IL FARO DEI SOGNI

BUDDHISMO

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view post Posted on 19/2/2018, 15:00     Top   Dislike
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IL MONDO DIVINO NEL BUDDHISMO



Il Buddhismo è semplicemente una Scienza che insegna all’uomo il cammino per liberarsi dall’illusione dell’io individuale e riconoscere la sua identità con l’Uno universale.
Questo stato, l’Illuminazione, non è altro che vedere la realtà come è e non come appare, liberandosi della trama di illusione ed ignoranza che ci tiene incatenati in un mondo irreale.
L’uomo ha questa facoltà, così come l’hanno tutti gli esseri presenti in questo mondo illusorio, dal più piccolo animale al più eccelso dio del più elevato paradiso.
Questa esperienza può avvenire in un attimo, oppure attraverso innumerevoli rinascite nel mondo umano o in mondi inferiori o superiori ad esso.
Come è noto, il Buddhismo ritiene inutile qualsiasi indagine sul mondo divino, ma non ne nega l’esistenza.
L’asceta, nel suo cammino verso l’Illuminazione, sa che non può aspettarsi nessun aiuto da questo mondo, in quanto anche esso è parte integrante della manifestazione illusoria nella quale è prigioniero anche l’essere umano.
In questa manifestazione esistono altri piani della realtà, oltre a quello umano, superiori ed inferiori ad esso ed inevitabilmente l’asceta, nel suo cammino, ne viene a conoscenza, ma assolutamente non deve farsi distrarre da ciò.
Quando i discepoli interrogavano il Buddha sul mondo divino, egli era quasi infastidito, in quanto non riteneva importante questa questione, così come tutte le questioni teologiche in generale.
Egli cioè non ha mai negato l’esistenza di un “Mondo Divino”, ma ha solo chiarito che da questo mondo non può arrivare all’uomo nessun aiuto nel suo difficile cammino di liberazione dalle catene dell’illusione, che genera l’esistenza di un io individuale e di un mondo al di fuori dell’io.
Ripetiamo, nella concezione Buddhista, anche le divinità sono prigioniere di questa illusione e, come nella concezione induista, sono parte integrante della Manifestazione.
Significativa per comprendere questo concetto è la leggenda secondo la quale, quando Buddha raggiunse l’Illuminazione, tutto il mondo degli dei gli apparve per rendergli omaggio e riconoscere la sua superiorità e Brahma gli chiese di esporre loro la Dottrina.
Veniamo dunque alla descrizione di questo mondo divino.
Al vertice della manifestazione troviamo il mondo dei Deva. Questi esseri superiori non sono ne onniscienti, ne onnipotenti e ricordano gli Dei olimpici della civiltà greca e romana. Essi vivono nei loro paradisi e, trovandosi in una condizione di beatitudine, è più difficile per loro conseguire l’Illuminazione a differenza di chi si trova nella condizione umana.
La rinascita in un mondo divino non è dunque un fatto positivo, in quanto la durata di questo stato di completo appagamento è lunghissima e, ripetiamo, di ostacolo al conseguimento della liberazione dalle catene dell’illusione.
I Deva sono suddivisi in tre gradi: il superiore nel quale non hanno forma, il mediano nel quale sono dotati di forma fisica e l’inferiore nel quale sono dotati di forma fisica e caratterizzati da passioni simili a quelle umane.
I Deva dei paradisi inferiori hanno qualche possibilità di conseguire l’illuminazione, in quanto il loro stato è raggiungibile dai Bodhisattva, esseri umani che hanno raggiunto l’Illuminazione e che, per compassione, hanno scelto di insegnare la via ad uomini e dei, prima di fondersi definitivamente con l’Uno universale.
In questo senso anche i Bodhisattva possono essere ritenuti parte del mondo divino che stiamo descrivendo.
Al di sotto del mondo dei Deva, troviamo il mondo degli Asura.
Questi, che potremmo definire semidei, vittime e schiavi di passioni e gioie, stanno in relazione con i Deva come gli animali sono in relazione con l’uomo.
Come abbiamo paragonato i Deva agli dei olimpici della civiltà classica occidentale, così potremo paragonare gli Asura ai demoni descritti nelle religioni semitiche.
Al di sotto dello stato degli Asura, vi è il piano di esistenza umano.
Ai fini del conseguimento dell’illuminazione, questo è il piano privilegiato: mentre i Deva sono ostacolati dal loro stato di beatitudine e gli Asura dal loro essere vittime di gioie e passioni, l’uomo ha la possibilità di intraprendere la “via di mezzo”, mantenendosi equidistante ed impassibile rispetto ai due stati.
Esistono anche stati inferiori al piano di esistenza umano e degli animali: il modo dei Preta e quello dei Naraka.
I Preta, chiamati anche spiriti affamati, sono esseri elementari completamente vittime delle loro passioni che vagano invisibili nel mondo umano.
E’ talvolta possibile per gli esseri umani entrare in contatto con essi, che spesso sono parenti defunti precipitati in questa condizione a causa del loro karma negativo.
Nel mondo buddhista si celebra la festa di Ullambana, caratterizzata da meditazione, riti e preghiere, finalizzate alla liberazione dei Preta dalla loro condizione.
I Naraka vivono in uno stato infernale causato dal karma negativo accumulato in una vita umana o in uno stato superiore a quello umano, ma, a differenza dei condannati all’inferno delle religioni semitiche, anche per loro ci sarà un giorno la possibilità di reincarnarsi in uno stato superiore. Non si trovano dunque nella loro condizione a causa del giudizio di una divinità, ma per la legge inesorabile del karma.
L’uomo ha la possibilità di entrare in contatto con entità di altri piani dell’esistenza ed ha sempre tentato di farlo per ottenerne grazie e favori.
A tale scopo, da tempo immemorabile, egli usa preghiere, riti, processioni, feste religiose ed altro. Questi strumenti possono avere una certa efficacia in quanto possono avere un’azione che oseremo definire meccanica ed automatica: se eseguite correttamente, le forze e le entità invocate vengono imbrigliate e quasi costrette ad eseguire le richieste degli officianti.
Anche il Buddhismo popolare non è esente da ciò, ma il lettore avrà ora raggiunto la consapevolezza che si tratta di qualcosa che non ha niente a che vedere col vero scopo dell’uomo e col genuino insegnamento buddhista.

 
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LA DOTTRINA DELLA PRODUZIONE CONDIZIONATA NEL BUDDHISMO



Il Buddha ha sempre mantenuto un dignitoso silenzio sui grandi temi della Metafisica. Lo scopo del suo insegnamento è stato infatti solo quello di indicare all’uomo la via per liberarsi delle illusioni del mondo sensibile e dell’io individuale, per giungere all’Illuminazione.
In effetti la Verità Metafisica, così come appare improvvisamente a colui che raggiunge questo stato supremo di liberazione, è poi inesprimibile mediante il linguaggio e non può essere comunicata se non per simboli e parabole, spesso di non facile interpretazione.
Infatti, in alcune scuole buddhiste, si fa differenza tra chi raggiunge l’Illuminazione e chi, dopo aver raggiunto l’Illuminazione, ha anche la capacità di esporre la Dottrina in termini comprensibili almeno per le menti più evolute.
In una sola occasione il Buddha affrontò questi temi quando espose la dottrina della “produzione condizionata”.
Questa è la catena degli eventi metafisici per i quali l’uomo si trova precipitato nel mondo sensibile.
Abbiamo usato la parola “eventi”, ma chiariamo subito che qui si tratta di una sequenza atemporale: il Tempo e lo Spazio sono prerogative del mondo sensibile mentre la catena della produzione condizionata avviene fuori e prima del tempo: è un processo istantaneo ed immediato. Avviene “qui ed adesso” ed è la causa del punto di vista illusorio in cui si trova l’uomo.
Usando la terminologia di altre Tradizioni Esoteriche, potremmo dire che si tratta della descrizione degli stadi della “caduta”, cioè di quel processo istantaneo per il quale nasce nell’essere senziente l’illusione di un io individuale e di un mondo esterno e “diverso” da questo io.
In effetti l’uomo è solo prigioniero di un punto di vista erroneo ma, con uno sforzo che non è da tutti, ha la capacità di liberarsene e, quando ciò avviene, la sua natura reale gli appare istantaneamente in una tale semplicità per cui egli poi si chiede “come è possibile che per innumerevoli esistenze sono stato vittima di questa illusione?”.
La catena della produzione condizionata prende l’avvio da un errore, uno sciagurato errore, che nel Buddhismo viene chiamato Avidya, tradotto in Occidente quasi sempre col termine “ignoranza”.
Si tratta di una “Ignoranza Metafisica” che, istantaneamente, dà l’avvio ad una serie di stadi atemporali il cui risultato finale è la nascita dell’io individuale.
Riportiamo qui la catena dei 12 anelli così come la espose il Buddha:

L’Ignoranza produce l’azione (nascono il karma ed il principio di causalità).
L’azione produce la coscienza individuale.
La coscienza individuale produce i fenomeni mentali (nome e forma).
I fenomeni mentali producono le sei sfere sensoriali.
Le sei sfere sensoriali producono il contatto.
Il contatto produce la sensazione.
La sensazione produce il desiderio.
Il desiderio produce l’attaccamento.
L’attaccamento produce l’esistenza.
L’esistenza produce la nascita.
La nascita produce l’invecchiamento e la morte, il dolore, la sofferenza e l’angoscia.

A causa di questa “produzione condizionata”, l’uomo è prigioniero del mondo illusorio da essa creato. Egli si ritrova immerso nel Samsara, l’oceano dell’esistenza, afflitto da un’Ignoranza Metafisica, che lo porta a trovarsi in un punto di vista errato. Irreale è il mondo “esterno”, ma irreale è anche l’io che lo percepisce.
 
