IL FARO DEI SOGNI

Cina

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Cultura: cinema. L’evoluzione della cinematografia

Dalla fine del 1976 si è aperto anche nel cinema un nuovo periodo di liberalizzazione (sotto la spinta dei “generi” americani) e di modernizzazione (per l'effetto dell'evoluzione delle tecniche televisive). Buona parte della produzione è occupata dal “melodramma socialista”, che sotto gli schemi convenzionali rivela spesso la crisi di una società che muta. Tra le altre, spiccano due opere molto eloquenti anche sul piano politico del regista Xie Jin (1923-2008): Giovinezza (1977), sulla duplice rieducazione di una ex guardia rossa sordomuta, e La leggenda del monte Tianyun (1980-81). Altri interessanti film del periodo sono: Tornano le rondini (1980) di Fu Jinggong, presentato al festival di Berlino, Acero (1980) di Zhang Yi, Vicini (1982) di Zheng Dongtian e Xu Guming e Un uomo irremovibile (1984) di Wen Yan. Tra i registi che si fanno conoscere e apprezzare maggiormente in Occidente sono da ricordare: Zhang Yimou, Orso d'oro a Berlino con Sorgo rosso (1987), Leone d'argento a Venezia con Lanterne rosse (1991), Leone d'oro con La storia di Qiu Ju (1992), premio speciale della giuria di Cannes con Vivere! (1994), e Chen Kaige, Palma d'oro a Cannes con Addio mia concubina (1993). Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta il cinema cinese vive un suo ulteriore sviluppo. Ma la creatività degli autori si scontra con la censura politica, inaspritasi agli inizi degli anni Novanta. Il conflitto con i cineasti nasce dalla forte preoccupazione da parte delle burocrazie censorie di perdere il controllo in un Paese dove a un dinamico sviluppo economico non segue un cambiamento culturale e politico. Tale repressione culmina tra il 1994 e il 1995 con la proclamazione di una “lista nera” che comprende i maggiori cineasti cinesi tra cui Zhang Yimou, accusati tutti di scarso patriottismo. In questo panorama vengono bloccati dalle autorità politiche film come Shangai Triad (1994) dello stesso Zhang Yimou, che aveva ottenuto il premio speciale della giuria di Cannes, e Tomba di fiori (1994) di Chen Kaige. Alla fine degli anni Novanta il rapporto fra questi due cineasti cardine e il potere evolve ulteriormente: Chen Kaige gira L’imperatore e l’assassino (1999), kolossal sottilmente critico girato in costume; Zhang Yimou prosegue invece la sua analisi della Cina contemporanea, prima con il più sperimentale Keep Cool (1998), poi con Non uno di meno (1999), film dedicato al problema della scolarizzazione, realizzato con il pieno appoggio del governo e premiato con il Leone d'Oro a Venezia, e infine con The Road Home, Orso d'argento al Festival del cinema di Berlino nel 2000. Tra le opere più importanti degli anni Duemila vi sono, di Chen Kaige, Together (2002) e The Promise (2005), mentre Zhang Yimou ha diretto, tra gli altri, La foresta dei pugnali volanti (2004) e La città proibita (2006). Accanto a Zhang Yuan, già autore dell'interessante East Palace, West Palace (1997) e poi di Diciassette anni (1999), film provocatorio di cui l'Italia è stata co-produttrice e La guerra dei fiori rossi (2006), premiato a Berlino, fra i giovani cineasti della “sesta generazione” vanno ricordarti Feng Yan (Sogni del Chengjang, 1997) e Keng Feng (Chi ha visto “Il giorno degli animali selvaggi”?, 1997). Da segnalare ancora la scoperta più recente del cinema cinese, Jia Zhangke (n. 1970), vincitore del Festival di Venezia nel 2006 con Still Life. Di matrice più commerciale e hollywoodiana il cinema di autori come John Woo (n. 1946), peraltro apprezzato dal pubblico internazionale per film quali Face Off (1997) e Paycheck (2003). Fra le star del cinema cinese vanno invece almeno ricordate la splendida Gong Li, musa prima di Zhang Yimou poi di Chen Kaige, e Joan Chen, scoperta da Bertolucci in L’ultimo imperatore (1987) e successivamente attiva nel cinema statunitense e Zhang Ziyi (n. 1979), interprete di La Tigre e il Dragone (2000), del già citato La foresta dei pugnali volanti (2004) e di Memorie di una geisha (2005). Nel panorama internazionale è sicuramente il Festival di Berlino uno dei più grandi estimatori del cinema cinese: nel 2007 conferisce lʼOrso dʼOro al film Il matrimonio di Tuya di Wang Quanʼan e nel 2014 replica con il film Fuochi dʼartificio in pieno giorno di Yinan Diao.



