IL FARO DEI SOGNI

Cina

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Cultura: letteratura. Gli storici e gli eruditi

La storiografia cinese presenta una particolarità unica al mondo: esistono le cronache ufficiali delle Venticinque Dinastie, scritte dagli storici di corte, abbraccianti un arco di tempo che va dal 221 a. C. al 1911 d. C. Il primo grande storico cinese fu Ssu-ma Ch'ien (145-86 a. C.), che nell'opera fondamentale intitolata Memorie storiche abbracciò l'intera storia della Cina, dalle origini fino a circa il 90 a. C. Gli storici di ogni dinastia avevano il compito di esaminare i documenti relativi alla dinastia precedente e in base a essi scriverne la storia. Oltre a queste storie dinastiche ne esistono molte altre relative a periodi particolari. Durante il periodo Sung si registra una produzione sbalorditiva a opera di grandi storici quali Ou-yang Hsiu (1007-1072), Sima Qian (1019-1086), Zhu Xi (1130-1200), che sintetizzò l'opera di Ssu-ma Kuang, Zheng Qiao (1104-1162) e Yüan Chu (sec. XII). Dopo il sec. XII la storiografia pare non interessi più gli intellettuali cinesi; infatti scompare dalla produzione letteraria, a esclusione di redazioni di cronache locali. Restano naturalmente le cronache dinastiche, cui si è accennato. Una spiegazione circa una così prodigiosa fioritura di studi, che investì tutti i settori della cultura tra il sec. X e il XIII, si può ricercare nella nuova situazione storico-politica in cui si trovò la Cina sotto il regno dei Sung; ma è indubbio che vi contribuì in maniera determinante un fatto rivoluzionario nel campo della diffusione della cultura: l'invenzione della stampa nel sec. X, che favorì il sorgere quasi esplosivo di un grande dibattito ideologico, il quale impresse profonde tracce. Quando i Sung furono travolti dall'invasione mongola, la cultura cinese, soprattutto la storiografia, subì un duro contraccolpo. Il gusto della ricerca storica e dell'analisi degli avvenimenti generali torna in auge nel nostro secolo, ma non più ispirato allo spirito confuciano, come per il passato: lo alimenta infatti un rigoroso metodo scientifico, di ispirazione marxista. Tali sono le opere di Fan Wen-lan, di Ku Chieh-kang, di Teng Chung-hsia, oltre a numerosi lavori di collettivi di storici, cui si debbono importanti ricerche e raccolte di documentazioni su La guerra dell’oppio (6 vol.), Il regno T’ai-p’ing (8 vol.), La rivoluzione del 1911 (8 vol.), Il movimento contadino durante la prima guerra rivoluzionaria. § Gli eruditi rappresentano un particolare aspetto della tradizione culturale cinese, sia per la mole delle opere tradotte sia per l'acutezza dell'indagine. Il primo dizionario cinese (Indagine circa la spiegazione degli ideogrammi) fu compilato nel sec. II d. C. dall'erudito Hsü Shen. La prima enciclopedia fu l'Enciclopedia del periodo di regno Yung-lo, realizzata agli inizi del sec. XV da una commissione statale, in 11.095 volumi manoscritti. A un'altra commissione, dello stesso periodo, si deve l'edizione manoscritta di tutti i classici confuciani, delle opere storiche, filosofiche e letterarie (Tutti i libri delle quattro sezioni letterarie), composta di 36.000 volumi, con successivo catalogo di 100 volumi. Un'altra commissione statale redasse il Dizionario di K’ang-hsi contenente 47.035 ideogrammi (1716). Un secolo dopo Ruan Yuan iniziò la ristampa dei classici Commento ai classici della dinastia Ch’ing (1829; 720 vol.), seguito nel 1888 da un supplemento, curato da Wang Hsien-ch'ien.



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Cultura: letteratura. I romanzieri e i novellieri

Verso il sec. IV d. C., accanto alla ricca letteratura filosofica e religiosa, alle traduzioni dei testi sacri buddhisti, in piena fioritura, si fa strada una letteratura minore, chiamata hsiao-shuo (narrativa), già tentata da qualche secolo, ma respinta dagli ambienti letterari confuciani per il suo carattere popolare, influenzato dalle credenze magiche. In essa si trovano storie strane, narrazioni di avvenimenti misteriosi e personaggi che esprimono spesso l'arguzia, il sarcasmo e l'umorismo popolare. Il declino del peso politico dei letterati burocrati confuciani, tra il sec. IV e il VII, e l'emergere contemporaneamente dei taoisti e dei buddhisti, consentì al hsiao-shuo di trovare una propria collocazione nella letteratura cinese e di affermarsi come genere letterario, le cui caratteristiche conservò nel tempo, pur con le variazioni di contenuto volute dagli autori. Una celebre raccolta di novelle sono I racconti meravigliosi dello studio di Liao di Pu Songling (1640-1715). Un'altra famosa raccolta di novelle, di intonazione fortemente politica e di denuncia delle antiche ingiustizie, è quella del grande scrittore rivoluzionario vissuto fra i sec. XIX e il XX, Lu Xun (1881-1936), l'autore de La vera storia di Ah Q. Il romanzo ebbe origine molto più tardi, in epoca Ming. Il primo a comparire fu Storia in riva all'acqua di Shi Nai'an (sec. XIV), noto anche con il titolo I briganti, mentre il più importante è Il romanzo dei Tre Regni di Lo Kuanchung (1330-1400). Molto noto in Occidente è il Chin P'ing Mei di Wang Shih-chêng (1526-1593), ma il più celebre di tutti è il romanzo di Ts'ao Hsüeh-ch'in (o Cao Zhan, sec. XVIII) Il sogno della camera rossa, condotto a termine da un altro scrittore, Gao E: un'opera che, oltre a offrire lo spunto a drammi teatrali, è stata, per quasi due secoli, il romanzo della gioventù cinese. La generazione rivoluzionaria del Novecento si è formata alla lettura di romanzi quali il Cammello Hsiang-tzu di Lao Shē, Eclisse di Mao Dun, La trilogia dell’amore di Ba Jin, il Diario della signorina Sofia di Ding Ling.



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Cultura: letteratura. I filologi e i saggisti

La filologia fu spesso in Cina un sottile strumento di lotta politica; servì cioè, attraverso le interpretazioni dei testi confuciani, a sostenere tesi politiche di diversa natura. Per esempio Dong Zhongshu (sec. II a. C.), con la sua opera Spiegazione dei fenomeni della primavera e dell’autunno, tendeva a legittimare l'autorità celeste dell'imperatore; Wang Chong (sec. I d. C.), nella Bilancia delle discussioni, affermava l'esigenza di un controllo dell'attività imperiale. Analogo problema fu riproposto in conseguenza dell'occupazione della Cina da parte dei mancesi. Yan Ruoqu (sec. XVII), nell'Analisi sull’autenticità del Libro dei Documenti scritto in caratteri antichi, e Yao Chi-heng (sec. XVII-XVIII), nell'Esame delle opere antiche e moderne, posero la questione del rapporto tra l'imperatore straniero e la classe dirigente cinese. Per la saggistica si ricordano Chung Jung, autore di Critica poetica, e Liu Hsieh, autore de Gli ornamenti dello spirito letterario, entrambi del sec. V d. C. Hsiao T'ung dei Liang (501-531) redasse un'antologia letteraria di testi cinesi. Nel periodo Sung fiorirono i saggi sulla pittura. Guo Xi (ca. 1020-1090) scrisse un Commentario sui monti e sulle acque, Mi Fu (1051-1107) una Storia della pittura e una Storia della calligrafia. La storia dell'arte T'ang era stata scritta, tra la metà del sec. IX e la fine dell'XI, da Chang Yen-yuan, Chu Ching-hsüan e Kuo Jo-hsü, e comprendeva anche la biografia dei pittori celebri del periodo T'ang. I filologi dell'Ottocento rivolsero la loro attenzione all'Occidente, di cui cercarono di far conoscere le opere ai connazionali. Yan Fu (sec. XIX-XX) tradusse autori inglesi e francesi, Lin Shu tradusse scrittori inglesi, francesi e russi. Nel Novecento è da segnalare un'opera di Wang Yao, dedicata allo Studio sulla letteratura contemporanea cinese: 1919-1950.



