| Cultura: letteratura
Proprio alla prima ondata dell'immigrazione ebraica in Palestina vanno fatti risalire gli inizi della letteratura israeliana. Essa è caratterizzata (e in ciò differisce da quella neoebraica) dalla presenza di Israele come realtà storica, dove la secolarizzazione della vita ha cessato di costituire un pericoloso incentivo all'assimilazione, e la lingua ebraica, non più esclusivamente lingua dell'uso liturgico, è diventata vivo mezzo di espressione della vita quotidiana. Agli inizi del secolo, lo stanziamento ebraico in Palestina mise in evidenza la necessità di tutelare i valori essenziali del passato ebraico e la prima letteratura israeliana rispecchiò tale esigenza. Tra i romanzieri, il nobel per la letteratura Sh. Y. Agnon (1888-1970), specialmente in Ieri e prima (1912), celebrò la forza unificatrice dell'oggi con la tradizione, senza la quale anche il ritorno non è altro che esilio spirituale. La medesima tesi è sostenuta, sul piano storico, dall'opera narrativa di H. Hazaz (1897-1973). Eguale istanza per la composizione armonica dell'uomo con lo spirito della sua terra, antica e nuova, propone la poesia, che sulle orme di un Bialik, riscoperto meno vate e più poeta, cantò la rinascita dell'anima ebraica (Y. Fichman, 1881-1958: Rami, 1911); Y. Cohen (1881-1960: Poesie) continuò, invece, la maniera di Černichowski con minor slancio panico e in dimensione più familiare. Diverso e più essenziale fu il valore che Israele assunse nella letteratura pionieristica. Gli uomini che vennero con la seconda (1900-14) e specialmente con la terza ondata dell'immigrazione e “costruirono” il Paese erano determinati e sorretti nell'arduo compito da un'invincibile fede ideologica. Per essi, Israele fu la tesi e la misura del proprio sforzo, della propria volontà: l'antagonista da piegare e da vincere, per il trionfo dell'Idea, “malgrado tutto”, come scrisse Y. H. Brenner (1881-1921) facendone l'imperativo etico di tutte le sue opere (Tra due acque; Insuccesso e lutto; Esordio). Fu in tale spirito che Y. Lamdan (1899-1954) celebrò nel poema Massadah (1927) l'epoca del pioniere della terza ondata, dell'uomo che tutto può se vuole, che ritrova in se stesso la forza suprema della redenzione proprio quando ha attinto al più profondo della disperazione; e creò così il mito, misura della realtà. La poesia degli anni Trenta, assai varia nell'impostazione ideologica, fu tutta impegnata nel denunciare le carenze della realtà confrontata col mito; e presentò inoltre un'ormai decisa apertura alle contemporanee esperienze europee. U. Z. Greenberg (1894-1981), riallacciandosi all'eredità spirituale del passato, rinnovò l'afflato del profetismo antico sul modulo espressionista di Werfel (Il libro della diatriba e della fede, 1937). A. Shlonsky (1900-1973), pur movendo dal passato, lo secolarizzò in un fervido impegno laico e socialista di vita civile, riecheggiando forme di Blok e Majakovskij (Canti della rovina e della consolazione, 1938). D. Shimoni (1886-1956), invece, cercò l'armonizzazione del mito con la realtà di ogni giorno (Idilli, 1925-32). Nella prosa, scrittori di provenienza kibbuzistica impostarono il primo bilancio della loro esperienza di integrazione dell'individuo nella società (S. Reichenstein, 1902-1942: Genesi, 1943), e quindi di composizione del sempre più avvertito dissidio tra coscienza individuale e imperativi della vita collettivistica (N. Shaham). Individualistica, come già quella di Rachel (1890-1931), fu la lirica di Leah Goldberg (1911-1970: Anelli di fumo), sostanziata di elementi culturali europei, italiani inclusi. Più popolare e più accessibile la poesia politica di N. Alterman (1910-1970), personale reazione contro la sopraffazione dell'uomo da parte della storia. Si è ormai agli anni della seconda guerra mondiale, della lotta contro la potenza mandataria. Affiora già la generazione dei sabra, cioè dei nati in Israele. A differenza degli scrittori fin qui menzionati, i sabra non vissero l'esperienza dell'esilio o del pionierismo, bensì quella della realizzazione dello Stato e della guerra d'indipendenza. È significativo pertanto che proprio di fronte alla guerra il loro atteggiamento, lungi dall'essere apologetico, sia decisamente critico, impostato sul rapporto coscienza-dovere