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Cultura: religione

La religione nazionale cinese – o forse meglio le religioni, con riferimento alle diverse dinastie – si fonda essenzialmente sul culto degli antenati e sulla concezione di una sovranità sacrale, personificata sul piano divino da un Essere Supremo e sul piano umano dalla dinastia regnante. Sono questi i fondamenti che sorreggono la più antica formazione politica (dinastia Shang) e, sia pure con inevitabili mutamenti formali, quelle che la seguirono nel corso dei secoli. L'Essere Supremo sotto gli Shang era detto Ti (dominatore) o Shang-ti, forse dominatore supremo o forse semplicemente dominatore Shang, ossia quasi antenato della dinastia Shang, e comunque messo in relazione nominale con la casa regnante. In questa fase, culto degli antenati e culto dell'Essere Supremo (Ti) sono intimamente solidali: la concezione di Ti personifica la regalità Shang e gli antenati, oggetto di culto pubblico, sono quelli della famiglia Shang. È in vista di tale solidarietà che Ti può apparire “antenato” degli Shang. Si tratterebbe di un antenato mitico, comunque, con un modo d'essere differenziato da quello degli antenati reali: l'uno è perpetuamente presente, come chi non sia mai morto o non abbia avuto bisogno di morire per acquistare potere sovrumano; gli altri sono solo temporaneamente presenti, dal momento della morte che conferisce loro poteri sovrumani fino a quando non vengono rimpiazzati dai morti più recenti. Ciò in rispondenza a due diverse funzioni: l'uno è perpetuo come perpetua deve essere concepita la regalità, mentre gli altri, pur assicurando la continuità della stirpe regale, debbono adattarsi all'avvicendamento delle persone fisiche che tale stirpe rappresentano nel divenire storico. Gli antenati, soprattutto, poi Ti e, in minore misura, altri esseri extraumani (personificazioni degli “elementi” costitutivi dell'universo) dirigevano l'azione umana mediante responsi oracolari, che sono la principale se non l'unica documentazione della più antica religione cinese. Si tratta degli “ossi” di Anyang (gli scavi dell'antica capitale della dinastia Shang, iniziati nel 1928, ne hanno portati alla luce ca. 200.000): si poneva una domanda, a volte per iscritto sull'osso; poi si metteva l'osso (o un guscio di tartaruga) a contatto con il fuoco che vi produceva sopra delle fenditure che venivano “lette” e interpretate come responso oracolare. La lettura, il modo o codice di lettura, le iscrizioni stesse (la più antica scrittura cinese!) ci danno conto di un elaborato simbolismo che, di per sé, a prescindere dalle specifiche concezioni religiose, costituisce uno dei caratteri salienti della religione cinese. È in questo simbolismo che si personificano anche gli elementi costitutivi dell'universo (acqua, aria, terra, fuoco) nelle loro molteplici manifestazioni, senza peraltro diventare vere e proprie divinità, ma restando quasi come “segni” o “simboli” rinvianti a realtà d'altro ordine. Vale a dire: il sistema di cui gli dei cinesi fanno parte non è contenibile in un pantheon, come accade per le vere religioni politeistiche, ma è piuttosto un'armonia universale. Un esempio: l'elemento cosmico “terra” acquista una dimensione divina con il dio-Suolo, ma questo dio non è uno e uguale per tutti i cinesi: c'è infatti un dio-Suolo venerato dal re con riferimento al territorio del regno; ci sono gli dei-Suolo venerati dai feudatari con riferimento ai rispettivi feudi; e infine gli dei-Suolo venerati dai contadini, rispondenti ciascuno a un particolare campo. In questa ideologia la prosperità dei campi non è tanto affidata a un dio del suolo, che altrimenti sarebbe unico per tutti, quanto all'armonia del sistema sociale facente capo al monarca: la presenza di uguali dei-Suolo ai diversi livelli e nelle diverse situazioni assicura invece che l'inevitabile pluralità costituente il sistema non comporti discordanza. In tal senso il dio-Suolo, più che una divinità al modo delle religioni politeistiche, è un simbolo, o punto di riferimento, della cosmologia cinese. § Dove le divinità sono simboli anche le azioni di culto diventano simboliche. E i riti oltrepassano la pratica cultuale per investire tutto il comportamento: ogni gesto è ritualizzato; è un “segno” che non può essere espresso altrimenti, pena la morte civile. Un gesto sbagliato è come una parola sbagliata: non servirebbe a farsi comprendere; e chi è incompreso è rifiutato. Ora, ciò che è ovvio, in astratto, per ogni tipo di associazione umana, diventa religiosamente significativo nella cultura cinese, tanto da costituirne una caratteristica dominante. Lo