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Cultura: letteratura. Gli scrittori politici

Si tratta di autori che svolsero anche attività politica. Il ministro Wang Anshi (1021-1086) tentò una riforma nel sistema di reclutamento statale, sostenendo le sue tesi attraverso l'opera Nuova interpretazione dei tre classici. Il ministro Kang Yuwei (1858-1927) pretese di trasformare la società cinese restando nella sostanza un confuciano, come dimostra l'opera Esame dei classici non autentici della nuova scuola. Scrittori politici del sec. XX sono Liang Qichao (1873-1829) e Chen Duxiu (1879-1942), quest'ultimo di orientamento marxista. Nel Novecento il marxismo cinese ebbe come maggior teorico, oltre che come più influente esponente politico, Mao Tse-tung (1893-1976): allo studio dei suoi scritti si sono formati per diversi decenni, anche dopo la morte, i più alti ranghi della nomenklatura comunista del Paese.



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Cultura: letteratura. Le generazioni contemporanee

Negli orientamenti della letteratura moderna si possono cogliere alcune fasi sufficientemente differenziate. Una prima fase, con carattere contestatario e polemico verso l'antichità, si attua tra la fine della prima guerra mondiale e il 1942. Una seconda, di tendenza populistica, dal 1942 al 1966, ha inizio con l'intervento di Mao Tse-tung sulla letteratura e l'arte, a Yenan. Una terza fase coincide con il periodo della Rivoluzione culturale (1966-76), durante il quale i vecchi scrittori come Ba Jin e Mao Dun vennero violentemente criticati e la figura stessa dello scrittore “professionista” fu condannata per fare posto alla produzione letteraria dilettantistica e fortemente ideologizzata di contadini, operai e soldati: una produzione interessante più come fenomeno sociologico che per valore estetico-letterario. Con la fine del 1976 si apre la fase più recente, caratterizzata essenzialmente dalla riabilitazione dell'attività letteraria, nel contesto di una “normalizzazione” delle condizioni politico-sociali del Paese guidata nel decennio successivo dal premier Teng Hsiao-p'ing. Originale e caratteristico di questi anni fu il filone dello xungen wenxue («letteratura della ricerca delle radici»), che indaga i caratteri più profondi della tradizione cinese: tra gli autori di maggiore spicco si ricordano A Cheng e Mo Yan. Il processo di apertura culturale subì alla fine degli anni Ottanta un brusco arresto, in seguito alla svolta conservatrice avviata dalle autorità dopo i tragici fatti di piazza Tiananmen (1989). Tale evoluzione ha portato all'esilio di numerosi intellettuali e scrittori e a un'interruzione della promettente fioritura di opere che aveva segnato gli anni precedenti, grazie ad autori quali Jang Jieng, Liang Xiaosen, Mo Yan, Liu Heng, Zhang Jie e Gao Xingjian, premio Nobel nel 2000. La fine degli anni Ottanta ha visto la comparsa di una nuova generazione di scrittori (come Su T'ung, n. 1963; Ke Fei, n. 1964; Yu Hua, n. 1960) senza un passato da cui affrancarsi, cresciuti nella nuova Cina delle riforme economiche e dell'apertura: la loro produzione è estremamente differenziata, ma è caratterizzata da un profondo generale scetticismo; la loro ricerca d'avanguardia è tutta concentrata sulla scrittura e sulla costruzione narrativa. Solo in apparente contrasto con questa tendenza è la ricchissima produzione di Wang Shuo (n. 1958), che narra dei giovani della grande metropoli nel loro stesso linguaggio; subito popolarissimo presso i giovani, è stato molto criticato dai cultori della letteratura “alta”, per il suo essersi impadronito, inserendovisi perfettamente, della logica consumistica della società di massa, passando con disinvoltura e sempre con successo di pubblico dalla letteratura al cinema, alla televisione, ecc. Nel biennio 1990-91 la letteratura cinese ha così attraversato una fase di ristagno, di cui sono stati sintomatici la scomparsa delle riviste letterarie espressione delle tendenze più innovatrici o, in alternativa, l'appiattimento dei loro contenuti su toni di conformismo conservatore. Nello stesso periodo la pubblicazione dei lavori di molti autori, tra i quali – oltre ai citati Mo Yan e Liang Xiaosen – Yu Hua, Ko Fei e Su Tong, è stata sospesa ed è potuta proseguire solo fuori dei confini nazionali, a Taiwan o a Hong Kong, ancora colonia britannica in quegli anni, nella maggior parte dei casi. La letteratura cinese, costretta in patria entro l'angusto recinto delimitato dalle autorità politiche, ha conosciuto in questi stessi anni un buon successo in Occidente, al quale hanno contribuito, oltre che un'intensa attività di traduzione dal cinese, le versioni per il grande schermo di opere di alcuni degli autori citati (di Ju Dou di Liu Heng, per esempio, o di Sorgo rosso di Mo Yan, mentre da un libro di Su Tung è stato tratto il film Lanterne rosse), che sono state più volte premiate in rassegne e festival cinematografici europei. A cominciare dal 1992 la volontà di attenuare l'emarginazione della Cina, limitando i danni derivati al Paese, in termini di immagine internazionale, dalla repressione autoritaria del malcontento popolare, ha spinto le autorità a rendere possibili nuovi – pur se limitati – contatti con le culture occidentali; ciò nonostante, molti degli scrittori attivi fuori dalla Cina hanno scelto di protrarre la propria permanenza all'estero: è questo il caso della scrittrice Ai Pei e dei poeti “dissidenti” Bei Dao, Duo Duo e Gu Cheng, quest'ultimo morto suicida nel 1993 in esilio. In questi stessi anni il dibattito letterario ha trovato nuovamente modo di esprimersi in riviste quali Jiushi niandai (Anni Novanta) pubblicata a Hong Kong. Tra i narratori emergenti degli ultimi anni gode di un certo successo la romanziera Hongying, autrice di K. L’arte dell’amore, la cui straordinaria fortuna commerciale nel mondo non ha impedito il divieto di circolazione nella madrepatria.



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Cultura: arte. Dalle origini alla dinastia Tang