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L’UOMO SUPERIORE SECONDO IL BUDDHISMO

“Pochi sono fra gli uomini quegli esseri che toccano l’altra sponda: tutta questa altra gente, invece, corre su e giù per la spiaggia”. (Dhammapada – Canone Buddhista)

Tra le quattro caste dell’Induismo, quella dei brahmana era la prima e la più nobile.
Nel Sutta Nipata (Canone Buddhista) si narra di una disputa sorta tra due discepoli del Buddha: un brahmano è tale per nascita o per le sue azioni ?
I due discepoli si recarono dall’Illuminato per conoscere la sua opinione su questa questione.
Ecco la risposta del Buddha:
“Io non chiamo brahmano chi tale è nato da un grembo materno.
Colui il quale, avendo reciso tutti i legami, non è soggetto a turbamento, che ha superato l’attaccamento, che è svincolato, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale, innocente, sopporta insulti, percosse e cattività, che fa uso dell’arma potente della sopportazione, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale è immune dall’ira, osservante della norma, di retti costumi, non borioso, domato, giunto alla sua ultima esistenza, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale non si attacca ai desideri, come l’acqua non aderisce alla foglia del loto, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale realizza in questa vita l’annientamento del proprio dolore, che, svincolato dal giogo, ha deposto il fardello, quello io chiamo brahmano.
Il saggio dotato di profonda conoscenza, che ha l’esatta percezione della retta e della non retta via, che ha raggiunto il sommo bene, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale non entra in dimestichezza ne con i padri di famiglia, ne con i senza casa, che vive senza dimora, che si contenta di poco, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale, astenendosi da ogni violenza verso gli esseri viventi mobili ed immobili, non percuote e non uccide, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale si mantiene imperturbabile tra i perturbati, calmo fra i violenti, libero da attaccamenti tra coloro che ne sono schiavi, quello io chiamo brahmano.
Colui che ha lasciato cadere dal suo animo concupiscenza, odio, superbia ed ipocrisia, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale adopera un linguaggio corretto, istruttivo e rispondente al vero, senza adirarsi con alcuno, quello io chiamo brahmano.
Colui che non prende nulla al mondo che non gli venga dato, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale non ripone alcun desiderio, ne in questo mondo, ne in un altro, che a nulla è legato, che è distaccato, quello io chiamo brahmano.
Colui nel quale non albergano passioni, che, per mezzo della Conoscenza, si è liberato dal dubbio, che è immerso nell’immortalità, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale si è svincolato in questa vita dal merito e dal demerito, che è libero dall’afflizione, senza macchia, puro, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale è immacolato, incontaminato, puro, limpido come la Luna, che si è spogliato del desiderio dell’esistenza, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale ha superato quest’impraticabile pantano del mondo sensibile e della confusione mentale, che ha attraversato il torrente ed ha raggiunto l’opposta riva, che è dedito alla Conoscenza, libero da desideri, libero dal dubbio, distaccato, estinto, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale, essendosi spogliato dei desideri, abbraccia la vita errante del senza tetto, quegli in cui è esaurita la brama dell’esistenza, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale si è liberato dagli attaccamenti umani ed ha superato gli attaccamenti divini, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale, avendo deposto desiderio ed avversione, si è acquietato e non agogna alla rinascita, cha ha virilmente sottoposto tutti i mondi, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale conosce alla perfezione il perire ed il rinascere di tutti gli esseri viventi, che è distaccato, beato, svegliato, quello io chiamo brahmano.
Colui del quale ne gli dei ne gli uomini conoscono il cammino, il santo che ha distrutto i legami, quello io chiamo brahmano.
Colui nel quale non v’è alcun attaccamento ne al passato, ne al futuro, ne al presente, che di nulla ha il possesso, che di nulla è avido, quello io chiamo brahmano.
Colui che è come un toro, nobile, forte, saggio, vittorioso, senza desideri, compiuto, svegliato, quello io chiamo brahmano.
Colui il quale è conscio delle sue precedenti esistenze, che vede il cielo e l’inferno, che ha raggiunto l’annientamento della possibilità di rinascere, quello io chiamo brahmano.
Non per nascita si è brahmano, non per nascita si è non brahmano. Per le azioni si è brahmano, per le azioni si è non brahmano”.

 
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LO STATO DI “ILLUMINAZIONE”


Tutti gli esseri viventi hanno la natura di Buddha, ma ne sono inconsapevoli.
Prigionieri nel loro mondo mentale ed attaccati all’illusione di un io individuale, sono monadi senza ne porte ne finestre ( per dirla alla Leibniz), ognuna dotata di una propria rappresentazione mentale dalla quale è impossibile uscire.
Credono esterno e reale tutto ciò che invece è realtà esclusiva della propria mente e dividono il loro mondo mentale in due poli illusori: un io ed un mondo esterno all’io.
Eppure basta un attimo per rovesciare questa situazione: fermando la mente si risale all’unico Testimone dell’intera rappresentazione mentale, Colui che è sia l’io individuale, sia le cose “esterne” all’io, Colui che vede attraverso miliardi di occhi, che sente attraverso miliardi di orecchie, Colui che tocca attraverso miliardi di mani.
Il tragico Errore che incatena gli esseri viventi è solo un punto di vista sbagliato: nel nostro piano dell’esistenza, l’Unico Vero Esistente, l’Assoluto, l’Uno, il Principio Supremo è frammentato nella miriade di esseri viventi inconsapevoli di essere Lui:
“Questo supremo Brahman, anima universale, immensa dimora di tutto ciò che esiste, più sottile di ogni cosa sottile, costante: in verità é te stesso, perché Tu sei Quello” (Kaivalya Upanishad, I, 16).
Quando un uomo raggiunge lo stato detto di “Illuminazione” è preso da grande meraviglia: “come è possibile che, per innumerevoli esistenze, in innumerevoli mondi, umani, bestiali o divini, in innumerevoli piani dell’esistenza, sono stato vittima di tale errore e non ho mai conosciuto la mia vera natura ?”
Eppure tra miliardi di esseri viventi, solo pochissimi sono riusciti a rovesciare questo punto di vista sbagliato, a conoscere la loro vera natura, a congiungersi con l’Assoluto, a raggiungere l’Illuminazione.
Sicuramente più efficace di quanto ho scritto finora, è quanto leggiamo nella Bhagavad Gita:
“Colui che non è chiamato né esistente né inesistente. Egli è presente nel mondo, avvolgendo tutto. Le Sue mani e i Suoi piedi sono dappertutto. i Suoi occhi e le Sue orecchie sono da tutte le parti. le Sue bocche e le Sue teste sono ovunque. Splendente in tutte le funzioni dei sensi e tuttavia trascendente i sensi; non attaccato alla creazione e tuttavia il Sostegno di tutto; libero dai costituenti e tuttavia Colui che ne gode. Egli è dentro e fuori tutto ciò che esiste, l’animato e l’inanimato; Egli è nel contempo vicino e lontano; impercettibile a causa della Sua sottigliezza. Egli, l’Uno Indivisibile, appare come innumerevoli esseri. Egli sostiene e distrugge le loro forme, e poi le crea di nuovo. Luce di tutte le Luci, al di là dell’oscurità; Conoscenza stessa, Quello che dev’essere conosciuto, la Meta di ogni sapere, Egli dimora nei cuori di tutti”.
La via per raggiungere lo stato di Illuminazione non è una Religione e non è nemmeno una Flilosofia. E’ una Scienza, una Scienza antichissima tramandata fin dai tempi più remoti.
Purtroppo le parole sono insufficienti per descrivere questa Scienza. Nessuno di coloro che, nella storia dell’Umanità, hanno raggiunto l’Illuminazione, ha mai scritto niente.
Alcuni di loro, per compassione, hanno ripreso temporaneamente lo stato illusorio del nostro piano dell’esistenza ed hanno tentato di indicare la via.
Quando sulle loro parole sono state fondate Chiese e Religioni, si è trattato esclusivamente di un grande equivoco.
Certamente, per chi è solo agli inizi del suo cammino, qualsiasi Religione è di grandissima utilità, ma poi, una volta attraversato in barca il fiume da una sponda all’altra, sarebbe assurdo continuare il cammino mettendosi la barca sulle spalle: è necessario abbandonarla.
“Il saggio, dopo aver studiato i trattati della conoscenza religiosa e profana, abbandoni completamente tali trattati, come colui che cercando il seme abbandona la scorza” (Brahmabindù Upanishad,18).
Da un certo punto in poi l’asceta è completamente solo: non vi sono più sacre scritture, non vi sono più divinità che vengono in suo soccorso, non vi è un Salvatore. Il mondo divino è egualmente prigioniero della manifestazione e nessun dio può mai essere superiore ad un Buddha, un illuminato.
L’Asceta dovrà restare imperturbabile man mano che, nella sua ascesa, altri mondi ed altri piani della realtà gli si presenteranno. Sopratutto non si dovrà lasciare incantare da alcuno di essi, cosciente della loro illusorietà. Quando raggiungerà lo stadio in cui potrà compiere azioni miracolose, assolutamente non dovrà mai usare questi suoi poteri.
Fermo, Impassibile, solitario, imperturbabile, con la mente salda percorrerà il suo cammino fino alla meta finale.
Bisogna osservare che, in questo cammino, molti stadi di Coscienza Superiore raggiunti, ci possono far illudere di aver raggiunto l’Illuminazione, ma non dobbiamo lasciarci ingannare: l’Illuminazione è evidente di per se e, quando si manifesta repentinamente, è inconfondibile e non lascia alcun dubbio, a differenza degli stadi che abbiamo appena menzionato.
Abbiamo detto che la via è indicata da tutte le Tradizioni più antiche, sotto forma di simboli, miti, scritture sacre, parabole etc… ma ogni essere umano vi riuscirà a cogliere solo ciò che gli permette il suo stato di evoluzione spirituale in quel momento.
Personalmente riteniamo che il messaggio forse più limpido ed esplicito per quest’ultima era sia quello del principe Siddharta Gotamo che, da quando raggiunse l’Illuminazione, fu detto il Buddha, l’Illuminato.
Ma precedentemente altri uomini avevano raggiunto questo stato: asceti che, nel subcontinente indiano, migliaia di anni fa, si ritirarono per anni nelle foreste. Alcuni di loro raggiunsero effettivamente lo stato di Illuminazione e, dalle loro esperienze, derivarono gli scritti dei Veda e delle Upanishad.
Sopratutto queste ultime possono essere estremamente utili nella fase iniziale del cammino, così come anche le tecniche dello Yoga, che, se praticate correttamente, possono predisporre la mente ad intraprendere la via.

 
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L’OTTUPLICE SENTIERO


L’uomo è prigioniero in un mondo illusorio, vittima di un punto di vista errato. Non è cosciente di una situazione che, se ci fermiamo un attimo a meditare, è estremamente evidente: non vi è nulla di esterno alla propria mente.
All’interno della mente si creano due falsi poli: un io individuale ed un mondo “esterno”.
Questa costruzione illusoria è ottenuta mediante le due categorie dello Spazio e del Tempo che non hanno alcuna realtà oggettiva, ma sono solo strumenti dell’io individuale per “ordinare” il suo fittizio mondo mentale.
La distruzione di questo dualismo (io – mondo esterno) porta prima alla conoscenza e poi all’identificazione con l’unico Testimone che, nell’Universo apparente, vive la rappresentazione mentale di tutti gli esseri viventi.
Lo stato raggiunto viene spesso chiamato “illuminazione” o “liberazione” ed avviene in un attimo.
Il Testimone è l’Assoluto, il Principio Supremo, l’Unica Realtà, l’Uno che non può essere definito ne esistente ne non esistente.
Leggiamo nel Vangelo di Tommaso: “Gesù disse: il Regno dei Cieli è dentro di voi e fuori di voi”.
Nella storia dell’umanità pochissimi esseri hanno raggiunto questo stato di illuminazione ed alcuni di loro, per compassione, hanno tentato di indicare la via per raggiungerlo.
Questa via è lunga e difficile e, per chi crede nella reincarnazione, comporta milioni di rinascite come esseri viventi vittime del modo illusorio.
Disse Gesù: “Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che mena alla perdizione, e molti son quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta ed angusta la via che mena alla vita, e pochi son quelli che la trovano” (Vangelo di Matteo – 7,13).
Tra gli uomini che hanno raggiunto l’Illuminazione vi fu il principe Siddharta Gautama, successivamente denominato il Buddha, l’illuminato.
Egli ha spiegato, attraverso l’esposizione delle quattro nobili verità e la dottrina della produzione condizionata, come e perchè l’uomo si trova precipitato in questa prigione mentale, vittima della credenza dell’esistenza di un io individuale e di un mondo “esterno”.
Ha poi indicato la via per liberarsi da questa prigione, via che Egli stesso denominò “ottuplice sentiero”, che è l’argomento di questa breve nota : retta visione – retta intenzione – retta parola – retta azione – retta sussistenza – retto sforzo – retta presenza mentale – retta concentrazione.
Queste sono otto ripartizioni di un’unica via che vanno percorse contemporaneamente.