stesso messaggio di Confucio, il fondatore del confucianesimo che con il taoismo costituisce la fase “moderna” della religione cinese, non è in fondo che un corpo di norme di comportamento (li), seguendo le quali l'uomo può inserirsi nell'armonia dell'universo, superando così i limiti della propria effimera esistenza terrena. § Culto degli antenati, simbolismo e ritualità del comportamento sono i principi informatori della religione cinese, dalla sua più antica documentazione (sec. XIV a. C.) al confucianesimo (sec. V a. C.) e oltre. Sono questi principi che la caratterizzano al di là delle forme contingenti che cambiano con il passare del tempo. Muta il nome, e forse il concetto di Ti, l'Essere Supremo, che con la dinastia Chou (dal sec. XI a. C.) perde i caratteri ancestrali che lo legavano alla dinastia precedente, per diventare decisamente un dio-Cielo (T'ien); mutano i nomi delle divinità-simbolo, mutano gli stessi simboli con il costituirsi e l'organizzarsi del simbolismo del yang e yin che porta a una concezione dualistica dell'universo; nasce il confucianesimo, nasce, quasi contemporaneamente, il taoismo, la religione fondata da Lo Zi che, anche se con metodi diversi e in polemica con Confucio, persegue gli stessi fini confuciani di armonizzare il comportamento umano con il corso (tao) dell'universo. Al di là delle differenze d'espressione, si trattava dunque di una struttura conchiusa, appunto di un “universo”, che era poi lo stesso impero cinese “conchiuso” anch'esso, e non soltanto simbolicamente, dalla Grande Muraglia iniziata durante la dinastia Ch'in (fine del sec. III a. C.). Con lo sfaldamento di questo “universo” (rivolte delle classi soggette, antagonismo tra i rappresentanti delle classi dominanti) si favorisce la penetrazione di una religione estranea al sistema: il buddhismo, proveniente dall'India. Quando, alla fine del sec. VI, si ricostituirà l'impero nazionale cinese, la Cina sarà il “Paese delle tre religioni”, conviventi e funzionanti su piani diversi: il confucianesimo per la salvezza dello Stato, il taoismo per la salvezza mondana dell'individuo e il buddhismo per la salvezza extramondana. La distinzione fra le tre salvezze ha condotto la Cina a un'estrema tolleranza religiosa che, con il procedere del tempo, si è fatta “indifferenza”, almeno dal punto di vista culturale. La cultura cinese si è andata laicizzando, il confucianesimo è diventato poco più che un sistema educativo nazionale, il taoismo e lo stesso buddhismo sono scesi al livello della religiosità popolare, confondendosi spesso con manifestazioni folcloristiche.




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Cultura: filosofia

Fu durante il periodo meno conosciuto della storia della Cina che il pensiero filosofico ebbe il massimo sviluppo. Nei sec. V-III a. C., descritti dagli storici indigeni come un tempo di anarchia e che invece vanno considerati come uno dei più grandi momenti della civiltà cinese, i mutamenti politici, che dovevano portare la Cina da un regime feudale alla fondazione di una nazione e quindi alla creazione di uno Stato, resero possibile una nuova, radicale considerazione dei destini collettivi e individuali, dei ranghi, delle eredità del passato, delle tradizioni stesse e dei costumi. Vennero così attinti da ogni parte (persino dai barbari) tecniche, idee, simboli, modi di agire: poiché tutto mutava e tutti volevano innovare. I despoti e i signori, soprattutto gli egemoni che miravano a fondare un impero che continuasse, per prestigio, le grandi dinastie del passato, accoglievano i detentori di tecniche, gli inventori di stratagemmi, i consiglieri illuminati, i possessori di ricette. E fu appunto in questo periodo che corporazioni, sette, “scuole” (hia) pullularono. In una situazione per un certo verso analoga a quella della Grecia tra il sec. V e il III a. C., quando si fondò l'insegnamento della Politica e della Morale, in Cina si ebbe il sorgere di una grande quantità di scuole, ognuna detentrice di un “sapere pratico” (dialettico e politico, oppure mistico e sapienziale) che spingeva all'azione sociale o consigliava di abbandonarsi alla natura, ma che in ogni caso tendeva a plasmare nuove personalità, a “creare” l'uomo nuovo (soprattutto il principe, l'“autorità” destinata a governare sugli uomini e sulla natura). Di questo pullulare di scuole non si sa molto; sarebbe infatti vano cercare di tracciare nei particolari la storia delle idee, cioè le linee fondamentali del pensiero filosofico cinese, in questa epoca di grande fecondità. Infatti, quando Shi Huangdi fondò nel sec. III a. C. l'unità imperiale volle distruggere il ricordo delle