Gli aspetti artistici della civiltà cinese si manifestano già nelle culture del Neolitico (8000-4000 a. C.) a Peiligang, Hemudu, Dawenkou, Longshan, per citare solo alcune delle località scavate nella seconda metà del Novecento. Tutte sono caratterizzate da una produzione fittile che vede decorazioni di tipo geometrico, mescolate a volte a disegni che ritraggono animali e anche l'uomo. Talora compaiono marchi che forse rappresentano una prima forma di scrittura. Con il passare del tempo le forme diventano sempre più elaborate grazie anche all'adozione del tornio, fino a ottenere la sottilissima ceramica nera (pochi millimetri di spessore) con semplice decorazione incisa. Secondo le antiche tradizioni scritte cinesi, verso il sec. XXI a. C. gli Xia si stanziarono lungo il medio corso del Fiume Giallo. Con loro si ha la prima produzione di oggetti in bronzo e comparirà anche la prima struttura palaziale della Cina (sito di Erlitou, datato al 1650 a. C.). Dopo poche centinaia di anni di cultura Hsia, gli Shang (sec. XVII-XI a. C.) diedero vita a un complesso sistema politico e a una produzione artistica notevole. Poiché i Cinesi credevano in una vita dopo la morte, il defunto portava con sé molte delle cose che aveva posseduto in vita, per cui nelle tombe Shang sono stati ritrovati considerevoli arredi funebri, spesso insieme a testimonianze di sacrifici umani e animali. La parte più considerevole di questi ritrovamenti è senz'altro costituita dai vasi in bronzo, le cui forme e fattura testimoniano di una tecnologia altamente avanzata. Gli studi fatti a tale proposito hanno dimostrato una grande padronanza delle tecniche di fusione, tanto che si potevano già fondere oggetti che pesavano più di 800 kg. Quanto alla loro ornamentazione, essa era senza dubbio legata a significati magico-religiosi che non conosciamo: cicale, tigri, draghi, serpenti, fenici, tartarughe vengono mescolati a spirali, volute, losanghe, che ricoprono generalmente tutta la superficie degli oggetti, mentre le armi spesso presentano lame in giada. Molti piccoli animali realizzati in questa pietra pregiata sono stati rinvenuti accanto ai corpi dei defunti, assieme ai primi esempi di oggetti laccati e ai primi frammenti di protoporcellana (un tipo di ceramica fatta quasi esclusivamente con caolino). Grande importanza hanno in questo periodo le cosiddette “ossa oracolari”, scapole di animali o gusci di tartaruga su cui appaiono incisi i primi ideogrammi della storia cinese. Per quanto riguarda l'architettura, le due ultime capitali della dinastia (Zhengzhou e Anyang) hanno restituito le piante di grossi edifici. Con l'avvento dei Zhou la produzione artistica riprende e convalida (soprattutto con i Chou occidentali, sec. XI-VIII a. C.) quella del tardo periodo Shang; scompaiono molti dei vasi per vino e aumentano quelli per cibo, mentre le iscrizioni sui bronzi diventano sempre più lunghe e dettagliate (una presenta 497 caratteri) e costituiscono in tal modo una fonte di estrema importanza per le ricerche su questo periodo storico. Quanto all'architettura, il complesso palaziale di Fengzhou (1100 a. C.), con la sua elaborata struttura, fatta di padiglioni e cortili che si susseguono, rafforzò ulteriormente l'uso di quegli elementi che diverranno tipici dell'architettura cinese. Il periodo delle “Primavere e Autunni” (722-481 a. C.) è invece caratterizzato dalla comparsa dei primi oggetti in ferro e dall'ageminatura sui bronzi, che assumono ora decorazioni di tipo sottile e lineare, tendente al geometrico. Il periodo dei “Regni Combattenti” (403-222 a. C.) vede l'affermarsi di vari stati egemoni a discapito del potere centrale dei Zhou, ormai diventato soltanto nominale, per cui si avranno produzioni artistiche che risentiranno molto degli influssi locali, i quali, a loro volta, daranno vita a forme e tipologie, anche nei bronzi, del tutto nuove e originali. Per quanto riguarda le tecniche di lavorazione, verranno adottate l'incisione e la cesellatura, oltre a perfezionare l'ageminatura con l'oro e l'argento. Si è ritrovata una tavola in bronzo appartenente a questo periodo, su cui era stato inciso nei minimi particolari il progetto di costruzione delle tombe del re di Zhongshan e della moglie: si tratta del primo progetto rinvenuto in Cina. Dalle fonti storiche sappiamo che ormai le città venivano costruite secondo canoni ben precisi (scritti nel Zhou Li o Riti dei Zhou) che vedevano la forma quadrata data all'insediamento, l'assialità N-S con l'entrata principale posta a sud, le strade interne che si incrociavano ad angolo retto, il palazzo del re al centro, il mercato sul retro, il Tempio degli Antenati a est e quello della Terra a ovest. Queste caratteristiche saranno rispettate il più possibile nelle costruzioni delle capitali cinesi. Intanto Confucio aveva codificato i suoi insegnamenti che diverranno la base del comportamento etico-sociale in tutta la Cina. Nel frattempo, nel 221 a. C., lo Stato di Qin unificava tutta la Cina del Nord sotto il proprio dominio e aveva inizio il primo impero cinese. Il suo geniale imperatore Huang Di ebbe il merito di far unificare i tronconi di mura dei vari Stati da lui conquistati in un'unica lunghissima costruzione, la Grande Muraglia, che ancora oggi rimane uno dei vanti della Cina. La capitale dell'impero, Xianyang, nei pressi dell'attuale Xi'an (Sian), fu abbellita da uno splendido palazzo (Afanggong), di cui sono stati scavati importanti resti architettonici che hanno fatto nuova luce sulle tecniche di costruzione dell'epoca. Al primo imperatore si deve anche la creazione di uno splendido parco imperiale in cui si potevano ammirare animali e piante provenienti da tutte le parti dell'impero e che diede l'avvio alla costruzione di quei giardini cinesi che tanta risonanza avrebbero avuto anche in Occidente.



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Al 1974 risale la scoperta del famoso “esercito di terracotta” posto a guardia del mausoleo imperiale (dichiarato dallʼUNESCO patrimonio dellʼumanità nel 1987). Più di 7000 statue di guerrieri e cavalli di notevoli dimensioni testimoniano la presenza in Cina di una statuaria di cui si ignorava l'esistenza. Moti di ribellione causano la fine del primo impero della Cina e danno origine a una nuova dinastia, quella degli Han (206 a. C.-220 d. C.) che rappresenta uno dei momenti fondamentali dell'evoluzione del Paese. Le numerose tombe appartenenti a questo lungo periodo hanno restituito manufatti di ogni genere che testimoniano l'alto livello raggiunto in ogni campo. Tessuti in seta, lacche di ogni tipo, dipinti su seta, antiche carte geografiche, statuette che ritraggono costumi e usanze del tempo, vestiti funebri in giada (principe Liu Sheng e la moglie), raffigurazioni di cavalli, il tutto a testimonianza di una cultura che aveva raggiunto livelli di grande raffinatezza. L'architettura, del resto, diventa in questo periodo più che mai simbolo di potere: gli Han si dedicarono alla costruzione di grandi città, in cui spiccavano padiglioni a più piani, alte piattaforme, gallerie. Chang'an (l'attuale Xi'an) è la più grande città del mondo per numero di abitanti e splendore; su di essa vengono modellate molte delle capitali future della Cina, ma anche altre città come Nara e Kyōto, in Giappone. Da Chang'an partirà la Via della Seta, la più famosa strada commerciale tra Oriente e Occidente, lungo la quale si muoveranno nei secoli merci, uomini e idee. Nel periodo delle Sei Dinastie (220-589), uno dei tanti di smembramento dell'unità nazionale, lo svolgimento dell'arte non ebbe pause d'arresto: si continuarono temi e stili del passato e se ne imposero altri nuovi, che caratterizzarono l'arte del periodo, identificata, tradizionalmente, nella produzione dei Wei orientali e occidentali ed espressa soprattutto nell'arte rupestre dei grandi complessi monastici del buddhismo di Yungang (sec. V), di Longmen (sec. VI) e delle “Grotte dei mille Buddha” (Qian fo dong) dell'oasi di Dunhuang(complessi che furono restaurati, ampliati e abbelliti nelle epoche posteriori, soprattutto durante la dinastia Tang). La diffusione del buddhismo, favorita dalla crisi del confucianesimo verificatasi dopo la caduta degli Han, introdusse stili e moduli iconografici nuovi nell'arte cinese, ora rivolta alla raffigurazione, specie in scultura, di Buddha e Bodhisattva, realizzati spesso sull'interpretazione di modelli provenienti da manifestazioni artistiche provinciali, sulle quali avevano agito influenze diverse. Le maggiori fonti di queste matrici buddhiste provenivano dall'arte fiorita nelle città-Stato dell'area centroasiatica. Intorno alla fine del sec. V, l'arte Wei dei complessi monastici rupestri si esprime in un linguaggio internazionale nel quale confluiscono elementi ellenistici, gandharici, indiani, centroasiatici. Importanti ripercussioni, ricche di imprevedibili conseguenze, il buddhismo esercitò sull'architettura del tempo (nella capitale dei Wei settentrionali, Luoyang, sembra fossero disseminati ben 500 templi e monasteri, che alla caduta della dinastia nel 535 raggiunsero cifre impressionanti). La stessa importanza dello stūpa in India fu assunta in Cina dalla pagoda, l'unica struttura religiosa, elaborata su modelli stranieri, che si innestò nel contesto dell'architettura tradizionale. I caratteri delle pagode lignee, come altre tipologie dell'edilizia pubblica di questo periodo e di quelli futuri Sui e Tang, sono documentati nella versione rupestre dei complessi buddhisti di Tianlong Shan, Longmen, Dunhuang. Tra le più antiche testimonianze di architettura lignea cinese importante è la sala principale del Foguang Si sul monte Wutai nello Shanxi (857 d. C.). Altre testimonianze si sono conservate in Giappone, dove l'architettura cinese fu fedelmente riprodotta nei primi secoli di formazione dell'impero giapponese. Nelle pagode in pietra e mattoni del periodo Tang (Dayan ta, vicino a Chang'an) la pianta quadrata a più piani elaborata da soluzioni strutturali delle torri Han si trasforma in poligonale (pagoda ottagonale che si trova nello Huishan Si sul monte Song nello Henan), sottraendo dalle originarie strutture lignee elementi traducibili in temi ornamentali. Maggiori sviluppi avrà l'adozione della pianta poligonale nella libertà di interpretazione dell'urbanistica e dell'architettura con l'arte dei Liao (907-1125).