1) Retta visione:
Significa la giusta comprensione della Dottrina che abbiamo esposto sopra e delle quattro nobili verità che qui riportiamo:

Prima nobile verità:
La nostra condizione è sofferenza: La nascita è dolore – la vecchiaia è dolore – la malattia è dolore – la morte è dolore – essere vicino a ciò che non piace è dolore – essere lontano da ciò che si desidera è dolore – non ottenere ciò che si desidera è dolore – l’aggregazione degli elementi che causa la nostra effimera esistenza è dolore.
Si noti che qui il concetto di “dolore”, o meglio “condizione dolorosa”, è molto più ampio di quanto siamo soliti intendere noi: è uno stato costante di agitazione, turbamento, desiderio, attaccamento, repulsione, paura. In questo senso anche il piacere è dolore.
Chi non è ancora in grado di intendere questa verità, non può intraprendere il cammino: è ancora troppo invischiato nel suo mondo illusorio.

Seconda nobile verità:
la causa di questa condizione è l’ignoranza del nostro vero stato: l’origine del dolore è nella credenza dell’esistenza reale del proprio io. Questa è dovuta all’ attaccamento ad un mondo esterno che è altrettanto irreale. Questo attaccamento si manifesta come brama di esistere, brama di oggetti sensuali, ricerca della felicità in ciò che è transitorio. L’attaccamento è causato dall’ Ignoranza (intesa in senso metafisico).

Terza nobile verità:
Essere coscienti della necessità di liberarsi da questa condizione.

Quarta nobile verità:
Esiste una via per liberarsi da questa condizione.

2) Retta intenzione:
E’ la ferma decisione di intraprendere la via con la consapevolezza che l’asceta è solo in questo cammino, non vi sono divinità che vengono in suo soccorso, non vi è un Salvatore. Il mondo divino è egualmente prigioniero della manifestazione illusoria e nessun dio potrà mai essere superiore ad un Buddha, un illuminato.
Fermo, Impassibile, solitario, imperturbabile, con la mente salda egli percorrerà l’ottuplice sentiero.
In questa fase si deve avere il coraggio di rompere tutti i legami affettivi ed ogni forma di attaccamento.
Leggiamo le parole di Gesù nel Vangelo:
“Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, moglie e figli, fratelli e sorelle e perfino la sua propria vita, non può essere mio discepolo” (Vangelo di Luca 14,26).
Capisco che sono parole dure, ma questa è la realtà: la via è stretta e difficile.

Le successive tre ripartizioni del sentiero, retta parola, retta azione e retta sussistenza riguardano la “moralità” ed il comportamento dell’asceta e vi troviamo tante analogie con quanto leggiamo nel Nuovo Testamento Cristiano.

3) Retta parola:
L’asceta, dal momento che avrà intrapreso la via, si asterrà dal mentire, dal calunniare, dal parlare di cose futili, dal dire cose false o offensive. Il suo parlare sarà proprio e dolce. Questo punto ci ricorda la frase di Gesù: “il vostro parlare sia ‘si, si; no, no’, tutto il resto viene dal Maligno” (Vangelo di Matteo – 5,37).
E’ dal controllo della parola che inizia il controllo della mente.

4) Retta azione:
L’ asceta si asterrà dall’uccidere qualsiasi essere vivente, dal rubare, dai rapporti sessuali. Si asterrà anche da qualsiasi sentimento impuro come l’invidia e l’odio.

5) Retta sussistenza:
L’asceta vivrà in modo equilibrato, sarà moderato nel mangiare, si asterrà da bevande o sostanze inebrianti, si procurerà lecitamente i mezzi di sussistenza. Non mangerà nulla che comporti l’uccisione di un essere vivente.

Le successive tre ripartizioni del sentiero Retto sforzo, retta presenza mentale e retta concentrazione riguardano invece le difficili azioni necessarie per trascendere il mondo mentale ed il dualismo io – non io. Queste azioni vengono intraprese consapevolmente da chi pratica la retta visione e la retta intenzione, ma spesso vengono praticate anche inconsapevolmente come è accaduto per i grandi mistici cristiani, per i Sufi islamici e per i Rishi induisti.
Per compiere nel migliore dei modi queste azioni, sono di grande utilità le tecniche di meditazione che riguardano sia la migliore posizione del corpo da assumere (asana), sia le tecniche di controllo del respiro (pranayama), sia i veri e propri “esercizi” mentali insegnati dai Maestri.

6) Retto sforzo:
La mente umana è come una scimmia che salta di ramo in ramo. I pensieri e gli stati mentali sorgono e scompaiono indipendentemente dalla nostra volontà. L’asceta analizzera e dominerà questi stati, fino ad ottenere il silenzio nella mente. In questa fase avviene il ritiro dei sensi dagli oggetti ed il ritorno alla loro vera origine.

7) Retta presenza mentale:
L’asceta ora dimora da estraneo nella mente. Osserva i pensieri e le sensazioni che vanno e vengono. Egli ancora dimora nella mente, ma lo fa osservando la mente. L’asceta assume la capacità di fissare gli stati mentali raggiunti che non perderà più e la capacità di dominare e placare l’euforia dovuta ai successi ottenuti.

8) Retta concentrazione:
L’asceta fermo, Impassibile, solitario, imperturbabile, con la mente salda, sperimenta successivamente la beatitudine, la tranquillità della mente, il superamento del dualismo io – non io, lo stato al di sopra della gioia e del dolore.
In questa fase scompare ogni distinzione tra soggetto ed oggetto e l’asceta sperimenta il suo essere reale.
Purtroppo non sono possibili istruzioni per quest’ultimo punto. Le parole sono insufficienti. Nel corso dei secoli, migliaia di asceti, partiti da tradizioni religiose e filosofiche differenti, si sono ritirati in solitudine, chi nel deserto, chi nella foresta, ma pochissimi di loro hanno raggiunto la meta.

 
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IL SERMONE DI BENARES (TESTO INTEGRALE)


Riportiamo in questa nota il “Discorso di Benares” nel quale il Buddha espose per la prima volta la via per la liberazione dell’uomo dall’illusione del mondo sensibile.
Fiumi d’inchiostro e migliaia di libri sono stati scritti su queste poche parole, per cui le proponiamo ai lettori nella loro versione originale, senza commenti.
Quando il principe Siddharta Gautama, nella località di Bodh Gaia, sotto l’albero di Bodhi, raggiunse lìlluminazione e divenne un Buddha, esclamò:
“Ho corso lungo innumerevoli esistenze, sperimentando la vita quale dolore che si rinnova, alla ricerca di chi ha costruito la casa, senza trovarlo.
O artefice! Ora ti ho scoperto, non costruirai più una nuova casa !
Sono infrante le tue travi, quella di colmo e’ crollata: liberata dal ciclo degli impulsi indisciplinati, la mente ha finalmente estinto ogni attaccamento”.
Dice la Tradizione che, raggiunta l’illuminazione, il Buddha si interrogò se dovesse diffondere la Dottrina o se dovesse mantenerla solo per sé, essendo “difficile da comprendere, al di là della ragione, comprensibile solo ai saggi”.
Allora Brahma, il Signore del Mondo, giunse di fronte al Buddha e, inginocchiatosi, lo implorò di diffondere la sua dottrina “per aprire i cancelli dell’immortalità” e permettere al mondo di conoscere la via verso la Liberazione.
In ordine a questo racconto, dobbiamo necessariamente evidenziare che il Mondo divino, pur di ordine superiore a quello umano, è pur sempre parte della manifestazione illusoria dalla quale si è liberato colui che ha raggiunto l’illuminazione, che ormai ne è al di fuori ed al di sopra, da qui l’omaggio e la riverenza del Dio Supremo Brahma nei confronti dell’Illuminato.
Il Buddha umano, mosso a pietà, acconsente ed espone l’Insegnamento a cinque asceti nel famoso “Sermone di Benares”.
Le frequenti ripetizioni presenti in questo testo hanno lo scopo preciso di superarne e trascenderne il significato letterale, così da giungere direttamente al cuore di chi ascolta questo messaggio.
Riportiamo il testo senza commenti, rimandando il lettore ai numerosi articoli che abbiamo scritto sul Buddhismo:

“Due sono a mio avviso, o monaci, i fini estremi della vita ascetica da non perseguire.
Quali sono?
L’uno è ricercare e desiderare il piacere. Questo viene dall’attaccamento, è volgare, non è nobile, non porta alcun profitto.
L’altro estremo è la ricerca dell’ascetismo, dello spiacevole, della sofferenza, della rinuncia, ed è ugualmente penoso e non porta alcun profitto.
Non praticando alcuno dei due estremi, o monaci, l’Illuminato ha realizzato la via di mezzo, che genera la visione, che genera la saggezza, porta la calma, porta la sapienza, porta l’illuminazione, porta il Nirvana.
E qual è, o monaci, questa via di mezzo che porta alla pace, alla conoscenza, al risveglio, al Nirvana? È questa o monaci la via di mezzo, giusta, media che l’Illuminato ha scoperto, questo è iI nobile ottuplice sentiero:

Saggezza:
Retta Opinione
Retto Pensiero

Moralitá:
Retta Parola
Retta Azione
Retta Vita

Meditazione:
Retta Volontá
Retta Attenzione
Retta Concentrazione

Questa, o monaci, è la linea di condotta giusta, media, che l’Illuminato ha scoperto e che genera la visione, genera la saggezza, porta la pace, porta la sapienza, porta l’illuminazione, porta il Nirvana.

E adesso, o monaci, questa è la Nobile Verità del dolore:
La nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore, l’unione con ciò che non è gradevole è dolore, la separazione da ciò che è gradevole è dolore. Il non ottenere ciò che si desidera è dolore.
I cinque aggregati che rappresentano la base dell’attaccamento all’esistenza sono dolore.

E adesso, o monaci, questa è la Nobile Veritá dell’Origine del Dolore:
È la brama, il desiderio, che produce nuove rinascite, che assieme al piacere ed alla passione, cerca sempre godimento ora qua, ora lá. E’ la brama per il godimento degli oggetti dei sensi, la brama per l’esistenza e la brama per la non esistenza.

E adesso, o monaci, questa è la Nobile Veritá della Cessazione del Dolore:
É la totale estinzione e cessazione di questo medesimo desiderio e il suo abbandono, la sua rinuncia, il liberarsi da questo medesimo attaccamento, la sua avversione.

E adesso, o monaci, questa è la Nobile Veritá del Sentiero che Conduce alla Cessazione del Dolore: essa è il Nobile Ottuplice Sentiero, proprio questo:

Retta Opinione
Retto Pensiero,
Retta Parola,
Retta Azione,
Retta Vita,
Retta Volontá,
Retta Attenzione
Retta Concentrazione

Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.

Questa Nobile Veritá del Dolore deve essere intesa. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.

Questa Nobile Veritá del Dolore é stata intesa. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.

Questa Nobile Veritá dell’Origine del Dolore deve essere sradicata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.

Questa Nobile Veritá dell’Origine del Dolore é stata sradicata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.

Questa Nobile Veritá della Cessazione del Dolore deve essere realizzata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.

Questa Nobile Veritá della Cessazione del Dolore é stata realizzata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.

Questa Nobile Veritá che Conduce alla Cessazione del Dolore deve essere praticata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.