età feudali e fece bruciare i “Discorsi delle Cento Scuole” (cento è un totale che vuole dire “tutte”), per cui della maggior parte dei maestri celebri non sussistono che il nome od opere chiaramente apocrife. D'altra parte anche le poche opere, autentiche soltanto in parte, che si sono conservate e che risalgono ai secoli successivi non contengono mai un'esposizione dogmatica, una storia delle scuole e delle idee che vi erano insegnate, per cui di molti pensatori non si conosce che quanto viene detto dai loro avversari. Va inoltre precisato che in Cina i maestri non cercavano tanto di dare prova di originalità dottrinale quanto di far risaltare l'efficacia dell'insegnamento da essi preconizzato: insegnavano cioè una “saggezza” e non una “dottrina”; Confucio, per esempio, si esprimeva per mezze parole e Zhuangzi per parabole. E proprio in Confucio e in Zhuangzi (più che in Lao-Zi, il preteso autore del Tao-te-ching) si possono indicare i massimi esponenti delle due fondamentali e divergenti tendenze filosofiche della Cina: la prima positiva e pratica, quella dei “letterati”; la seconda metafisica e soprattutto mistica, quella dei “taoisti”. I letterati (Ji) studiavano i Cinque classici e il Cerimoniale, approfondivano le responsabilità sociali, il rispetto delle gerarchie, la pratica delle grandi virtù umane; i taoisti professavano l'unione con il Principio (tao), ostentavano il disprezzo delle convenzioni, predicando il ritorno allo “stato di natura”. E furono proprio queste due opposte tendenze a consolidare l'inscindibile sodalizio tra pensiero religioso e pensiero filosofico che di fatto caratterizza tutta la mentalità cinese. È infatti arbitrario voler discriminare tra elementi religiosi ed elementi speculativi sia per il confucianesimo sia per il taoismo: entrambi sono infatti a un tempo religioni e filosofie, propongono cioè una completa, unitaria “visione del mondo” in conformità con le norme insegnate da ogni scuola che sostengono innanzi tutto la necessità di una ricerca “totale”. Confucio fu non solo il più famoso ma anche uno dei primi maestri itineranti che andavano da una signoria all'altra per offrire il loro sapere ai capi delle grandi casate. La tradizione vuole che egli sia nato nel principato di Lu nel 551 a. C. e sia morto nel 479 a. C., ma queste date sono del tutto incerte poiché non si ha altra testimonianza che quella dello storico Sima Guang (145-86 a. C.). L'insegnamento di Confucio è noto attraverso il Lun-yü (Dialoghi) che risale all'inizio del sec. IV a. C. Egli infatti non lasciò nessuno scritto e per quanto gli venga attribuita la pubblicazione dei Cinque classici si è soltanto certi che egli li fornì di un commento. La sua massima infatti era: “io trasmetto, e non invento”. Il fondamento della sua dottrina consisteva nell'insegnare l'inderogabile necessità di acquisire una conoscenza perfetta della natura delle cose, una scienza che permettesse di agire con equità (ji) e in ogni circostanza, cercando soprattutto di approfondire il significato dei riti (li). Di qui, per conoscere i comportamenti propri a ogni circostanza, l'importanza attribuita al fatto di “saper mettere in accordo la realtà con i termini che la designano”. Per governare una signoria, insegnava Confucio, “è necessario in primo luogo rendere corrette le denominazioni (cheng ming)”. Equità, senso del rituale, bontà nel senso di “simpatia umana, benevolenza” (jen) sono i termini chiave, le formule principali del suo insegnamento: jen infatti è una virtù particolare che crea intorno a sé ordine e armonia, è una virtù sociale che implica un senso elevato delle reciprocità, dei doveri comunitari tra gli uomini. Quello che è vero per Confucio, cioè il richiamarsi a concetti determinati, a formule facilmente memorizzabili, è vero per tutti i pensatori cinesi, soprattutto fino al periodo Wei (sec. III d. C.), per tutti quei fondatori di scuole che hanno appunto fornito le basi della speculazione non solo filosofica e politica, ma medica e scientifica (calcolo, tecnica delle costruzioni, astronomia, ecc.). Tra essi vanno menzionati quali veri fondatori della riflessione filosofica che ha alimentato il pensiero cinese delle età successive: Mozu (479-381 a. C.), i cui concetti fondamentali sono l'“uniformità” (t’ong), ricordata dalla frase “se il capo dice sì, tutti dicono sì, se dice no, tutti dicono no”, e l'“amore”, inteso come abbracciante l'universalità degli esseri, che trova la sua applicazione nel detto “chi avvantaggia gli altri è necessariamente avvantaggiato dagli altri”; Mencio (sec. IV a. C.), seguace di Confucio, che affermava: “il grande uomo (ta jen) è colui