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Inaugurata dai Qin, l'architettura fastosa e monumentale dei palazzi imperiali fu subito ripresa a Chang'an dagli Han occidentali e successivamente (dopo aver assunto espressioni di spettacolare monumentalismo nel breve regno dell'usurpatore Wang Mang: dall'8 a. C. al 23 d. C.) fu adottata dagli Han orientali per la nuova capitale Luoyang, dai cui resti più tardi, nel sec. V, gli architetti dei Wei trassero i modelli per riedificare, secondo il tracciato urbanistico e le forme architettoniche degli Han, la ulteriormente rinnovata capitale Luoyang (495). Dell'architettura della seconda età imperiale Sui e Tang rimangono le descrizioni letterarie, testimonianze nella pittura rupestre (Dunhuang) e i modelli conservatisi in Giappone (Hōryūji a Nara e altri complessi). Un esempio dell'alto livello delle tecniche costruttive di questi secoli è costituito dal Grande Ponte di Pietra (Anji) presso Zhaoxian nel Hebei, progettato da Li Chun (sec. VI-VII). Nelle architetture del breve periodo Sui dominò un senso di gigantismo eccentrico, specie in quelle edificate nella Città Proibita che sorgeva a nord-est di Chang'an. Architetti, artisti e artigiani diedero il meglio delle loro capacità e della loro abilità tecnica. Fu un quartetto di questi ingegni a dettare legge nella moda del tempo: Yang Su, un ingegnere navale che progettò la nuova Luoyang; Yuwe Kai, storico dell'architettura e fantasioso ingegnere idraulico; He Diao, appassionato di vecchie pitture, che disegnava costumi e insegne per le grandi parate pubbliche; Yan Pi, infine, padre dei due famosi pittori Yan Lide e Yan Liben, il più eclettico di tutti, sensibile pittore, progettista di canali, restauratore della Grande Muraglia. La ricchezza di questo breve ma intenso periodo dell'arte cinese fu ereditata dalla dinastia Tang, che non fu da meno, per imponenza e originalità di progetti, dei suoi predecessori. La capitale Chang'an divenne nei sec. VII-VIII una delle più grandi e fastose città dell'Asia, animata da un traffico cosmopolita che si svolgeva attraverso vie e viali disposti nel tradizionale sistema a scacchiera. Nella storia dell'arte cinese il periodo Tang rappresenta una fase importante, per ricchezza culturale e raggiungimenti estetici: tutte le forme d'arte ebbero splendida fioritura. La scultura a tutto tondo si affermò superando la tradizione stilistica essenzialmente lineare. La ceramica invetriata policroma inventò un nuovo modello di bellezza femminile, che ha caratterizzato, assieme alle trionfanti forme dei cavalli, tutto il periodo dell'arte Tang. Dopo un'evoluzione di quattro secoli, soprattutto la pittura si afferma e si definisce in questo periodo, conferendo all'artista una sua netta personalità, la cui dignità aveva incominciato a delinearsi fin dall'epoca degli Han posteriori per assumere caratteri più decisi nel periodo delle Sei Dinastie, quando il pittore fu riscattato dall'anonimato e la sua identità acquistò rilievo accanto al valore riconosciuto della sua creazione artistica. Due protagonisti della pittura di quest'epoca sono Gu Kaizhi, pittore del famoso rotolo illustrativo chiamato Ammonimenti dell’istitutrice alle dame di corte (Londra, British Museum), e Xie He, autore di uno dei primi trattati sulla pittura (Gu Hua Pin Lu) nel quale sono contenuti i “sei canoni” fondamentali per tutta la trattatistica posteriore. Un altro maestro delle Sei Dinastie di cui ci è giunta documentazione è Chang Seng Yu. Fiorenti centri pittorici nei sec. V-VI furono le corti delle dinastie orientali nella vallata inferiore dello Chang Jiang, erede dell'antico patrimonio culturale dell'inquieta vallata del Huang He. Alla pittura sul tema delle occupazioni delle dame di corte si dedicarono tra i maggiori nel sec. VIII Zhang Xuan e Zhou Fang. Conquista dell'arte Tang fu il promuovere la pittura di paesaggio allo stesso ruolo d'importanza della figura, il cui merito viene attribuito a Li Sixun e a suo figlio Li Zhaodao, iniziatori di una nuova tecnica pittorica (scuola di Li). Altri pittori famosi furono Han Gan, specializzato nel tema di cavalli, Wu Daozi, iniziatore della scuola di pittura del Nord, e Wang Wei iniziatore di quella del Sud. Le persecuzioni contro il buddhismo (842-845) ebbero come conseguenza immediata la distruzione dei maggiori capolavori dell'arte Tang, molti dei quali sono ricordati dal cronista dell'epoca, Zhang Yanyuan, autore del “Catalogo delle pitture famose delle successive dinastie” (Lidai Minghua Ji) compilato nell'847. Nel successivo periodo delle Cinque Dinastie del Nord e dei Dieci Regni del Sud altri pittori di rilievo continuarono il tema del paesaggio, che assunse impreviste possibilità espressive con la tecnica dell'acquerello monocromo (Jing Hao, Guan Dong, Li Cheng, considerati precursori della futura pittura dei Song). Altri artisti furono famosi nel genere “fiori e uccelli” (Huang, Chuan, Xu Xi). Altri ancora, come Guanxu e Shi Kefa, fissarono l'ideale della perfezione predicata dal buddhismo Chan nelle espressioni intense dei beati lohan (sanscrito arhat). In questo tormentato periodo della storia cinese importante fu il ruolo culturale svolto dalle due capitali dello Sichuan (Chendu) e del Zhejiang (Hangzhou Wan). I caratteri della cultura Tang non andarono dispersi, ma sopravvissero e furono di stimolo per l'attività intellettuale e artistica dei secoli successivi.



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Cultura: arte. Dalla dinastia Song a quella Qing