nel soldato, in cui l'uomo è insopprimibile (S. Yizhar, 1916-2006: I giorni di Ziklag); e che, nel rilassamento di tensione del dopoguerra, vedano lo svuotamento di ogni ideale. Il romanziere M. Shamir (1921-2004), che già si era preoccupato di saggiare la reale consistenza dell'educazione kibbuzistica, ritornò al passato per cercare in esso di che difettasse la generazione presente: la prospettiva di un futuro in cui credere, come l'ebbero i padri (Un re di questo mondo). Il sabra, infatti, sembra vivere nel provvisorio: ogni istante è prezioso perché può essere l'ultimo (come dice Y. Amihay, 1924-2004: Ora, e in altri giorni). Conclusione negativa che però era già in via di superamento alla vigilia della crisi del 1967 e della “guerra dei seigiorni”. Ha ripreso vita anche il teatro: accanto ad autori come A. Ashman, noto per i drammi Michel, figlia di re Saul (1941) e Questa terra (1943), N. Alterman, celebrato per Kinereth, Kinereth (1961) e Il processo di Pitagora (1966), ha rivelato autori di talento quali: Yigʽal Mossenson (n. 1917) con Nei deserti del Negev (1949), A. Meged (n. 1920) con Ghana Senesh (1958) e Genesi (1962), E. Kishon (1924-2005) con Il suo amico a corte (1951) e Tira via il tappo, l’acqua bolle (1965), N. Aloni (1926-1998) con Il più crudele di tutti è il re (1953) e La sposa e il cacciatore di farfalle (1967), impegnati in un teatro ispirato sia ai temi biblici sia ai problemi legati alla vita di Israele e ai temi sociali di una generazione alla ricerca di un'unità non più soltanto religiosa; e Y. Sobol (n. 1939), che sviluppa temi inerenti le radici spirituali di ebraismo e sionismo moderno, con retaggi pirandelliani (L’ultimo degli operai, 1981; La Palestinese, 1985). Nasce così la cosiddetta “doppia radice”, corrente che domina, più che uno scontro di culture, lo sviluppo di linee parallele. Accanto agli scrittori della generazione del Palmach, si sono affermati tra gli altri: Aharon Appelfeld (n. 1932), autore di racconti, romanzi, poesie, opere teatrali e saggi teatrali, che nonostante nelle sue opere abbia trattato i temi dell'Olocausto non si lascia inserire nella categoria dei sopravvissuti allo sterminio nazista se non con difficoltà; A. B. Yehoshua (n. 1936), forse il maggiore scrittore israeliano contemporaneo, autore di numerosi romanzi di successo, tradotti in tutto il mondo, come L’amante (1977), Il signor Mani (1990), Viaggio alla fine del millennio (1997), Il responsabile delle risorse umane (2004), oltre a diversi testi teatrali, racconti e saggi, tra cui spicca Antisemitismo e sionismo (2004); Amos Oz (n. 1939), la cui narrativa evidenzia diversi aspetti inconsci della natura umana, spesso letta attraverso la vicenda del popolo ebreo, autore di racconti sia per adulti sia per bambini: tra i più famosi, Conoscere una donna (1989), Lo stesso mare (1999), Una storia di amore e di tenebra (2002) e il saggio Contro il fanatismo (2003); anche D. Grossman (n. 1954) ha saputo dare alla propria letteratura un sofisticato taglio introspettivo salendo sulla ribalta internazionale nel 1988 con Vedi alla voce: amore (pubblicato nel 1986) seguito da altri romanzi di successo come Il libro della grammatica interiore (1991), Che tu sia per me il coltello (1998) e Qualcuno con cui correre (2000); Grossman ha testimoniato anche una forte sensibilità verso la questione israelo-palestinese, su cui ha scritto, tra gli altri, Il vento giallo (1987), Un popolo invisibile (1992) e La guerra che non si può vincere (2003); e Meir Shalev (n. 1949), che a differenza dei primi si presenta meno impegnato e provocatorio, che ama la poesia, le leggende e soprattutto che ha un forte senso dell'humour. Altre figure di rilievo della letteratura contemporanea israeliana sono Nava Semel (n. 1954) e Uri Orlev (n. 1931). Per la poesia si ricordano, invece, oltre al già citato Yehuda Amihay, uno dei maggiori poeti israeliani della seconda metà del Novecento, ben radicato nella realtà del suo Paese, anche se la sua poesia si apre ad accenti universali che travalicano i confini di una cultura settoriale o nazionale, Nātan Zach (n. 1930), autore, oltre che di raccolte poetiche, anche di saggi, Meir Wieseltier e Israel Bar Kohav Berkovski.
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