Questa Nobile Veritá che Conduce alla Cessazione del Dolore é stata praticata. Proprio cosí, o monaci, in relazione a cose anteriormente a me sconosciute, sorse la visione, si originó la conoscenza, sorse la saggezza, si originó la sapienza e venne la luce.

Finchè, o monaci, la conoscenza e la visione profonda rispetto a queste Quatro Nobili Veritá nella loro realtá dei tre modi e dodici aspetti non mi furono totalmente manifeste, non rivelai a tutto il Mondo Divino ed a tutto il mondo umano che avevo realizzato correttamente in me la incomparabile illuminazione.

Quando, o monaci, la conoscenza e la visione profonda rispetto a queste Quattro Nobili Veritá nella loro realtá dei tre modi e dodici aspetti mi fu totalmente manifesta, allora rivelai a tutto il Mondo Divino ed a tutto il mondo umano che avevo realizzato correttamente in me la incomparabile illuminazione.

E sorse in me la conoscenza e la profonda visione: Irreversibile é la liberazione della mia mente.
Questo é la mia ultima nascita. Non c’é una nuova esistenza.”

Una corretta meditazione sul Discorso di Benares ci potrà ora far comprendere nel suo profondo significato quanto, più tardi, disse il Buddha:

“Esiste, o monaci, un non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato. Se non ci fosse questo non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato, non si potrebbe scorgere via di scampo dal nato, evoluto, fatto, condizionato. Ma poiché, invece, c’è un non nato, non evoluto, non fatto, non condizionato, si scorge una via di scampo dal nato, evoluto, fatto, condizionato”.

 
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DHAMMAPADA BUDDHISTA – VERSI SCELTI


Il Dhammapada è uno scritto del Canone buddhista formato da 423 versi suddivisi in 26 sezioni.
Ne ho scelto alcuni per i lettori del Blog.

Quelli che raggiungono l’altra sponda sono pochi. I più vagano avanti e indietro, senza fine, su questa sponda, non arrischiandosi al viaggio.

Per vite innumerevoli ho vagato cercando invano il costruttore della casa della mia sofferenza. Ma ora ti ho trovato, costruttore di nulla da oggi in poi. Le tue assi sono state rimosse e spezzata la trave di colmo. Il desiderio è tutto spento. Il mio cuore, unito all’increato.

Il re della morte non riesce a scovare chi vede il mondo come insostanziale, fugace, illusorio, un semplice miraggio.

Una volta presi nella rete, rari sono gli uccelli che sfuggono. In questo mondo di illusione rari sono coloro che vedono una via alla libertà.

Il risvegliato può solo indicare la via: siamo noi a doverla percorrere. Chi con saggezza riflette e intraprende il sentiero è libero dai ceppi dell’illusione e della morte.

I risvegliati che hanno assaporato la libertà da ogni distrazione, coltivando la consapevolezza, vedono tutti i sofferenti alla luce della compassione, come chi dalla cima di una montagna osservi la pianura.

Ci sono esseri che percorrono l’arduo sentiero che passa per la rischiosa palude delle passioni corrosive, attraversano l’oceano dell’illusione, l’oscurità dell’ignoranza e vanno oltre.

Essenza di un grande essere è comprendere ogni dimensione delle esistenze passate, vedere con precisione tutti i mondi, raggiungere la fine delle rinascite, conoscere con profonda chiarezza tutto ciò che è da conoscere, liberare il cuore dall’ignoranza.

“Tutte le cose condizionate sono impermanenti”: quando lo comprendiamo direttamente e profondamente ci sentiamo stanchi di questa vita di sofferenza. E’ questa la via che conduce alla purificazione.

E’ tempo per te di presentarti al signore della morte. Non ci sono soste in questo viaggio, eppure quali preparativi hai fatto?

Quando si avvicina la morte, nessuno dei tuoi ardenti attaccamenti ti proteggerà. Ricordalo e con saggia disciplina e risoluto sforzo affrettati ad aprirti una strada verso la libertà.

Lasciando cadere desiderio e orgoglio, sradicando le visioni errate e superando gli illusori attaccamenti del mondo dei sensi, procede libero il nobile d’animo.

Avendo sgombrato il sentiero da tutti gli ostacoli, avidità, rabbia, fiacchezza e pigrizia, inquietudine, ansia e dubbio, procede libero il nobile d’animo.

Come il fabbro forgia una freccia, così il saggio trasforma la mente di per sé irrequieta, instabile e difficile da governare.

Essere insoddisfatti e inappagati e tuttavia cercare ancora solo i fiori casuali dei piaceri dei sensi sottomette al dominio del distruttore.

I costruttori di canali convogliano il flusso dell’acqua. Il fabbro forgia le frecce. Il falegname lavora il legno. Il saggio doma se stesso.

Come una solida roccia non è scossa dal vento, imperturbato è il saggio dalla lode e dal biasimo.

Non c’è luogo sulla terra, non caverna di montagna, non oceano né cielo dove sfuggire le conseguenze delle cattive azioni.

Non c’è luogo sulla terra, non caverna di montagna, non oceano né cielo dove la morte non allunghi su di te la mano.

Guarda questo corpo un tempo imbellettato: sapeva attrarre l’attenzione ma ora non è che carne che va guastandosi, semplice putridume. Non è né solido né reale.

Questo corpo con gli anni si consuma. La malattia è sua ospite. Vulnerabile, fragile è un ammasso decrepito che va disintegrandosi e infine svanisce nella morte.

Il corpo fisico non è che ossa coperte di carne e sangue. Dentro ammassati sono decadimento e morte, orgoglio e malignità.

Chi commette il male si comporta verso se stesso come il peggiore dei nemici. Come il rampicante che soffoca l’albero che lo sorregge.

Se conosci la tua strada percorrila fino in fondo. Non permettere alle richieste degli altri, per quanto insistenti, di distrarti.

Vieni, contempla questo mondo. Guardalo: è un carro addobbato a festa. Vedi come gli stolti ne sono rapiti mentre il saggio non nutre attaccamento.

Meglio del dominio sul mondo intero, meglio dell’andare in paradiso, meglio che comandare l’universo, è dedicarsi alla Via senza ripensamenti.

Smetti di fare il male, coltiva il bene, purifica il cuore. E’ questa la Via del Risvegliato.

E’ sempre un piacere non avere a che fare con gli stolti. Fa sempre bene incontrare chi è nobile d’animo ed è una gioia viverci insieme.

Guardati dall’attaccamento che nasce dall’affetto perché separarsi da chi ci è caro è doloroso. Se invece non assecondi né osteggi l’affetto non ci sarà schiavitù.

Rinuncia alla rabbia. Lascia cadere l’orgoglio. Liberati da tutto ciò che ti tiene legato. Il puro di cuore che non si aggrappa né al corpo né alla mente, non cade preda della sofferenza.

Nulla brucia come la passione, nulla ostacola come l’odio, nulla imprigiona come l’illusione e nulla travolge come il desiderio.

Quelli che ancora causano sofferenza agli esseri viventi non li si può chiamare realizzati. Chi è spiritualmente realizzato si comporta in modo da non ferire nessuno.

Se segui il sentiero arriverai alla fine della sofferenza. Avendolo visto di persona insegno la Via che toglie tutte le spine.

Se, pur giovane e forte, rimandi di agire quando sarebbe necessario, perso in sbadate fantasie, non potrai scorgere mai la Via e la sua saggezza.

Come un’alluvione può travolgere un intero villaggio, così chi è catturato da relazioni e possessi, è trascinato via dalla morte.

Il desiderio non contenuto cresce come rampicante nella foresta. Perdendocisi dentro, si salta qua e là come una scimmia, di albero in albero, cercando frutti.

Catturati nelle abitudini del desiderio, siamo colti dal panico come conigli presi in trappola. Se si vuole uscire dalla trappola è dal desiderio che ci si deve liberare.

La saggezza sa che essere dietro le sbarre o in catene imprigiona meno dell’infatuazione per gli oggetti e dell’ossessione delle relazioni. Questi legami, seppure non altrettanto evidenti, sono potenti e ci incatenano. Rinunciare all’attaccamento al mondo dei sensi significa essere liberi dalla prigione del desiderio.

Come un ragno prigioniero della sua stessa tela, un essere irretito dal desiderio dei sensi deve liberarsi dalle sue passioni per tornare libero.

Per chi ha raggiunto la meta, non c’è più bisogno di una nuova forma: è libero da paura e desiderio. Estirpate sono le spine dell’esistenza.

Non riconosco altri come miei maestri poiché da me stesso sono giunto alla saggezza che tutto vince, tutto comprende, a tutto rinuncia: interamente liberato da ogni desiderio.

Lamentarsi della propria sorte o invidiare i privilegi degli altri, ostacola la pace della mente.

Quando i saggi dimorano nella contemplazione della natura impermanente del corpo e della mente e di tutta l’esistenza condizionata, provano gioia e contentezza penetrando fino a ciò che è intrinsecamente sicuro.

Con impegno interrompi la corrente del desiderio e abbandona le passioni dei sensi, riconoscendo i limiti di tutto ciò che ha una forma, realizza l’increato.

Come l’acqua scivola da una foglia di loto, così i piaceri dei sensi non aderiscono a un grande essere.

Chi conosce la libertà di aver abbandonato il fardello dell’attaccamento al corpo-mente, lo chiamo un grande essere.

Il cuore di un essere grande è libero. I grandi esseri non bramano più le cose di questo mondo o di un qualunque altro mondo.