Sostituita al Nord dall'arte nomade dei Liao e dei Qin, quella dei Song (979-1280) continuò a manifestarsi con nuovi sviluppi nel Sud, dove ebbe i suoi maggiori centri prima nella capitale di Nanjing poi in quella di Hangzhou Wan, la famosa Kinsai ricordata da Marco Polo. La pittura dei Song meridionali fiorì, con ricca varietà di tendenze, negli stili dell'Accademia imperiale e della corrente legata agli ideali buddhisti Chan, i cui esponenti diedero vita a un'arte indipendente (Liang Kai, Mu Qi). Tra il sec. X e il sec. XII nel tema del paesaggio eccelsero Xu Daowing, Dong Yuan, Fan Kuan, seguiti da Guo Xi, Wen Tong, Mi Fu, gli artisti della famiglia Ma, il cui stile, accanto a quello di Xia Gui, costituì la scuola Ma-Xia. Famoso illustratore buddhista fu Li Longmian. La “pittura dei letterati”, che avrà la sua stagione migliore nel futuro periodo Yuan si era sviluppata, ancora regnando i Song settentrionali, a opera di Su Dongpo (Su Shi), Huang Tingjian e il già citato Mi Fu. Tra i migliori che operarono fuori dellʼAccademia si ricordano ancora Zhao Chang e Yi Yuan. In seno allʼistituzione imperiale spiccarono sugli altri Cui Bai e Wu Yuanyu (attivi nel sec. XI). Mentre la scultura Song appare ancora legata ai modelli della tradizione, studiando e facendo copie dei bronzi antichi, quella sviluppata dai Qidan e dai Jin produsse interessanti capolavori (mausolei imperiali nella Mongolia) tra cui lʼelaborazione dellʼimmagine femminile del Bodhisattva, trasformato nella dolce ed enigmatica figura di Guanyin. Meno importante di quella Tang, lʼarchitettura Song unì alla funzionalità e alle qualità costruttive effetti estetici (impiego di mattonelle smaltate policrome per pavimenti e tetti e lʼuso di curvare verso gli angoli gli spioventi del tetto). Tutta lʼarchitettura di questʼepoca si basava sul manuale di Li Jie (Yingzao Fashi), reso famoso attraverso unʼedizione a stampa del 1145, e di quello sulla carpenteria di Yu Hao, scritto un secolo prima. Nella pittura del periodo Yuan (1280-1368) persistono in alcune tendenze i caratteri dellʼarte Song, che furono continuati dai pittori di paesaggio Sun Junze e Xue Chuang; mentre a stili più antichi si riconducono le opere di Zhao Mengfu (famoso per i suoi cavalli) e della moglie Guan Daosheng, delicata pittrice di bambù, genere in cui eccelsero Li Kan e il figlio Li Shixing. I “Quattro Grandi” pittori della scuola Yuan furono Huang Gongwang, Ni Zan, Wang Meng e Wu Zhen. Le relazioni degli Yuan con l'area islamica dell'Asia occidentale favorirono, tra gli altri scambi, l'importazione in Cina del minerale di cobalto, il cui impiego nella ceramica segna l'inizio della porcellana “bianca e blu”. L'architettura del periodo Yuan si esprime soprattutto nella costruzione della capitale, Dadu (attuale Pechino), la Cambaluc (Khān-bālīk) di Marco Polo, sostituendo molte delle strutture lignee con pietra a mattoni; ebbe anche influenza lo stile tibetano favorito dalla diffusione del buddhismo lamaistico. Importanti furono le tecniche costruttive usate per le fortificazioni e le porte monumentali (come quelle della Grande Muraglia). Grande incremento delle arti minori, specie per la ceramica, si ebbe nel successivo periodo Ming (1368-1644), che vide in auge la pittura dei letterati ispirata ai due stili precedenti (Song e Yuan). Tra le varie scuole, importanti furono quelle Zhe (fondata da Dai Jin) e Wu, dal nome della città di Wuxian, da cui provenivano i suoi maggiori esponenti (Shen Zhou e Wen Zhengming). Altri artisti noti furono Lu Zhï, Tang Yin e, soprattutto, Dong Qichang. Nell'architettura prevalse l'interesse per gli elementi ornamentali (edifici nella Città Proibita; tombe degli imperatori nella zona Nord della città). Anche sotto la dinastia dei Quing (1644-1912) le opere più importanti di architettura furono realizzate a Pechino con restauri e ampliamenti (Palazzo d'Estate, trasformato su disegni dell'italiano Castiglione e del francese Benoît; Porta della Suprema Armonia, saloni di rappresentanza, Tempio del Cielo nella Città Proibita). L'arte di questo periodo, pur evolvendosi nell'ambito dell'ufficialità e della tradizione, ebbe interessanti manifestazioni, soprattutto in pittura, per varietà di indirizzi e ricchezza di personalità artistiche. Larga influenza esercitarono le due correnti maggiori della pittura conservatrice (Wang Shimin, Wang Jian, Wang Hui e Wang Yuanqi) e individualista (Zhu Da, Kun Can, Dao Ji). Altri pittori individualisti furono attivi nella provincia di Anhui (Xiao Yuncong, Hong Ren, Zha Shibiao e Mei Qing) e altrove.




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Cultura: arte. L'età moderna e contemporanea

La presenza di artisti occidentali in Cina non ebbe conseguenze analoghe a quelle della diffusione dei prodotti artistici cinesi in Europa nel Settecento, che determinarono, specie attraverso i vari tipi delle porcellane policrome (famiglie verde, nera, rossa e gialla e “bianca e blu”), vanto dei regni Qing di Kangxi, Yongzheng e Qianlong, quella inarrestabile moda per le chinoiseries, le cui conseguenze positive arricchirono, con nuove varianti stilistiche, il rococò. Se a chiudere la schiera dei pittori cinesi del periodo Qing fu il rivalutato Lo Ping (1733-1799), a iniziare il periodo moderno della pittura cinese del sec. XX furono, pur non staccandosi dalla tradizione, Xu Beihong e Qi Baishi. Lungo l'intero corso del Novecento sono rimaste vive le tecniche della xilografia e della pittura a china, che hanno sempre rappresentato il cuore della tradizione figurativa cinese, anche se questa produzione artistica, per buona parte della seconda metà del XX sec. è stata radicalmente condizionata nei suoi contenuti dagli indirizzi politici e ideologici del comunismo cinese: questa commistione fra arte tradizionale e finalità politico-didascalica ha trovato la sua più compiuta espressione nella cosiddetta Scuola di Huxian, dal nome del villaggio dello Shanxi in cui, negli anni Sessanta, si raccolse una comunità di pittori contadini. La pittura a china è rimasta vitale e pronta all'innovazione nei decenni nell'opera di artisti, che vi hanno associato aperture ai materiali e alle suggestioni rappresentative della cultura figurativa occidentale, nella linea dell'ibridazione che costituisce spesso la cifra dei più avanzati artisti cinesi di oggi: tra gli artisti che meglio hanno rappresentato questa tendenza della pittura a china si può ricordare Zhao Wuji (Zao Wou-Ki), nelle cui opere si nota l'evidente interesse per l'esperienza astratta, Li Keran, che, messo al bando per lungo tempo dalla nomenklatura del partito, è assurto a maestro di un'intera generazione di giovani artisti negli anni Ottanta. In Cina i tentativi di introdurre nuove forme d'arte, come la pittura a olio, e nuovi contenuti, come la pittura dal vero, hanno trovato per decenni resistenze di varia natura e causate da vari fattori. Negli anni successivi alla morte di Mao il controllo degli apparati di partito sugli artisti e sulla loro libertà di sperimentazione si è andato allentando, pur nell'alternanza tra fasi di apertura e nuovi tentativi di controllo da parte del PCC (a una delle fasi di apertura appartiene il ciclo di murales commissionato per l'aeroporto di Pechino, dove, associati alla ripresa dell'antichissima tradizione della pittura murale, si trovano forme mutuate dal cubismo e soggetti di nudo fino ad allora non ammessi. La pittura cinese degli anni Ottanta si muove lungo diverse direttive: tra tentativi di inserimento dei movimenti artistici internazionali nell'ambito della tradizione, la rivalutazione della tradizione autoctona, il recupero dei modi dell'arte popolare e provinciale (come le cosiddette “pitture dell'anno nuovo”, con personaggi che escono dalle leggende e dai miti). Tra questi artisti si segnalano Xu Bing (n. 1955; residente dal 1990 negli USA), che realizza le sue installazioni con i rotoli, gli strumenti, i simboli dell'atavica arte calligrafica, e il pittore Ding Yi (n. 1962). A partire dal 1992, grazie agli spazi apertisi con il nuovo corso politico ed economico, si è dato corso a sperimentazioni più libere e audaci, che hanno trovato punti di eccellenza in artisti quali Yu Youhan (n. 1943) e Wang Guangyi (n. 1956), Wang Jin (n. 1962), Zhao Bandi (n. 1963) e Cai Guo-Qiang (n. 1957) e Wenda Gu (n. 1955), questi ultimi emigrati in Occidente. Nel paesaggio artistico di questi anni occupa una posizione particolare la prima generazione di artisti attivi nella Hong Kong postcoloniale, dopo cioè il riassorbimento del 1997 nella Repubblica popolare: fra di essi si ricordano Wilson Shieh Ka-ho, Ho Siu-kee, Tse Yim On, Luke Ching Chin-wai, Chow Chun-fai, Tsang Chui Mei, Joey Leung Ka-yin. La scena artistica cinese gode oggi di un'attenzione globale, cui fanno da cassa di risonanza nuovi e moderni spazi espositivi quali la Biennale di Shanghai, che nel 2014 ha visto la sua decima edizione.