che non ha perduto il suo cuore di neonato”, sostenendo che vi è nell'amore (jen) un ordine che le relazioni sociali traducono nella società; Hun-zi (sec. III a. C.), in grande polemica con Mencio, e che dichiarava: “la natura umana è cattiva; quanto vi è di buono è artificiale” (massima che non va intesa in senso pessimistico, perché essa vuole dire che il bene è un apporto indispensabile, un “perfezionamento”). Va precisato che sia Mozu sia Hun-zi e principalmente Mencio contribuirono in modo risolutivo all'affermarsi della “scuola dei letterati” che costituì del resto il proprio “canone” soltanto all'epoca Sung (sec. X-XIII) quando vennero raggruppati con il titolo di Quattro libri i Dialoghi di Confucio, il Libro di Mencio e due brevi trattati che facevano parte del Cerimoniale: L’invariabile centro e La grande scienza. Continuando a elencare i più grandi pensatori, vanno citati: Yang Zhu (sec. IV a. C.), il primo dei maestri taoisti, la cui massima era: “ciascuno per sé” (da intendere come la più forte presa di posizione contro le teorie sociali sostenute dai confuciani); Chuang-tzu o meglio l'autore della raccolta omonima che costituisce senza dubbio il più bel testo dell'intera letteratura cinese e forse anche il più originale. Esso fa parte con il Tao-te-ching e con una raccolta composita, il Lie-tse, terminata nei primi secoli dell'era cristiana, del “canone” taoista che comprende tutto il fondamento dottrinale di quello che è stato definito “primo taoismo” o “taoismo filosofico” in opposizione con il “neotaoismo” sviluppatosi a partire dal sec. I-II d. C. e che si costituì in religione organizzata. Vanno ricordati anche i pensatori di altre due scuole, che hanno avuto un'importanza capitale nella creazione del vocabolario di base dell'intera speculazione cinese: la scuola dei dialettici o logici (Ming Chia) e la scuola dei legalisti (Fa Chia). Della scuola dei dialettici, le principali personalità sono Gongsun Long e Hui Shi (entrambi del sec. III a. C.); di loro non si conoscono che le citazioni fatte dai loro avversari, dalle quali risulta il grande ruolo avuto dalle loro ricerche intorno al senso del linguaggio, quindi alla precisazione delle “denominazioni corrette” (in polemica, ancora una volta, con le scuole confuciane). Della scuola dei legalisti si conoscono principalmente due testi, il libro di Hanfeizi e il Shang Tzu (sec. IV-III a. C.), che sviluppano una “teoria dello Stato” basata sull'applicazione della forza politica e anche militare quale strumento della “legge” (fa), nozione che essi contrappongono a quella dei riti (li) sostenuta principalmente dall'insegnamento dei confuciani. Le scuole confuciana, taoista, dei logici e dei legalisti hanno rappresentato le quattro principali, ma non certo uniche, correnti che hanno reso possibile, nelle epoche posteriori al sec. III d. C., l'immensa “scolastica” avutasi in Cina fino al sec. XVIII. Ma accanto a quelle scuole, che rappresentano di fatto il vero pensiero filosofico cinese, molte altre sono fiorite: basti ricordare, tra le più importanti, la scuola dei naturalisti (Yin-Yang Chia) con le speculazioni di Zou Yan (sec. IV a. C.) sui cinque elementi. Soltanto tali scuole inglobano, come del resto il taoismo, il grande insieme di pratiche divinatorie, alchimistiche, combinatorie, che costituiscono l'immenso patrimonio, o ricettario, proprio del mondo cinese; tanto che si potrebbe sostenere che l'intera speculazione cinese è caratterizzata da una costante oscillazione tra “dottrine politiche” e “dottrine magiche”, come si può desumere, per esempio, dall'opera di un filosofo “scettico” del sec. I d. C., Wang Chong, la cui opera è preziosa appunto per ricostruire questa oscillazione. Una svolta molto importante si ebbe solo vari secoli dopo l'ingresso del buddhismo in Cina, poiché esso influenzò sia la logica sia la mistica (si vedano le speculazioni Ch'an, note come zen, che hanno avuto il loro apogeo tra i sec. VII e X). Mentre nei secoli successivi, e fino a tutta l'epoca moderna, la scuola più caratteristica, e in un certo senso abbastanza innovatrice, è quella che si suole designare come “neoconfuciana” e che ha in Zhu Xi e in Lu Xiangshan (entrambi del sec. XII) i due più importanti rappresentanti e in Wang Yangming (sec. XV-XVI) il più originale continuatore. A partire dal 1600 la filosofia cinese ha accentuato gli elementi di erudizione filologica e incominciato ad assimilare le dottrine occidentali, soprattutto scientifiche (è del 1607 la traduzione in cinese degli Elementi di Euclide), ordinando così l'intero patrimonio culturale del passato e aprendosi contemporaneamente all'Occidente.