 
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SAMSARA, CICLO DELLE RINASCITE E REINCARNAZIONE


La migliore traduzione del termine sanscrito “Samsara” è “Oceano dell’esistenza”, cioè l’insieme di tutti i piani di esistenza illusori e compenetrati, tra i quali quello umano, tutti privi di realtà e tutti caratterizzati da uno stato di sofferenza.
Tutto il Samsara (anche i piani superiori a quello umano) è caratterizzato da dolore e sofferenza e, soprattutto, è illusorio ed insostanziale, un vero e proprio miraggio, causato dall’Avidya (Ignoranza Metafisica) delle miriadi di esseri che lo popolano.
Tutti gli esseri esistenti, siano essi divini, umani o subumani, sono vittime di questa illusione e di questo stato di sofferenza, anche se, nella maggioranza dei casi, non ne sono consapevoli.
E’ difficile per l’uomo occidentale attuale rendersi conto che il suo è uno stato di dolore e sofferenza, in quanto non ha nessuna esperienza o consapevolezza dello stato di conoscenza superiore, che, nel suo più alto grado, consiste nella suprema Illuminazione (Bodhi) con la identificazione con l’unico Reale Assoluto e col riconoscimento dell’illusorietà di tutti i piani dell’esistenza, compreso quello divino.
In realtà il Samsara è lo stesso unico Reale Assoluto, percepito in maniera errata da esseri la cui esistenza è puramente illusoria.
Alcuni tra i pochissimi esseri umani che hanno realizzato la Bodhi assoluta, per compassione, hanno tentato di far conoscere all’uomo questa verità anche se, nella maggior parte dei casi, sono stati poco compresi se non totalmente incompresi.
Sulle loro parole sono state infatti spesso costruite chiese e religioni dai dogmi infantili e spesso fantasiosi, privi di alcuna aderenza alla realtà.
Tutto quanto abbiamo esposto ed andremo ad esporre proviene dalla esperienza diretta di questi uomini, che, in seguito a milioni di rinascite in tutti i piani dell’esistenza, sono finalmente riusciti a liberarsi dalle catene del Samsara.
Tutto il Samsara è governato dalla legge del Karma.
Proprio come le leggi matematiche, chimiche e fisiche che dominano il nostro mondo materiale, così la legge del Karma è automatica, non ha riguardo per nessuno e non può in nessun modo essere infranta, superata o aggirata.
Non è la legge di un Dio creatore che potrebbe variarne i suoi effetti in favore di qualche creatura, ma è una legge universale, assoluta, inesorabile, oseremo dire meccanica, alla quale è rigidamente sottoposto anche l’ambiente divino. Nessuno ha il potere di infrangerla.
Qualsiasi azione un essere compia, questa genera un effetto. Questa è la legge del Karma.
L’insieme di tutte le azioni che un essere compie dalla nascita alla morte è causa della nascita di un altro essere vivente nel piano animale, umano, diabolico, divino o in qualsiasi altro piano dell’esistenza visibile o non visibile, da noi conosciuto o sconosciuto.
Questo nuovo essere nulla sa e, tranne nel caso di esseri estremamente evoluti spiritualmente, nulla può sapere del precedente essere vivente che ha causato la sua nascita, ma, nel bene e nel male, subisce tutte le conseguenze delle azioni del precedente essere vivente che ha causato la sua venuta al mondo.
Questo stato di cose viene comunemente chiamato “reincarnazione”.
Dunque con la morte non si sfugge al Samsara, ma, dopo un breve periodo di esistenza intermedia, denominato Bardo, si torna nel mondo del dolore e della sofferenza, in una condizione determinata dalla qualità del Karma accumulato.
Sono innumerevoli i piani dell’esistenza nei quali si può rinascere, ma, secondo le dottrine orientali, possono essere classificati in sei grandi categorie: il piano degli dei (Deva), il piano dei semidei (Asura), il piano umano, il piano animale, il piano degli spiriti famelici (Preta) ed il mondo degli esseri infernali (Naraka).
Questi stati rappresentano diversi piani di esistenza nel Samsara, ma, essendo compenetrati, talvolta possono entrare in contatto tra loro.
Nessuna meraviglia dunque per eventuali miracoli ed apparizioni o se, talvolta, riti e preghiere da parte umana hanno una reale efficacia: L’uomo ha la possibilità di entrare in contatto con entità di altri piani dell’esistenza ed ha sempre tentato di farlo per ottenerne grazie e favori.
A tale scopo, da tempo immemorabile, egli usa preghiere, riti, processioni, feste religiose ed altro. Questi strumenti possono avere una certa efficacia in quanto possono avere un’azione che oseremo definire meccanica ed automatica: se eseguite correttamente, le forze e le entità invocate vengono imbrigliate e quasi costrette ad eseguire le richieste degli officianti.
Prima di descrivere brevemente queste sei categorie di piani dell’esistenza, è bene chiarire che, per un essere umano, la rinascita in un mondo divino non è un fatto positivo, in quanto la durata di questo stato è lunghissima e di ostacolo al conseguimento della liberazione dalle catene dell’illusione.
I Deva sono suddivisi in tre gradi: il superiore nel quale non hanno forma, il mediano nel quale sono dotati di forma fisica e l’inferiore nel quale sono dotati di forma fisica e caratterizzati da passioni simili a quelle umane.
In particolare, nel grado inferiore dei Deva, soggiornano i Bodhisattva, quei pochi esseri umani che hanno raggiunto l’Illuminazione e che, per compassione, hanno scelto di insegnare la via della liberazione dalle catene del Samsara ad uomini e dei, prima di fondersi definitivamente con l’Uno universale.
In questo senso i Bodhisattva (come Gesù o Buddha, per esempio) possono essere ritenuti parte del mondo divino.
Al di sotto del mondo dei Deva, troviamo il mondo degli Asura.
Questi, che potremmo definire semidei, vittime e schiavi di passioni e gioie, stanno in relazione con i Deva come gli animali sono in relazione con l’uomo.
Al di sotto dello stato degli Asura, vi è il piano di esistenza umano.
Ai fini del conseguimento dell’illuminazione, questo è il piano privilegiato: mentre i Deva sono ostacolati dal loro stato illusorio di beatitudine e gli Asura dal loro essere vittime di gioie e passioni, l’uomo ha la possibilità di intraprendere la “via di mezzo”, mantenendosi equidistante ed impassibile rispetto ai due stati.
Esistono poi anche stati inferiori al piano di esistenza umano e degli animali: il modo dei Preta e quello dei Naraka.
I Preta, chiamati anche spiriti affamati, sono esseri elementari completamente vittime delle loro passioni che vagano invisibili nel mondo umano.
E’ talvolta possibile per gli esseri umani entrare in contatto con essi, che spesso sono parenti defunti precipitati in questa condizione a causa del loro karma negativo.
I Naraka vivono in uno stato infernale causato dal karma negativo accumulato in una vita umana o in uno stato superiore a quello umano, ma, a differenza dei condannati all’inferno delle religioni semitiche, anche per loro ci sarà un giorno la possibilità di reincarnarsi in uno stato superiore. Non si trovano dunque nella loro condizione a causa del giudizio di una divinità, ma per la legge inesorabile del karma.
Abbiamo detto che, con la morte, non si ottiene la liberazione del Samsara: l’essere umano ha solo il breve arco della sua vita per ottenere questo scopo. Se fallisce è condannato a ritornare nell’Oceano dell’Esistenza, in uno dei mondi illusori esistenti.
L’uomo ha però ancora una possibilità di agire nel breve periodo del Bardo (intervallo tra la morte e la rinascita), cercando di ottenere, con un supremo sforzo, la liberazione o, in via subordinata una buona rinascita, preferibilmente nel piano di esistenza umano. Ma tutto dipende dalla qualità del suo Karma accumulato.
Ma come si ottiene un buon Karma nel breve arco di un’esistenza umana ?
Per esseri che si trovano ancora in un basso stato di spiritualità e quindi sono ancora vittime di passioni, legami, desideri etc … vanno benissimo i precetti morali delle grandi religioni, ma poi, raggiunta la reincarnazione in un essere spiritualmente più elevato, si dovranno seguire dottrine più profonde che riguardano il controllo della mente ed il distacco dai sensi, facendo riferimento ai grandi sistemi di meditazione del vero Yoga, del Buddhismo o di altre scuole iniziatiche, siano esse essoteriche o esoteriche.
In ogni caso è opinione comune che la migliore rinascita possibile è quella nel piano di esistenza umano, in un individuo di sesso maschile: sprecare dunque questa preziosa esistenza umana dedicandosi ad attività futili e facendosi dominare da passioni, legami, desideri e bassi sentimenti ci potrebbe condannare ad altre migliaia di rinascite nei piani di esistenza inferiori.
Se non si è ancora in grado di praticare la “Scienza della mente”, si seguano almeno i precetti morali di una qualsiasi grande religione, aggiungendo un rispetto assoluto verso qualsiasi forma di vita.
Si può in tal modo sperare di rinascere di nuovo nel piano umano, soprattutto se si è in grado di agire correttamente nel breve stato del Bardo.
Il Bardo, intervallo tra la morte ed una nuova rinascita, ha una durata variabile da 7 a 49 giorni umani, ma talvolta può durare di più.
Lo stato del Bardo è simile a quello del sogno, ma, nella maggioranza degli esseri umani, è dominato da angoscia, paura ed allucinazioni di ogni tipo.
Una mente ben preparata, dovrebbe riconoscere che si tratta solo di sue proiezioni e potrebbe, in rari casi, anche raggiungere la liberazione dalla catena delle rinascite, o, in subordine ottenere una buona rinascita.
Esiste una serie di “istruzioni per il moribondo” tramandata oralmente fin dall’antico Tibet pre-buddhista e poi messa per iscritto, denominata Bardo Thodol.
Qui ne riportiamo una versione “semplificata” che scrissi tempo fa per l’uomo occidentale:

 
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UNA VIA TIBETANA ALL’ILLUMINAZIONE



Il Buddhismo tibetano è contraddistinto da diverse scuole che, pur essendo tutte fedeli al messaggio originario, presentano metodi e pratiche differenti per raggiungere il traguardo finale dell’Illuminazione.
Qui presentiamo un’opera piuttosto tarda (XIV° secolo) della scuola Kadampa, le 37 pratiche del Bodhisattva, il cui autore, Tokmé Zongpo, fu dapprima abate di un monastero e poi si ritirò in solitudine per praticare il sentiero indicato dal Buddha.
Il termine sanscrito Bodhisattva può assumere diversi significati, ma in queste 37 strofe ha il chiaro significato di “colui che cerca di conseguire il risveglio”.
Questo scritto è particolarmente adatto al lettore occidentale, in quanto riguarda solo la parte iniziale dell’ottuplice sentiero che conduce all’Illuminazione.

LE 37 PRATICHE DEL BODHISATTVA

Ho composto questo testo in una caverna vicino a Ngulchu Rinchen a beneficio mio ed altrui. Per effetto di quest’opera, possano tutti gli esseri senzienti risvegliarsi da ciò che sembra a ciò che è.

1 – Ora hai una buona barca, ben equipaggiata, cosa rara da trovare. Per liberarti dall’oceano dell’esistenza, studia, rifletti e medita queste strofe: questa è la pratica del Bodhisattva.

2 – L’attrazione per le persone care ti attira nella sua corrente. L’odio verso coloro che ti contrastano ti brucia interiormente. L’indifferenza che finge di non vedere il giusto comportamento è come una cavità oscura. Lascia la tua terra natia, rompi i legami: questa è la pratica del Bodhisattva.

3 – Non lasciarti coinvolgere dagli elementi di disturbo e le reazioni emotive svaniranno poco a poco. Non lasciarti coinvolgere dalla distrazione e lo sviluppo spirituale crescerà spontaneamente. Mantieni chiara la consapevolezza e crescerà la tua fiducia nella via. Pratica il silenzio: questa è la pratica del Bodhisattva.

4 – Separati dagli amici di vecchia data e dai familiari. Abbandona le ricchezze ottenute con fatica. L’ospite, la tua coscienza, lascerà così la locanda, il tuo corpo. Rinuncia alla tua vita: questa è la pratica del Bodhisattva.

5 – Con certe compagnie i veleni continuano a crescere: studio, meditazione e riflessione si indeboliscono e gentilezza e compassione svaniscono. Abbandona le cattive amicizie: questa è la pratica del Bodhisattva.

6 – Con alcuni insegnanti i tuoi difetti scompaiono e le tue capacità aumentano come la Luna crescente. Ama e rispetta questi insegnanti più del tuo stesso corpo: questa è la pratica del Bodhisattva.

7 – Chiusi nella prigione illusoria da loro stessi creata, gli Dei non possono aiutare nessuno. Dove allora troverai rifugio ? Cercalo in ciò che è affidabile, i tre gioielli, cioè la tua natura di Buddha, l’insegnamento del Buddha e la comunità di coloro che percorrono il sentiero: questa è la pratica del Bodhisattva.

8 – La sofferenza dei regni inferiori è estremamente difficile da sopportare. Il saggio sa che sono il risultato del Karma negativo. Pertanto, anche a costo della vita, non commettere azioni negative: questa è la pratica del Bodhisattva.