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Cultura: teatro. I generi

Il teatro è sorto da antichissime cerimonie religiose. Canti e danze facevano parte di manifestazioni rituali che avevano luogo soprattutto durante le feste stagionali. In seguito si ebbero un vero e proprio teatro di corte (a partire dagli Han) e forme popolari di rappresentazione, con lo sviluppo di temi burleschi, eroici, ecc. Da figurine in ceramica di acrobati e musicisti risalenti al periodo degli Han Anteriori (206 a. C.-8 d. C.), scoperte a Tsinan (Shandong) nel 1969, si può avere certezza che una forma di spettacolo popolare, con musiche e acrobazie, era già esistente nei sec. III-II a. C. Nel sec. VIII d. C. viene fondato il teatro come istituzione statale. L'imperatore Xuan Zong (685-762), della dinastia T'ang, volle che gli attori e i musicisti non fossero più mestieranti improvvisati, ma veri professionisti. A tal fine creò un'accademia musicale che ebbe sede nei giardini imperiali. Per dare allo spettacolo una trama non improvvisata furono anche scritti testi, purtroppo perduti, di alcuni dei quali, tuttavia, ci sono pervenuti i titoli: La maschera, Su Chung-lang (nome del personaggio principale), ecc. Ma la caduta della dinastia T'ang mise in crisi le deboli istituzioni teatrali che gli stessi T'ang avevano fondato; e anche se la dinastia dei Sung mostrò qualche interesse verso lo spettacolo teatrale (ma nemmeno di quel periodo ci sono pervenuti testi), il gusto dell'epoca sembrò prediligere il “teatro d'ombre” e il teatro delle marionette. Verso la fine del sec. XIII si ebbe il trionfo del dramma. Questi testi si chiamarono tsa ch’ü, ossia spettacolo (ch’ü) vario o, meglio ancora, misto (tsa): erano drammi composti di canzoni e di parti dialogate o declamate, divisi in atti. Si formarono due scuole: una al Nord (pei ch’ü), l'altra al Sud (nan ch’ü). La prima si basava su una maggiore libertà delle parti e su un linguaggio popolare; i principali strumenti di accompagnamento erano a corda e i canti vigorosi e vivaci esprimevano lo spirito guerriero della Cina settentrionale. Lo stile nan ch’ü era invece letterario, raffinato, ossequente a norme prosodiche. Dal nan ch’ü, arricchito dei ruoli “comico” e “tragico”, tipici del pei ch’ü, nacque un nuovo tipo di spettacolo, il ch’uan ch’i (ch’uan significa “trasmettere” o “annunciare” e ch’i “raro”, “meraviglioso”), che conquistò i favori di tutto il pubblico cinese. Questa forma di spettacolo era costituita da 30 o più atti, composti di parti cantate e di parti dialogate, ciascuno con titolo proprio, in cui si sviluppava, attraverso vari aneddoti, un'unica trama; potevano essere soppressi alcuni o tanti atti, a richiesta del pubblico. Il primo atto era un prologo nel quale in sintesi si narrava l'intreccio del dramma; la trama aveva inizio nel secondo atto e si sviluppava complicandosi in numerosi episodi, che si scioglievano nel finale. Un nuovo elemento, tuttavia, fu inserito in questo spettacolo, verso la metà del sec. XVI, dal drammaturgo Liang Chenyu e dal musicista Wei Liang-fu, che, traendo ispirazione dalle ballate popolari del K'un-shan, conferì al dramma una cadenza strettamente collegata alle tradizioni regionali. Questo dramma prese il nome di K’un ch’ü e dominò il teatro cinese per tre secoli, fino alla metà del sec. XIX. La fisionomia del K’un ch’ü fu dunque quella di un teatro popolare, diverso da regione a regione. Partendo dal meridione, dov'era nato, conquistò tutta la Cina; ma in questo processo di espansione subì anche l'influenza dei letterati, i quali, mutando le rime e le cadenze popolari, trasformarono il K’un ch’ü, da popolare e regionale qual era, in uno spettacolo cortigiano e nazionale, più adatto alle corti dei signori feudali. Ma il filone originario continuò a sussistere e a dare i suoi frutti. Da esso nacquero varie scuole, come lo yi yang, che era la variante del K’un ch’ü a Pechino, e lo hu tiao, trionfante nell'Hebei. Lo hu tiao ebbe immenso successo a Pechino quando nella capitale affluirono truppe da ogni parte dell'impero per le fastose celebrazioni dell'ottantesimo compleanno dell'imperatore Qian-Loug (1791). Allora anche gli attori dello yi yang di Pechino lo adottarono. Con questa operazione nasceva il Ching Hsi (spettacolo della capitale), noto anche come l'Opera di Pechino, che sostituiva sul piano nazionale il K’un ch’ü letterario e cortigiano, assorbendone tuttavia il carattere aristocratico. Un iniziale tentativo di rinnovamento si ebbe nel 1958, quando comparvero le prime opere ispirate a episodi della lotta contro i signori feudali e contro il Kuomintang (il partito della borghesia). Nel 1964, in conseguenza di una profonda revisione culturale, il Ching Hsi si trasformò in “teatro rivoluzionario moderno” subendo precise modifiche fra cui la sostituzione dei vecchi testi con altri, ispirati a episodi della rivoluzione popolare o della guerra di liberazione nazionale contro il Giappone, combattuta dai partigiani cinesi, e la conseguente abolizione dei personaggi che erano ancorati all'antica tematica; e con essi scomparvero i loro costumi: l'attore recitava vestito da soldato o da operaio o da contadino. Successivamente sono però ritornate in auge anche le antiche rappresentazioni. Inoltre, nell'orchestra è stato introdotto uno strumento tipicamente straniero: il pianoforte. Accanto al Ching Hsi ha ripreso vita, rinnovato anch'esso da temi rivoluzionari e popolari, l'antico teatro regionale, il K’un ch’ü, per iniziativa della compagnia teatrale di Shanghai. Gli ultimi decenni del XX secolo hanno visto, da un lato, la nascita di un teatro sperimentale, il cui sviluppo ha però subito negli anni Novanta una “pausa” a causa della ripresa del clima censorio seguito agli episodi di piazza Tiananmen, e, dall'altro, la prosecuzione, anche in ambito drammaturgico, del dibattito che ha caratterizzato tutta la vita culturale cinese nel secondo Novecento e che ha ruotato intorno alla ricerca di una identità moderna che sappia (o debba) accogliere e conciliare tradizione e modernità, Oriente e Occidente, attraverso dinamiche e processi di sintesi, ibridazione, trasformazione, rilettura.