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Cultura: scienza

Per scienza cinese si intende generalmente soltanto il corredo tradizionale proprio della civiltà cinese prima dell'incontro con il mondo occidentale e in quest'accezione si userà il termine nella presente voce, anche se l'apporto che può essere dato alla vita dell'uomo e allo sviluppo della società dalle concezioni generali o dalle peculiari scoperte tipiche della tradizione scientifica cinese è stato notevolmente rivalutato, tanto che è possibile dire che nella Cina di oggi la “scienza moderna”, nel suo duplice aspetto di progresso tecnologico e di interpretazione teorica della realtà, è assai più “cinese” di quanto fosse alcuni anni fa, cioè prima della Rivoluzione culturale. La scienza cinese tradizionale rifletté nelle sue caratteristiche fondamentali i caratteri tipici della civiltà e della società cinese: si trattò cioè di una scienza eminentemente pratica, legata ai bisogni di quella che fu la più grande civiltà agricola della storia, spesso profondamente orientata nei suoi scopi dalle esigenze della classe dirigente burocratica feudale, e fu quindi ricca soprattutto nel settore pratico della tecnologia. § Per tutte le scoperte effettuate dai cinesi è difficile individuare il nome di singoli inventori in quanto le strutture sociali cinesi lasciavano largamente a personale di tipo subalterno, artigiani ed esecutori, i compiti propriamente tecnologici, mentre riservavano agli uomini più colti i compiti organizzativi. Le scoperte tecnologiche quindi non derivavano da ricerche teoriche e sperimentali individuali, bensì da un lento accumularsi di piccoli perfezionamenti attuati da larghi gruppi impegnati nel lavoro. In qualche caso tuttavia, soprattutto quando le scoperte potevano avere un rilievo militare o economico notevole, funzionari statali e uomini di cultura partecipavano all'organizzazione oltre che allo sviluppo delle ricerche e i loro nomi ci sono stati tramandati dalla storia. § L'alchimia cinese, anche se fu come quella dell'Europa medievale strettamente connessa alla magia, portò a una serie di scoperte tecnologiche superiori a quelle compiute contemporaneamente in Occidente, per esempio l'elevatissimo livello della tecnica della fusione del bronzo raggiunto sotto la dinastia Shang (sec. XVI-XI a. C.) e di quello della fusione del ferro (sec. VII e VI a. C.). Questa diede decisivo impulso non solo alle arti della guerra ma alla possibilità di dissodare le terre della valle dello Chang Jiang, da allora gradualmente assurta a centro dell'economia agricola cinese. Del pari i cinesi conobbero fino dalla dinastia Han (206 a. C.-220 d. C.) le proprietà del mercurio nel formare le amalgame, oltre alle tecniche per ottenere una serie di metalli non ferrosi dai minerali. Sempre all'aspetto tecnologico dell'alchimia si devono far risalire tanto l'invenzione della carta all'inizio del sec. II d. C. (a opera di un funzionario, Cai Lun) quanto l'infinita varietà di tecniche per fabbricare gli inchiostri, sia da vegetali sia da composti del mercurio, e specialmente il grande vanto dell'arte e della tecnica cinesi: la scoperta della stampa, dapprima a caratteri fissi di legno nel sec. VI d. C., poi dopo l'XI a caratteri mobili, in legno o in maiolica (questi ultimi dovuti a un artigiano, Bi Sheng, vissuto sotto la dinastia Sung) con il conseguente sviluppo dell'arte tipografica in cui tuttora i cinesi eccellono. Legato all'alchimia è un altro ramo delle tecniche e della scienza tradizionali, l'agronomia, nella quale emergono più che altrove i vantaggi del metodo empirico della scienza cinese: nei procedimenti di concimazione, infatti, i cinesi rimasero maestri fino a che la chimica moderna pose in vantaggio i Paesi occidentali. Dalle fermentazioni alla scelta dei terreni, alla qualificazione dei diversi tipi di limo e diacqua, alla scelta e all'alternanza delle colture, i Cinesi accumularono nella loro millenaria esperienza un corredo di conoscenze che furono compendiate verso il 1600 in una grande enciclopedia da Song Yingxing e poi da Xu Guangqi. Né si devono dimenticare gli aspetti tecnologici e scientifici della lavorazione della ceramica e del caolino. Sempre l'alchimia cinese giunse, attorno ai sec. IX-X, all'invenzione della polvere pirica, applicata due secoli dopo all'artiglieria per il lancio di palle di pietra. Un altro settore tecnologico che ebbe enorme importanza nella Cina antica fu quello dell'idraulica: la canalizzazione della Cina, la costruzione nel sec. VI del grande Canale Imperiale, progettato e realizzato da Yuwen Khai e Ken Hsun sotto la dinastia Sui, dopo che da un millennio circa erano stati costruiti numerosi collettori per irrigazione e trasporto, in modo da servire regioni grandi come l'Italia settentrionale, la scoperta dei principi idraulici del funzionamento di chiuse di tipo “leonardesco” fin dalla dinastia Han e l'invenzione di una serie di sistemi particolari