9 – La felicità dei tre mondi scompare in un istante, come una goccia di rugiada su di un filo d’erba. La liberazione suprema è eterna ed immutabile. Mira a questa: questa è la pratica del Bodhisattva.

10 – Se tutti soffrono da tempo senza inizio, come puoi tu essere felice ? Dai dunque origine al risveglio per liberare tutti gli esseri: questa è la pratica del Bodhisattva.

11 – Tutta la sofferenza deriva dal desiderare la propria felicità. Il risveglio completo nasce dall’intenzione di aiutare gli altri. Perciò scambia la tua felicità con la sofferenza degli altri: questa è la pratica del Bodhisattva.

12 – Se qualcuno, spinto dalla disperazione, ti deruba o induce altri a derubarti, dedicagli il tuo corpo, le tue ricchezze e tutto il bene che hai fatto e che farai: questa è la pratica del Bodhisattva.

13 – Se non hai fatto nulla di male, eppure qualcuno cerca di farti tagliare la testa, spinto dalla compassione, prendi su di te tutto il suo veleno: questa è la pratica del Bodhisattva.

14 – Anche se qualcuno diffonde in tutto il mondo dicerie infamanti e maligne sul tuo conto, ripetutamente, con cuore aperto ed amorevole, loda le sue capacità: questa è la pratica del Bodhisattva.

15 – Anche se qualcuno ti umilia e ti accusa dinanzi ad una folla di persone,consideralo il tuo maestro e rendigli umilmente omaggio: questa è la pratica del Bodhisattva.

16 – Anche se qualcuno che hai amato come un figlio ti tratta come il peggior nemico, colmalo di attenzioni amorevoli, come una madre che cura il figlio malato: questa è la pratica del Bodhisattva.

17 – Anche se qualcuno a te spiritualmente inferiore ti umilia per sembrare migliore, trattalo con rispetto, come se fosse il tuo maestro: questa è la pratica del Bodhisattva.

18 – Quando sei povero, disprezzato, malato, non perderti d’animo. Prendi su di te la sofferenza di tutti gli esseri viventi: questa è la pratica del Bodhisattva.

19 – Quando sei famoso ed onorato e ricco quanto lo stesso dio della ricchezza, sappi che il successo nel mondo è effimero e non ti montare la testa: questa è la pratica del Bodhisattva.

20 – Se non spegni il tuo nemico interiore, l’ira e la rabbia, sappi che più nemici sconfiggi nel mondo, più ne arriveranno. Pratica dunque la gentilezza amorevole e la compassione. Sottometti la mente; questa è la pratica del Bodhisattva.

21 – I piaceri dei sensi sono come l’acqua salata: più ne bevi, più hai sete. Rinuncia a qualsiasi oggetto al quale sei attaccato: questa è la pratica del Bodhisattva.

22 – Qualsiasi cosa ti sembri esistere, è la tua mente. Riconoscilo e non cadere nell’illusione soggetto – oggetto: questa è la pratica del Bodhisattva.

23 – Quando incontri qualcosa che ti da piacere, anche se ti appaia bello ed attraente, non considerarlo reale. Rinuncia a questo attaccamento: questa è la pratica del Bodhisattva.

24 – Ogni forma di sofferenza è come sognare che tuo figlio sia morto. Non scambiare l’illusione con la Realtà. Quando ti scontri con un’avversità, riconoscila come illusoria: questa è la pratica del Bodhisattva.

25 – Se coloro che percorrono il sentiero del risveglio devono rinunciare persino al loro corpo, a che serve essere attaccato alle cose che possiedi ? Pratica la generosità senza aspettarti nessun compenso o risultato: questa è la pratica del Bodhisattva.

26 – Se è impossibile raggiungere la realizzazione senza una corretta condotta morale, come potrai prenderti cura anche degli altri ? Pratica la condotta morale anche se non coincide con la morale convenzionale: questa è la pratica del Bodhisattva.

27 – Per il Bodhisattva che vuole abbondare in virtù, una persona che gli fa del male è un bene prezioso. Coltiva la tolleranza e la pazienza verso tutti, senza irritazione o risentimento: questa è la pratica del Bodhisattva.

28 – Se persino i Buddha solitari che operano soltanto per la propria realizzazione devono impegnarsi a spegnere le fiamme della propria mente, ancor di più dovrà impegnarsi il Bodhisattva che opera anche a beneficio degli altri: questa è la pratica del Bodhisattva.

29 – Comprendendo che le reazioni emotive vanno demolite, dalla visione profonda sostenuta dalla quiete, coltiva la stabilità meditativa che supera anche gli stati senza forma: questa è la pratica del Bodhisattva.

30 – Senza saggezza, tutte le perfezioni non sono sufficienti per ottenere il pieno risveglio. Coltiva libero la saggezza: questa è la pratica del Bodhisattva.

31 – Se non comprendi la tua confusione, sei solo un materialista vestito da praticante. Indaga continuamente la tua confusione ed eliminala: questa è la pratica del Bodhisattva.

32 – Se agisci emotivamente, danneggi te stesso. Non criticare gli altri Bodhisattva per le loro imperfezioni. Non dire nulla delle imperfezioni di chi à entrato nella via: questa è la pratica del Bodhisattva.

33 – Quando litighi con altri per il prestigio e le ricompense, comprometti apprendimento, riflessione e meditazione. Abbandona ogni attaccamento alla cerchia familiare ed alla cerchia di colro che ti adulano: questa è la pratica del Bodhisattva.

34 – Le parole dure turbano gli altri e turbano la mente del bodhisattva. Non turbare il prossimo e non usare un linguaggio offensivo: questa è la pratica del Bodhisattva.

35 – Quando i veleni mentali prendono il sopravvento, è difficile porvi rimedio e fermarli. Il Bodhisattva, attento ed introspettivo, li tronca sul nascere con la spada della consapevolezza: questa è la pratica del Bodhisattva.

36 – Qualsiasi cosa tu stia facendo, tieni sempre sotto controllo la tua mente, istante per istante. Sii continuamente presente e consapevole: questa è la pratica del Bodhisattva.

37 – Pratica del Bodhisattva e dedicare la virtù generata dai suoi sforzi per eliminare la sofferenza di tutti gli altri esseri senzienti: questa è la pratica del Bodhisattva.

 
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LO STATO DI BARDO TRA LA MORTE E LA RINASCITA



Da quando la Cina ha occupato il Tibet nel 1959, sono stati distrutti circa 6.000 monasteri, ma pare che ne restino ancora 1.700, distribuiti su di una superficie enorme di quasi un milione e trecentomila chilometri quadrati.
In questi monasteri erano conosciute, tramandate e conservate conoscenze antichissime, provenienti da un tempo remoto.
C’è da osservare che il Tibet, a causa della sua altitudine media di 4.900 metri sul livello del mare, sarebbe scampato a quell’immane cataclisma, riportato da quasi tutte le tradizioni umane più antiche, che va sotto il nome comune di “Diluvio Universale” e, pertanto, abbia potuto conservare antiche conoscenze che invece andarono perdute per il resto dell’umanità.
Abbiamo premesso queste considerazioni, perchè il Buddhismo si diffuse in Tibet piuttosto tardi, la tradizione dice nel 173 dopo Cristo, oltre seicento anno dopo la predicazione del Buddha e, nella sua forma tibetana, assorbì molte delle conoscenze e delle antiche dottrine già presenti e diffuse in quel paese.
In questa breve nota descriveremo dunque la dottrina sullo stato di Bardo, così come ce la propone il Buddhismo nella sua forma tibetana.
Lo stato di Bardo è quell’intervallo di tempo che va dalla morte di un individuo alla sua reincarnazione, per questo motivo dobbiamo prima dire due parole su di essa.
L’essere umano è prigioniero del “Samsara” (Oceano dell’esistenza), cioè l’insieme di tutti i piani di esistenza illusori e compenetrati, tra i quali quello umano, tutti privi di realtà e tutti caratterizzati da uno stato di sofferenza.
Tutto il Samsara (anche i piani superiori a quello umano) è caratterizzato da dolore e sofferenza e, soprattutto, è illusorio ed insostanziale, un vero e proprio miraggio, causato dall’Avidya (Ignoranza Metafisica) delle miriadi di esseri che lo popolano.
Tutti gli esseri esistenti, siano essi divini, umani o subumani, sono vittime di questa illusione e di questo stato di sofferenza, anche se, nella maggioranza dei casi, non ne sono consapevoli.
Tutto il Samsara è governato dalla legge del Karma.
Proprio come le leggi matematiche, chimiche e fisiche che dominano il nostro mondo materiale, così la legge del Karma è automatica, non ha riguardo per nessuno e non può in nessun modo essere infranta, superata o aggirata.
Qualsiasi azione un essere compia, questa genera un effetto. Questa è la legge del Karma.
L’insieme di tutte le azioni che un essere compie dalla nascita alla morte è causa della nascita di un altro essere vivente nel piano animale, umano, diabolico, divino o in qualsiasi altro piano dell’esistenza visibile o non visibile, da noi conosciuto o sconosciuto.
Questo nuovo essere nulla sa e, tranne nel caso di esseri estremamente evoluti spiritualmente, nulla può sapere del precedente essere vivente che ha causato la sua nascita, ma, nel bene e nel male, subisce tutte le conseguenze delle azioni del precedente essere vivente che ha causato la sua venuta al mondo.
Questo stato di cose viene comunemente chiamato “reincarnazione”.
Sono innumerevoli i piani dell’esistenza nei quali si può rinascere, ma, secondo le dottrine orientali, possono essere classificati in sei grandi categorie: il piano degli dei (Deva), il piano dei semidei (Asura), il piano umano, il piano animale, il piano degli spiriti famelici (Preta) ed il mondo degli esseri infernali (Naraka).
Con la morte dunque non si ottiene la liberazione dal Samsara. Questa può essere realizzata solo nel breve arco della vita umana. Se fallisce, dopo il breve periodo del bardo, l’uomo “rinasce” in uno dei sei mondi.
La tradizione tibetana afferma che il Bardo dura 49 giorni, ma, in realtà la sua durata può essere molto variabile.
La morte non è un fenomeno istantaneo, ma il morente ha a disposizione un certo lasso di tempo, detto esistenza intermedia, per compiere alcune azioni vantaggiose.
Il morente avrà la sensazione di percorrere un lungo tunnel buio, in fondo al quale intravede una luce.
Quando si interrompe il respiro esteriore, gli appare in tutto il suo splendore questa pura luce senza forma.
Il morente assuma un atteggiamento di amore e compassione per tutte le creature e riconosca che quella luce è sempre stata dentro di lui per tutto il corso della vita e cerchi di identificarsi con essa.
Se il morente assume la consapevolezza che quella luce è la sua unica vera identità, è salvo per sempre e la sua morte non causerà altre rinascite in questo o in altri mondi, sia materiali che spirituali.
Solo uomini di altissimo livello spirituale, che pur non hanno raggiunto l’illuminazione in vita, la possono raggiungere nel momento della morte, nel modo che abbiamo appena illustrato.
Nel caso in cui questa luce non sia stata “afferrata”, apparirà una seconda luce che sarà presente per un lasso di tempo maggiore.
E’ questo il momento in cui il morente non sa se è vivo o morto ed il suo principio cosciente, ancora esistente, esce fuori dal corpo: egli vedrà distintamente le persone che sono vicino al cadavere ed avrà la sensazione di vederle dall’alto. Non si distragga e cerchi di essere cosciente che anche questa seconda luce è la sua reale natura, sotto forma di divinità tutelare, anche se di natura inferiore alla prima luce.
Questa seconda luce assume al suo interno delle fattezze che dipendono dall’ambiente religioso in cui è vissuto il morente. Un Cristiano la identificherà con Gesù Cristo, una persona di diversa cultura religiosa con una diversa divinità.
Il morente deve assolutamente meditare questa divinità, senza distrazioni, come un’immagine che non abbia sostanza e non come un corpo materiale.
E’ questa l’ultima occasione di liberarsi della illusoria realtà del mondo sensibile, ma altre azioni sono ancora possibili prima dell’estinzione totale.
Se il morente non è riuscito ad identificarsi con questa seconda luce, cominceranno ad apparire le immagini illusorie causate dal karma che egli ha finora accumulato. Queste immagini dipendono dall’ambiente culturale e religioso nel quale egli è vissuto.
Mentre si affievoliscono le immagini delle persone che sono vicine al cadavere, egli comincia ad udire suoni ed a vedere luci e balenii. Il morente comincia ad avere paura e spavento e si sente venire meno.
Non si faccia distrarre da questi fenomeni. Assolutamente non sia attaccato, desideroso e voglioso di questa vita. Comprenda bene che è arrivata la morte e che egli si trova nel terzo stadio dell’esistenza intermedia.
Comprenda bene che eventuali immagini terribili, paurose e spaventose provengono in realtà da se stesso, sono frutto del suo karma.
Ricordi bene queste istruzioni e riconosca che queste immagini sono frutto della sua immaginazione.
Se il suo sforzo avrà successo, se si sarà completamente liberato dal desiderio del ritorno all’esistenza, le immagini scompariranno e gli apparirà il Mondo Divino.
Questo mondo è pure soggetto al karma, ma il morente avrà l’occasione di far nascere un nuovo essere in questo mondo o, come si suol dire, rinascerà come essere divino e vagherà nel mondo degli dei per lunghissimo tempo.
In questo mondo divino egli dovrà continuare il suo cammino spirituale verso l’Illuminazione ed un giorno potrebbe anche rinascere come uomo.
Se invece il suo sforzo non avrà avuto successo, se avrà avuto paura della luce del Mondo Divino, il morente comincerà a precipitare nel mondo delle forme inferiori di esistenza.
Gli appariranno adesso due entità: una luce bianca e pura ed una luce fosca non abbagliante. La prima è ancora un pallido riflesso del Mondo Divino e la seconda proviene da quello che per i Cristiani è l’Inferno.
Se il morente, nel corso della vita, sarà stato dominato da bassi sentimenti come l’ira e l’odio, avrà paura della prima e precipiterà verso la seconda.
Se riuscirà a non aver paura della prima luce ed a identificarsi con essa, entrerà e rinascerà nel mondo delle divinità inferiori. In caso contrario rientrerà nel mondo delle rinascite dal quale proviene.
In quest’ultimo caso, in vari stadi, si presenteranno al morente entità luminose sempre più fievoli ed egli avrà ancora qualche possibilità di salvarsi dal ritorno nel mondo illusorio della sofferenza e delle rinascite nel quale siamo immersi tutti noi.
Purtroppo la maggioranza dei morenti, a causa delle loro cattive predisposizioni, a causa dell’odio, dell’ira e dei bassi sentimenti dai quali sono stati dominati in vita, a causa dei loro peccati e della loro condotta immorale, a causa del mancato amore e rispetto di tutti gli esseri viventi, precipiteranno negli stadi inferiori dell’esistenza.
E’ questo il momento in cui cominceranno ad apparire le divinità terrifiche che getteranno il morente nel panico, nello sbigottimento e nella disperazione. Esse sono i terribili reggitori di questo mondo, gli Arconti degli gnostici, i Principati e le Potestà di questo mondo di tenebre, come diceva San Paolo.
Eppure il morente avrebbe ancora una qualche possibilità di salvezza, se solo acquisisse consapevolezza che anche queste terribili Entità non sono altro che proiezioni della sua mente.
Se queste istruzioni non sono servite, il morente, dopo alcuni tentativi di rientrare nel proprio cadavere, si estinguerà e sarà causa della nascita di un essere nel nostro piano dell’esistenza materiale o, come si dice, rinascerà come essere materiale in questo mondo.
Trascinato dal suo karma assumerà la forma di un animale o di un essere autocosciente in questo o in altri mondi materiali.
Ancora una volta questo nuovo essere nulla saprà di quanto accaduto.