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Cultura: teatro. I testi

I più antichi testi pervenutici risalgono al periodo Yüan (sec. XIII). Ji Junxiang (sec. XIII) ha scritto L'orfano della famiglia Chao, Kuan Han-ch'ing (sec. XIII), il maggiore autore del periodo Yüan, ci ha lasciato Il giardino di Tou Ou e Il vecchio organetto. Sempre del sec. XIII sono altri tre notissimi drammaturghi: Ma Zhiyuan, che ha scritto i due celebri drammi Autunno nel palazzo degli Han e Il sogno del miglio giallo; Wang Shifu, autore di Storia del padiglione occidentale, capolavoro del teatro del Nord (pei ch’ü); e Bai Pu, autore di La pioggia sulle sterculie. A Gao Ming (sec. XIV) si deve invece il dramma La storia della chitarra, considerato il capolavoro del teatro meridionale (nan ch’ü). Dello stesso secolo è Shih Hui, autore del dramma Il padiglione che saluta la luna. Il dramma di Chu Ch'üanLa storia della spilla, in 48 atti, è un tipico esempio del ch’uan ch’i. Poi venne la riforma del teatro, per opera dei già citati Liang Chenyu e Wei Liang-fu, che diede origine al K’un ch’ü intorno alla metà del sec. XVI. Capolavoro di questo teatro viene considerato un dramma, scritto durante la dinastia Ming da Tang Xianzu (sec. XVI-inizi XVII) e noto con due titoli: La storia dell'anima che ritorna o Il padiglione delle peonie. Altri autori del K’un ch’ü furono Juan ta-ch'eng (sec. XVI-XVII) con i suoi drammi La commedia dei dieci errori e La rondine che porta una lettera d’amore, e, nel successivo periodo Ch'ing (sec. XVII-XX), Hong Sheng (Il palazzo della lunga vita) e Kong Shansen (Il ventaglio dai fiori di pesco). Verso la metà dell'Ottocento, con il trionfo del Ching Hsi, la cui forma spettacolare è data dalle espressioni mimiche, dall'abilità del cantante e dalle acrobazie, mentre il libretto ne è solo un requisito accessorio, gli autori drammatici diminuirono, i drammi furono elaborati su temi già sfruttati, oppure opera di anonimi o di collettivi. Successivamente, sotto l'influenza della cultura e delle ideologie occidentali, nacquero opere nettamente in contrasto con la tradizione, essendo improntate a ideali sociali e politici dell'Occidente: La nuova Roma di Liang Qichao (sec. XIX-XX), Il grande problema della vita di Hu Shi (sec. XX), la Tempesta e L’alba di Cao Yu e Ch’ü Yüan di Guo Mosuo. A questi drammi fecero seguito, dal 1958, opere di contenuto rivoluzionario, come La fanciulla dai capelli bianchi, già rappresentata nel 1944, in piena guerra, e La montagna della tigre presa d’assalto. Ma fu nel 1964 che si pose il problema politico del testo, ossia l'esigenza di scrivere per il Ching Hsi un libretto che avesse sempre contenuto decisamente rivoluzionario. Negli anni successivi al 1966 comparvero nuove opere drammatiche o coreografiche (La lanterna rossa, Shachiapang, Il distaccamento femminile rosso), caratterizzate dall'ideologia di classe ed elaborate da collettivi. Questa situazione durò sino alla fine della rivoluzione culturale e alla condanna della cosiddetta “banda dei quattro” di cui faceva parte Jian Qing, la vedova di Mao, teorizzatrice del rinnovamento radicale dei repertori e dei modi di presentarli. Dal 1977 si tornarono così ad allestire spettacoli nelle forme tradizionali, privilegiando, insieme con i richiami all'orgoglio patriottico e con le tematiche politico-sociali, i valori del divertimento. Con gli anni Ottanta si cominciò a favorire l'attività di compagnie che cercavano di assimilare le lezioni del teatro occidentale nel ricco filone delle forme classiche, orientamento proseguito anche nei decenni successivi; a questo si affiancò, come detto, un filone più sperimentale, in cui si inserirono i lavori di artisti come Gao Xingjian, autore di Bus Stop, versione cinese di Aspettando Godot, e Wang Peigong. Tra le figure più interessanti del teatro contemporaneo va certamente inserito Mou Sen (n. 1963), a capo di una compagnia teatrale indipendente, il Garage Theater, e autore di Ling dang’an (1990;File zero), in cui la tagliente vena satirica è rivolta, velatamente e indirettamente, contro l'establishment. Mou Sen, come altri nuovi scrittori, ha saputo cogliere gli spazi lasciati dal nuovo corso della politica culturale cinese che ha sancito l'interruzione di molte sovvenzioni al teatro, meccanismo che lo ha reso, in definitiva, più “povero” ma più “libero”. Una delle rassegne più importanti nate alla fine del XX secolo è il Festival dell'opera tradizionale cinese, fondato nel 1988. Qui ogni anno arrivano le delegazioni provenienti dalle varie zone del Paese a presentare opere di generi diversi, dal teatro classico a quello di prosa, dall'opera lirica a quella per bambini.




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Cultura: musica

Secondo la leggenda il sistema musicale cinese sarebbe stato concepito da Ling Lun (durante il regno del grande imperatore Huangdi, ca. 2700 a. C.), il quale stabilì l'huang-chung (campana gialla), nota fondamentale, di altezza assoluta rigorosamente stabilita. Su tale suono erano costruite le altre note per sovrapposizione successiva di quinte giuste, pervenendo così a un circolo delle quinte analogo a quello pitagorico. I primi cinque suoni della serie delle quinte costituiscono la base della musica cinese, dall'antichità ai nostri giorni. Continuando la serie fino al dodicesimo suono, si ottengono i dodici lü cinesi corrispondenti ai semitoni della scala cromatica, però tutti crescenti. L'antica teoria cinese prevedeva ancora successive sovrapposizioni per dar luogo a nuovi circoli, a loro volta raggruppabili in grandi cicli. In pratica i diversi suoni venivano ottenuti per suddivisione successiva di canne di bambù (liu): il rapporto di una canna con la successiva era alternatamente di 3/4 e 4/3. Collegata dall'imperatore Shunzhi (ca. 2250 a. C.) alla concezione cosmologica sviluppata nel IV millennio a. C. dal mitico imperatore Fu Xi, la musica divenne un importante elemento del rituale cinese: a ogni suono era attribuito un significato particolare e per poter cogliere appieno tutte le implicazioni sociali, umane e magiche veniva posta la massima cura nella ricerca di un'assoluta perfezione di intonazione e nella colorazione timbrica; un'importanza limitata e comunque rigidamente codificata era attribuita alla componente melodica e ritmica. Nella musica da camera e popolare, sviluppatasi parallelamente a quella rituale, melodie e ritmi furono invece ampiamente utilizzati e la stessa scala pentatonica fu parzialmente trasformata in eptatonica con l'aggiunta di altre note (pien), però di importanza assai minore rispetto alle altre cinque, almeno fino al sec. XIX. Ci furono anche tentativi di temperamento, il più importante dei quali si deve al principe Zhu Zaiyu nel 1596. Manca nella musica cinese tradizionale, e orientale in generale, la componente armonica, nel senso occidentale del termine: gli strumenti melodici e le voci procedevano all'unisono o all'ottava, però con ampie possibilità di ornamentazione (trilli, note di passaggio, arpeggi, ecc.). Non era considerata neppure la polifonia, anche se spesso si avevano, nei canti di lavoro o di festa, sovrapposizioni di più voci e bordoni. La musica da camera fu coltivata dai filosofi e poteva essere vocale o strumentale e nel suo ambito si sviluppò verso il sec. XIII una forma particolare di dramma scenico-musicale. La musica popolare era costituita essenzialmente dai canti contadini e artigiani e si esprimeva soprattutto nelle grandi feste organizzate dagli imperatori o dainobili locali. I vari tipi di musica erano eseguiti da appositi complessi e almeno dal sec. II a. C. agli inizi dell'attuale esistevano in Cina numerose orchestre con una specifica destinazione (orchestre rituali, da tavola, militari, trionfali ecc.). Il numero degli esecutori variava secondo il tipo dell'orchestra e gli interessi musicali delle singole dinastie regnanti: si hanno comunque notizie di orchestre rituali formate da oltre 150 esecutori. Gli strumenti utilizzati erano suddivisi in otto specie, secondo il materiale di cui erano composti: metallo (campane), pietra, seta (k’in o cetra a 5 o 7 corde; sse o cetra a 25 corde), bambù (flauti), legno, cuoio (tamburi), zucca, terracotta. Le orchestre che suonavano negli spettacoli teatrali erano costituite in prevalenza da viole a due corde (eul-hû), integrate da p’i-p’a (liuto piriforme a 4 corde), yue k’in (liuto a forma di luna), ti-tzu (flauto traverso a 8 fori), tamburi, gong, ecc. Assai variabile era la composizione dei complessi da camera: oltre ai già citati strumenti da teatro, anche cheng (cetra a ponticello mobile e con 16 corde di seta o di metallo), yang k’în (detto anche clavicembalo cinese, a 13 corde percosse), hou k’in (viola a 2 corde), san-hsien (liuto a 3 corde). Nel Novecento la millenaria tradizione musicale cinese, indagata da un lato da un'attenta ricerca filologica che ha anche iniziato il recupero del ricco patrimonio di musiche popolari, ha via via subito l'influsso di forme ed espressioni di derivazione occidentale. Dopo il rifiuto di tutto quanto fosse occidentale, rifiuto particolarmente acuto negli anni della Rivoluzione culturale, si è assistito a una progressiva apertura verso le esperienze musicali internazionali: tra gli autori contemporanei si possono ricordare Qu Xiaosong (n. 1952), Guo Wen Jing (n. 1956) e Tan Dun (n. 1957). Sebbene nato in Francia da genitori cinesi e oggi di passaporto statunitense, merita una menzione il violoncellista Yo Yo Ma (n. 1955), che ha applicato il suo straordinario virtuosismo tecnico alla sperimentazione delle più svariate esperienze della musica contemporanea.