per proporzionare il flusso irriguo alle esigenze della risicoltura portarono la Cina in testa a tutti gli altri popoli fino agli ultimi due o tre secoli. In questo campo le storie hanno tramandato i nomi di funzionari-costruttori che furono anche quelli che oggi chiameremmo grandi ingegneri idraulici, come Li Ping, Zheng Guo e Shih Lu che lavorarono nel periodo precedente la dinastia Han a determinare il tracciato ottimale di canali che tuttora irrigano vaste regioni. E ancora va ricordato che i cinesi furono i primi a costruire fin dal sec. VI eleganti ponti a una sola ampia gittata a opera dell'ingegnere e architetto Li Ch'un. Un'enciclopedia che costituisce un compendio di tutte le tecniche costruttive degli edifici e delle opere pubbliche fu redatta durante la dinastia Sung da Li Cheng con il titolo di Trattato dell’arte architettonica. § Anche nel campo delle scienze esatte, l'interesse dei cinesi ebbe soprattutto scopi pratici. L'astronomia raggiunse notevoli risultati soprattutto dal punto di vista descrittivo, ma fu ispirata più che altro dalla necessità di determinare il calendario a scopo agricolo; i cinesi seppero calcolare con precisione il periodo di rivoluzione del Sole e dei pianeti e stabilirono per primi il ritmo della precessione degli equinozi, tuttavia non arrivarono alle generalizzazioni teorico-geometriche dell'astronomia araba o greca. In campo matematico, i cinesi furono grandi computatori e grandi misuratori; prima di ogni altro popolo ebbero dimestichezza con i grandi numeri, con 10 elevato ad alto esponente (l'entità del loro Paese imponeva calcoli di grandi quantità), usarono i numeri negativi e positivi fin dal sec. III e giunsero a determinare il valore del p approssimandolo in 355/113 nel sec. V d. C. a opera dell'astronomo e matematico Zu Chongahi. Inventarono strumenti di calcolo, come le asticciole di bambù o l'abaco, oppure grandi strumenti in muratura per calcoli geodetici, e portarono a notevole grado di perfezionamento l'agrimensura per scopi economici e fiscali. Anche nella stesura di carte geografiche i cinesi raggiunsero presto un alto livello esecutivo e, avendo scoperto le proprietà del magnete fin dal sec. III, attorno al sec. XI ne applicarono i principi alla bussola per la navigazione. Cinese fu anche il primo sismografo, costruito da Zhang Heng nel 132. § Di notevole interesse è la medicina tradizionale per l'intrinseca fusione dei principi filosofici cinesi del microcosmo e del macrocosmo, dei “cinque elementi” (fuoco, metallo, acqua, legno, terra) e del yang e yin con le teorie fisiologiche e terapeutiche. Infatti, non potendo basarsi su un'anatomia scientifica, in quanto motivi etici imposero il bando alle dissezioni in tutta la storia della Cina salvo che durante il breve regno dell'imperatore Wang Mang (8-23 d. C.), i cinesi elaborarono teorie empiriche fondate su una serie di “corrispondenze” tra gli organi conosciuti, di cui cinque erano classificati come principali (cuore, fegato, polmone, milza e rene sinistro) e altri ritenuti secondari (stomaco, intestino tenue, colon, cistifellea e vescica), e gli elementi naturali, i pianeti, i punti cardinali, ecc. Nonostante queste limitazioni fondamentali, la medicina cinese, che ebbe anche cultori illustri e geniali, giunse in alcuni punti a un livello superiore alla medicina medievale europea e talvolta anche a quella rinascimentale: intuì e affermò, senza dimostrarla scientificamente, la circolazione del sangue ed elaborò una concezione empirica, ma riccamente sperimentata, dei riflessi. A quest'ultima si ricollega quello che fu il maggiore sistema terapeutico conosciuto dalla medicina cinese tradizionale e ora rivalutato: cioè l'agopuntura nelle sue varie formule, consistenti in stimolazioni locali del derma o dell'epidermide attraverso aghi d'oro, platino o altri metalli oppure coni di polvere di artemisia incendiati, secondo un complesso schema di corrispondenze con organi interni. Anche se queste terapie non ottenevano gli effetti molteplici e generali che a esse attribuiva la medicina tradizionale cinese, si è dimostrato che esse sono realmente efficaci in una serie di disfunzioni nervose, reumatiche, artritiche. Del pari largamente sviluppate erano le varie forme di idroterapia e tutte le arti tipicamente orientali, e forse importate dall'India, di controllo dei riflessi, dei muscoli e della respirazione. Nel campo della farmacologia vera e propria la scienza tradizionale cinese, che in questo settore era legata all'alchimia, ebbe un larghissimo corredo di conoscenze, testimoniato, tra l'altro, dal grande compendio che, sotto il nome tradizionale di P’en-tsao (Classificazione di alberi ed erbe), raccolse nel sec. XVI il maggior medico, botanico, agronomo cinese, Li Shizhen: la sua opera cita oltre 10.000 ricette e pratiche mediche, descrive nei minimi particolari e nelle loro proprietà erbe, prodotti animali e minerali. Da questo massimo documento della medicina