Queste istruzioni andrebbero memorizzate ed utilizzate nel momento del Bardo, ma ciò è estremamente difficile per l’uomo occidentale che, nella maggioranza dei casi, vive questo periodo attanagliato dal terrore e dall’angoscia, a causa di un Karma negativo causato da una vita dedicata a cose futili e dominata da sentimenti e passioni negative.
All’apparire della prima Luce, egli, anzichè immergersi in essa, sarà portato a “fuggire via” per il terrore di perdere il suo illusorio io individuale.
Anzi, questa illusione è per lui in quel momento l’unica consolazione, in quanto gli farà pensare “esisto ancora”, “c’è vita dopo la morte”.
A causa di di questa situazione, egli, durante il Bardo, perderà anche le altre occasioni positive e sarà destinato ad una rinascita in uno dei mondi inferiori del Samsara.
Quanto detto, molto probabilmente, non riguarderà il lettore di questo articolo, in quanto, il fatto che ricerca questi argomenti è già di per se segno di un Karma positivo.

SEGUE

 
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YOGACARA BUDDHISTA


Per la scuola buddhista Yogacara è evidente che esiste solo la Coscienza. Questa scuola nega l’esistenza di una realtà al di fuori della Coscienza: dato che ciò che viene conosciuto viene conosciuto nella Coscienza, non è possibile conoscere una realtà al di fuori della Coscienza.
Nessuno può sperimentare un oggetto al di fuori della Coscienza. Conseguentemente tutte le pretese prove dell’esistenza di oggetti esterni alla Coscienza, devono provenire dalla Coscienza stessa, per cui l’esistenza di oggetti all’interno della Coscienza non può essere considerata una prova che gli oggetti esistano al di fuori della Coscienza.
Se un oggetto non viene conosciuto, non può darsi il minimo briciolo di prova della sua esistenza, ma poiché l’oggetto viene conosciuto soltanto all’interno della Coscienza, non ci può essere alcuna prova che esso esista al di fuori della Coscienza.
L’uomo comune sostiene che ci deve essere una differenza tra la coscienza di un oggetto e l’oggetto stesso, ma la scuola Yogacara ribatte con l’esempio del sogno: Molti sognano e, mentre sognano, sono convinti che gli oggetti di cui hanno consapevolezza abbiano un’esistenza oggettiva esterna alla Coscienza. Ora, proprio come il fatto di ritenere durante il sogno che ci siano degli oggetti “al di fuori” della Coscienza non stabilisce affatto l’esistenza reale di tali oggetti, così il fatto che le persone in stato di veglia ritengano che tali oggetti della Coscienza abbiano una esistenza oggettiva non prova affatto che tali oggetti esistano.
All’obiezione “perché gli oggetti esterni non scompaiano, come accade al termine di un sogno ?”, lo Yogacara risponde che siamo tuttora all’interno del sogno.
Da questa risposta si evince la necessità di “risvegliarsi dal sogno”, seguendo la via indicata dal Buddha, il risvegliato.
Secondo lo Yogacara, le distinzioni che si fanno tra soggetto ed oggetto avvengono in una Coscienza che non è né soggetto né oggetto, ma li contiene entrambi ed è questa Coscienza “superiore” che va realizzata seguendo la via indicata dal Buddha.
Lo Yogacara riconosce vari livelli di Coscienza, tutti dipendenti dalla Coscienza Assoluta (Alayavijinana), unica reale in se e priva di contenuti, della quale si può fare esperienza solo nell’Illuminazione Suprema.
I contenuti dei livelli inferiori di Coscienza sorgono dal karma, dall’ignoranza e dalla brama, secondo il meccanismo della “Produzione Condizionata” descritto dal Buddha.
Nella prospettiva dell’uomo comune non illuminato, dal suo punto di vista, la Coscienza Suprema si manifesta come autocoscienza di base e nasce quindi l’errore della credenza dell’esistenza di un io individuale e di un mondo esterno all’io.
L’asceta, nel suo difficile cammino verso l’Illuminazione suprema, farà esperienza di stati di Coscienza via via superiori, ciascuno con i suoi peculiari contenuti.
L’antico insegnamento dello Yogacara non è una novità per l’uomo occidentale che ritrova i suoi contenuti fondamentali nei sistemi filosofici di Fichte e Berkeley.
Quest’ultimo ha sintetizzato questi concetti in un unica breve frase, diventata famosa: “Esse est percipi”, cioè “Esistere è essere percepito”, che sta a significare che tutto ciò che noi possiamo dire degli oggetti e dei fatti che ci sembrano reali è che “li percepiamo”, senza che ciò ci autorizzi a dire anche che essi esistano. Quando noi pensiamo una certa cosa che ci sembra realmente esistente in realtà, secondo Berkeley, non facciamo altro che collezionare nella nostra mente una serie di idee su di essa. Le cose materiali esistono soltanto nella nostra mente perché le idee che si estrinsecano come percezione si concretizzano alla nostra Coscienza.
Ma ritroviamo i principi dello Yogacara anche nel concetto di “Mentalismo” espresso nel trattato esoterico del Kybalion : Tutto è Mente. Tutto ciò che esiste è “pensato” da una Mente Universale, della quale le Menti individuali sono solo un pallido riflesso.

