nozioni di geometria richieste per la costruzione degli altari e per l'apprestamento delle aree sacre, erano già note in epoca vedica e raccolte in una serie di aforismi, i Sulvasutra, che rivelano buone conoscenze di geometria piana, risolvono problemi di proporzioni e di equivalenze di superfici (vi è inclusa tra l'altro l'enunciazione del teorema di Pitagora), forniscono con notevole approssimazione il valore di π. Per quanto riguarda invece la matematica pura, in cui gli Indiani hanno conseguito risultati di fondamentale importanza (come la scoperta della notazione posizionale e quella, notevolissima, dello zero, trasposizione matematica e riproduzione simbolica del sunga, che in sanscrito significa contemporaneamente vuoto e zero), le opere più notevoli si trovano inserite quali sezioni integranti dei trattati di astronomia. Il testo più antico è compreso nell'Āryabhaṭīya ed è un vero e proprio manuale di aritmetica contenente vari metodi di addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione anche con numeri frazionari. Le conoscenze matematiche, e ancor più quelle algebriche, sono meglio sviluppate nelle parti a esse dedicate delle opere di Brāhmagupta e di Bhaskara che giunsero a trovare la soluzione generale delle equazioni indeterminate di primo e secondo grado e, in casi particolari, anche di problemi algebrici di terzo grado. Buone furono anche le conoscenze di trigonometria e sembra probabile che agli indù si debba l'introduzione dei concetti di seno e coseno. La medicina fu l'altra grande scienza dell'India con una tradizione orale e scritta che risale al periodo vedico e si riallaccia in massima parte alle credenze religiose. I primi testi redatti secondo una precisa metodologia scientifica risalgono invece agli inizi dell'era cristiana; i più noti sono il Carakasaṃhitā (La raccolta di Caraka), compendio medico che, nella stesura originale, è stato datato come risalente al sec. II d. C., e il Suśrutasaṃhitā (La raccolta di Suśruta), un trattato di chirurgia di poco anteriore al precedente. Entrambi raccolgono teorie preesistenti all'età in cui vennero sistematicamente redatti, ma, mentre nel primo prevalgono le nozioni di medicina generale e farmacopea, nel secondo sono descritti numerosi tipi di interventi chirurgici che indicano lo sviluppo e la perfezione conseguiti in questo campo dalla medicina indù. Fondandosi sul concetto della forza vitale, diversa da persona a persona e anche nella stessa persona secondo le varie età e circostanze, sulla profonda conoscenza del rapporto esistente tra psicologia e fisiologia (yoga) e sulla premessa che il corpo umano vive per l'armonia delle singole parti, la medicina indù giunse a formulare concetti anticipatori della moderna endocrinologia, come la teoria dei tre doṣa, o forze primarie, cioè la forza dell'anabolismo, la forza del catabolismo e la forza nervosa, cui si collegano i tre umori: flemma, bile e vento. L'aspetto più caratteristico della medicina indù è il suo limitarsi alla descrizione di fenomeno, nonché la mancanza di una vera e propria eziologia. Di fronte alla malattia nulla era possibile se non lenire i dolori e le sofferenze. Di qui il grande sviluppo della farmaceutica nell'India antica a partire dal sec. III a. C. Tutti i trattati di farmacologia dell'epoca raccomandavano l'uso di preparati metallici, i più comuni dei quali in funzione di tonici erano a base di oro e di mercurio; particolarmente diffuso era anche l'uso di polveri soporifere da inalare e di droghe per provocare anestesia locale nelle operazioni chirurgiche. Infine, veterinaria e fitoterapia vennero incluse nella medicina per la concezione indiana della vita che ne abbraccia tutti gli aspetti come estrinsecazione dell'unico principio divino. Molte di queste teorie e delle pratiche della medicina tradizionale indiana rientrano sotto il concetto di ayurveda (scienza della vita), metodo di cura e di ricerca dell'armonia tra corpo e mente, a metà strada tra medicina e filosofia, diffusosi anche in Occidente a partired agli ultimi anni del XX sec.

segue

 
Web  Top
view post Posted on 7/7/2019, 18:34     Top   Dislike
Avatar

FOUNDER

Group:
Administrator
Posts:
108,904
Reputation:
+1,695

Status:


Cultura: lingue

Le principali lingue degli Stati che si trovano nel subcontinente indiano sono: l'hindī nell'Unione Indiana, l'urdu nel Pakistan, la bengālī o bengalese nel Bangladesh, la nepālī o nepalese nel Nepal, il tibetano nel Sikkim e nel Bhutan, il singalese e il tamil nell'isola di Ceylon. Ma accanto a queste lingue, oltre all'inglese che è stata la lingua di colonizzazione di tutto il territorio, si parlano anche moltissimi altri idiomi e dialetti che si possono raggruppare in quattro famiglie linguistiche principali: tibeto-birmana, nella parte settentrionale e nordorientale (dove si ha anche una penetrazione della famiglia linguistica monkhmer con la lingua khasi parlata in alcune regioni dell'Assam); munda, che forma piccoli gruppi sparsi nell'India centrorientale; dravidica nell'India meridionale, nella parte settentrionale dell'isola di Ceylon (Sri Lanka), nelle isole Laccadive, con una propaggine isolata nel Baluchistan centrorientale; indeuropea, che copre la maggior parte del restante territorio. Quest'ultima è la famiglia linguistica più importante perché vanta il maggior numero di parlanti e le tradizioni letterarie più prestigiose. Le lingue di questa famiglia parlate nel subcontinente indiano appartengono al ramo ario o indoiranico costituito dal gruppo iranico, di cui solo il dialetto beluci interessa la parte sudoccidentale del Pakistan, e dal gruppo indoario, che comprende tutte le altre lingue e dialetti indeuropei parlati in India. Cronologicamente l'indoario si può dividere in tre periodi: quello dell'antico-indiano, in cui si distingue una fase più arcaica rappresentata dal vedico e una più recente rappresentata dal sanscrito classico; quello del medio-indiano, che comprende il pāli, il pracrito epigrafico e gli altri dialetti pracriti, il sanscrito misto, cioè una lingua ibrida composta di forme sanscrite e pracrite in cui sono scritte in particolare le strofe di leggendarie biografie del Buddha; il periodo neoindiano, che comprende numerose lingue e dialetti che si possono raccogliere in quattro gruppi: nordoccidentale, che abbraccia le estreme regioni montuose confinanti con il Pamir in cui si parlano kāfirī, kāshmīrī, shinā, kohistānī (da questo gruppo indoario derivano anche i dialetti zingari); occidentale, di cui fanno parte la puñjābī occidentale o lahnda parlata lungo il corso superiore dell'Indo, la sindhī parlata lungo il corso inferiore dell'Indo, la gujarati a sud-est della sindhī (è la lingua dei Parsi, comunità zoroastriane emigrate dalla Persia, che ha subito un sensibile influsso da parte del persiano e dell'arabo), più a sud la marāṭhī che confina con il dominio linguistico dravidico, la rājasthānī a est della sindhī, la bhīlī a est della gujarati; il gruppo centrale comprende i vari dialetti hindī, la puñjābī in senso proprio a est della puñjābī occidentale, la nepālī che è la lingua ufficiale del Nepal, e più a occidentale la pahāri; il gruppo orientale comprende la bihārī a sud-est del Nepal, l'assamese o āsāmī, il bengalese e più a sud l'oriyā. Separato da tutte le altre lingue indoarie è il singalese, parlato nella parte meridionale dell'isola di Ceylon.

segue

 
Web  Top
view post Posted on 9/7/2019, 20:46     Top   Dislike
Avatar

FOUNDER

Group:
Administrator
Posts:
108,904
Reputation:
+1,695

Status:


Cultura: diritto

Il termine sanscrito che richiama al concetto di legge è dharma, ma esso più propriamente designa, in una sintesi di elementi religiosi e profani, i diritti e doveri dell'uomo in ogni campo della sua attività, le norme che dirigono il comportamento degli esseri tanto più sul piano religioso e morale quanto su quello sociale e giuridico. Secondo la tradizione indigena quattro sono le fonti del dharma: la rivelazione (śruti), la tradizione (smṛti), il comportamento delle persone colte e virtuose (śiṣṭācāra), gli usi e costumi delle regioni, delle caste, delle famiglie (deśajātikuladharma). Il dharma ha dato luogo a una ricca letteratura che dalla fine del periodo vedico (sec. VI a. C. ca.) si estende fino al sec. XVIII. Le fonti più antiche del diritto indiano sono i Dharmasūtra (aforismi relativi alla legge), in prosa, che contengono, accanto alla trattazione di problemi dottrinali e religiosi, i primi abbozzi di una dottrina giuridica (definizione dei doveri delle quattro caste, norme di natura economica e sociale, elementi di diritto civile e penale). Con l'affermarsi di scuole giuridiche specializzate, che tendono a codificare la materia legale in esposizioni ampie e particolareggiate, nascono i trattati di diritto veri e propri, i Dharmaśāstra (Trattati giuridici), detti anche Smṛti, basati sugli antichi Dharmasūtra ma con un carattere più strettamente giuridico: famoso è il Manusmrti (Codice di Manu) comparso fra i sec. II a. C. e II d. C., consacrato in prevalenza all'esposizione di questioni di diritto pubblico. Antico e autorevole è pure il Trattato giuridico di Yajnavalkya, del sec. III d. C. ca., che espone la materia legale secondo la classica tripartizione in condotta sociale (ācāra), procedura giudiziaria (vyavahāra), espiazione delle pene (prāyaścitta). Molto popolare è anche il Codice di Narada del sec. IV d. C. ca., che circoscrive il dharma all'ambito del diritto vero e proprio. Queste fonti giuridiche, che costituiscono la base della giurisprudenza indiana, ebbero, a partire dal sec. IX d. C., un notevole numero di commentari, redatti con finalità critiche e coordinatrici: il più importante è un commento al trattato di Yajnavalkya di Vijñaneśvara (seconda metà del sec. XI ca.), testo fondamentale della scuola di Mithilā. Infine a partire dal sec. XI compaiono compendi di diritto, i Dharmanibandha, compilati da giuristi e uomini di Stato con metodo critico e sistematico. Elementi di diritto si trovano in tutta la produzione letteraria dell'India, in particolare nella letteratura politica: per esempio, il Kauṭilya-Arthaśāstra (per alcuni risalente al sec. IV a. C. e per altri al sec. III d. C.), dedica ampio spazio alla procedura giudiziaria, alla definizione delle competenze dei funzionari e ai sistemi di punizione. In tutti prevale sempre il fondamento religioso. Ecco in breve sintesi i principi fondamentali del diritto indiano: il principe, investito di maestà e natura divina, è ordinatore del regno, tutore della legge, arbitro assoluto della giustizia; egli deve giudicare e punire, perseguitare il male, ricercare la verità attenendosi alle norme codificate nei trattati, considerarsi responsabile di un delitto impunito o di una condanna ingiusta. Al sovrano spetta il potere decisionale anche quando, con il perfezionarsi dell'organismo statale, egli viene affiancato, nell'amministrazione della giustizia, da funzionari competenti. Il valore teorico, peraltro non escluso, dell'uguaglianza di ogni individuo di fronte alla legge, viene continuamente infirmato dalle prerogative castali che affiorano in ogni sezione del sistema giuridico indiano. Di taluni privilegi della casta brahmanica, protrattisi in India fino all'età moderna, si ha notizia già nei testi più antichi. Le norme che disciplinano le istituzioni processuali sono molto precise. Le forme probatorie sono generalmente suddivise in umane e divine: le prime costituite dalla prova documentale e dalla prova orale dei testimoni, le seconde dal giuramento e dalle ordalie cui si ricorre nei casi dubbi o in mancanza di altre prove (talune forme di ordalie si sono conservate fino all'età moderna e contemporanea). Le pene previste variano dalla semplice ammonizione all'esecuzione capitale. Una delle condanne più temute è l'espulsione dalla casta. L'istituto familiare è oggetto di ampia trattazione giuridica: di tipo patriarcale, la famiglia è protetta e regolata da norme rigorose che condizionano la vita quotidiana dei suoi componenti, essendo considerata l'organizzazione fondamentale della società. Il matrimonio, da tutti i testi sempre teoricamente vietato fra persone di caste diverse, è generalmente considerato vincolo sacro e indissolubile. Numerose però le infrazioni pratiche alle norme sulle caste, mentre eccezioni all'indissolubilità del matrimonio sono contemplate dagli stessi trattati. Le norme che regolano la ripartizione del patrimonio e il diritto ereditario sottolineano la precedenza dei figli legittimi su quelli adottivi. Pur nel susseguirsi delle dominazioni straniere che esercitarono il potere sui territori dell'India e che portarono con sé ciascuna le proprie consuetudini e ordinamenti, la legge indiana rimase sostanzialmente basata sugli antichi principi, soprattutto per la naturale e ancor oggi viva tendenza della mentalità indù a conservare le originarie strutture in quanto consacrate dalla tradizione. Nell'attuale Repubblica Indiana, infatti, l'ordinamento giuridico, nonostante necessari adeguamenti e introduzioni di nuove istituzioni (generalmente sulla base della legislazione britannica), si è mantenuto fedele alle linee principali dell'antico sistema.

FONTE www.sapere.it/enciclopedia/%C3%8Cndia.html

 
Web  Top
34 replies since 14/1/2018, 12:11   270 views
  Share