tradizionale cinese, oggi al centro di una sistematica rivalutazione, e da altre opere più occasionali si nota come i cinesi conoscessero e applicassero a uso terapeutico i derivati del mercurio contro la sifilide, dell'arsenico contro le febbri intermittenti, della segale cornuta a scopo ginecologico, dell'olio di chaulmoogra contro la lebbra, delle cortecce di varie piante contro la malaria e del ferro contro l'anemia; mentre è più difficile valutare i limiti di efficacia delle pratiche di immunizzazione contro il vaiolo mediante primitive vaccinazioni. § La scienza cinese, che verso il sec. XIII (cioè nel periodo della massima espansione creativa delle forze sociali della civiltà cinese) aveva probabilmente raggiunto un livello di conoscenze superiore a quello dell'Europa medievale e dello stesso mondo arabo, successivamente non fu in grado per motivi filosofici, politici e sociali di operare quelle sintesi teoriche che nel mondo occidentale contrassegnarono lo sviluppo scientifico del tardo Rinascimento. Da allora quindi la scienza cinese, che già nel Medioevo aveva avuto una vivace serie di scambi di conoscenze con gli arabi, con gli Indiani e forse anche con gli europei, si trovò a essere semplicemente tributaria dell'Occidente, importando dapprima alcune concezioni astronomiche attraverso la mediazione dei gesuiti recatisi alla corte di Pechino sotto la dinastia Ch'ing (1644-1912) e subendo poi la forzosa immissione nel mondo moderno a seguito della dominazione occidentale indiretta dopo il 1842. L'introduzione nel Paese di una serie di nozioni tecniche e problemi propri della scienza occidentale promosse, almeno in una certa misura, una trasformazione del corredo scientifico tradizionale della scienza propriamente cinese. Fino agli ultimi decenni tuttavia non si è verificato un vero e proprio fenomeno di assimilazione e di reciproco scambio di acquisizioni tra i due diversi corredi scientifici, bensì una contrapposizione tra due diversi modi di intendere la scienza: da un lato quello di origine occidentale, considerato solo e unico veramente “scientifico”, dall'altro quello tradizionale, relegato nel settore arretrato della vita del Paese. Uno dei compiti specifici che si è proposto il movimento rivoluzionario è stato proprio quello di superare questa contrapposizione rigorosa e settoriale, da un lato diffondendo nelle campagne e tra le classi più povere una visione moderna della scienza e della tecnica, dall'altro mettendo a profitto per lo sviluppo moderno tutte quelle nozioni che, accumulate dalla scienza cinese tradizionale e soprattutto dal diffuso e vasto corredo di pratiche tecnologiche e artigianali, possono essere utilizzate per arricchire anche la scienza moderna. A questo proposito le scoperte cinesi recenti che hanno avuto maggior rilievo dal punto di vista scientifico sono state quelle che si riferiscono all'utilizzazione dell'agopuntura nella pratica dell'anestesia, applicata ormai in Cina in milioni di casi di interventi chirurgici di ogni tipo e gravità, oltre che nella cura della sordità e in qualche caso della cecità derivanti da lesioni ai nervi acustico e ottico. Nel campo della tecnologia più avanzata legata alle necessità militari si è pure messa in luce la necessità di applicare tecniche originali che consentano alla Cina, elaborando in modo nuovo i principi teorici e le tecniche di applicazione in precedenza adottati dagli altri Paesi, di percorrere con maggiore rapidità le tappe che in altri casi hanno richiesto lunghi anni di ricerca e di applicazione sia nel settore atomico sia in quello missilistico. A questa duttilità e originalità della ricerca teorica e all'apertura di vie nuove nell'applicazione pratica sono stati attribuiti i rapidi successi nello sforzo di ricerca, produzione e sperimentazione delle armi atomiche, iniziato dopo il 1959 e condotto innanzi tanto rapidamente da consentire di attuare il 16 ottobre 1964 un primo esperimento con un ordigno nucleare e di passare poi nel volgere di quattro anni all'esplosione di cariche termonucleari miniaturizzate e montate su vettori, mentre nel settore della missilistica il lancio avvenuto nella primavera 1970 di un satellite spaziale cinese ha dimostrato se non altro il rapido sviluppo di un settore tecnologico che viene ovviamente coperto dal massimo riserbo. Il lancio, inoltre, della sua prima navetta spaziale, Nave degli dei, capace di portare un uomo nello spazio, ha segnato alla fine del 1999 l'avvenuta modernizzazione della Cina. Gli anni Duemila hanno fatto registrare una scalata eccezionale della Cina tra i Paesi più attivi nel campo della ricerca spaziale. Grazie al Fondo cinese per l'astronautica sono stati, e saranno, sovvenzionati numerosi programmi spaziali, soprattutto in collaborazione con la Russia e in concorrenza con gli Stati Uniti.




fonte https://www.sapere.it/enciclopedia/Cina%2C...are+della-.html

 
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