 
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SUTRA DEL CUORE

Il sutra del cuore è uno dei testi più recitati e meditati dell’intero mondo buddhista.
Ne esistono diverse versioni (sanscrita, tibetana, cinese), con piccole variazioni nel testo, ma il suo tema centrale è il medesimo: rivelare la natura illusoria di tutto ciò che crediamo reale e dotato di un’esistenza indipendente ed indicare la via per il superamento della ruota di nascita, sofferenza e morte.
Il testo è breve ma, per noi occidentali, non è di facile comprensione, ma, ad una costante e ripetuta meditazione, svela verità profonde.
Per questo, nei monasteri buddhisti, in Tibet e nelle cerimonie Zen, viene recitato ripetutamente, in modo quasi cantilenante, con una intonazione monotona, spesso accompagnato da musica e suono di campane.
Dice la tradizione che, al Picco dell’Avvoltoio, presso l’attuale città indiana di Rajgir (nel Bihar), il Buddha stava in profonda meditazione circondato da monaci e bodhisattva. Egli era assorto nella meditazione detta “Visione profonda”.
Contemporaneamente il bodhisattva Avalokitesvara, praticando completamente la profonda Perfezione della Saggezza, vedeva i cinque aggregati mondani e vedeva che essi erano totalmente vuoti di una propria intrinseca natura.
Allora il venerabile Sariputra così si rivolse al bodhisattva Avalokitesvara :
“Come deve addestrarsi ogni figlio di noble lignaggio che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza ?”
Avalokitesvara così rispose:
“O Sariputra, la forma non è diversa dal vuoto, il vuoto non è diverso dalla forma. La forma è vuoto, il vuoto è forma.
Così anche per sensazioni, percezioni, tendenze e coscienza.
Oh Sariputra, tutti i fenomeni sono per natura vuoti: mai nati né estinti, mai impuri né puri, mai crescenti nè decrescenti.
Perciò, nel vuoto, non ci sono forma, sensazione, percezione, tendenza, coscienza, né occhio, orecchio, naso, lingua, corpo, mente, né colore, suono, odore, sapore, contatto, idea.
Non c’è regno visivo, e così via fino alla coscienza mentale. Non c’è ignoranza, né la sua fine e così via fino alla vecchiaia e morte, né la loro fine.
Non c’è sofferenza, né causa, né estinzione, né Sentiero. Non c’è conoscenza, né ottenimento.
Poiché nulla vi è da ottenere, il bodhisattva saldo nella Saggezza che va oltre (Prajna Paramita), vive con la mente libera da ostacoli.
Senza ostacoli non ha timore, abbandona per sempre le illusioni ed entra nel Nirvana.
Vivendo nella Saggezza che va oltre, tutti i Buddha dei tre tempi realizzano la suprema, perfetta illuminazione.
Sappi, quindi, che la Saggezza che va oltre è il sublime mantra, grande mantra luminoso, mantra supremo, mantra incomparabile, capace di dissolvere ogni sofferenza. E’ vero, senza errori.
Recita, perciò, il mantra della Saggezza che va oltre, il mantra che dice:
GATE GATE PARA GATE PARA SAM GATE BODHI SVA HA.
(La traduzione di questo potente mantra, una formula verbale a cui si attribuisce il potere magico di aprire la mente all’illuminazione, è “Andate, andate, andate oltre, completamente andate al di là, che venga il risveglio !”).
Allora il Buddha interruppe la meditazione, e disse ad Avalokitesvara:
“Ben detto. Ben detto. Ben detto. È così. O tu di Nobili Natali, è così. Proprio come tu hai mostrato, la profonda Saggezza che va oltre dovrebbe essere compresa. Anche tutti i Buddha sono soddisfatti”.
Quando il Buddha ebbe così parlato, il venerabile Avalokitesvara, l’intera assemblea attorno a loro, assieme al mondo degli dei, uomini, semidei e gandharva, esultarono e porsero alte lodi alla parola del Buddha.

 
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AVIDYA, IGNORANZA METAFISICA

Chi non è ancora giunto alla consapevolezza che la condizione umana (e di tutte le forme viventi) è uno stato di atroce sofferenza, difficilmente comprenderà il senso di questa breve nota.
Questa consapevolezza è propria di quei pochi individui che hanno sperimentato stati di esistenza superiore o che semplicemente hanno compreso l’insegnamento dei pochi risvegliati apparsi nella storia dell’umanità.
Il senso reale di tutte le diverse dottrine esoteriche si potrebbe riassumere nell’affermazione “l’uomo è un Dio che non sa di essere tale ed è unicamente questo suo non sapere che lo tiene incatenato nella condizione umana”.
Nelle Tradizioni orientali questo “non sapere” è denominato “Avidya”, termine che generalmente viene tradotto con “Ignoranza”.
Abbiamo scritto Ignoranza con l’iniziale maiuscola, perché si tratta di un’Ignoranza metafisica, primo stadio di una complessa “genesi condizionata”, cioè di quella catena di eventi metafisici per i quali l’uomo si trova precipitato nel mondo sensibile, un processo istantaneo ed immediato che avviene “qui ed adesso”, fuori dello spazio e del tempo, causa del punto di vista illusorio in cui egli si trova.
Questa catena prende l’avvio da un “Errore”, uno sciagurato errore : Avidya, appunto, che, istantaneamente, dà l’avvio ad una serie di stadi atemporali il cui risultato finale è l’illusione di un io individuale e di un mondo “esterno” e diverso da questo io.
In questo senso Avidya è la causa di quella che, nelle Tradizioni esoteriche occidentali, viene definita “Caduta”, “Discesa”, “Colpa” etc ….. Essa è la causa della “Espulsione dal Paradiso terrestre”, del “precipitare della Sophia nei mondi inferiori” etc…, uno stato di oblio, di acciecamento per cui l’Essere Reale entra in uno stato costante di agitazione, turbamento, desiderio, attaccamento, repulsione, paura, dolore, insoddisfazione, brama di esistere, brama di oggetti sensuali : la condizione umana. L’uomo dunque, a causa di Avidya, è prigioniero di un mondo di tenebre e non ha più ricordo della sua vera natura.
Si tenga presente che Avidya non può essere considerata né come “assolutamente esistente” né come “assolutamente inesistente”, in quanto è al di là dell’esistenza, dello spazio e del tempo. Essa è dovuta alla Maya, il potere dell’unica realtà esistente, il Brahman, quel potere per il quale, all’interno dell’Uno, esistono innumerevoli piani dell’esistenza compenetrati tra loro, tra i quali quello umano, tutti egualmente illusori ed irreali.
Non per niente il grande filosofo tedesco Arthur Schopenhauer coniò l’espressione “Velo di Maya” per intendere un’entità di natura metafisica e illusoria, che separa gli esseri individuali dalla conoscenza della realtà ed impedisce loro di ottenere la liberazione dalla loro tragica condizione, tenendoli così incatenati nel loro piano di esistenza irreale.
Questo velo è rappresentato dall’identificazione con il corpo, con la mente, con l’intelletto, con la propria stessa individualità, con il senso dell’io, ovvero con tutto ciò che ricopre e riveste l’Atman (che altro non è che l’unica entità eterna ed immortale, coincidente con il Brahman universale), impedendo così di riconoscere la propria identificazione con Esso ed illudendo l’anima individuale di essere un individuo distinto dal tutto.
Avidya è anche il fuoco del “Mito della caverna” di Platone, che illumina la parete interna della grotta nella quale gli uomini, incatenati dalla nascita col viso verso di essa, credono reali le ombre delle persone che passano davanti all’uscita alle loro spalle.
Dunque, per quanto detto, Avidya è semplicemente l’errata percezione della Realtà che fa credere all’uomo reale ciò che non è reale, compresi il suo io individuale e quello che egli ritiene “mondo esterno all’io”.
L’azione di Avidya è ben descritta nel Paticca-Samuppada-Vibhanga Sutta buddhista:
“Dall’ignoranza (Avidya) come condizione derivano le predisposizioni karmiche. Dalle predisposizioni karmiche come condizione deriva la coscienza. Dalla coscienza come condizione derivano il nome e la forma. Dal nome e dalla forma come condizione derivano i sei sensi. Dai sei sensi come condizione deriva il contatto. Dal contatto come condizione derivano le sensazioni. Dalle sensazioni come condizione deriva la brama. Dalla brama come condizione deriva l’attaccamento. Dall’attaccamento come condizione deriva il divenire. Dal divenire come condizione deriva la nascita. Dalla nascita come condizione si producono l’invecchiamento e la morte, il dolore, i lamenti, l’angoscia e la disperazione. Tale è l’origine di questa massa intera di dolore e sofferenza. E cos’è l’ignoranza? Non conoscere la sofferenza, non conoscere l’origine della sofferenza, non conoscere la cessazione della sofferenza, non conoscere il sentiero o la pratica che conduce alla cessazione della sofferenza: Questo stato è chiamato ignoranza”.
Tutte le dottrine Esoteriche, sia in Oriente che in Occidente, indicano all’uomo il difficile e lungo cammino per rimuovere Avidya e tornare alla vera propria natura, alla condizione reale dell’identificazione con l’unico Assoluto esistente, attraverso una Dottrina che lo stesso Buddha non esita a definire “Profonda, difficile a percepire, difficile ad intendere, elevata, irriducibile al pensiero discorsivo, sottile, accessibile soltanto ai saggi, che si cela a coloro che soggiacciono alla brama, avvolti in una tenebra fitta”.

 
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PARABOLA DEL GIOELLO NASCOSTO (BUDDHISMO)


Un uomo si recò a casa di un caro amico molto povero che, dopo essersi ubriacato di vino si addormentò.
Egli, però, doveva assolutamente andare via, a causa di un importante impegno.
Allora, preso un gioiello dal valore inestimabile, lo cucì nella fodera della veste dell’amico e lo lasciò andandosene. L’uomo dormiva ubriaco e non si accorse di nulla.
Quando si risvegliò si mise in viaggio verso altri paesi.
Per procurarsi da vivere dovette darsi da fare con tutte le sue energie, affrontando enormi difficoltà, cavandosela con quel poco che poteva racimolare e, per lungo tempo, condusse una vita veramente misera.
Un giorno l’amico lo incontrò per caso. lo vide in queste condizioni misere e disse:
Che cosa assurda vecchio mio! Come ti sei ridotto così per procurarti da mangiare e da vestire ?
In passato mi volli assicurare che tu potessi vivere agiatamente e soddisfare tutti i tuoi desideri, così quel giorno che ti lasciai, prima di andarmene, presi un gioiello di inestimabile valore e lo cucii nella fodera del tuo abito.
Deve trovarsi ancora li adesso. Ma tu non ne sapevi nulla e ti sei affaticato e tormentato cercando di guadagnarti da vivere. Che cosa insensata!
Ora devi prendere il gioiello e barattarlo con altri beni così potrai avere in ogni momento tutto ciò che desideri e non sperimenterai mai più la miseria o il bisogno.

La natura di Buddha è presente in tutti gli esseri viventi, ma essi non ne sono coscienti e vivono nell’illusione e nella sofferenza. Questo è il semplice significato della parabola che abbiamo riportato, tratta dal Sutra del Loto.

 
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LA COMPASSIONE PER TUTTI GLI ESSERI VIVENTI NEL BUDDHISMO


Nella lingua italiana il termine “compassione” viene recepito dai più con “avere pietà”, “provare commiserazione”.
Se però si considera la sua etimologia dalle parole latine “cum” (insieme) e patior (soffro), il termine assume il significato più ampio e più nobile di partecipazione alla sofferenza dell’altro.
La prima nobile verità del messaggio buddhista, la verità del dolore, ci insegna che la condizione umana è uno stato di atroce sofferenza, del quale la maggioranza dell’umanità non è consapevole perché non ha mai sperimentato gli stati superiori.
Non solo l’uomo è vittima di questa condizione, ma lo sono tutti gli esseri viventi.
La compassione buddhista è dunque quel primo passo sul sentiero verso la Liberazione dalle catene del mondo materiale col quale l’asceta diventa consapevole di essere solo una singolarità, una sola manifestazione di una realtà unica che comprende tutti gli esseri viventi.
Questa compassione è dunque rivolta a tutti gli esseri viventi, non solo agli esseri umani ed assume il significato più ampio di amore per ogni forma di vita.
Ricordiamo che, per il Buddhismo, l’io individuale è solo un’illusione, non esiste un io separato per ogni essere vivente.
Dunque tutti gli animali che, come l’uomo, sono vittime di questa illusione ed incatenati in un mondo di sofferenza caratterizzato dalla legge spietata della natura, sono solo i nostri fratelli minori, compagni di tribolazione, afflizione e patimento.
Dunque il concetto di “compassione” nel Buddhismo si estende a tutte le forme viventi :
“Nessuna cosa vivente deve essere uccisa, non il più piccolo animale o insetto, perché ogni vita è sacra” (Buddha).



FONTEhttps://giuseppemerlino.wordpress.com/2018/06/21/la-compassione-per-tutti-gli-esseri-viventi-nel-buddhismo/
 
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