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Cultura: danza

Nella Cina arcaica la danza era presente nelle cerimonie cultuali, pantomime e rappresentazioni simboliche di fatti realmente accaduti. È subito evidente il carattere morale della danza cinese, presente già nel ballo di U-Wang, risalente al 1122 a. C., diviso in 6 parti ed eseguito da 64 danzatori. La tecnica assai complessa prescriveva la differenziazione dei ruoli maschili (shen) e femminili (tan): nei primi, i passi e i movimenti sono brevi e decisi, nei secondi, lievi e ondeggianti. Allegoria, significato etico e uso della mimica sono gli aspetti caratteristici del dramma danzato cinese, pervaso di significati psicologici e morali. Oggi il teatro di danza cinese è noto in tutto il mondo grazie alle grandi compagnie dell'Opera di Pechino e del Teatro di Liaoning, con il loro repertorio di danze popolari, di cui le più note e suggestive sono: la danza del loto, notissima nella Cina centrale, che rievoca la gioventù e la bellezza, raffigurando la pace e la felicità; la danza dei nastri rossi, diffusa in tutta la Cina, rappresentazione della felicità e della sicurezza del popolo vittorioso; la folcloristica danza della spada; la danza degli Ouigours, danza folcloristica della regione del Xinjiang, ricca di colore locale; la raccolta del tè e caccia alle farfalle, danza popolare della provincia di Fujian, evocante la gioia del popolo laborioso e la sua vita felice. Nel più recente repertorio spicca il balletto, a tema rivoluzionario contemporaneo, Il distaccamento femminile rosso, il cui debutto avvenne nel 1964, ma che, al di là dell'anteprima cinematografica del 1971 alla Biennale di Venezia, è arrivato in Europa solo nel 2003. Tra gli appuntamenti più importanti dello scenario nazionale il Beijing International Dance Festival, kermesse a cui partecipano compagnie provenienti da tutto il mondo.




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Cultua: cinema. Dalle origini alla Rivoluzione culturale

Le dianying, ovvero “ombre elettriche”, apparvero in Cina nel 1896: un documentario Lumière nell'intermezzo di uno spettacolo di varietà a Shanghai. A Pechino arrivarono più tardi, nel 1902. Il Paese si apriva come un grande mercato agli affaristi occidentali: uno spagnolo allestì la prima sala a Shanghai nel 1908, altri esercenti furono un portoghese e un italiano, i film proiettati dapprima francesi poi americani. Risale al 1905 il primo film cinese, un documentario sull'Opera di Pechino; al 1913 il primo film a soggetto, il mediometraggio Una coppia infelice dei pionieri Zhang Shichuan e Zheng Zhengqui. Negli anni Venti il cinema proliferò a Shanghai, che ne era la capitale, in modo esagerato e caotico: le nuove società nascevano al ritmo di due al mese, ma anche i fallimenti erano all'ordine del giorno. Si imitavano freneticamente i generi e gli attori stranieri; nelle produzioni in serie, di tipo storico o fantastico, prevalevano erotismo, soprannaturale, terrore. L'aggressione giapponese (1931) stimolò il patriottismo, mentre la politicizzazione degli intellettuali nella Lega degli scrittori di sinistra guidata da Lu Xun trasformò il cinema in uno strumento di denuncia civile e di lotta progressista. Il neorealismo cinese, nato in questo decennio all'epoca del Kuomintang, precede quello italiano e non gli è inferiore sul piano dei risultati artistici: è un grande capitolo della storia del cinema rimasto pressoché ignorato in Occidente e che merita di essere riscoperto. La ricerca disperata di un lavoro, l'umiliazione della donna, le crisi e gli entusiasmi della gioventù, la degradazione morale portata dagli stranieri e favorita da un regime corrotto, la resistenza ai Giapponesi e poi al Kuomintang: tali i temi svolti dai registi e dagli sceneggiatori cinesi prima della liberazione. In quindici anni di dura battaglia in una Cina sconvolta, la voce dei cineasti progressisti fu sempre presente. Gli storici cinesi dividono questo quindicennio in tre periodi: dal 1933 al 1937, che fu il momento dell'impatto con la realtà, delle forti denunce sociali, della rivelazione di combattivi sceneggiatori (Xia Yan, Tian Han, Hong Shen), di registi di talento (Cai Chusheng, Yuan Muzhi) e di film quali Corrente impetuosa, Il baco da seta di primavera, La canzone del pescatore, La disgrazia di essere laureato, Crocevia, Gli angeli della strada, Donne nuove; dal 1938 al 1945, in cui predominarono i temi della resistenza armata antigiapponese (La Grande Muraglia di Shi Dongshan, Uragano alla frontiera di Ying Yunwei, Figli e figlie della Cina di Shen Xiling); dal 1946 al 1949, in cui si ricreò, ma stavolta in diretta funzione anti-Kuomintang, un fronte progressista con i registi Cai Chusheng, Yang Hansheng, Shi Dongshan e gli attori Bai Yang e Zhao Dan, e uscirono le opere più complete: Il fiume di primavera scende verso l'Est, Ottomila “li” di nuvole e di luna, La luce di mille focolari, Il corvo e i passeri, quest'ultimo terminato dopo la liberazione di Shanghai. Gli storici fanno anche nascere il cinema della Repubblica Popolare da quello impostato a Yenan dall'VIII armata (con la prima cinepresa donata da J. Ivens a nome dei progressisti americani) e organizzato durante la guerra da Yuan Muzhi. È un cinema nato dal documentario militante. I primi suoi successi – Figlie della Cina premiato a Karlovy Vary nel 1950, La fanciulla dai capelli bianchi, Liang Shanbo, a colori, e Zhu Yingtai – favorirono una diffusione esaltante dello spettacolo cinematografico, ma resero ogni anno più serio il problema delle scelte qualitative e ideologiche. Evocando il cammino rivoluzionario, i film della nuova Cina raggiunsero risultati eccellenti, anche se spesso ricalcando gli stessi schemi celebrativi. Negli anni Cinquanta si ebbe soprattutto presente il modello sovietico, e non sempre con effetti accettabili. Tra i film migliori: La lettera con le piume, Il sacrificio di Capodanno, La madre, Nuova storia di un vecchio soldato, La tempesta (gli ultimi due dovuti a registi veterani). Anche Cai Chusheng, presidente dell'Unione dei cineasti, tornò alla regia con gli anni Sessanta, ma presto esplose la Rivoluzione culturale che bloccò e condannò gli indirizzi della vecchia generazione: la stessa produzione di lungometraggi a soggetto fu interrotta per diversi anni. Un film come La linea di demarcazione (1964) anticipava anche nel titolo la dura lotta ideologica che contrapponeva al vecchio progressismo intellettuale, ritenuto “aristocratico e individualista” nel sostenere un'arte “del popolo intero”, la linea di classe che voleva un cinema “al servizio della dittatura del proletariato”. Non si salvò nemmeno la figura del regista, ridimensionata a favore del “collettivo”, e ci si affidò ai soggetti già elaborati dal teatro, soprattutto dall'Opera di Pechino. Uscirono così film-balletto, come per esempio Il distaccamento femminile rosso, giunto alla Mostra di Venezia nel 1971. Poi si rifecero vecchi film in una prospettiva nuova. Infine si ammisero soggetti scritti direttamente per il cinema ma influenzati dalla “lotta fra le due linee” (rivoluzionaria e revisionista). Tra il 1974 e il 1976 la produzione si stabilizzò sui sei o sette film annuali: alcuni di essi anche notevoli, come I pionieri (1975) di Yu Yanfu, presentato alla Mostra di Pesaro del 1978, sullo stesso tema della battaglia per il petrolio nel Nord-Est trattato in un capitolo di Come Yukong rimosse le montagne (1973-75), il documentario di undici ore di J. Ivens.




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